Processo amministrativo telematico
L’1.1.2018 sono entrate in vigore alcune modifiche normative che hanno interessato l’ambito di applicazione del processo amministrativo telematico (PAT), ora esteso a tutti i processi, anche quelli instaurati ante 1.1.2017, in precedenza esclusi. Inoltre è stato introdotto un incisivo mutamento della disciplina della domiciliazione digitale con il venir meno della precedentemente prevista domiciliazione ex lege presso la segreteria dell’organo giudiziario adito. Altre questioni venute in rilevo sono l’indirizzo p.e.c. delle pubbliche amministrazioni ai fini della notifica degli atti giudiziari e i termini di deposito degli atti e delle memorie.
Il processo amministrativo telematico (PAT) è divenuto operativo l’1.1.2017, dettando un regime obbligatorio di digitalizzazione degli atti. La normativa sul PAT ha, tuttavia, previsto l’entrata in vigore a partire dall’1.1.2018, di una serie di modifiche della disciplina, prima fra tutte quella inerente all’ambito di applicazione del processo telematico, che è stato esteso a partire dalla predetta data a tutti i procedimenti in corso indipendentemente dalla loro data di introduzione.
Un’ulteriore novità introdotta con decorrenza dall’1.1.2018 riguarda la modifica del regime di domiciliazione delle parti nel processo amministrativo, in quanto l’art. 7, co. 1, della l. 25.10.2016, n. 197 ha modificato l’art. 25 del c.p.a., prevedendo per tutti i ricorsi soggetti alla disciplina del PAT l’inapplicabilità della disciplina relativa alla domiciliazione ex lege presso le segreterie del TAR o del Consiglio di Stato, nel caso in cui la parte non abbia eletto domicilio nel comune sede dell’ufficio giudiziario dinanzi al quale si procede. Questo dà luogo a una serie di questioni interpretative in ordine al domicilio digitale delle parti e alla persistenza o meno di un domicilio fisico. Altre problematiche si sono poste relativamente all’individuazione dell’indirizzo p.e.c. dell’amministrazione valido ai fini della notifica degli atti processuali e al termine finale di deposito degli atti in scadenza.
È opportuno esaminare le questioni sorte sia in ordine ai mutamenti normativi del regime del PAT con decorrenza dall’1.1.2018, sia per aspetti sui quali è in corso una significativa evoluzione pretoria, quali quelli dell’indirizzo p.e.c. delle p.a. e dei termini di scadenza per il deposito degli atti.
Il regime del PAT, con la conseguente necessità dell’utilizzo delle forme digitali, è obbligatorio e si applica a tutti i processi amministrativi indipendentemente dall’oggetto del giudizio e dalla natura delle parti, a differenza di altri paesi europei, quali la Francia, dove ad esempio e non è previsto l’obbligo di utilizzo delle forme telematiche nel caso in cui il ricorrente sia una parte privata che agisca in proprio.
Per quanto riguarda il regime temporale di introduzione del PAT, quest’ultimo è divenuto operativo dall’1.1.2017. Al riguardo, l’art. 7, co. 3, d.l. 31.8.2016, n. 168, convertito, con modificazioni dalla l. n. 197/2016, ha previsto che «le modifiche introdotte dal presente articolo, nonché quelle disposte dall’articolo 20, comma 1-bis, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 ... hanno efficacia con riguardo ai giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dal 1° gennaio 2017; ai ricorsi depositati anteriormente a tale data, continuano ad applicarsi, fino all’esaurimento del grado di giudizio nel quale sono pendenti alla data stessa e comunque non oltre il 1° gennaio 2018, le norme vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto».
In sostanza, l’introduzione del PAT è stata caratterizzata, in un primo momento, dall’applicabilità della disciplina del processo telematico solo ai ricorsi depositati in primo o secondo grado dopo l’1.1.2017. In sede di prima applicazione, quindi, tutti i ricorsi depositati prima della predetta data hanno continuato a seguire il regime cartaceo sino al termine del relativo grado di giudizio. La conseguenza è che ci sono stati dei ricorsi interamente soggetti al regime del processo telematico e dei fascicoli (più risalenti) assoggettati in toto al vecchio regime cartaceo.
In forza della disposizione di cui all’indicato co. 3, dell’art. 7 del d.l. n. 168/2016, tuttavia, a partire dall’1.1.2018, le norme del processo telematico si applicano a tutti i ricorsi pendenti indipendentemente dalla data di deposito e quindi anche ai ricorsi depositati ante 1.1.2017, indipendentemente dalla loro risalenza nel tempo.
Questo comporta attualmente un regime misto per i procedimenti iniziati ante 1.1.2017, nel quale tutti gli atti depositati prima dell’1.1.2018, sono assoggettati al regime di validità del vecchio processo cartaceo, mentre gli atti successivi all’1.1.2018 rientrano nella vigenza del regime PAT e devono essere formati, sottoscritti e depositati in versione digitale.
L’1.1.2018 si sono verificate delle novità anche dal punto di vista normativo sul tema della domiciliazione digitale delle parti nel regime PAT.
L’art. 7, co. 1, lett. a), del d.l. n. 168/2016, così come modificato dalla l. conv. n. 197/2016, ha incisivamente mutato l’art. 25 del c.p.a. relativo al domicilio delle parti.
In particolare, è stato introdotto il co. 1-bis, all’art. 25, secondo cui al processo amministrativo telematico si applica, in quanto compatibile, l’art. 16 sexies del d.l. 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17.12.2012, n. 221, ai sensi del quale quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dai pubblici elenchi delle p.e.c. dei soggetti interessati, ovverosia dagli elenchi di cui all’art. 6 bis del d.lgs. 7.3.2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.
In secondo luogo, l’indicata modifica normativa ha introdotto il co. 1-ter, che ha previsto come, a decorrere dall’1.1.2018, ai ricorsi soggetti alla disciplina del processo amministrativo telematico non si applichi la previsione (contenuta nel co. 1) relativa alla domiciliazione ex lege delle parti in segreteria, ovverosia la disposizione secondo cui «a) nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali, la parte, se non elegge domicilio nel comune sede del tribunale amministrativo regionale o della sezione staccata dove pende il ricorso, si intende domiciliata, ad ogni effetto, presso la segreteria del tribunale amministrativo regionale o della sezione staccata; b) nei giudizi davanti al Consiglio di Stato, la parte, se non elegge domicilio in Roma, si intende domiciliata, ad ogni effetto, presso la segreteria del Consiglio di Stato».
Dall’1.1.2018, quindi, la domiciliazione digitale risulta vigente nel processo amministrativo senza limitazioni e il domicilio digitale (presso la p.e.c. dell’avvocato risultante dal registro generale degli indirizzi elettronici, cd. RegIndE) costituisce la regola generale, senza che sia più ammissibile la domiciliazione presso la segreteria dell’organo giudiziario.
L’indicata modifica dell’art. 25 c.p.a. pone alcuni interrogativi sulla valenza del domicilio digitale e sulla persistenza della possibilità di continuare a indicare un domicilio fisico, nonché sul profilo dell’individuazione dell’indirizzo presso il quale notificare l’eventuale impugnativa della sentenza di primo grado.
Quello che si può osservare, sotto un profilo generale, è che probabilmente la ratio che ha guidato le modifiche normative in materia e ha improntato il testo vigente dell’art. 25 c.p.a. è quella di individuare il domicilio digitale come il domicilio eletto ex lege in ambito processuale, in quanto volto all’efficienza del processo telematico e alle esigenze a questo connesse (accelerazione dei tempi della giustizia, standardizzazione delle procedure, risparmio di spesa).
Sul tema si è espresso un parere dell’Ufficio studi della giustizia amministrativa, pubblicato sul sito internet della g.a. In sostanza, quest’ultimo, anche operando una comparazione con la disciplina e la giurisprudenza inerenti il processo civile, ha affermato che:
• il domicilio digitale, corrispondente all’indirizzo p.e.c. del difensore contenuto nei pubblici registri (RegIndE), costituisce domicilio eletto ex lege, e si ravvisa l’onere del difensore di indicare tale indirizzo p.e.c. e di comunicarne le successive variazioni;
• la sola indicazione del domicilio digitale può essere considerata sufficiente essendo il domicilio digitale il domicilio eletto ex lege; in tale evenienza, in caso di mancato funzionamento della p.e.c. indicata, per causa imputabile al destinatario, si procederà alle notificazioni mediante deposito dell’atto presso la segreteria dell’ufficio giudiziario ai sensi dell’art. 16 sexies d.l. n.179/2012; la parte ha, perciò, l’onere di indicare eventuali modifiche della p.e.c. indicata come domicilio digitale, all’atto della costituzione;
• non vi è obbligo di eleggere un domicilio fisico e nel caso di omessa indicazione sia del domicilio digitale (o di mancato funzionamento della p.e.c.), sia del domicilio fisico nel Comune ove ha sede l’ufficio giudiziario, si procederà alle notificazioni mediante deposito dell’atto presso la segreteria dell’ufficio giudiziario, previo invio alla parte di una comunicazione di cortesia;
• l’elezione di domicilio fisico (in aggiunta al domicilio digitale) è ancora ammissibile e giuridicamente rilevante, anche nel nuovo assetto normativo.
Solo nel caso in cui la p.e.c. indicata come domicilio digitale non sia utilizzabile (per causa imputabile al destinatario) e il domicilio fisico sia stato eletto in un comune diverso da quello dove ha sede l’ufficio giudiziario dinanzi al quale pende la lite, può procedersi alle notificazioni presso la segreteria di detto ufficio (ex artt. 16 sexies d.l. n. 179/2012 e 82 R.d. 22.1.1934, n. 37).
Quanto alla notifica dell’impugnazione della sentenza di primo grado, in relazione alle parti costituite nel giudizio, il suddetto parere ha rilevato che la notifica va effettuata al domicilio digitale della parte vittoriosa indicato all’atto della notificazione della sentenza o, in mancanza, indicato al momento della costituzione in primo grado (ed eventualmente aggiornato) e riportato in sentenza. In mancanza di espressa indicazione del domicilio digitale all’atto della notificazione della sentenza o di altra indicazione, sarà onere della parte appellante provvedere alla sua estrazione dai pubblici registri. In caso di inefficienza della p.e.c., per causa imputabile al destinatario, la notifica dell’impugnazione andrà effettuata presso il domicilio fisico indicato in aggiunta a quello digitale, all’atto della notificazione della sentenza o indicato, sempre in aggiunta al domicilio digitale, nel giudizio di primo grado.
Per quanto riguarda le notifiche nel giudizio di primo grado è stato evidenziato che, stante il regime di facoltatività della notificazione via p.e.c., la notificazione del ricorso introduttivo può essere eseguita sia al domicilio digitale, rappresentato dall’indirizzo p.e.c. indicato nei pubblici registri, sia al domicilio fisico.
In pendenza di giudizio, le notificazioni alle parti costituite dovranno essere eseguite al domicilio digitale indicato dalla parte o, in mancanza, rinvenibile nei pubblici registri. In caso di inefficienza della p.e.c., per causa imputabile al destinatario, si potrà procedere al deposito degli atti da notificare presso la segreteria del giudice innanzi al quale pende la lite, solo se non vi sia stata elezione di domicilio fisico (all’atto della costituzione e in aggiunta al domicilio digitale) nel comune ove ha sede detto ufficio.
Nell’ambito del regime PAT si è posta la problematica inerente alla corretta individuazione dell’indirizzo p.e.c. delle p.a. presso il quale notificare il ricorso introduttivo, così come gli atti giudiziari e le comunicazioni di segreteria effettuate prima della costituzione in giudizio o in assenza di quest’ultima.
Dal combinato disposto delle regole di fonte primaria e secondaria che disciplinano le notifiche a mezzo p.e.c. nel PAT, si evince che l’indirizzo p.e.c. da utilizzare per la notifica del ricorso alle p.a. è quello tratto dall’elenco tenuto dal ministero della giustizia, di cui all’art. 16, co. 12, del d.l. n. 179/2012. nello specifico, l’art. 14, co. 2, del d.m. 16.2.2016, n. 40 prevede che le notificazioni alle amministrazioni non costituite in giudizio sono eseguite agli indirizzi p.e.c. di cui all’art. 16, co. 12, del d.l. n. 179/2012, convertito dalla l. n. 221/2012. La stessa cosa è prevista dall’art. 13, co. 3, del medesimo d.m. per le comunicazioni di segreteria (ad es. ordinanze istruttorie) nei confronti di enti non costituiti. Ai sensi dell’indicato art. 16, co. 12, del d.l. n. 179/2012, le amministrazioni pubbliche dovevano comunicare, entro il 30.11.2014, al ministero della giustizia l’indirizzo p.e.c. valido ai fini della notifica telematica nei loro confronti, da inserire in un apposito elenco consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati.
Tale elenco contiene l’indirizzo p.e.c. al quale le pubbliche amministrazioni ‒ di cui all’art. 1, co. 2, del d.lgs. 30.3.2001, n. 165 ‒ dotate di autonoma soggettività processuale hanno comunicato di voler ricevere le notificazioni per via telematica.
Ciò in conformità con quanto previsto dal co. 1-bis, dell’art. 16 ter del medesimo d.l. n. 179/2012 che ha reso applicabile alla giustizia amministrativa il co. 1, dello stesso art. 16 ter, ai sensi del quale «ai fini della notificazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi ... il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia».
non rientrano tra gli indirizzi p.e.c. validamente consentiti né quelli contenuti nel registro IPA (indice delle pubbliche amministrazioni), né quelli traibili dai vari siti internet delle amministrazioni qualora non siano riportati nel registro ministeriale.
Il registro IPA, di cui all’art. 16, co. 8, d.l. 29.11.2008, n. 185, convertito dalla l. 28.1.2009, n. 2, non viene, infatti, più espressamente menzionato tra i pubblici elenchi dai quali estrarre gli indirizzi p.e.c. ai fini della notifica degli atti. In particolare, l’IPA era inizialmente equiparato agli elenchi pubblici dai quali poter acquisire gli indirizzi p.e.c. validi per le notifiche telematiche ai sensi dell’art. 16 ter d.l. n. 179/2012, ma tale equiparazione è venuta meno in seguito alla modifica ad opera del d.l. 24.6.2014, n. 90.
Sul punto la giurisprudenza ha raggiunto posizioni sostanzialmente conformi.
In termini controversi si pone, invece, la questione delle conseguenze della notifica del ricorso a un indirizzo p.e.c. non presente nell’elenco tenuto presso il ministero della giustizia, sulla quale si sono confrontati diversi orientamenti giurisprudenziali.
La giurisprudenza prevalente si è inizialmente espressa per la nullità della notifica e la conseguente inammissibilità del ricorso1, con l’unica eccezione della sanatoria per raggiungimento dello scopo nel caso di costituzione dell’intimato, in applicazione del principio espresso a livello generale dall’art. 156, co. 3, c.p.c. e nel processo amministrativo dall’art. 44, co. 3, c.p.a.2 A fronte di tale indirizzo iniziale così restrittivo, si è fatto strada un orientamento alternativo che ritiene possibile concedere l’errore scusabile nelle due ipotesi più frequenti nella prassi di notifica a indirizzi p.e.c. non presenti nell’elenco del ministro, ovverosia nel caso di p.e.c. tratte dall’elenco IPA o dal sito internet dell’ente pubblico3. Ciò facendo ricorso ai principi di autoresponsabilità e leale comportamento della p.a. nei suoi rapporti con i terzi, sia rispetto alla necessità che l’amministrazione non ingeneri equivoci
o falsi affidamenti nel privato, pubblicando sul suo sito indirizzi p.e.c. che possano ragionevolmente essere ritenuti abilitati alla ricezione degli atti giudiziari; sia rispetto al suo dovere di comunicare al ministero l’indirizzo p.e.c. valido ai fini della notifica degli atti giudiziari da iscrivere nell’apposito elenco.
Un esempio del primo caso è una decisione che ha concesso l’errore scusabile per un ricorso notificato all’Avvocatura generale dello Stato a un indirizzo p.e.c. indicato nel sito internet della medesima avvocatura che, però, non precisava come lo stesso fosse riferito alle comunicazioni diverse dalla notifica di atti giudiziari connessi all’attività di patrocinio in giudizio delle amministrazioni pubbliche4. In questa ipotesi, peraltro, il possibile affidamento del privato è stato giustificato anche in base all’art. 6 del d.lgs. 14.3.2013, n. 33, ai sensi del quale «le pubbliche amministrazioni garantiscono la qualità delle informazioni riportate nei siti istituzionali nel rispetto degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge, assicurandone l’integrità, il costante aggiornamento, la completezza, la tempestività, la semplicità di consultazione, la comprensibilità, l’omogeneità, la facile accessibilità, nonché la conformità ai documenti originali in possesso dell’amministrazione, l’indicazione della loro provenienza e la riutilizzabilità secondo quanto previsto dall’articolo 7». Da tale disposto normativo discende, infatti, che le p.a. hanno l’obbligo di controllare che le informazioni presenti sul proprio sito web siano, oltre che vere, anche non suscettibili di essere male interpretate dai potenziali visitatori.
Un esempio del secondo caso è costituito da una decisione che ha concesso l’errore scusabile su un ricorso notificato all’indirizzo p.e.c. tratto dall’IPA in assenza di iscrizione sul registro delle p.a.5 I richiamati principi di autoresponsabilità e dell’obbligo di leale comportamento della p.a. non consentono alla stessa ‒ a fronte di un suo inadempimento – di trincerarsi dietro il disposto normativo che prevede uno specifico elenco da cui trarre gli indirizzi p.e.c. ai fini della notifica degli atti giudiziari, per trarne benefici in termini processuali, impedendo di fatto alla controparte di effettuare la notifica nei suoi confronti con modalità telematiche. Sempre nel senso di ritenere concedibile l’errore scusabile nell’ipotesi di notifica effettuata all’indirizzo p.e.c. tratto dall’IPA, in assenza di iscrizione nel registro tenuto presso il ministro della giustizia, altre pronunce hanno fatto richiamo ai principi costituzionali di difesa, di buon andamento e del diritto dei cittadini a una buona amministrazione di cui agli artt. 24, 113 e 97 Cost., nonché dell’art. 6 CeDU6.
In sostanza, almeno in questa prima fase di avvio del PAT, l’errore in sede di notifica appare scusabile qualora l’amministrazione abbia ingenerato affidamenti pubblicando sul suo sito indirizzi p.e.c. senza specificare la loro inidoneità ai fini della notifica di atti giudiziari, oppure non abbia ottemperato all’obbligo di iscrizione al registro tenuto presso il ministero della giustizia.
nella prassi si deve riscontrare che la questione delle modalità con le quali effettuare le notifiche alle p.a. che non risultino iscritte nell’apposito registro ha assunto una certa rilevanza pratica in quanto un numero consistente di amministrazioni non ha ottemperato all’obbligo di iscrizione.
La giurisprudenza ha ritenuto che, in assenza di un indirizzo di p.e.c. ufficiale, le notifiche degli atti giudiziari alle amministrazioni non costitute si dovessero fare esclusivamente nella tradizionale forma cartacea7; quest’ultima forma di notifica è, infatti, ancora consentita nel regime PAT, ai sensi dell’art. 14 del regolamento di cui al d.P.C.m. 16.2.2016, n. 40.
L’art. 16, co. 12, d.l. n. 179/2012, infatti, pur prevedendo la doverosità della comunicazione dell’indirizzo p.e.c. ai fini dell’iscrizione nel pubblico elenco, non stabilisce espressamente una sanzione per l’ipotesi di omissione della comunicazione e tale situazione rischia di limitare fortemente la possibilità di utilizzo dello strumento telematico in sede di notifica.
Due autorevoli arresti giurisprudenziali hanno, tuttavia, affermato l’esistenza di una modalità alternativa di notifica nei confronti delle amministrazioni inadempienti che si traduce, in pratica, in un mezzo di coercizione indiretto nei confronti dell’amministrazione per indurla all’iscrizione8. Le decisioni in questione, dopo aver concesso l’errore scusabile, hanno disposto il rinnovo della notifica indicando che la stessa possa essere effettuata tramite costituzione nella segreteria dell’organo giudicante.
Se è vero che l’art. 16, co. 12, d.l. n. 179/2012, dispone che le p.a. avrebbero dovuto comunicare l’indirizzo p.e.c. al ministero della giustizia entro il 30.11.2014, senza la previsione di una sanzione per l’inadempienza; è altrettanto vero che il successivo co. 13, del medesimo articolo, espressamente prevede che, in caso di mancata comunicazione entro l’indicato termine, si applicano i co. 6 e 8, dell’art. 16.
Il richiamato co. 6 prevede che le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di p.e.c., che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. L’art. 16, co. 17-bis, d.l. n. 179/2012, prevede che le disposizioni di cui ai co. 6, 8, 12, 13, dell’art. 16 si applicano anche nel processo amministrativo.
In sostanza, viene affermato che nel caso di mancata iscrizione da parte dell’amministrazione dell’indirizzo p.e.c. nel registro del ministero, la parte ricorrente può assolvere al suo onere di notifica del ricorso nei confronti della stessa amministrazione mediante deposito nella segreteria del giudice adito, ivi ravvisando un domicilio processuale ex lege.
Questa lettura va, in definitiva, a individuare una sorta di sanzione indiretta nei confronti delle amministrazioni inadempienti all’obbligo di comunicare l’indirizzo p.e.c. al ministero, che si prospetta come un mezzo di coercizione all’adempimento con notevoli effetti pratici sulle possibilità di effettiva difesa dell’amministrazione, in quanto il mero deposito presso la segreteria dell’organo giudiziario adito rende difficilmente conoscibili per la stessa gli atti del processo.
Altra questione dibattuta riguarda gli effetti del deposito in giudizio di memorie o documenti oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno utile e, in particolare, la questione se il deposito oltre tale orario debba considerarsi tardivo.
Il PAT ha reso possibile il deposito in via telematica degli atti in giudizio nell’arco delle intere 24 ore, senza che abbia più rilevanza l’apertura degli uffici giudiziari, in piena conformità alla ratio dell’introduzione dello strumento telematico nel processo amministrativo.
Il PAT consente, infatti, di effettuare gli adempimenti processuali senza la necessità di un operatore fisico presso gli uffici giudiziari. In tal senso dispongono le regole tecniche del PAT e nella specie l’art. 9, co. 3, del d.P.C.m. n. 40/2016, ai sensi del quale il deposito degli atti e dei documenti «effettuato mediante posta elettronica certificata, è tempestivo quando entro le ore 24 del giorno di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, ove il deposito risulti, anche successivamente, andato a buon fine secondo quanto previsto dalle specifiche tecniche…».
Il codice del processo amministrativo, tuttavia, in sede di disposizioni di attuazione, detta delle norme che pongono dei limiti alla validità del deposito degli atti effettuato dopo le ore 12:00 dell’ultimo giorno utile, considerando il differente profilo della necessità di garanzia del contraddittorio.
Questi limiti vengono previsti dai co. 2 e 4, dell’art. 4, all. 2), disp. att. c.p.a. Al riguardo, il co. 2, rimasto invariato con l’avvento del PAT, contempla che «nei casi in cui il codice prevede il deposito di atti o documenti sino al giorno precedente la trattazione di una domanda in camera di consiglio, il deposito deve avvenire entro le ore 12:00 dell’ultimo giorno consentito» (previsione recepita nel co. 4, dell’art. 9 del già richiamato d.P.C.m. n. 40/2016).
Questa disposizione non pone questioni interpretative, in quanto è volta a concedere un congruo spazio di valutazione degli atti depositati a ridosso della camera di consiglio, con conseguente tardività del deposito effettuato oltre questo termine temporale.
Maggiormente problematico risulta il co. 4, del medesimo art. 4, all. 2), disp. att. c.p.a., così come sostituito, con decorrenza dall’1.1.2017, dal d.l. n. 168/2016. Nel regime precedente all’1.1.2017, il co. 4 prevedeva che «in ogni caso è assicurata la possibilità di depositare gli atti in scadenza sino alle ore 12:00 dell’ultimo giorno consentito».
L’attuale formulazione della norma dispone che «è assicurata la possibilità di depositare con modalità telematica gli atti in scadenza fino alle ore 24:00 dell’ultimo giorno consentito. Il deposito è tempestivo se entro le ore 24:00 del giorno di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, ove il deposito risulti, anche successivamente, andato a buon fine.
Agli effetti dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno consentito si considera effettuato il giorno successivo».
L’incerta formulazione della disposizione pone dei dubbi interpretativi sulla tardività del deposito effettuato oltre le ore 12:00.
La prima parte della norma parte riconosce che, non essendoci più il vincolo di orario di apertura degli uffici giudiziari, l’atto è depositabile senza limiti di orario e, quindi, sino alle 24:00 del giorno di scadenza, indicando come a tal fine conti la ricevuta di accettazione dell’atto; la seconda parte della disposizione, tuttavia, prevede il termine delle ore 12:00 per il deposito degli atti in scadenza.
Si riscontrano sul punto diverse interpretazioni. Un primo filone mitiga i possibili effetti preclusivi della previsione, ritenendo che vada interpretata nel senso di consentire il deposito di memorie difensive (o documenti) anche oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno permesso dai termini perentori per il deposito previsti dall’art. 73 c.p.a.9
Secondo questa interpretazione l’ultima parte della disposizione, che prevede come il deposito degli atti in scadenza effettuato oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno consentito si considera effettuato il giorno successivo, deve essere letta in chiave di garanzia del diritto di difesa delle controparti, nel senso che per contrastare gli atti depositati oltre le ore 12:00 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo.
Un altro orientamento si è espresso in termini opposti, considerando tardiva la memoria depositata oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno utile10.
Alcune pronunce, pur in un’ottica restrittiva, articolano maggiormente il discorso, ritenendo che il termine ultimo di deposito alle ore 12:00 permanga come termine di garanzia del contraddittorio tra le parti e ai fini della corretta organizzazione del lavoro del collegio giudicante e, in sostanza, il deposito è possibile fino alle ore 24:00, ma se effettuato oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno utile si considera tardivo ai fini della garanzia dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche11. In pratica bisognerebbe distinguere le seguenti ipotesi: a) una memoria o un documento depositato oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno utile non può essere tenuto in considerazione perché non sono rispettati i termini a difesa, salva la possibilità per la parte autrice del deposito tardivo di chiedere un rinvio della trattazione della questione; b) in caso di deposito di un ricorso con richiesta di cautelare collegiale depositato oltre le ore 12:00, ai fini del computo del termine per la fissazione della relativa camera di consiglio occorre considerare che il deposito è avvenuto il giorno successivo; c) un ricorso o un appello depositato oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno utile per il deposito, si considera avvenuto tempestivamente.
Una pronuncia, aderendo all’orientamento che ritiene tardiva la memoria depositata oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno utile, spiega l’antinomia tra la prima e la seconda parte della disposizione12, indicando come le due previsioni rispecchino due ottiche diverse: la prima è volta a sfruttare le potenzialità del funzionamento ininterrotto del sistema informativo del PAT, mentre la seconda obbedisce ad una visione ancora incentrata sulla considerazione del fattore umano e dell’organizzazione degli uffici.Le due parti della disposizione possono essere armonizzate da una interpretazione che riferisce la possibilità di deposito sino alle ore 24:00 a tutti quegli atti di parte che non sono depositati in vista di una camera di consiglio o di un’udienza di cui sia già fissata o già nota la data. Al contrario, la previsione del termine delle ore 12:00 dell’ultimo giorno utile andrebbe riferita agli atti depositati in funzione di un’udienza, camerale o pubblica, già stabilita, per i quali la garanzia dei termini a difesa ha portato il legislatore ad anticipare il deposito.
Al riguardo, la conclusione della tardività del deposito oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno utile appare ragionevole soprattutto nei casi di trattazione degli affari cautelari, in quanto il deposito entro le 12:00 del giorno di scadenza appare necessario ai fini del rispetto di un congruo spatium deliberandi sia per le parti, per prepararsi alla discussione, che per il giudice, al fine dell’esame completo della controversia in vista della decisione.
Su tutti gli aspetti indicati, quelli inerenti al domicilio digitale delle parti (ai fini della notifica dell’impugnazione) e alla corretta individuazione dell’indirizzo p.e.c. della p.a. appaiono quelli più quelli idonei a ingenerare criticità, in quanto inerenti all’ammissibilità del ricorso introduttivo o dell’appello. In queste ipotesi possono trovare maggiormente spazio in senso “conservativo” i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa sulla tassatività delle nullità processuali e sulla sanatoria dell’atto per raggiungimento dello scopo, nonché l’istituto residuale dell’errore scusabile, che, come indicato, sta già trovando applicazione nel caso di notifica del ricorso alla p.e.c. di un’amministrazione non contenuta nell’elenco del ministero della giustizia.
1 TAR Sicilia, Palermo, 13.7.2017, n. 1842; TAR basilicata, 21.9.2017, n. 607; TAR Sicilia, Catania, 13.10.2017, n. 2401; TAR Toscana, 27.10.2017, n. 1287.
2 Cons. St., 5.2.2018, n. 744; TAR Lazio, Roma, 6.12.2017, n. 12045.
3 Cons. St., 13.12.2017, n. 5891; TAR Sicilia, Palermo, 22.1.2018, n. 179; TAR Sicilia, Palermo, 1.12.2017, n. 2779.
4 TAR molise, ord., 13.11.2017, n. 420.
5 TAR Campania, napoli, ord., 15.3.2018, n. 1653.
6 C.g.a. Sicilia, 12.4.2018, nn. 216 e 217.
7 TAR Toscana, 27.10.2017, n. 1287; TAR Sicilia, Catania, 4.12.2017, n. 2806; TAR basilicata, 21.9.2017, n. 607; TAR Sicilia, Palermo, 13.7.2017, n. 1842.
8 C.g.a. Sicilia nn. 216/2018 e 217/2018, cit.
9 T.r.g.a. Trento, 13.2.2018, n. 31; Cons. St., 1.6.2018, n. 3309.
10 TAR Lazio, Roma, 5.2.2018, nn. 1428, 1430 e 1431; TAR Calabria, Catanzaro, 29.6.2018, n. 1291; Cons. St., 2.8.2018, n. 4785.
11 Cons. St., 24.5.2018, n. 3136.
12 C.g.a. Sicilia, 7.6.2018, n. 344.