Processo tributario. Sospensione cautelare ed esecutivita delle sentenze
La Corte costituzionale con sentenza del 7.6.2010, n. 217, aveva invitato gli operatori giuridici (tra cui la Corte di cassazione) a saggiare la possibilità di interpretare l’art. 49 d.lgs. 31.12.1992, n. 546, conformemente a Costituzione, nel senso di applicare la sospensione cautelare dell’esecuzione della sentenza tributaria di cui agli artt. 283 e 373 c.p.c. Nel 2012 tale invito – ribadito da tre pronunce della Consulta – è stato accolto dalla Corte di cassazione con una sentenza preceduta da contrastanti pronunce di merito. Il nuovo indirizzo giurisprudenziale non ha risolto i problemi della tutela cautelare nel processo tributario, sia perché le pronunce non sono (ancora) assurte a diritto vivente, sia perché permangono incertezze sull’inquadramento della normativa processuale in materia. La ricostruzione sistematica tentata in dottrina e giurisprudenza è riconducibile a tre diverse impostazioni, rispetto alle quali occorre misurare l’impatto di tale giurisprudenza costituzionale e di legittimità.
Le pronunce della Corte costituzionale (sent. n. 109 del 26.10.2012; ordd. n. 181 del 11.7.2012 e n. 113 del 24.10.2012 con la quale ha dichiarato inammissibili le questioni incidentali di costituzionalità – sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 113 Cost. – dell’art. 49 del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, censurato in quanto non consentirebbe l’applicazione alle sentenze tributarie di appello della sospensione cautelare di cui all’art. 373 c.p.c.) e della Corte di cassazione (sent. n. 2845 del 24.2.2012, la quale ha rigettato il ricorso avverso la pronuncia con cui una commissione tributaria regionale aveva cautelarmente sospeso l’esecuzione di una sentenza tributaria impugnata per cassazione) hanno consolidato l’innovativa interpretazione, assunta come conforme a Costituzione dalla Consulta (sent. n. 210 del 11.6.2010), in base alla quale l’art. 373 c.p.c., nella parte in cui consente la sospensione cautelare dell’esecuzione della sentenza di appello, è applicabile anche alle sentenze tributarie di appello impugnate per cassazione.
1.1 Il quadro normativo e giurisprudenziale
L’art. 49, co. 1, del d.lgs. n. 546/1992 (hinc: «d.lgs.») stabilisce che «Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto». Il primo comma dell’art. 337 c.p.c., la cui applicazione è espressamente “esclusa”, prevede che «L’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa, salve le disposizioni degli artt. 283, 373, 401 e 407». Il primo comma del richiamato art. 373 c.p.c. dispone, a sua volta, che «Il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza. Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che la esecuzione sia sospesa e che sia prestata congrua cauzione». Il combinato disposto di tali articoli è stato tradizionalmente inteso dall’Amministrazione finanziaria (circ. n. 73/E/2001 dell’Agenzia delle entrate; circ. n. 26/D/2002 dell’Agenzia delle dogane) e dalla giurisprudenza di legittimità1 e costituzionale2 nel senso che esso vieta al giudice tributario di sospendere l’esecuzione della sentenza di secondo grado ai sensi del co. 1 dell’art. 373 c.p.c. Ciò, in base ad argomentazioni di tipo letterale e sistematico:
a) sotto il profilo letterale, viene osservato che, mentre l’art. 47 del d.lgs. prevede la sospendibilità giudiziale (durante il giudizio di primo grado) dell’efficacia dell’atto impositivo, l’art. 49 dello stesso d.lgs. esclude l’applicazione sia dell’art. 337 c.p.c. alle impugnazioni delle sentenze tributarie sia, conseguentemente, della sospendibilità (consentita dall’art. 337) dell’esecuzione di dette sentenze, ai sensi del co. 2 dell’art. 373 c.p.c.;
b) sotto il profilo sistematico, viene rilevato che: b1) l’art. 49 del d.lgs., in quanto norma speciale, rende inapplicabili alle sentenze tributarie di appello ed in tale grado le misure cautelari previste per il giudizio di primo grado (l’art. 61 del d.lgs. stabilisce, infatti, che nel procedimento di appello si osservano le norme previste per il procedimento di primo grado solo «in quanto applicabili»); b2) la specificità della normativa processuale tributaria in punto di sospensione cautelare dell’esecuzione delle sentenze (art. 49) e di riscossione frazionata dei tributi successivamente alla pronuncia di primo grado (art. 68) impedisce l’applicazione della disciplina dell’esecutività delle sentenze civili, ai sensi dell’art. 1, co. 2, del d.lgs. («I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile»); b3) l’art. 19 del d.lgs. 18.12.1997, n. 472, nell’introdurre la possibilità, in grado di appello, di sospendere l’esecuzione delle sole sanzioni tributarie, dimostra che il combinato disposto degli artt. 47, 49 e 61 del d.lgs. non prevedeva già tale potere; b4) il titolo esecutivo, in materia tributaria, è costituito non dalla sentenza di rigetto del ricorso del contribuente, ma dall’atto impositivo impugnato, la cui efficacia è sospendibile ai sensi dell’indicato art. 47 (C. cost., ord. n. 165/2000).
Siffatto esito ermeneutico, tuttavia, ha lasciato insoddisfatta larga parte della dottrina, perché non garantisce una piena tutela cautelare del contribuente, percepita come coessenziale al diritto di difesa.
L’esegesi tradizionale è stata messa in discussione dalla sentenza della Corte costituzionale, n. 217/2010, che, nell’impossibilità di affrontare nel merito la questione di legittimità costituzionale della disciplina cautelare prevista dall’art. 49, co. 1, del d.lgs. (data l’inammissibilità derivante dalla mancata motivazione del giudice rimettente circa il ricorrere dei requisiti dell’istanza di sospensione relativi al fumus boni iuris ed al periculum in mora), ha suggerito – sul presupposto dell’inesistenza di un diritto vivente contrario − di risolvere il problema in via ermeneutica, rilevando (come ulteriore motivo di inammissibilità) che il rimettente non aveva tentato alcuna interpretazione adeguatrice.
Secondo la sentenza, il rimettente non aveva tenuto conto che:
a) l’art. 337 c.p.c. (inapplicabile al processo tributario) è costituito da una regola («L’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa») e da una eccezione alla regola («salve le disposizioni degli artt. … 373 …»);
b) l’art. 373, «fatto salvo» dall’art. 337, consta anch’esso, al co. 1, di una regola (primo periodo: «Il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza») e di una eccezione (secondo periodo, in forza del quale il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte ed a certe condizioni, sospenderne l’esecuzione o imporre una congrua cauzione);
c) l’inapplicabilità al processo tributario della regola dell’insospendibilità dell’esecuzione della sentenza impugnata (art. 337; art. 373, primo periodo del primo comma, c.p.c.), non comportando né la vigenza dell’opposta regola dell’automatica sospensione della sentenza in caso di impugnazione (trattandosi, appunto, di mera e neutra “non applicabilità”), né l’inapplicabilità al processo tributario anche delle indicate “eccezioni” alla regola, non esclude la sospendibilità ope iudicis dell’esecuzione della sentenza di appello impugnata per cassazione.
Questa impostazione della Corte costituzionale (non vincolante né per il giudice a quo né per gli altri giudici, onerati solo di una specifica motivazione sul punto, in caso di proposizione di questioni di costituzionalità), benché riguardante il solo art. 373 c.p.c. (tenuto conto del thema decidendum), è potenzialmente idonea a rendere applicabile al processo tributario anche gli artt. 283 e 401 del c.p.c., menzionati nel secondo periodo dell’art. 337. La Corte ha, cosí, implicitamente disatteso anche l’interpretazione antiletterale secondo cui il citato art. 49 avrebbe richiamato soltanto l’art. 337 e non anche gli artt. 283, 373 e 401 c.p.c., i quali sarebbero, pertanto, applicabili al processo tributario.3
L’indicato suggerimento della Consulta del 2010 è stato variamente apprezzato in giurisprudenza. Parte dei giudici di merito si è opposta all’interpretazione, aderendo all’orientamento tradizionale ed affermando che la limitazione della tutela cautelare all’art. 47 del d.lgs. (sospendibilità in primo grado dell’atto impositivo impugnato) non lede il diritto di difesa (per tutte, Comm. trib. reg., Lombardia 18.10.2010; Comm. trib. reg., Lazio 12.1.2011). Altri giudici hanno invece accolto la nuova impostazione (Comm. trib. reg. Piemonte, 27.9.2010; Comm. trib. reg. Lazio, 29.9.2010 e 1.2.2011; Comm. trib. reg. Emilia Romagna, 14.12.2010; Comm. trib. reg. Lombardia, 20.6.2011). La sentenza della Corte di cassazione n. 21121/2011, ha escluso l’applicabilità al processo tributario della sospensione di cui all’art. 373 c.p.c., senza menzionare la già pubblicata senza della Consulta n. 217/2010, e senza neppure chiarire se, nella specie, l’istanza di sospensione era stata presentata al giudice di appello o – come parrebbe – direttamente ed inammissibilmente alla Corte di legittimità.
In questo quadro si sono inserite, nel 2012, le pronunce in esame, che, pur non assurgendo a diritto vivente, hanno inteso ampliare la tutela cautelare del contribuente. La pronuncia della Cassazione, n. 2845/2012, ha ritenuto applicabile al processo tributario il citato art. 373, richiamando la sentenza della Corte costituzionale, n. 217/20104. Le pronunce della Consulta (n. 109 del 26.4.20125, n. 181 del 11.7.2012 e n. 113 del 3.5.20126 ) hanno ribadito che il combinato disposto degli artt. 49 del d.lgs., 337 e 373 c.p.c. può essere interpretato anche nel senso che è «esclusa» l’applicazione al processo tributario della regola (fissata dal primo comma dell’art. 337) secondo cui le impugnazioni delle sentenze non sospendono l’esecuzione di queste, cosí da rendere applicabili, proprio perché non più “eccezionali”, le misure di sospensione cautelare dell’esecuzione della sentenza impugnata previste dagli «artt. 283, 373 … e 407» c.p.c. e fatte salve dallo stesso art. 337.
Con le pronunce del 2012, la Corte costituzionale, in quanto priva di funzioni nomofilattiche ed impossibilitata ad emettere dichiarazioni di illegittimità costituzionale non “a rime obbligate”, non ha potuto precisare la ricostruzione complessiva della tutela cautelare tributaria ritenuta preferibile e si è limitata a suggerire una interpretazione adeguatrice del solo art. 49 del d.lgs. Neppure la sentenza della Cassazione n. 2845/2012, ha proceduto ad una ricostruzione sistematica.
La limitata portata delle pronunce rende opportuno, perciò, l’esame dei tre principali modelli ricostruttivi della materia, con riguardo ai soli giudizi tributari impugnatori di atti impositivi (giudizi sull’atto e, conseguentemente, sul rapporto), con esclusione dei giudizi di condanna (ad es.: rimborso) e di accertamento costitutivo (ad es.: classamento catastale).
2.1 La tesi secondo cui sussiste solo l’efficacia esecutiva dell’atto impugnato
In base ad una prima impostazione può essere sospesa l’esecuzione soltanto dell’atto impositivo e non della sentenza, per la quale non è prevista esecuzione. L’art. 47 riguarda, infatti, la sospensione cautelare dell’atto impositivo, che può essere disposta dal giudice di primo grado ed i cui effetti cessano con la pubblicazione della sentenza di tale grado. A decorrere dalla sentenza, poi, l’art. 68 prevede la riscossione frazionata del tributo (in esecuzione dell’atto impositivo), quantitativamente modulata sul contenuto della pronuncia. In tal senso si sono espressi la prevalente dottrina e giurisprudenza di merito. Analogamente, in un obiter dictum, la Consulta ha affermato che «oggetto del procedimento di sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha respinto l’impugnazione, bensì semmai il provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo grado» (C. cost., ord. n. 119/2007). Da tale assunto si diramano due filoni interpretativi della tutela cautelare successiva alla sentenza di primo grado.
Un primo orientamento nega che, dopo la sentenza di primo grado, sia prevista una tutela cautelare in relazione all’atto impositivo. Ciò si desumerebbe dall’art. 47, co. 7, del d.lgs. («gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado»), coerente con la lettera h) del co. 1 dell’art. 30 della sua legge di delegazione 30.12.1991, n. 423, il quale fissa, quale criterio e principio direttivo, la «previsione di un procedimento incidentale ai fini della sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato disposta con provvedimento motivato, con efficacia temporale limitata a non oltre la decisione di primo grado e con obbligo di fissazione della udienza entro novanta giorni».
Tale disciplina non sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., perché, secondo alcune pronunce della Corte costituzionale, la tutela cautelare «deve ritenersi costituzionalmente imposta solo fino al momento in cui non intervenga in giudizio nel processo una pronuncia di merito che accolga – con efficacia esecutiva – la domanda … ovvero la respinga …, rimanendo, pertanto, rimessa alla discrezionalità del legislatore la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle fasi di giudizio successive a siffatta pronuncia» (C. cost. n. 165/2000; analogamente, C. cost. ordd. n. 217/2000 e n. 325/2001). Da tale impostazione consegue l’infondatezza di ogni questione di costituzionalità del divieto di sospensione cautelare della sentenza tributaria, perché:
a) l’art. 373 c.p.c. non è applicabile, non essendo la sentenza tributaria di appello suscettibile di sospensione;
b) la scelta di escludere, dopo la sentenza di primo grado, la sospensione cautelare dell’atto impositivo rientra nella discrezionalità del legislatore.
Un secondo orientamento afferma l’applicabilità anche in grado di appello (in base all’art. 61 del d.lgs., il quale rinvia per tale grado, nel limite della compatibilità, alle norme dettate per il procedimento di primo grado) del citato art. 47, che consente la sospensione cautelare dell’atto impositivo. La cessazione, con la sentenza di primo grado, degli effetti di tale sospensione non impedirebbe, pertanto, la riproposizione in appello dell’istanza di inibitoria dell’efficacia dell’atto impositivo (anche se in tale grado l’esecuzione dell’atto è frazionata, ai sensi dell’art. 68). In tal senso si è espressa autorevole dottrina7.
Da tale impostazione consegue l’inammissibilità (per aberratio ictus) della questione di costituzionalità dell’art. 49 del d.lgs. posta con riguardo alla sospensione dell’esecuzione delle sentenze d’appello:
a) l’art. 373 c.p.c. è inapplicabile, perché le sentenze, a differenza dell’atto impositivo, non sono suscettibili di sospensione;
b) l’atto impugnato può essere sospeso in via cautelare in appello, in base al combinato disposto degli artt. 47 e 61 del d.lgs.;
c) l’art. 61, nel rinviare alle norme dettate per il procedimento di primo grado limitatamente allo svolgimento del «procedimento di appello», esclude la sospensione dell’esecuzione dell’atto impositivo dopo la pronuncia di secondo grado (ad esempio, in caso di impugnazione per cassazione);
d) poiché l’esigenza di misure cautelari può insorgere anche dopo la sentenza di appello, la suddetta normativa processuale mostra una lacuna contrastante con la Costituzione, data la coessenzialità della tutela cautelare alla tutela dei diritti (C. cost., 28.6.1985, n. 190; C. cost., 23.6.1994, n. 253, che hanno superato l’affermazione della C. cost., 1.4.1982, n. 63, secondo cui «la potestà cautelare non costituisce una componente essenziale della tutela giurisdizionale»);
e) le censure di incostituzionalità, pertanto, dovrebbero riguardare non già l’art. 49 del d.lgs., nella parte in cui esclude l’applicabilità dell’art. 373 c.p.c., ma il combinato disposto degli artt. 47, 49, 61, 68 del d.lgs., nella parte in cui non prevede la sospendibilità cautelare dell’atto impositivo dopo la sentenza di appello.
2.2 La tesi sull’efficacia esecutiva della sentenza tributaria e dell’atto impositivo
In base ad una seconda impostazione, l’esecuzione dell’atto impositivo, per effetto della sentenza tributaria, è quantitativamente condizionata al contenuto della sentenza, in ragione di un criterio di riscossione frazionata del tributo in pendenza del processo (beninteso, per i tributi per cui sia previsto tale frazionamento), fissato dall’art. 68 del d.lgs., il quale è inserito in un capo relativo all’«esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie».
Ne deriverebbe che, dopo la sentenza di primo grado, l’efficacia dell’atto impositivo si combinerebbe con quella della sentenza e che la sospensione dell’esecuzione dell’atto impositivo (venuta meno con la sentenza) sarebbe distinta e diversa da quella della sentenza, con la conseguenza che la sospensione dell’esecuzione della sentenza (di primo o secondo grado) influenzerebbe necessariamente l’esecuzione dell’atto impositivo, attraverso la riscossione frazionata.
Diventa, perciò, rilevante la praticabilità di una interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 49 del d.lgs: l’applicabilità al processo tributario dell’inibitoria di cui all’art. 373 c.p.c. comporta l’esclusione di profili di incostituzionalità; l’inapplicabilità comporta, invece, che la questione di costituzionalità (in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.) è, alternativamente, non fondata, ove si segua la tesi secondo cui la tutela cautelare «deve ritenersi costituzionalmente imposta solo fino al momento in cui non intervenga nel processo una pronuncia di merito» (C. cost. n. 165/2000; C. cost. ordd. n. 217/2000 e n. 325/2001); oppure fondata, ove si segua la tesi per cui la tutela cautelare, in quanto coessenziale alla tutela dei diritti, deve sussistere per tutta la durata del processo.
2.3 La tesi sull’efficacia esecutiva della sentenza
Una terza ricostruzione, muovendo dal medesimo presupposto di quella precedente, afferma che l’esecuzione dell’atto impositivo è quantitativamente condizionata dal contenuto della sentenza tributaria, in ragione del già visto criterio di riscossione frazionata dei tributi in pendenza di giudizio (art. 68). Con la sentenza di primo grado, infatti, l’efficacia dell’atto impositivo si combina con quella della sentenza ed è assorbita in questa. Ne viene tratta la conseguenza che la sentenza si sostituisce all’atto impositivo, assumendo una assorbente efficacia esecutiva propria (ancorché modulata sul contenuto dell’atto), tanto che la riscossione frazionata del tributo si effettua in base al tenore della pronuncia8. Un elemento testuale in tal senso si desume dalla menzionata rubrica del capo IV della sezione IV del titolo II del d.lgs. («L’esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie»), comprensivo dell’ art. 68, cosí che la riscossione del tributo in pendenza del processo costituisce «esecuzione» non dell’atto impositivo, ma «delle sentenze delle commissioni tributarie». Sotto questo profilo, la sospensione dell’esecuzione della sentenza non è distinta da quella dell’atto impositivo, in quanto la prima implica di fatto l’altra.
Analogamente alla ricostruzione vista nel precedente paragrafo, diventa rilevante la praticabilità di una interpretazione orientata a Costituzione dell’art. 49 del d.lgs.
In caso di ritenuta applicabilità dell’art. 373 c.p.c., la norma non sarebbe incostituzionale; in caso di ritenuta inapplicabilità, la questione di costituzionalità (in riferimento alla lesione del diritto di difesa e di uguaglianza) sarebbe, anche qui, alternativamente, non fondata, per chi ritenga che la tutela cautelare è garantita dalla Costituzione solo fino alla pronuncia di una sentenza di merito; oppure fondata, per chi ritenga che detta tutela debba permanere durante tutto il processo.
Come osservato al § 2., le esaminate pronunce del 2012 non contengono valutazioni complessive sulla tutela cautelare tributaria e pongono, perciò, il problema del loro rapporto con le sopraindicate ricostruzioni dogmatiche.
Quanto alla ricostruzione sub § 2.1, l’assunto per cui nel processo tributario si dà esecuzione e sospensione dell’atto impositivo e non della sentenza, sembra smentito:
a) dal d.lgs., nel quale si fa piú volte menzione dell’«esecuzione delle sentenze tributarie» (§ 2.2) ed in base al quale il tributo è riscosso in misura frazionata (art. 68), a seconda del contenuto della sentenza e, quindi, non del solo atto impositivo;
b) dall’apposizione della formula esecutiva sulla sentenza definitiva, ai sensi dell’art. 475 c.p.c.
La contraria affermazione dell’ordinanza della Consulta n. 119/2007 (§ 2.1), pare risolversi in un immotivato obiter dictum. Anche l’assunto per cui la garanzia costituzionale della tutela cautelare riguarda solo la fase anteriore alla pronuncia di merito (§ 2.2) non pare solido.
La quasi unanime dottrina, infatti, ha giustamente sottolineato che la tutela cautelare è coessenziale alla tutela dei diritti ed è necessaria durante tutto il processo (pena la violazione degli artt. 3 e 24 Cost.), potendo considerarsi non incostituzionali solo discipline che non istituiscano un reclamo cautelare o vietino di riproporre la medesima istanza in base agli stessi elementi.
L’impostazione sub § 2.2 sfocia in una costruzione complessa, che non sembra dare ben conto della necessità di distinguere (eventualmente cumulandole, dopo la pronuncia di primo grado) le tutele cautelari concernenti l’atto impositivo e la sentenza. Non sarebbe ragionevole neppure limitare l’oggetto della sospensione alla sentenza, escludendo l’atto, o viceversa. Si è già notato, poi (§ 2.1), che l’art. 47, in coerenza con la legge di delegazione, circoscrive gli effetti della sospensione dell’efficacia dell’atto impositivo a non oltre la decisione di primo grado e che, anche ove (tramite l’art. 61) si ritenesse applicabile nel «procedimento d’appello» l’art. 47, questo non potrebbe comunque operare dopo la sentenza che chiude tale grado. Infine, anche tale ricostruzione pare trascurare i menzionati dati testuali ricavabili dal d.lgs. e relativi all’«esecuzione delle sentenze» mediante la riscossione frazionata del tributo, ai sensi dell’art. 68.
Quanto all’impostazione sub § 2.3, occorre considerarne l’assunto di partenza, secondo cui, ai fini della riscossione, la sentenza si sostituisce all’atto impositivo, con una assorbente efficacia esecutiva propria, ancorché modulata sul contenuto dell’atto medesimo.
Tale assunto non solo ha il vantaggio di consentire (al pari dell’impostazione precedente) una interpretazione adeguatrice dell’art. 49 del d.lgs., circa l’applicabilità dell’art. 373 c.p.c. in riferimento alla sospensione dell’esecuzione della sentenza tributaria, ma appare anche piú fedele alla littera legis, semplificando i rapporti tra la sospensione dell’efficacia dell’atto e quella dell’esecuzione della sentenza. In particolare, consente sia di rendere ragione della rilevata limitazione temporale della sospensione dell’efficacia dell’atto impositivo (art. 47, co. 7); sia di porre rimedio al fatto che la riscossione frazionata del tributo in pendenza di giudizio (art. 68 del d.lgs.)9 non solo non riguarda gli atti per i quali non è prevista tale riscossione, ma neppure fa venir meno le esigenze cautelari (anche una esecuzione parziale può arrecare danno). In questa prospettiva, potrebbe osservarsi che la sospendibilità in appello dell’applicazione delle sanzioni tributarie riguarda l’atto di irrogazione e non la sentenza e che, comunque, tale potere di sospensione può piú facilmente ricondursi ad una speciale applicazione del principio della piena tutela cautelare che non ad una ingiustificata eccezione dell’opposto principio di una tutela limitata.
1 Cass., 31.3.2010, n. 7815 e Cass., 13.10.2010, n. 21121.
2 C. cost., 31.5.2000, n. 165; C. cost. ord., 19.6.2000, n. 217; C. cost. ord., 27.7.2001, n. 325; C. cost. ord., 5.4.2007, n. 119.
3 Per la limitazione del richiamo all’art. 337, invece, Russo, P., Manuale di diritto tributario, Il processo tributario, Padova, 2005, 45-46.
4 Cass. n. 2845/2012 ha riconosciuto la necessità anche del requisito del fumus boni iuris per l’accoglimento della richiesta cautelare di cui all’art. 373 c.p.c. (requisito non sempre richiesto in precedenza), con ciò aderendo (anche su tale punto) all’impostazione di C. cost. n. 217/2010.
5 Sentenza di non fondatezza (anziché di inammissibilità), perché la Corte ha negato la fondatezza degli argomenti con cui il rimettente ha motivato (in esplicito contrasto con la sent. n. 217/2010) l’impossibilità di una interpretazione conforme a Costituzione. L’infondatezza non manifesta delle deduzioni del giudice a quo spiega la forma di sentenza (anziché di ordinanza).
6 Entrambe sono ordinanze di manifesta inammissibilità per mancato tentativo di pervenire ad una interpretazione adeguatrice.
7 Montanari, M., Commento agli artt. 47 e 47-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, in Consolo, C.-Glendi, C., Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2008, 475 ss.; Glendi, C., Dubbi di costituzionalità sulla mancata previsione della tutela cautelare in appello, in Corr. trib., 2009, 53 ss.; Tesauro, F., Manuale del processo tributario, Torino, 2009, 119 ss.
8 Denaro, M., Comm. trib. reg. di Napoli n. 4 del 13 ottobre 2008: la mancata previsione della sospensione cautelare nel giudizio di appello di nuovo all’esame della Consulta, in Fisco, 2008, 7961 ss.
9 Lovisolo, A., Gli accertamenti «impo-esattivi», la riscossione frazionata e la tutela cautelare oltre il 1° grado di giudizio, in Dir. prat. trib., 2012, I, 85 ss.