PROCESSO PENALE (XXVIII, p. 282; App. III, 11, p. 491)
Il p. p. italiano rinviene attualmente la sua più appariscente caratteristica in una situazione di crisi dove la crescita imponente del carico dei giudizi - sia per l'estendersi del "pubblico" in sempre nuovi settori sia per l'incremento del numero dei reati tradizionali dovuto alle profonde trasformazioni della nostra società - s'intreccia a quello che potrebbe essere definito il fenomeno del progressivo slargamento delle forme, venendo a essere ricompresa nell'area processuale una serie di atti prima considerati di natura sostanzialmente amministrativa (si pensi per es. alle vicende della preistruzione penale).
A questa situazione, contrassegnata dall'inevitabile incepparsi del meccanismo del p., sono risultati d'altronde limitati rimedi gli sforzi miranti alla depenalizzazione di determinati settori dell'illecito penale (in particolare nel campo delle contravvenzioni concernenti la circolazione stradale), posta la loro inevitabile frammentarietà. Per cui, davanti al progressivo appensantimento del lavoro della giustizia, tali sforzi hanno finito con l'assumere solo il valore di un richiamo alla gravità dei problemi. Né, per altro verso, contributi risolutivi erano da aspettarsi dai continui e incalzanti interventi innovativi della giurisprudenza costituzionale e della legislazione cosiddetta novellistica fin qui susseguitisi, dai quali, anche se spesso diretti all'attuazione di fondamentali principi costituzionali, era inevitabile l'insorgere di gravi inconvenienti inserendosi in un sistema rimasto ancorato, pur nelle sue trasformazioni, all'originale impostazione in cui le esigenze garantistiche erano sacrificate a fini di efficienza processuale, oltretutto rivelatisi illusori.
A evidenziare ancora di più la complessità e gravità della situazione si aggiunga che la crisi accennata non è certo un fatto limitato esclusivamente al campo penale, visto che anche per la giustizia civile e quella amministrativa, benché nel naturale mutare delle prospettive, si ripropongono gli stessi inconvenienti dell'inarrestabile crescita del carico delle cause e del superamento dei limiti rigorosi in cui il p. era contenuto nella visione della legislazione e della scienza tradizionali.
Certo i rimedi sono stati da tempo individuati, tanto più che su di essi non potevano in fondo registrarsi grosse divergenze: impegno attento per mantenere la sanzione penale esclusivamente nei limiti rispondenti a effettiva utilità sociale, sviluppando, di contrappunto, l'opera di prevenzione; necessità, nel campo civile e amministrativo, di ridimensionare l'obiettivo eccesso di litigiosità, risultato da conseguire soprattutto attraverso una semplificazione della farraginosa legislazione esistente, rendendo nel contempo meno confusa e incerta la produzione legislativa; scelta, infine, come è avvenuto con il testo del nuovo p. p., di meccanismi processuali più spiccatamente informali alle nostre realtà costituzionali. Rimedi cui, in realtà, non è facile dar corso e per i quali v'erano molte premesse per ritenere che in molti casi ben poco o nulla si sarebbe finito col fare.
Rimane comunque che tali rimedi sarebbero risultati di efficacia limitata ove non accompagnati, ed è qui il vero nodo del problema, da una più approfondita riflessione sulla funzione e sul peso del p. nell'ambito dell'ordinamento giuridico attuale.
Il discorso si sposta sul contenuto della nozione di processo.
Un importante indirizzo dottrinario ha individuato nel procedimento - o processo - la forma tipica dell'esercizio delle funzioni statali. Muovendo di qui ci si è spinti per quanto attiene la giurisdizione fino a prospettare una tendenziale identificazione tra questa e il p., intendendosi il p. come forma dell'esercizio della giurisdizione. In campo penale ciò ha portato alla riconosciuta giurisdizionalità di una serie di atti di cui nel passato si sosteneva la natura solo processuale (così per l'esecuzione penale), o addirittura, riprendendo quanto sopra accennato, meramente amministrativa (istruzione preliminare; gran parte della disciplina concernente l'organizzazione dell'attribuzione delle cause ai singoli giudici).
Fino ad arrivare al testo del nuovo codice di procedura penale che in sostanza recepisce completamente tale identificazione. Per questa via non si è delineata l'estensione della giurisdizione a un ambito considerato nel passato generalmente più vasto, quello processuale, e per di più in via di sistematico slargamento a causa del fenomeno per cui i principi garantistici che nel nostro ordinamento costituzionale sono dettati per il p. vengono a estendersi a sempre nuovi settori in conseguenza dell'attrazione che appunto il p. esercita sugli atti in qualunque modo su di esso influenti.
Intuibili gli effetti sulla determinazione dei confini della giurisdizione e sulla stessa configurazione di una nozione della funzione giurisdizionale, che nella Costituzione non è esplicitamente delineata (si trovano infatti limitate disposizioni sull'Ordine giudiziario - espressione utilizzata, per ragioni storiche e logiche, onde mettere l'accento soprattutto sugl'individui che in concreto esercitano la funzione - e su specifiche garanzie, come quella del giudice naturale, quella del diritto di difesa, ecc.).
Infatti, questa tendenza, conducendo in pratica alla piena occupazione dello spazio processuale da parte della giurisdizione, accentua nel contempo l'espansione del p., giacché il collegamento instaurato tra questo e la giurisdizione rappresenta un ulteriore incentivo al fenomeno del suo slargamento. Ciò in quanto alla notevole genericità della nozione di giurisdizione fa però riscontro il dovere inderogabile di applicare tutta la serie di principi dettati al livello costituzionale per l'esercizio di tale funzione, ovunque di tali principi si prospetti in qualche modo l'operatività.
Basterà al riguardo ricordare come la Corte costituzionale abbia ripetutamente affermato, anche di recente (cfr. sentenza n. 226 del 1976), che ai fini della sussistenza di un'attività di natura giurisdizionale è sufficiente il requisito dell'esercizio "di funzioni giudicanti per l'obiettiva applicazione della legge" attribuite anche a organi istituzionalmente adibiti a compiti di diversa natura, ma che siano a tal fine "posti in posizione super partes".
Si determina dunque come conseguenza una vicendevole influenza tra i principi che governano il p. e quelli che governano la giurisdizione. E, facendo un bilancio di questa, per così dire, trasmigrazione, si può notare che se indubbiamente l'attribuzione a tutti gli atti processuali di un contenuto giurisdizionale ha reso in un certo senso più forte il vincolo processuale per la dimensione unitaria sostanziale in cui tali atti vengono così a trovarsi, ben più penetrante a ogni modo è da ritenere l'influenza svolta dal p. nei riguardi dell'inquadramento della giurisdizione, specie per quanto attiene ai profili organizzatori.
In effetti il p. si muove in una particolare prospettiva, risultando strettamente legato al giudizio sul singolo caso concreto, e quindi per sua natura spinge inevitabilmente a obliterare il complesso di attività che a monte attengono all'esercizio della giustizia nel suo insieme. Diretta conseguenza di questa prospettiva, è la sostanziale insensibilità registrata in trent'anni sia in campo scientifico sia da parte del legislatore nei riguardi di una riforma dell'ordinamento giudiziario, pure prevista dalla VII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione. Ciò, nonostante si trattasse di una riforma di evidente importanza data l'influenza fondamentale che il fattore organizzativo - secondo quanto risulta ormai chiaramente acquisito dai risultati raggiunti dalla dottrina del diritto pubblico - non può non svolgere sull'esercizio di una funzione. Sempre questa prospettiva è alla base del dibattito, collegato strettamente alla mancata riforma di cui sopra, sul giudice naturale e della tesi, pure affermatasi tra molte opposizioni, secondo cui la scelta dei singoli giudici ai quali concretamente attribuire le cause, in quanto fatto attinente all'organizzazione interna, risulterebbe del tutto ininfluente per quel che attiene all'esercizio della giurisdizione.
Proprio dalla mancata comprensione del ruolo fondamentale che ai fini dell'attività giurisdizionale assume il dato organizzativo si origina del resto l'elemento che è al fondo di tutte le manifestazioni della crisi del p.: la lentezza patologica dei giudizi che si sviluppano al di fuori di qualsiasi ragionevole predeterminazione del loro ritmo temporale di svolgimento. Fenomeno dovuto non solo all'appesantimento delle procedure, ma anche alla mancata considerazione che il farsi di un singolo p. non può essere certo disgiunto dal modo come viene complessivamente organizzata la resa della giustizia dai componenti di quell'Ordine cui l'affida la Costituzione.
Senza dubbio cautele particolari debbono circondare questi componenti: tra esse le più importanti sono l'affermazione della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.), che sancisce in sostanza l'autonomia e l'indipendenza del singolo magistrato nell'esplicazione del proprio compito, e quella che più in generale questa autonomia e indipendenza pone per tutta la Magistratura nei confronti di ogni altro potere (art. 104 Cost.).
Resta peraltro fermo che con tutto ciò la Costituzione non prospetta certo un dannoso distacco del singolo magistrato e della magistratura dai problemi dell'organizzazione complessiva della giustizia, ma proprio il contrario: cioè la piena assunzione del carico di questi problemi come il mezzo esclusivo per la realizzazione delle garanzie di autonomia e indipendenza. Ne deriva in particolare la necessità da parte dell'Ordine di tenere conto delle complesse interrelazioni che si pongan0 tra l'esercizio della giurisdizione e delle altre funzioni fondamentali dello Stato, sia sotto l'aspetto negativo concernente il pericolo di determinare gravi squilibri nell'ordinamento attraverso un'eccessiva accentuazione del fenomeno dell'ampliamento del p. e quindi della giurisdizione, sia sotto l'aspetto positivo della necessaria collaborazione con i poteri titolari di tali fenomeni che anzi in alcuni campi della giurisdizione è esplicitamente richiesta. Si pensi al discorso che nell'ambito dell'esecuzione penale si pone in relazione al reinserimento dell'autore del reato nella società e alla connessa esigenza che siano apprestate strutture civili adeguate a favorire il reinserimento in questione e, di converso, ai delicati problemi che si pongono in ordine alla non infrequente diversità di valutazione sulla censurabilità o meno di certi comportamenti che si riscontra fra giudice penale e amministrazione pubblica; diversità che spesso deriva anche dall'impossibilità per il giudice di penetrare a fondo i meccanismi amministrativi. Ne deriva, ancora, che il richiamo all'organizzazione consentirà anche la determinazione di più chiari punti di riferimento in ordine all'individuazione dei confini della giurisdizione, per i quali indubbiamente non possono essere considerate soddisfacenti coordinate quelle tratte esclusivamente dalle modalità con cui certe attività si svolgono, secondo appunto la tendenza della sopracitata giurisprudenza costituzionale.
Appare dunque chiaro, sulla base delle osservazioni svolte, che solo inquadrando il p. nella sua reale dimensione di forma dell'esercizio della giurisdizione nel caso concreto e tenendo conto della più ampia e complessa prospettiva in cui si colloca la giurisdizione come potere fondamentale dello Stato, con tutta la connessa struttura organizzativa, sarà ipotizzabile un suo soddisfacente svolgimento secondo i principi della nostra Costituzione.
Bibl.: Oltre alle trattazioni costituzionali alle quali si rimanda, cfr.: A. Santoro, Giurisdizione penale, in Novissimo Digesto italiano, Torino 1961; G. Leone, Processo penale (diritto vigente), ibid., ivi 1966; M. Pisani, Giurisdizione penale, in Enciclopedia del diritto, Milano 1970; S. Satta, Giurisdizione (nozioni generali), ibid.