PROCESSO DEL LAVORO
(XXVIII, p. 285; App. IV, III, p. 57)
Dopo il riordinamento dell'intera materia a opera della l. 11 agosto 1973 n. 533, scarse sono state le novità normative riguardanti questo tipo di procedimento, il cui ambito di applicazione era stato originariamente circoscritto alla risoluzione, in via conciliativa, arbitrale o giurisdizionale, delle controversie di lavoro e di quelle in materia di previdenza e di assistenza. Dall'entrata in vigore di tale legge, che ha sottoposto quelle controversie alla competenza del pretore, giudice unico di primo grado, nella prassi il rito del lavoro si è andato affermando, però, come un modello alternativo dell'usuale giustizia civile per le minori formalità e per la speditezza delle fasi che lo caratterizzano. Pertanto esso è stato esaltato da quanti chiedevano una riforma radicale di quella o, invece, criticato da chi ne difendeva le tradizionali basi procedurali. Taluni poi hanno contestato certe decisioni, a loro giudizio solo politicamente e ideologicamente motivate, di qualche pretore, polemicamente definito ''d'assalto''.
All'affermazione del rito del lavoro previsto dalla l. n. 533 del 1973 hanno contribuito anche talune sentenze della Cassazione che progressivamente hanno allargato, meglio definendolo, l'ambito della sua applicazione al fine, forse soltanto sotteso, di snellire l'enorme mole del contenzioso civile in attesa della decisione da parte dei tribunali sovraccarichi di lavoro. Venivano così assoggettate alla sua disciplina le controversie in materia di patti agrari, quelle relative ai rapporti di agenzia e ad altri rapporti di collaborazione, le cause riguardanti i dipendenti degli enti pubblici economici oppure derivanti da altri rapporti di lavoro pubblico diversi da quelli con lo stato o con gli enti pubblici territoriali (regioni, province, comuni). Ciò accadeva mentre la legislazione successiva all'introduzione del nuovo rito del lavoro sembrava avvalorare la tendenza chiaramente favorevole all'allargamento della sua applicazione, in origine limitata alla materia del lavoro e a quella previdenziale e assistenziale rigidamente circoscritte. La l. 8 novembre 1977 n. 847, contenente norme di coordinamento tra la l. 11 agosto 1973 n. 533 e la procedura di cui all'art. 28 della l. 20 maggio 1970 n. 300 (repressione dei comportamenti antisindacali del datore di lavoro ai sensi dello statuto dei diritti dei lavoratori definito da quest'ultima legge); la l. 9 dicembre 1977 n. 903, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro; la l. 27 marzo 1983 n. 93, costituente la legge quadro del pubblico impiego e la l. 17 maggio 1985 n. 210, sull'istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato, sono state altrettante manifestazioni della tendenza a un'applicazione sempre più vasta del rito del lavoro.
La rapidità di questo procedimento ha indotto il legislatore a estenderne talvolta il modello ad altri settori processuali di particolare interesse sociale: gli artt. 30 e 45 ss. della l. 27 luglio 1978 n. 392, lo applicano al sempre più largo contenzioso delle locazioni urbane, ponendo in essere una certa disarmonia nell'ordinamento della giustizia civile che, secondo gli interpreti legati alla dottrina tradizionale, subirebbe un vulnus per il sovrapporsi non meditato di un rito speciale, qual è quello del lavoro, a quello ordinario, normalmente previsto per la cognizione delle controversie dei rapporti di mero diritto civile.
Anche in altri casi, comunque, si sono avute applicazioni non ortodosse del rito del lavoro a materie del tutto differenti e tradizionalmente assoggettate a differente disciplina processuale, applicazioni dettate probabilmente dall'impossibilità di procedere rapidamente a una riforma globale del processo civile o, almeno, di certe sue norme ormai superate che hanno, però, suscitato qualche perplessità per il loro carattere occasionale e disorganico. Di quella impossibilità è prova abbastanza evidente l'estensione del rito, con qualche emendamento di carattere tecnico-normativo, all'opposizione all'ingiunzione amministrativa, prevista dall'art. 23 della l. 21 novembre 1981 n. 689, e la sua applicazione sia in materia di azione revocatoria speciale e di azione di responsabilità contro gli amministratori nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandi aziende in crisi, sia alle azioni relative alla liquidazione coatta amministrativa delle società fiduciarie e degli enti di gestione fiduciaria, rispettivamente ai sensi dell'art. 3 del D.L. 30 gennaio 1979 n. 26, convertito con l. aprile 1979 n. 95, dell'art. 2 n. 7, del D.L. 5 agosto 1986 n. 233, convertito con l. 1° agosto 1986 n. 430, e dell'art. 4 del D.L. 16 febbraio 1987 n. 27, convertito con l. 13 aprile 1988 n. 148.
La larga diffusione del procedimento e il suo impiego, sia pur variamente giudicato dalla dottrina, al di là del tradizionale ambito dei rapporti di lavoro e della materia previdenziale e assicurativa, hanno comunque contribuito fortemente allo sviluppo delle tendenze favorevoli a una più o meno radicale riforma dell'intero settore della giustizia civile.
Bibl.: AA.VV., Il processo del lavoro nell'esperienza della riforma, Milano 1985; L. De Angelis, Il processo del lavoro nella giurisprudenza e nella dottrina, Padova 1986; G. Verde, G. Olivieri, Processo del lavoro, in Enciclopedia del diritto, 36, Milano 1987, pp. 186 ss.; G. Tarzia, Manuale del processo del lavoro, ivi 19873; R. Foglia, Codice del processo del lavoro (annotato con giurisprudenza e dottrina), ivi 1988; A. Proto Pisani, Il processo del lavoro a diciotto anni dalla riforma, in Il Foro italiano, 5 (1992), p. 81.