processo di sviluppo in psicoanalisi
Padre e funzione paterna
Per un uomo l’acquisizione della funzione paterna non è legata al semplice riconoscimento di un’evidente paternità biologica, ma richiede l’assunzione di un ruolo specifico, storicamente e culturalmente determinato, di guida e di protezione nel rapporto con i figli o – in senso simbolico – con persone che da lui dipendono. Il padre, esterno alla coppia madrefiglio ma non per questo estraneo, introduce, attraverso il passaggio che Eugenio Gaddini (1974) definisce ≪al secondo oggetto≫ (intendendo con il primo la madre), una relazione triangolare che facilita nel bambino l’accesso a una diversa capacità di sentire e soddisfare i propri bisogni e desideri. Una buona funzione paterna prevede la capacità dell’uomo di tollerare la frustrazione di sentirsi escluso dalla coppia fusionale della donna con il bambino; ma al tempo stesso di poterli amare, proteggere e poi promuovere nei figli un’apertura verso la realtà esterna e una progressiva autonomia. Inoltre, la sua funzione di guida limita le fantasie di onnipotenza del bambino che ostacolano il processo della crescita. Nella teoria psicoanalitica la figura del padre viene inizialmente esplorata dal versante dei figli, soprattutto del figlio maschio, nelle vicissitudini del complesso di Edipo (➔). In questa luce, il padre è colui che vieta, impone la legge, ma anche colui che introduce il registro del logos, della parola, aiutando il figlio a uscire dal registro materno primitivo dei sensi e dell’indifferenziato. Peraltro, tali gradi dello sviluppo e del rapporto non corrispondono in modo assoluto a madre e padre, ma sono piuttosto funzioni che entrambi possono svolgere in misura variabile. In tempi più recenti è stato meglio compreso il processo di sviluppo della femmina, che spesso cerca inconsciamente nel padre non tanto un oggetto sessuale, quanto una ‘versione’ meno ambivalente del rapporto con la madre.
All’inizio della vita il piccolo non può ancora rapportarsi ai genitori come figure reali e non differenzia tra madre e padre, come scrive Freud in L’Io e L’Es (1922). Affinché questa distinzione avvenga occorre che sia il bambino sia la bambina imparino a riconoscere i genitori non solo come separati ma anche come diversi tra loro. Anche se, sul piano della realtà quotidiana, il padre è presente fin dalla nascita, solo successivamente potrà essere riconosciuto nella sua individualità reale. In questo senso, Melanie Klein parla di una ≪figura parentale combinata≫, frutto delle fantasie inconsce dell’infante, per meglio sottolineare l’originaria indifferenziazione tra aspetti materni e paterni. Il percorso che porta alla distinzione tra padre e madre, tra maschile e femminile, corrisponde a un lungo e non facile processo, nel quale le vicissitudini relazionali precoci e le caratteristiche effettive dei genitori hanno un ruolo fondamentale.
Per un uomo riuscire a svolgere psicologicamente la funzione paterna significa compiere un processo interiore di maturazione, riuscire al tempo stesso a identificarsi e differenziarsi dai propri genitori, rinunciare al ruolo privilegiato di figlio dei propri genitori e di unico oggetto d’amore della compagna che è diventata madre. È importante poter modulare la funzione paterna protettiva, normativa e punitiva a seconda delle età dei figli, nonché riconoscere le diverse esigenze di maschi e femmine durante la crescita. Così, compete al padre accompagnare il differente sviluppo psicosessuale dei maschi e delle femmine, offrendo un modello di identificazione o di differenziazione, senza ne reprimere i loro impulsi sessuali ne colludere con essi. Nel difficile percorso del diventare padre, molti uomini esprimono le proprie difficolta in modo indiretto, attraverso svariate, più o meno gravi, sintomatologie (somatizzazioni, incidenti, tradimenti, episodi di aggressività e fuga) che rischiano spesso di essere malintese o di passare inosservate.
L’interazione tra madre e padre è di cruciale importanza nell’improntare il modo in cui l’uno e l’altra svolgono le loro funzioni nei confronti dei figli. Come dice Donald W. Winnicott, solo una madre ≪sufficientemente buona≫ permette che si apra, nella realtà, e ancor prima nella sua mente, uno spazio per il padre: tollera cioè gradualmente di non esercitare sulla prole il dominio assoluto. Parallelamente, il padre deve intervenire nella vita del bambino, e al tempo stesso rivendicare il suo posto accanto alla donna. Essere padri – e madri – significa accedere a profonde modificazioni del proprio mondo interno con la conseguente necessità di negoziare i personali conflitti relativi all’essere stati figli prima che genitori. L’acquisizione di un nuovo ruolo e di una nuova funzione significa rinunciare all’inconsapevole fantasia di soddisfare, attraverso le cure fornite al piccolo, i propri bisogni narcisistici (➔ narcisismo).
In ragione dei cambiamenti sociali e culturali della famiglia (unioni precarie e atipiche, nuclei monogenitoriali, affidamenti, adozioni) le funzioni materne e paterne sono distribuite oggi in modo meno rigido tra uomini e donne; anche i padri forniscono gli accudimenti primari e anche le donne offrono regole e insegnamenti. Più che di funzioni materne e paterne, oggi si tende a parlare di funzioni di accudimento primario e di funzioni adulte, mettendo l’accento sui bisogni dei bambini nelle varie età più che su coloro che li soddisfano. Alla maggiore duttilità dei ruoli dei genitori corrisponde una minore rigidità dei modelli di genere sessuale maschile e femminile che vengono proposti ai figli di ambo i sessi. Peraltro oggi assistiamo a un significativo mutamento: se anche gli uomini svolgono felicemente le funzioni di accudimento primario, sia i padri sia le madri fanno fatica a farsi carico di quelle adulte normative e punitive. Antonella Gentile