Procedure stragiudiziali per la separazione e il divorzio
Il contributo analizza le speciali procedure stragiudiziali introdotte in materia di separazione e di divorzio dal d.l. n. 132/2014 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 162/2014). Vale a dire sia la speciale procedura di «negoziazione assistita da uno o più avvocati» (art. 6), sia la procedura finalizzata a concludere un accordo davanti al sindaco, nella sua qualità di ufficiale dello stato civile (art. 12). Di esse viene sottolineata l’importanza sistematica per essere state introdotte in una materia, come quella matrimoniale, tradizionalmente ritenuta di natura indisponibile, ma anche i loro non pochi profili problematici, già emersi in sede di prima applicazione e accentuati dalla successiva l. n. 55/2015 sul cd. divorzio breve.
Con il d.l. 12.9.2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla l. 10.11.2014, n. 162, il nostro legislatore ha messo in campo un vasto corpus di interventi normativi, nell’ambito del quale un posto di primaria importanza assumono senza dubbio quelli riguardanti le controversie in materia di separazione e di divorzio, dove il legislatore del 2014 prevede sia l’utilizzazione di una speciale procedura di «negoziazione assistita da uno o più avvocati» (art. 6), sia la possibilità di pervenire ad un accordo davanti al sindaco, nella sua qualità di ufficiale dello stato civile (art. 12)1. Con specifico riferimento alla prima procedura, una convenzione di «negoziazione assistita» da almeno un avvocato per parte2 può essere conclusa al fine di conseguire una «soluzione consensuale» di una controversia di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’art. 3, co. 1, n. 2, lett. b), l. div. (ossia nella sola ipotesi di precedente separazione), di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Si tratta, quindi, di un modo per risolvere consensualmente queste particolari controversie, che si differenzia dalla procedura di mediazione per il ruolo fondamentale che in essa viene riconosciuto agli avvocati delle parti. Qui la loro presenza e assistenza è obbligatoria ed essi sono i veri protagonisti, sia per quanto riguarda l’inizio della procedura, sia per quel che riguarda la positiva conclusione della stessa.
L’altra possibilità di conseguire in via stragiudiziale i medesimi effetti dei provvedimenti giudiziali in materia di separazione e divorzio (o modifica delle loro condizioni) è quella dell’«accordo» concluso davanti al sindaco, quale ufficiale dello stato civile, del comune di residenza di uno dei coniugi o presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio, anche mediante l’assistenza facoltativa di un avvocato.
Occorre, dunque, soffermarsi partitamente sulle due nuove procedure stragiudiziali, con le quali le parti possono risolvere – senza dover necessariamente ricorrere al giudice – molte delle controversie che riguardino la separazione fra i coniugi, il divorzio o la modifica delle condizioni della separazione e del divorzio.
2.1 L’accordo raggiunto attraverso la negoziazione assistita
Con specifico riferimento alla procedura di negoziazione assistita, essa può essere utilizzata sia quando la coppia abbia figli minori o maggiorenni non autosufficienti, sia in caso contrario. Ma la sua articolazione muta a seconda che si abbia a che fare con la prima o con la seconda ipotesi.
Quando non vi siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto diviene efficace una volta ottenuto il nullaosta del procuratore della Repubblica presso il tribunale competente (rectius: che sarebbe stato competente se fosse stata utilizzata la procedura giudiziale), che non ravvisi irregolarità. Il necessario coinvolgimento del procuratore della Repubblica è stato introdotto con la legge di conversione del d.l. n. 132/2014 ed era stato sollecitato nel parere del C.S.M.3.
Invece, in caso di presenza di figli minori o maggiorenni bisognosi di protezione, l’accordo raggiunto deve essere trasmesso entro dieci giorni allo stesso procuratore della Repubblica, il quale lo autorizza, ove ritenga che esso risponda all’interesse dei figli e, in caso contrario, lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, perché fissi, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provveda senza ritardo.
L’accordo così raggiunto, nel quale si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascun genitore, una volta ricevuto il nullaosta del procuratore della Repubblica o da questi autorizzato, produce gli effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
2.2 L’accordo davanti all’ufficiale dello stato civile
Come già detto, l’altra procedura stragiudiziale introdotta nel 2014 riguarda la possibilità di conseguire in via stragiudiziale i medesimi effetti dei provvedimenti giudiziali in materia di separazione e divorzio (o modifica delle loro condizioni) mediante l’«accordo» concluso davanti al sindaco, quale ufficiale dello stato civile, del Comune di residenza di uno dei coniugi o presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio.
Questa seconda procedura, tuttavia, è utilizzabile solo se non vi siano figli minori o maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti. La norma sembra riferirsi all’esistenza di figli “comuni fra le parti”, che si trovino in condizioni tali da precludere l’utilizzazione della procedura in esame. E così alla fine è stata interpretata anche dalla circolare n. 6/2015 del Ministero dell’interno, sebbene in precedenza, con la circolare n. 19/2014, lo stesso Ministero avesse incluso in tale ipotesi – con evidente forzatura del testo legislativo – l’esistenza di figli ricadenti nelle predette condizioni “anche di una sola parte”.
Peraltro, quando si tratti di «accordo» per la separazione o il divorzio, l’ufficiale dello stato civile, ricevute le dichiarazioni delle parti, deve invitarle a comparire davanti a sé non prima di trenta giorni dalla ricezione per la conferma dell’accordo e, in tal caso, la mancata comparizione equivale a mancata conferma dello stesso.
2.3 Le A.D.R. e la materia matrimoniale
Avendo imboccato la strada delle procedure alternative anche per la risoluzione delle controversie (A.D.R.: Alternative Dispute Resolutions) di separazione e divorzio, il nostro legislatore manifesta un chiaro cambio di rotta in questo particolare settore del contenzioso civile. Finora, a parte la limitata ipotesi della separazione consensuale (art. 158 c.c.), nella quale il solo consenso fra i coniugi è in grado di determinare gli effetti della separazione, previa omologazione da parte del tribunale, negli altri casi questa materia è stata ritenuta di esclusiva rilevanza pubblicistica e le situazioni giuridiche in essa coinvolte di natura indisponibile. Il fatto che ora il legislatore ammetta che esse possono essere risolte anche attraverso la negoziazione assistita (o la procedura stragiudiziale davanti all’ufficiale dello stato civile) non significa, però, che la materia sia divenuta di natura liberamente disponibile fra le parti4. Significa, piuttosto, che sia pure in maniera limitata e a determinate condizioni il legislatore ritiene utilizzabili queste procedure anche in una materia indisponibile, per la quale, di conseguenza, non sussiste più la necessità di ricorrere all’intervento giurisdizionale. Non convince, invece, l’idea che per effetto della novità legislativa si sia attenuata l’indisponibilità in materia di separazione e divorzio. In proposito, infatti, qualcuno ha parlato di rimozione «dell’assoluta intangibilità dei diritti indisponibili»5
o di creazione, con l’intervento legislativo del 2014, di un tertium genus che si collocherebbe a metà strada fra indisponibilità e piena disponibilità6.
A smentire una simile conclusione ci pare rilevino sia la necessità che, comunque, sussistano i presupposti voluti dal legislatore al fine di ottenere la separazione o il divorzio (o la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio), che non sono in alcun modo modificabili sulla base dell’accordo congiunto dei due coniugi (o exconiugi), sia la considerazione che, in caso contrario, non si spiegherebbe il ruolo svolto proprio del procuratore della Repubblica nell’ambito delle procedure in questione.
Acquisito l’inquadramento generale delle nuove procedure, occorre prendere in considerazione alcuni specifici profili problematici.
3.1 Rapporti fra la negoziazione assistita ‘‘matrimoniale’’ e quella generale
Anzitutto, una prima perplessità riguarda i rapporti della negoziazione assistita “matrimoniale” con la disciplina sulla procedura di negoziazione assistita generale, di cui agli artt. 25 d.l. n. 132/2014.
È difficile negare, infatti, che anche per la procedura di negoziazione assistita “matrimoniale” debbano trovare applicazione le previsioni generali circa:
a) la forma dell’accordo, che ai sensi del co. 4 dell’art. 2, deve essere redatto in forma scritta a pena di nullità;
b) la certificazione da parte degli avvocati dell’autografia delle sottoscrizioni apposte all’accordo (art. 2, co. 6);
c) il dovere deontologico degli avvocati di informare il cliente all’atto del conferimento dell’incarico per la risoluzione di una controversia di separazione, divorzio o mutamento delle condizioni di separazione e divorzio della possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita (art. 2, co.7).
È difficile pensare, invece, che possa trovare applicazione anche la disposizione generale sulla durata della procedura.
Ai sensi dell’art. 2, co. 2, lett. a), d.l. n. 132/2014, il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura di negoziazione assistita generale non deve essere inferiore ad un mese, né superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo delle parti. Si tratta di disciplina, che in teoria sarebbe applicabile anche alla negoziazione assistita “matrimoniale”. Sennonché, dalla disciplina dell’art. 6 emerge che la durata della procedura non dipende solo dalle parti, ma anche dal coinvolgimento del procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale è chiamato – come abbiamo visto – a rilasciare, a seconda dei casi, il nullaosta o l’autorizzazione. Ciò che impedisce di applicare la disposizione generale sulla durata della procedura.
Qualche dubbio sorge, inoltre, con riferimento all’applicabilità degli artt. 45 d.l. n. 132/2014, e cioè per quanto riguarda la possibilità di pervenire all’accordo anche mediante «invito» rivolto da una parte all’altra e la disciplina dell’efficacia dell’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita.
Quanto all’art. 4 non sembra che la sua applicabilità sia da escludere a priori e in termini generali. Non sembrano esserci ostacoli, infatti, ad ammettere che, così come previsto appunto in tale articolo, se una delle parti rivolge all’altra l’invito a utilizzare la negoziazione assistita in materia matrimoniale e l’altra parte rifiuta o non risponde entro trenta giorni dalla ricezione, questo comportamento possa essere valutato dal giudice del successivo giudizio (di separazione, divorzio o modifica delle condizioni di separazione o divorzio) ai fini delle spese del giudizio, e quindi anche ai fini dell’applicazione dell’art. 96, co. 3, c.p.c. Più difficile, invece, è ammettere che il medesimo comportamento possa rilevare in questo caso anche ai fini dell’applicazione dell’art. 642, co. 1, c.p.c., così come espressamente previsto dall’art. 4, co. 1, d.l. n. 132/2014. E ciò per l’evidente ragione che non sembra esserci spazio per l’utilizzazione del procedimento ingiuntivo nella materia matrimoniale.
Discorso non molto diverso dovrebbe valere anche per l’applicabilità dell’art. 5 d.l. n. 132/2014, circa l’efficacia dell’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita.
Ai sensi dell’art. 6, co. 3, l’accordo raggiunto è destinato a produrre gli stessi effetti dei provvedimenti giudiziali di separazione, di divorzio o di modifica delle condizioni di separazione o divorzio. Ed anzi, proprio per questa ragione deve essere trasmesso dall’avvocato, entro dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio è stato iscritto o trascritto.
Questo significa, anzitutto, che l’accordo costituisce, per le previsioni di carattere patrimoniale in esso contenute, titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, secondo quel che prevede, appunto, l’art. 5 d.l. n. 132/2014.
Inoltre, proprio perché idoneo a produrre i medesimi effetti del provvedimento giudiziale di separazione, di divorzio o di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, l’accordo potrà essere utilizzato, in caso di inadempimento di una delle due parti a favore dell’altra, per avanzare la richiesta delle garanzie patrimoniali di cui all’art. 156 c.c., per la separazione, e all’art. 8 l. div., per il divorzio. Vale a dire, per ottenere il sequestro dei beni del coniuge (o ex-coniuge) obbligato e ordinare a terzi tenuti a corrispondere somme di denaro all’obbligato di versare una parte di essi direttamente agli aventi diritto, con possibile esecuzione forzata diretta nei confronti del terzo.
Infine, l’applicabilità dell’art. 5 anche all’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita “matrimoniale” dovrebbe offrire una risposta anche alla questione del possibile inserimento in esso di clausole che riguardino trasferimenti immobiliari, sebbene l’art. 6 non dica alcunché in proposito. In questo caso, infatti, non dovrebbero sussistere difficoltà a richiamare l’art. 5, co. 3, laddove prevede, in termini generali, che, se con l’accordo di negoziazione assistita le parti concludono uno o più contratti e compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, affinché l’atto venga trascritto è necessario che la sottoscrizione del processo verbale di accordo venga autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
Ebbene, questa disposizione non può non applicarsi anche alla negoziazione assistita “matrimoniale”, ovviamente in relazione ad eventuali atti di trasferimento immobiliare o comunque soggetti a trascrizione.
3.2 La nuova disciplina sul cd. divorzio breve
Altro problema che sorge in relazione all’efficacia dell’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita “matrimoniale” emerge per la determinazione del termine di decorrenza di tale efficacia.
Come abbiamo visto, il co. 3 dell’art. 6 riferisce all’accordo «raggiunto» fra le parti la produzione degli effetti, lasciando intendere che da tale momento essi dovrebbero decorrere. È dubbio, però, che così possa essere. Il problema, come è facile intuire, assume particolare rilevanza ai fini della decorrenza della separazione, utile per la maturazione del periodo necessario per avanzare la domanda di divorzio (periodo che – come noto – la l. 6.5.2015, n. 55 ha ridotto da tre anni ad un anno, in caso di separazione giudiziale, e a sei mesi, in caso di separazione consensuale).
In proposito, l’art. 3, co. 1, n. 2, lett. b), appositamente integrato dal d.l. n. 132/2014, prevede che, in caso di separazione conseguita con la negoziazione assistita, tale periodo debba farsi decorrere «dalla data certificata nell’accordo», implicitamente confermando che il momento determinante sembra essere quello appunto del raggiungimento dell’accordo fra i coniugi.
Seguendo una simile impostazione, ne deriverebbe che il prescritto nullaosta da parte del procuratore della Repubblica, in caso di assenza di figli minori o maggiorenni con handicap, incapaci o economicamente non autosufficienti, o la sua autorizzazione, in caso contrario, così come la successiva trascrizione o annotazione da parte dell’ufficiale dello stato civile del contenuto dell’accordo, sarebbero soltanto attività amministrative successive, le quali, tuttavia, non sarebbero in grado di condizionare la produzione degli effetti dell’accordo.
Non solo. Il mancato nullaosta o la mancata autorizzazione da parte del procuratore della Repubblica avrebbe come conseguenza la revoca degli effetti dell’accordo, che, nel frattempo, avrebbero iniziato comunque a prodursi. Con inevitabili, rilevanti ripercussioni sul piano applicativo, che probabilmente il legislatore ha sottovalutato.
In realtà, questa questione è molto simile a quella della decorrenza degli effetti dell’accordo raggiunto in sede di separazione consensuale. Anche in questo caso, infatti, alla base della separazione dei coniugi vi è un accordo concluso fra le parti, la cui decorrenza degli effetti, tuttavia, è espressamente sottoposta all’omologazione da parte del tribunale (art. 3, co. 2, l. div.).
Non è molto diversa la situazione che viene a determinarsi nel caso dell’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita “matrimoniale”: esso comunque è subordinato al nullaosta o all’autorizzazione del procuratore della Repubblica, che, mutatis mutandis, svolge in tale contesto la stessa funzione svolta dall’omologazione dell’accordo in sede di separazione consensuale. Proprio per questa ragione non dissimile dovrebbe essere la soluzione normativa.
Occorre anche rilevare che la citata l. n. 55/2015, nel ridurre il periodo di separazione per avanzare domanda di divorzio, distinguendo fra separazione giudiziale (un anno) e consensuale (sei mesi), non prende in considerazione proprio l’ipotesi della separazione a mezzo negoziazione, facendo sorgere il dubbio su quale dei due periodi indicati debba trovare applicazione in quest’ultimo caso. Ma il dubbio può essere agevolmente superato ricorrendo all’applicazione analogica dell’esplicita previsione introdotta per la separazione consensuale, sul presupposto della già rilevata vicinanza a questa della separazione conseguita a mezzo negoziazione.
Peraltro, un identico problema si pone anche per l’altra procedura stragiudiziale, quella che si svolge davanti all’ufficiale dello stato civile. Anche per questa procedura, infatti, la l. n. 55/2015 non chiarisce se, ai fini della determinazione del periodo di separazione per avanzare domanda di divorzio, debba applicarsi il termine previsto per la separazione giudiziale (un anno) o quello per la separazione consensuale (sei mesi). Ma anche in questo caso, evidentemente, dovrebbe valere quanto già detto a proposito della separazione conseguita a mezzo di negoziazione.
In proposito, vale la pena di aggiungere un’ulteriore considerazione che può assumere particolare rilevanza proprio ai fini della decorrenza del periodo di separazione necessario per poter avanzare domanda di divorzio.
Infatti, sebbene la nuova disciplina introdotta nel 2015 abbia ridotto tale periodo, ha comunque lasciato inalterata la previsione dell’art. 3, co. 1, n. 2, lett. b), l. div. circa il presupposto della previa pronuncia di separazione (passata in giudicato) per poter chiedere il divorzio. Ne deriva che – ove le parti utilizzino i procedimenti di separazione giudiziale o consensuale – fino a quando non sia passata in giudicato la sentenza di separazione o non sia omologato l’accordo nella separazione consensuale, la domanda di divorzio non sarà proponibile, anche se è già trascorso il periodo minimo. A differenza di quanto accade, invece, per l’accordo raggiunto attraverso la negoziazione assistita, dove – come abbiamo visto – nel momento in cui esso riceve il nullaosta o l’autorizzazione da parte del procuratore della Repubblica è destinato a produrre i suoi effetti anche ai fini della proponibilità della domanda di divorzio, una volta decorso il prescritto periodo minimo.
3.3 Negoziazione assistita e nuovo art. 191 c.c.
La soluzione seguita per risolvere il problema della decorrenza dei termini per avanzare domanda di divorzio, laddove alla separazione i coniugi siano pervenuti mediante accordo per negoziazione assistita, dovrebbe aiutarci a risolvere anche il delicato problema della decorrenza dello scioglimento della comunione legale di beni fra i coniugi.
Il problema emerge, ancora una volta, dalle modifiche introdotte con la recente l. n. 55/2015, il cui art. 2 ha inserito un comma 2 nell’art. 191 c.c. al fine di regolare l’annoso problema, appunto, della decorrenza dello scioglimento della comunione legale dei beni fra i coniugi in caso di separazione.
In conseguenza di ciò, il co. 2 dell’art. 191 c.c. ora prevede che: «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato».
La nuova disposizione mira a superare (sia pure parzialmente) l’orientamento finora assolutamente maggioritario in materia, che ricollega il prodursi dello scioglimento della comunione legale dei beni al momento in cui divenga definitivo il decreto di omologazione dell’accordo, in caso di separazione consensuale, o passa in giudicato la sentenza, in caso di separazione giudiziale7.
Anche in questo caso, tuttavia, il legislatore del 2015 omette di prendere in considerazione l’ipotesi in cui alla separazione i coniugi siano pervenuti attraverso l’accordo per negoziazione assistita. Riproponendo, così, il medesimo problema che abbiamo visto sorgere per quanto riguarda la decorrenza del periodo necessario per avanzare domanda di divorzio: stabilire, cioè, da quale momento possa ritenersi sciolta la comunione legale dei beni fra i coniugi.
Sennonché, sembra difficile che, per risolvere tale problema, si possa estendere la soluzione che esplicitamente il legislatore adotta per la separazione consensuale. E ciò per l’ovvia considerazione che, nel caso della separazione consensuale, il nuovo co. 2 dell’art. 191 c.c. richiama come momento determinante per lo scioglimento della comunione legale quello della «sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato».
Evidente, tuttavia, appare la ratio che ispira questa previsione normativa al pari di quella che riguarda la separazione giudiziale: lo scioglimento della comunione legale dei beni fra i coniugi non può aversi se non dopo che gli stessi inizino a vivere separati o sulla base dell’omologazione del processo verbale, in caso di separazione consensuale, o sulla base dell’autorizzazione del presidente del tribunale, in caso di separazione giudiziale. Ed in effetti, sebbene nel caso della separazione consensuale il nuovo co. 2 dell’art. 191 c.c. faccia riferimento al momento della sottoscrizione del processo verbale dinanzi al presidente del tribunale, lo stesso aggiunge anche che, affinché tale sottoscrizione produca effetti sullo scioglimento della comunione legale, è necessario comunque che l’accordo sia omologato.
Se così è, la medesima ratio dovrebbe ispirare anche la soluzione più opportuna per l’ipotesi in cui alla separazione i coniugi pervengano mediante la negoziazione assistita: anche in questo caso il momento determinante per lo scioglimento della comunione legale dovrebbe essere quello nel quale l’accordo raggiunto davanti agli avvocati si perfezioni con il nullaosta o l’autorizzazione da parte del procuratore della Repubblica. E ciò in piena aderenza a quanto detto in precedenza circa la natura di condizione sospensiva che assume – ai fini della produzione di effetti dell’accordo per negoziazione assistita – il prescritto rilascio del nullaosta o dell’autorizzazione da parte del procuratore della Repubblica.
Ad una diversa conclusione, evidentemente, si dovrebbe pervenire, ove si condividesse la tesi secondo cui l’inciso «purché omologato», che oggi compare nel co. 2 dell’art. 191 c.c., andrebbe interpretato non come la previsione di una condizione sospensiva degli effetti dell’accordo raggiunto fra i coniugi in sede di separazione consensuale, ma come una condizione risolutiva, connessa al provvedimento collegiale di rigetto dell’omologazione8. Ove si condividesse tale ricostruzione, infatti, non solo si dovrebbe ritenere che, in caso di separazione consensuale, gli effetti dello scioglimento della comunione legale si produrrebbero dal momento in cui i coniugi sottoscrivessero l’accordo, ma anche in caso di negoziazione assistita si dovrebbe pervenire alla conclusione – in via di applicazione analogica dell’art. 191 c.c. – che già dal momento della sottoscrizione dell’accordo si avrebbe lo scioglimento della comunione legale fra i coniugi9. Con l’inevitabile conseguenza, tuttavia, che il mancato rilascio del successivo nullaosta o della successiva autorizzazione da parte del procuratore della Repubblica (al pari della mancata omologazione dell’accordo di separazione consensuale) avrebbe l’effetto di far venir meno l’intervenuto scioglimento della comunione legale e di determinare gravi incertezze sul regime dei beni coinvolti.
Diversa, invece, dovrebbe essere la conclusione del medesimo problema con riferimento all’altra procedura stragiudiziale, quella davanti all’ufficiale dello stato civile. Il fatto che in questo caso non solo non sia prevista alcuna omologazione dell’accordo raggiunto, ma neanche il nullaosta o l’autorizzazione da parte del procuratore della Repubblica, induce a ritenere che qui gli effetti dello scioglimento decorrano dal momento stesso in cui l’accordo viene sottoscritto davanti all’ufficiale dello stato civile.
3.4 Il ruolo del procuratore della Repubblica
Non di facile applicazione si presenta anche la disciplina sul coinvolgimento del procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, ai fini del rilascio dei prescritti nullaosta o autorizzazione. In proposito, infatti, il legislatore si limita a prevedere che, nel caso in cui manchino figli minori o maggiorenni incapaci, portatori di handicap gravi o economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto deve ricevere il nullaosta da parte del procuratore della Repubblica e, in caso contrario, la esplicita autorizzazione da parte dello stesso procuratore della Repubblica.
Come abbiamo visto, aggiunge l’art. 6, co. 2, che in quest’ultimo caso, laddove il procuratore della Repubblica dovesse ritenere che «l’accordo non risponde all’interesse dei figli, lo trasmette, entro i successivi cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo». Alcuni profili, tuttavia, rimangono non definiti.
Anzitutto, il legislatore non ha stabilito un termine entro il quale il procuratore deve provvedere sulla richiesta di rilascio del nullaosta o dell’autorizzazione. Il silenzio del legislatore ha indotto le procure della Repubblica a seguire orientamenti diversi in sede di prima applicazione. E così nelle linee guida della procura di Milano si impone di provvedere entro tre giorni10, in quelle della procura di Roma il termine massimo viene fissato in cinque giorni11, mentre in altre linee guida non viene indicato alcun termine massimo12. Si tratta di previsioni organizzative interne agli uffici delle procure che cercano di rendere più agevole il lavoro degli avvocati interessati ad ottenere il nullaosta o l’autorizzazione e, come tali, vanno applicate cum grano salis, sia perché l’attività richiesta al procuratore varia da caso a caso, sia perché non sono da considerare rilevanti ai fini della validità del provvedimento del procuratore.
In secondo luogo, l’art. 6 subordina il rilascio del nullaosta alla verifica che non sussistano «irregolarità», e dunque alla verifica sia della sussistenza dei presupposti previsti per l’utilizzazione della procedura (come, ad es., l’assenza di figli minori o di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap gravi o economicamente non autosufficienti), sia dei requisiti formali per la validità dell’accordo (come ad. es., il rispetto delle regole sulla competenza dell’ufficio di procuratore della Repubblica, la forma scritta dell’accordo, la certificazione da parte degli avvocati dell’autografia delle sottoscrizioni delle parti).
Quanto, poi, alle conseguenze del mancato rilascio del nullaosta, esso – sulla base di quanto finora detto – dovrebbe determinare l’inefficacia dell’accordo raggiunto e aprire la possibilità per le parti di avviare una nuova procedura giudiziale o stragiudiziale per conseguire gli effetti voluti, sebbene non possa escludersi che, ove l’irregolarità riscontrata sia immediatamente emendabile, le parti possano provvedervi integrando l’accordo già sottoposto all’esame del procuratore della Repubblica.
3.5 Poteri del presidente del tribunale
Più complessi si presentano i problemi che emergono con riferimento alla mancata autorizzazione che il procuratore della Repubblica è chiamato a rilasciare, ove l’accordo a seguito di negoziazione assistita “matrimoniale” intervenga in presenza di figli minori o maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti. E lo sono per il fatto che l’art. 6, co. 2, si limita a stabilire che, in tal caso, trasmesso l’accordo al presidente del tribunale competente, questi debba provvedere «senza ritardo».
Il legislatore, tuttavia, non chiarisce in che modo debba procedere il presidente del tribunale, limitandosi ad imporgli di fissare la comparizione delle parti.
Ora, la comparizione delle parti dovrà servire per consentire alle parti, una volta informate delle obiezioni avanzate dal procuratore della Repubblica, che hanno impedito il rilascio della prescritta autorizzazione, o di pervenire ad un nuovo accordo oppure, ove lo vogliano, di proseguire il procedimento nelle forme giudiziali, previa proposizione di apposita domanda (individuale o, ove consentito, congiunta).
È da escludere, invece, che la comparizione delle parti davanti al presidente del tribunale possa determinare – come pure è stato sostenuto – la «conversione» d’ufficio della procedura da stragiudiziale in giudiziale13. Ammettere una simile conversione automatica, infatti, significherebbe imporre alle parti, che si sono limitate ad avviare una procedura stragiudiziale di negoziazione assistita, l’esercizio ufficioso della domanda giudiziale e l’instaurazione di un giudizio che seguirebbe, a seconda dei casi, le forme del procedimento per la separazione consensuale o quello per il divorzio su domanda congiunta. In contrasto, evidentemente, con il fondamentale principio della domanda14.
Se, dunque, la finalità della comparizione delle parti è quella sopra indicata e se il presidente deve comunque provvedere «senza ritardo», non si può escludere che l’udienza presidenziale si svolga anche (in applicazione analogica, se si vuole, dell’art. 70, n. 2, c.p.c.) con la partecipazione del p.m.15, affinché egli possa formulare il proprio parere autorizzativo sull’eventuale nuovo accordo raggiunto dalle parti in sede di udienza presidenziale.
Di conseguenza, all’udienza di comparizione potrà verificarsi una delle seguenti circostanze:
a) le parti accolgono in toto i rilievi del procuratore della Repubblica e conformano l’accordo a tali rilievi, consentendo, così, la conclusione positiva della procedura di negoziazione assistita;
b) le parti non si conformano ai rilievi e rinunciano alla procedura di negoziazione assistita, che si conclude con un nulla di fatto;
c) le parti, sulla base dei rilievi avanzati, formulano un nuovo accordo, sul quale il p.m. sarà chiamato a fornire il proprio parere e a rilasciare la prescritta autorizzazione (non potendosi ritenere – nel silenzio del legislatore – che investito di un tale potere sia direttamente il presidente del tribunale)16;
d) le parti non si conformano ai rilievi e avanzano domanda per la prosecuzione del procedimento di sede giurisdizionale di separazione, di divorzio o di modifica delle condizioni della separazione o del divorzio, aprendo anche la possibilità che il presidente pronunci – ove ammessi – i provvedimenti urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole.
3.6 Trasmissione dell’accordo raggiunto
Per quanto riguarda, poi, la trasmissione dell’accordo all’ufficiale dello stato civile da parte dell’avvocato, premesso che essa si riduce ad una mera attività amministrativa successiva alla conclusione dell’accordo e all’acquisizione dei prescritti nullaosta o autorizzazione da parte del procuratore della Repubblica, due sono le perplessità che emergono dalla sua previsione normativa.
La prima questione riguarda le modalità di trasmissione dell’accordo. Il co. 3 dell’art. 6 non individua queste modalità, e dunque il silenzio porta a ritenere che siano da considerare valide tutte le forme di trasmissione (notificazione, raccomandata a/r, PEC), purché idonee ad assicurare la certezza dell’avvenuto adempimento.
In proposito, peraltro, la circolare del Ministero dell’interno n. 19/2014 aveva ritenuto – forzando, evidentemente, il dettato normativo – che l’obbligo in questione incombesse su ciascuno degli avvocati delle parti. Ma la successiva circolare n. 6/2015 dello stesso Ministero ha modificato questa posizione, affermando che alla trasmissione è sufficiente che provveda uno soltanto degli avvocati che abbia assistito uno dei coniugi.
La seconda questione riguarda le conseguenze della mancata trasmissione dell’accordo. Il co. 4 dell’art. 6 si limita a prevedere a carico dell’avvocato inadempiente la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a 10.000, destinata ad essere comminata dal comune in cui devono essere eseguite le annotazioni. Sennonché, tale previsione presuppone che comunque il comune sia venuto a conoscenza, sia pure tardivamente, dell’accordo raggiunto. Non si può affatto escludere, tuttavia, che la trasmissione dell’accordo manchi del tutto e dunque che si verifichi una discrepanza fra la situazione che si è venuta a determinare fra i coniugi (o ex coniugi) in conseguenza dell’accordo raggiunto e quanto emerge dagli atti dello stato civile del comune presso il quale l’atto di matrimonio è stato registrato.
3.7 Procedura davanti all’ufficiale dello stato civile e trasferimenti
Infine, con specifico riferimento alla procedura davanti all’ufficiale dello stato civile qualche incertezza interpretativa attiene agli effetti dell’accordo. Si legge nel co. dell’art. 12 che «l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale».
Si tratta di comprendere a cosa intenda riferirsi il legislatore nel vietare i «patti di trasferimento patrimoniale». Se la disposizione dovesse essere interpretata alla lettera, essa implicherebbe che l’accordo non potrebbe prevedere alcun patto di natura patrimoniale, e dunque neanche un patto di trasferimento di somme di denaro (ad es., un assegno di mantenimento a favore di un coniuge e a carico dell’altro)17. Ciò che renderebbe di fatto la procedura utilizzabile nei soli casi in cui i coniugi vogliano ottenere la separazione, il divorzio o la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio senza alcun accordo di natura economica o patrimoniale.
In realtà, se si tiene conto dell’obiettivo perseguito dal legislatore con l’introduzione di questa procedura stragiudiziale in materia matrimoniale, è da ritenere che in questo caso egli plus dixit quam voluit. La sua intenzione, infatti, probabilmente era soltanto quella di impedire che con l’accordo davanti all’ufficiale dello stato civile si procedesse anche a trasferimenti immobiliari (e non anche di impedire patrimoniali tout court)18.
1 In proposito v. anche Carratta, A., Le nuove procedure negoziate e stragiudiziali in materia matrimoniale, in Giur. it., 2015, 1287 ss.; Id., in Carratta, A. D’Ascola, P., Nuove riforme per il processo civile: il d.l. n. 132/2014, in Il Libro dell’anno del Diritto 2015, Roma, 2015, § 2.3.; Mandrioli, C. Carratta, A., Diritto processuale civile, III, XXIV ed., Torino, 2015, 154 ss.; Luiso, F.P., Le disposizioni in materia di separazione e divorzio, in Processo civile efficiente e riduzione arretrato, a cura di F.P. Luiso, Torino, 2014, 33 ss.; Gradi, M., Inefficienza della giustizia civile e fuga dal processo, Messina, 2014, 103 ss.; Danovi, F., Il d.l. n. 132/2014: le novità in tema di separazione e divorzio, in Fam. dir., 2014, 949 ss.; Id., I nuovi modelli di separazione e divorzio: una intricata pluralità di protagonisti, ibidem, 1141 ss.; Tommaseo, F., La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali, in Fam. dir., 2015, 157 ss.; Lupoi, M. A., Separazione e divorzio, in Riv. drim. dir. proc. civ., 2015, 283 ss.; Poliseno, B., La convenzione di negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione e divorzio, in Foro it., 2015, V, 34 ss.; Casaburi, G., Separazione e divorzio innanzi al sindaco: ricadute sostanziali e processuali, ibidem, 44 ss.; D’Alessandro, E., La negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, in Giur. it., 2015, 1278 ss.
2 Sebbene la rubrica dell’art. 6 continui a parlare di «negoziazione assistita da uno o più avvocati».
3 Parere del C.S.M. sul d.l. n. 132/2014 del 9 ottobre 2014.
4 V. anche Luiso, F.P., Le disposizioni, cit., 37; Tommaseo, F., La tutela, cit., 160; Danovi, F., Il d.l. 132/2014, cit., 950.
5 Borghesi, D., La delocalizzazione del contenzioso civile: sulla giustizia sventola bandiera bianca?, in www.judicium.it.
6 D’Alessando, E., La negoziazione assistita, cit., 1280.
7 V., in proposito, anche per i riferimenti, Oberto, G., “Divorzio breve”, separazione legale e comunione legale tra coniugi, in Fam. dir., 2015, 615 ss.
8 A questa conclusione sembra pervenire, sia pure con alcune riserve, Oberto, G., “Divorzio breve”, separazione legale, cit., 624.
9 Così, infatti, Oberto, G., “Divorzio breve”, separazione legale, cit., 626.
10 Pubblicate in www.ordineavvocatimilano.it.
11 Pubblicate in www.allrightsit.wordpress.com.
12 V., ad es., Procura della Repubblica presso il Tribunale di Velletri, in www.giustizia.lazio.it.
13 Per questa conclusione v. Luiso, F.P., Le disposizioni, cit., 39, per il quale «viene così aperto ex officio un processo».
14 In questo senso v. anche Tommaseo, F., La tutela, cit., 161; Trib. Torino, decr. 15.1.2015, in Fam. dir., 2015, 390 ss., con il commento di Tommaseo, F., Separazione per negoziazione assistita e poteri giudiziali a tutela dei figli: primi orientamenti giurisprudenziali.
15 Anche Tommaseo, F., Separazione per negoziazione assistita, cit., 394 ipotizza la possibilità che all’udienza presidenziale partecipi il p.m.
16 A diversa conclusione sembra pervenire Tommaseo, F., Separazione per negoziazione assistita, cit., 395, rilevando che «la legge, nel precisare che il presidente ‘provvede senza ritardo’, detta una regola molto generica che è certamente compatibile con un’interpretazione che gli attribuisca il potere di valutare nel merito le clausole già presentate al pubblico ministero o anche successivamente riformulate».
17 Come, in effetti, era stata interpretata dalla già citata circolare del Ministero dell’interno n. 19/2014. Per quanto detto nel testo, tuttavia, si trattava di interpretazione che appare derogatoria del dettato legislativo. Opportuno, perciò, appare il successivo superamento di quest’interpretazione da parte del medesimo Ministero con la circolare n. 6/2015, con la limitazione del divieto ai soli «‘patti di trasferimento patrimoniale’ produttivi di effetti traslativi di diritti reali».
18 Nello stesso senso Chiarloni, S., Minime riflessioni critiche su trasferimento in arbitrato e negoziazione assistita, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 225; Sesta, M., Negoziazione assistita e obblighi di mantenimento nella crisi della coppia, in Fam. dir., 2015, 268; Lupoi, M.A., Separazione e divorzio, cit., 285 s.