processo di sviluppo in psicoanalisi
Madre e funzione materna
Il ruolo della madre all’interno della teoria psicoanalitica risente delle molteplici impostazioni che si sono avvicendate nel considerarne la funzione e gli effetti sullo sviluppo del bambino di ambo i sessi. L’importanza attribuita alla diade madre-bambino fin dall’origine della vita non consente di separare nettamente la funzione materna dallo sviluppo psicofisico del bambino, tanto più che il vertice dell’attenzione deve oscillare dalle vicissitudini dell’infante a quelle della donna madre. Peraltro la funzione materna non è svolta necessariamente dalla madre biologica, ma dalla persona che si prende cura dell’infante. In questo senso, anche il padre può svolgere la funzione materna, come accudimento dei bisogni primari.
La maggior parte delle considerazioni di Sigmund Freud sulla prima infanzia scaturisce dall’osservazione degli adulti, a eccezione dell’analisi indiretta, svolta attraverso il racconto del padre, del caso clinico del piccolo Hans (1908). La ricostruzione delle fasi di sviluppo, l’esplorazione delle aree edipiche (➔ complesso di Edipo) lo porta a dare risalto al rapporto del bambino con il padre, pur senza negare l’importanza che gioca la figura materna nelle prime fasi della vita. In una nota a Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico (1911), Freud descrive la centralità delle cure materne come condizione indispensabile per la sopravvivenza del bambino. All’interno del meccanismo di soddisfacimento dei suoi bisogni, con il ‘filtro’ che la madre interpone ai potenziali traumi della realtà, egli trova nel seno materno il primo oggetto in grado di garantire la sua esistenza, una fonte di piacere e contemporaneamente un primitivo modo di arginare l’angoscia legata alla sua condizione di non autosufficienza. Il contatto con il corpo materno rappresenta la modalità di cui il bambino dispone per stabilire un primo incontro con la realtà esterna che, in questo stadio, non è ancora percepita come ben differenziata da se. Secondo la teoria freudiana questo processo non dipende soltanto da ciò che la madre effettivamente fa, ma anche da ciò che il bambino, sotto la spinta delle sue necessita, fantastica che la madre possa fare per lui. Ne consegue che, soprattutto nelle prime fasi della vita, la realtà e la fantasia si intrecciano costantemente.
La psicoanalisi moderna, attraverso l’osservazione diretta dei bambini e l’attenzione rivolta ai livelli precoci dello sviluppo, fa emergere l’importanza delle prime relazioni affettive che il neonato stabilisce con la madre o con chi svolge la funzione genitoriale. Tali esperienze sono fondamentali per promuovere la crescita psicofisica, lo sviluppo del pensiero simbolico (➔ simbolo), i processi di separazione e di differenziazione necessari al costituirsi dell’identità. L’accento posto sulla congruità delle cure materne e di un ambiente adatto ad accogliere e soddisfare le esigenze del bambino porta alla formulazione del concetto di ≪madre sufficientemente buona≫ e di ≪madre ambiente≫ di Donald W. Winnicott, secondo il quale l’effettivo accudimento e il sostegno sono essenziali per sperimentare un sentimento di continuità della propria esistenza. Winnicott parla di ≪madre sufficientemente buona≫ per metterci in guardia dai pericoli di una rigida e astratta perfezione; l’armonia del rapporto deriva infatti non dall’osservanza di regole astratte, ma dalla vitale reciproca ricerca di comprensione e adattamento tra il piccolo e chi di lui si prende cura. La funzione materna viene così a definirsi come un implicito modello interiore attorno al quale costruire una modalità relazionale per cui le esperienze buone e cattive, per utilizzare la terminologia di Melanie Klein, possiedono caratteristiche tali da fornire al bambino, dipendente e bisognoso di cure, ciò che è necessario alla sua vita concreta e mentale. Va precisato peraltro che Klein da minore rilievo alle effettive capacità o carenze della madre, in ragione dell’importanza che a suo avviso rivestono i fattori innati di aggressività o voracità del bambino e delle frustrazioni che ne possono derivare, responsabili di fantasie e proiezioni che in larga misura prescindono dalle situazioni reali. A sua volta, Wilfred Bion parla di ≪rêverie materna≫, intesa come capacità di contenere il bambino nella propria mente, intuirne a livello prevalentemente inconscio le angosce e offrirgli rassicurazione senza negare le difficolta, ma restituendole al piccolo come tollerabili.
La capacità della donna di entrare in contatto con emozioni e bisogni così primari, risente di un complesso percorso maturativo: essere donna e potenzialmente madre significa acquisire un’identità compiuta e distinta che per la bambina, in ragione della somiglianza corporea, può restare impigliata nella confusione tra sé e la madre. Districarsi all’interno di una sopraggiunta maturità fisica (quindi anche generativa) significa cercare faticosamente di integrare, dentro di sé, aspetti inerenti la femminilità (sessuata) e le sensazioni di piacevolezza legate, per es., alla funzione di allattamento. La difficolta di distinguere emozioni di tenerezza dall’eccitazione sessuale può generare, nella donna, fantasie regressive inquietanti. Alcune donne temono, con la maternità, di diventare la propria madre, di scivolare in un rapporto fusionale da cui hanno cercato a fatica di emanciparsi attraverso la ricerca di un’identità distinta. Come sostiene Dinora Pines, nel desiderio di un figlio si può celare il bisogno di identificarsi con la propria madre e il bambino o la bambina possono contenere aspetti di se che ricordano la relazione di accudimento sperimentata nel corso dell’infanzia. È anche il riconoscimento e il conseguente recupero di tale esperienza, in cui si è stati oggetto di cure amorevoli, a facilitare il graduale e progressivo avvicinarsi al bambino come altro da sé.