Vedi Processo di primo grado dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2018
Processo di primo grado
Nell’ultimo anno, la Corte di cassazione ha proseguito la sua incessante opera di elaborazione e tipizzazione delle regole di funzionamento del processo di primo grado, sempre bilanciando la permanente esigenza di garanzia dei diritti delle parti con l’aumentato bisogno di efficienza e di efficacia. Quest’opera viene favorita dall’invocazione (talvolta, invero, anche pleonastica o tautologica) del principio del “giusto processo” costituzionale, ex art. 111 Cost., ma anche dalla rivitalizzazione dell’art. 88 c.p.c., circa i doveri di lealtà e probità incombenti su parti e difensori.
La giurisprudenza condivide l’assunto che la vigente disciplina della sequenza procedimentale delle controversie tra privati abbia natura inderogabile, perché posta a tutela non soltanto del diritto di difesa delle parti, ma anche di ragioni di ordine pubblico, volte a garantire la celerità e la concentrazione dei giudizi civili. Allo scopo di sventare abusi delle facoltà processuali e di prevenire l’andar contro il fatto proprio, si impone, allora, la rigorosa osservanza delle preclusioni, ispirate ad un’esigenza di coerenza del comportamento antecedente e susseguente dei contendenti.
Nel contempo, però, la dottrina ha preso a domandarsi se l’applicazione quotidiana del precetto di ragionevole durata, di cui all’art. 111, co. 2, Cost., non stia facendo pagare un prezzo troppo alto alla certezza delle norme, alla struttura delle garanzie ed al significato stesso del diritto processuale civile; ed ha perciò auspicato un contemperamento dello stesso con un «ragionevole esercizio del diritto di difesa»1.
Va detto come non sarebbe correttamente enucleabile, tra le regole del vigente processo civile di primo grado, un generale dovere di completezza, quale succedaneo del dovere di verità. È piuttosto configurabile un obbligo di completezza con riferimento a singoli atti del giudizio, e, in particolare, in relazione agli atti propri della fase introduttiva e preparatoria del giudizio. Dagli artt. 163, co. 3, nn. 3 e 4, 164, co. 4 e 5, 414, nn. 3 e 4, si ricava, ad esempio, la prescrizione di esaustività della editio actionis in sede di citazione o ricorso introduttivi, onerandosi il giudice del rilievo, anche di ufficio, delle eventuali lacune o incertezza, indipendentemente dalla costituzione in giudizio del convenuto, sul presupposto che soltanto una domanda esaurientemente esplicitata non comprometta la difesa al convenuto, e, ad un tempo, consenta allo stesso giudice di emettere una pronuncia di merito, sulla quale possa formarsi il giudicato sostanziale.
Cass., S.U., 22.5.2012, n. 8077, ha all’uopo evidenziato come la dichiarazione di nullità della citazione, che si produce, ai sensi dell’art. 164, co. 4, c.p.c., nel caso in cui il petitum venga del tutto omesso o risulti assolutamente incerto, ovvero qualora manchi del tutto l’esposizione dei fatti costituenti la ragione della domanda, postula una valutazione che tenga conto, nell’identificazione dell’oggetto della domanda, dell’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e nei documenti ad esso allegati, determinandosi la nullità soltanto qualora, all’esito del predetto scrutinio, l’oggetto della domanda risulti assolutamente incerto. Questo elemento deve, in ogni modo, essere vagliato coerentemente con la ratio ispiratrice della norma (consistente essenzialmente, come detto, nell’esigenza di mettere immediatamente il convenuto nella condizione di predisporre una adeguata linea di difesa e di individuare agevolmente ciò che l’attore chiede e per quali ragioni), che impone all’attore di specificare sin dall’atto introduttivo, a pena di nullità, l’oggetto della sua domanda. La nullità dell’atto di citazione può, quindi, essere dichiarata soltanto nel caso in cui l’incertezza dell’oggetto della domanda investa il contenuto dell’atto nella sua interezza: qualora, viceversa, sia possibile individuare una o più domande sufficientemente determinate nei loro elementi essenziali, gli eventuali difetti relativi ad altre domande potranno comportare soltanto l’improponibilità di queste ultime, ma non la nullità della citazione nella sua interezza2. Unicamente in ipotesi di mancata rinnovazione o integrazione della domanda nulla nel termine all’uopo accordato, può giustificarsi una definizione in rito della causa.
Parimenti, dagli artt. 167, co. 1, e 416, co. 3, c.p.c. si desume per la parte convenuta un onere di contestazione completa e tempestiva sui fatti di causa allegati dall’attore, mediante affermazioni difensive specifiche e non generiche; onere, per di più, discendente già dalla struttura dialettica del processo e dal sistema delle preclusioni, che comportano per entrambi i contendenti la necessità di collaborare, fin dalle prime battute, a circoscrivere la materia controversa. Chiarisce, pertanto, Cass., 16.3.2012, n. 4249, che, se il giudice abbia ritenuto “contestato” uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all’ammissione ed al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di parte diretta a far valere l’altrui pregressa “non contestazione” risulta inammissibile.
Cass., 22.12.2011, n. 28286, ha aggiunto che, in presenza di un unico fatto illecito, non può consentirsi al danneggiato di frazionare la tutela giurisdizionale mediante la proposizione di distinte domande davanti al giudice di pace ed al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, qualificando tale disarticolazione dell’unitario rapporto sostanziale come condotta lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede nei confronti del danneggiante-debitore, nonché come abuso dello strumento processuale.
Richiamando l’insegnamento già offerto da Cass., 25.11.2002, n. 165713, è stato poi ribadito da Cass., 17.7.2012, n. 12268, che le parti costituite debbano produrre, già in sede di prima udienza di trattazione, ogni documento ritenuto utile, potendo l’attività istruttoria documentale sia trovar spazio in quella sede, unitamente alla definizione del tema del decidere, sia protrarsi nelle eventuali appendici di proseguimento consentite dall’art. 184 c.p.c., in base al testo antecedente alle riforme del 2005, e poi dal vigente art. 183, co. 6, c.p.c.4 Questa seconda eventualità, subordinata alla specifica istanza delle parti, non impedisce, peraltro al giudice, che ritenga ormai la causa pronta per la decisione, di provvedere conseguentemente, come appare addirittura auspicabile in relazione al principio di ragionevole durata del processo, laddove, alla luce, ad esempio, della contumacia del convenuto o della evidenza decisoria, egli possa dar corso senz’altro alla fase conclusiva5.
Dall’art. 88 c.p.c., invece, è stato ricavato un dovere di chiarezza, nel senso di imporre all’avvocato, cui sia stata sollecitata una presa di posizione su di un’istanza ben definita, non solo di rispondere, ma anche di esprimersi in maniera altrettanto comprensibile e, soprattutto, di attenersi ad una logica di tipo binario, che non ammette formule di dubbia lettura, né ipotesi terze fra l’affermazione e la negazione, la condivisione ed il rifiuto. L’omissione di tale dovere di chiarezza è stata censurata, sotto il profilo effettuale, interpretando le difese della parte, che abbiano ingenerato dubbi o perplessità, a favore della controparte. Cass., 2.3.2012, n. 3338, ha così ritenuto che la dichiarazione di “rimettersi” alla decisione del giudice, formulata da un difensore in presenza di richiesta di sospensione del giudizio, ai sensi dell’art. 279, co. 4, c.p.c. proveniente da altro procuratore, dovesse intendersi equivalente ad un’adesione all’istanza, mostrando una sostanziale non avversità ad essa.
Cass., 6.12.2011, n. 26175, sempre traendo dalla disciplina di rito vigente un principio di clare loqui, ha egualmente ritenuto del tutto estranea alla logica formale del processo la configurabilità di richieste istruttorie implicite desumibili dal contenuto degli atti difensivi.
1 Biavati, P., Osservazioni sulla ragionevole durata del processo di cognizione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 475 ss.
2 Nella giurisprudenza dell’anno in rassegna, si vedano anche Cass., 27.1.2012, n. 1236; Cass., 18.1.2012, n. 691.
3 In Foro it., 2003, I, 466.
4 Cass., 6.4.2012, n. 5609, a sua volta, ha meglio definito il concetto di «udienza di trattazione», sia pure ai fini della tempestività del rilievo d’ufficio dell’incompetenza, ex art. 38, co. 3, c.p.c., prescegliendone un profilo identificativo contenutistico, e non meramente temporale.
5 Cass., 24.2.2011, n. 4497, negava, comunque, che la concessione del termine per le deduzioni istruttorie, di cui all’art. 184 c.p.c. nel testo antecedente alle riforme del 2005, fosse rimessa alla discrezionalità del giudice, conseguendo automaticamente alla richiesta proveniente dalla parte, ove funzionale alla corretta estrinsecazione del diritto di difesa; con la conseguenza che il giudice non potrebbe negare il termine per le istanze e produzioni istruttorie sul rilievo che la causa sia di natura documentale e, poi, rigettare la domanda per carenza delle prove documentali che la parte avrebbe potuto produrre nel termine ingiustamente negato. Sul momento di maturazione delle preclusioni istruttorie, cfr. anche Cass., 10.1.2012, n. 81; Cass. 15.7.2011, n. 15691, in Giust. civ. Mass., 2011, 1077.