PROCESSO (XXVIII, p. 274)
In quest'ultimo decennio la legislazione processuale italiana (come in genere tutta la legislazione in ogni campo) ha attraversato un periodo di accelerata trasformazione e di assestamento, che non è ancora compiuto: portata a compimento nel 1940-42 la nuova codificazione, subito sopravvenne il periodo critico della guerra in cui ogni legge rischiò di cadere in collasso; poi, terminata la guerra, la instaurazione della repubblica e l'entrata in vigore della nuova costituzione hanno reso necessaria una revisione generale della precedente codificazione, per riportarla in armonia coi principî di libertà e di democrazia che stanno alla base del nuovo ordinamento repubblicano.
Il processo civile. - I principî ispiratori del processo civile accolti dal codice 1865 furono profondamente riveduti e modificati nella generale riforma introdotta dal codice di procedura civile entrato in vigore nel 1942 e, in coerenza coi nuovi principi accolti, tutta la struttura del vecchio processo fu rinnovata. (Per i precedenti e per la composizione del codice di procedura civile v. codice, in questa seconda App., I, p. 634).
L'organo per il quale la struttura del nuovo processo civile più si differenzia da quella del codice precedente è il giudice istruttore, nel quale si è cercato di attuare in maniera originale quei principî, estranei al codice del 1865, della oralità e della immediatezza (dei quali si fece banditore in Italia G. Chiovenda), che costituiscono la parte più originale e più viva di questo codice, punto di arrivo, a sua volta, di tutto un movimento scientifico di riforma che era in corso da più di mezzo secolo, e di cui prima Ludovico Mortara, e poi (con maggior senso storico e insieme con maggior senso delle esigenze tecniche della giustizia moderna) Giuseppe Chiovenda furono i più autorevoli animatori. Il sistema processuale adottato dal codice del 1940 - per quanto il suo compimento abbia coinciso con gli ultimi anni del regime fascista - non ha infatti alcuna di quelle stigmate di degenerazione autoritaria e poliziesca, che erano così evidenti nella legislazione processuale della Germania nazista.
Il processo civile, com'è costruito dal codice del 1942, è strumento di legalità, fondato non sul potere inquisitorio del giudice, ma sul principio dispositivo e sull'impulso di parte: i poteri istruttorî del giudice, anche se più estesi di quelli consentiti dal vecchio codice, corrispondono a esigenze non di ordine politico ma di ordine tecnico, in conformità di quella esperienza che ha portato tutte le legislazioni processuali moderne, anche quelle degli stati liberali e democratici, a conferire al magistrato gli strumenti tecnici che gli occorrono per esercitare utilmente la sua funzione di giudicante, e per ricercar la verità ove l'iniziativa delle parti manchi o degeneri.
Non si può d'altro canto dimenticare che il punto d'incontro che le leggi processuali stabiliscono tra i poteri del giudice e l'iniziativa delle parti è, per così dire, la proiezione nel processo di quell'equilibrio tra l'interesse pubblico e l'interesse privato che è in continua evoluzione nel campo della legislazione sostanziale, sicché il processo è quasi l'ago registratore di questo progressivo moto di "pubblicizzazione" del diritto privato che è fatalmente in corso negli ordinamenti giuridici di tutto il mondo. È da prevedere perciò che il processo civile entrato in vigore nel 1942 rimarrà anche in avvenire immutato nelle sue grandi linee e che per molto tempo le riforme di esso si limiteranno a qualche ritocco particolare, volto a correggere i difetti e le lacune che nel funzionamento di questi primi anni si sono rivelati non tanto nel sistema, quanto nel funzionamento imperfetto di singoli congegni processuali, difetti in gran parte derivanti dall'aver messa in vigore una riforma processuale di quella portata in un momento (1942) di caotica crisi di tutte le istituzioni.
Nella costituzione della repubblica italiana si trovano consacrati in appositi articoli i principî fondamentali ai quali deve ispirarsi l'amministrazione della giustizia, e, di conseguenza, in funzione di essi, la struttura del processo. Ma la recezione nella costituzione di questi principî non porterà a modificazioni di struttura del processo civile vigente (lo stesso non si può dire per il processo penale), perché già nel codice in vigore tali principî hanno il loro riconoscimento pratico sicché la loro inserzione nella costituzione avrà soltanto l'effetto di rafforzarli e di dare d'ora in avanti valore, anche formalmente costituzionale, a certi istituti di cui già i processualisti avevano riconosciuto la fondamentale importanza nel proceso.
Tali l'autonomia dell'azione (ora consacrata nell'art. 24, primo comma, e nell'art. 113 della cost.); la garanzia del contraddittorio (art. 24, secondo comma); il principio di legalità che regge tutto il nostro ordinamento (articolo 101 cost.); l'autonomia dell'ordine giudiziario (art. 104); il dovere della motivazione (art. 111); la impugnabilità di tutte le sentenze; la tutela giurisdizionale sempre ammessa anche contro la pubblica amministrazione (art. 113).
Importanti adattamenti dovranno essere introdotti nel processo civile in seguito all'entrata in funzione della Corte costituzionale: perché, se ad essa sarà riservato (art. 134 e segg. cost., e legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1) l'ufficio di decidere sulla illegittimità costituzionale delle leggi, tale questione potrà però essere sollevata incidentalmente dalle parti o dal giudice nel corso di ogni processo: il quale, in seguito alla proposizione di questa "pregiudiziale di illegittimità costituzionale" dovrà rimanere sospeso fino a che la Corte costituzionale non si sarà pronunciata in proposito. Per evitare che di questa nuova causa di sospensione legale del processo le parti abusino a scopo dilatorio, la legge del 1° febbraio 1948, art.1, dà al giudice il potere di non tener conto dell'eccezione di incostituzionalità tutte le volte che egli la ravvisi "manifestamente infondata": con che si viene a dare a tutti i giudici un importante potere di delibazione negativa sulla legittimità costituzionale delle leggi, che dovrà essere disciplinato con apposite norme processuali per evitare che con esso si venga praticamente ad annullare il potere di decisione riservato alla Corte costituzionale.
L'istruzione della causa. - Il cod. proc. civ. 1942 ha regolato l'istruzione civile (v. istruzione, XIX, p. 690; App. I, p. 742) in maniera semplice e chiara (articoli 175-274; 78-112 disp. attuaz.; relaz. min. nn. 20-24; circolare del guardasigilli 14 aprile 1942, n. 2690). Mentre le leggi processuali precedenti parlavano di istruzione della causa solo in modo generico, nel nuovo codice la parola istruzione è stata adoperata per indicare una determinata fase, cronologicamente e funzionalmente ben individuata, del procedimento di cognizione; fase talmente distinta dalle altre, che si è istituito per il compimento di essa un apposito organo, il giudice istruttore, fornito per quel dato processo di una sua propria competenza funzionale (articoli 175-179) e contrapposto all'organo decidente, che entra in funzione solo nella fase, successiva, della decisione della causa (articoli 275-281). La distinzione tra fase istruttoria e fase decisoria, meno netta e precisa dinanzi agli organi costituiti da una sola persona fisica (giudice unico: pretore, conciliatore), che istruisce la causa e la decide, è invece chiaramente delineata nei giudizî dinanzi ai tribunali e alle corti d'appello, nei quali, mentre l'organo addetto alla fase istruttoria è costituito da una sola persona fisica (giudice istruttore), l'organo decidente è collegiale. Lo stesso non avviene nei giudizî dinanzi alla Corte di cassazione, nei quali, data la natura di questo organo supremo che decide del diritto e non del fatto, manca una fase propriamente istruttoria.
L'istruzione è una fase propria del solo processo di cognizione; anche nel processo esecutivo c'è un organo, il cosiddetto "giudice dell'esecuzione", art. 484, che svolge un'attività preparatoria paragonabile, sotto certi aspetti, a quella del giudice istruttore pur senza quello che è il compito essenziale del giudice istruttore, cioè la indagine sui fatti e la raccolta delle prove. Sotto questo aspetto la istruzione civile somiglia per la sua funzione, oltre che per la terminologia, alla istruzione penale; ma le differenze sono profonde, perché il giudice istruttore del processo civile è nominato di volta in volta per il singolo processo e non ha carattere di organo permanente come in penale e perché la istruzione civile non si contrappone, come quella penale al giudizio e non può mai conchiudersi in sé stessa rendendo inutile il giudizio (sentenza istruttoria di proscioglimento), ma è sempre una fase preparatoria del giudizio, che trova la sua normale conclusione nella fase decisoria dinanzi all'organo giudicante.
Nel processo civile, dovendo il giudice civile decidere secundum allegata et probata partium, gli è necessario, prima che egli possa applicare ai fatti il diritto, essere esattamente informato dei termini della contesa quali risultano dalle contrapposte difese delle parti e delle prove. In relazione a questa indagine preparatoria, il procedimento di cognizione dinanzi agli organi collegiali è stato costruito dal Codice di procedura civile 1942 partendo da questa premessa: che sia opportuno tener nettamente distinto, non solo cronologicamente ma anche organicamente, il periodo in cui si raccolgono i cosiddetti "materiali di fatto" attinenti alla controversia, dal periodo in cui, essendo compiuta la raccolta di questi elementi di informazione, si passa a giudicare delle conseguenze giuridiche di essi e che sia opportuno far corrispondere a questi due periodi l'attività di due diversi organi, ciascuno dei quali sia idoneo alle speciali esigenze tecniche e psicologiche del lavoro che gli è affidato, dando cioè all'organo incaricato della raccolta istruttoria la maggior semplicità e agilità che gli può derivare dall'esser costituito da una sola persona fisica a contatto delle parti e lasciando all'organo collegiale la responsabilità della decisione.
Secondo il codice vigente il procedimento di cognizione dinanzi ai tribunali si divide in tre fasi: la introduzione (articoli 163-174), la istruzione (articoli 175-274), la decisione (articoli 275-281). La prima fase si svolge per iscritto e fuori di udienza: si inizia con la citazione che l'attore fa notificare al convenuto (art. 163), il quale risponde con la comparsa di risposta (art. 167); segue la costituzione in giudizio delle parti che avviene mediante deposito in cancelleria dei rispettivi fascicoli (articoli 165-166); e alla fine, su istanza scritta di una delle parti, il presidente nomina il giudice istruttore, "investito di tutta l'istruzione della causa e della relazione al collegio" (art. 174) e fissa l'udienza in cui le parti debbono comparire dinanzi a lui (art. 173). L'istruzione si inizia colla prima udienza di comparizione e termina coll'udienza nella quale il giudice istruttore, ritenendo esaurita la istruzione, rimette le parti al collegio (art. 188): tutta questa fase si svolge oralmente (art. 180), nell'ufficio del giudice istruttore, in presenza di lui e del cancelliere che redige il processo verbale, ma senza pubblicità. Alla chiusura della istruzione segue la fase decisoria (art. 275), che comprende la discussione orale della causa in pubblica udienza dinanzi al collegio di cui fa parte il giudice istruttore in qualità di relatore, la deliberazione collegiale della decisione nel segreto della camera di consiglio (art. 276), la pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria (art. 279).
Posta a mezza strada tra la fase introduttiva e la fase decisoria, la istruzione rappresenta veramente, non solo per la sua collocazione ma altresì per la sua importanza, la fase centrale del processo, tale da permettere al giudice istruttore di svolgere in maniera utile la sua funzione direttiva nel seguito del procedimento (art. 175), nel quale si svolge quella somma di svariata attività che il codice denomina trattazione della causa: espressione comprensiva, in cui rientrano tutti gli atti che il giudice istruttore ritenga di dover compiere o di dover ordinare alle parti per arrivare a considerare istruita la causa, cioè processualmente regolata e corredata di tutto ciò che occorre perché il collegio possa, senza bisogno di ulteriori indagini, deciderla.
In particolare il giudice istruttore: a) verifica preliminarmente se il processo è stato regolarmente costituito e, ove rilevi certe irregolarità, dà i provvedimenti opportuni per rimediarvi (articoli 181-182; cfr. anche articoli 269-270); b) dirige il contraddittorio orale delle parti in sua presenza (articoli 183-184); c) ove la natura della causa lo consenta, fa il tentativo di conciliazione (art. 185); d) provvede, ove sia necessario, ad assumere le prove (art. 188: questa fase dell'istruzione si denomina istruzione probatoria, articoli 191-266); e) provvede, quando l'istruzione è esaurita e chiusa, a rimettere la causa al collegio per la decisione (art. 189).
I provvedimenti del giudice istruttore hanno di regola la forma di ordinanza (articoli 134, 176-186); le ordinanze, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la causa, in quanto di regola possono sempre essere modificate o revocate dal giudice che le ha pronunciate; e quando la causa è rimessa al collegio, questo può riprendere in esame, senza bisogno di reclamo, tutte le questioni già risolte dalle ordinanze istruttorie (articoli 177-178: eccezioni, art. 177 capov. e art. 179). Questo sistema ha il vantaggio di evitare che contro ogni ordinanza del giudice istruttore le parti possano reclamare al collegio, interrompendo così il corso dell'istruzione: quando nel corso dell'istruzione si presenti qualche questione pregiudiziale attinente al processo o qualche questione preliminare di merito la cui decisione potrebbe definire il giudizio, il giudice istruttore può rimettere le parti al collegio, affinché la questione sia decisa separatamente, ovvero disporre con ordinanza che sia accantonata per esser decisa alla fine unitamente al merito (art. 187). Questo potere di ordinanza è particolarmente utile durante la istruzione probatoria, quando il giudice istruttore decide sulla ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova (art. 187, comma quarto), e procede successivamente all'assunzione di quelli ammessi (articoli 191-266). Con questo sistema si è ottenuto di garantire nel miglior modo possibile la unicità del procedimento e della sentenza definitiva; mentre secondo il sistema del codice precedente il processo, per ogni questione che sorgesse sulla regolarità di esso o sull'ammissibilità di una prova, si spezzettava in tanti episodi, ognuno dei quali dava luogo a una sentenza interlocutoria separatamente impugnabile.
Anche quando eccezionalmente il collegio pronuncia una sentenza parziale (o perché il giudice istruttore abbia ritenuto necessario rimettere ad esso la decisione separata di una questione preliminare, art. 187; o perché il collegio ritenga opportuno limitare la sua decisione ad alcune domande, ordinando per il resto una ulteriore istruzione, articoli 277-280), ciò porta necessariamente ad un ritorno della causa dinanzi al giudice istruttore e ad una riapertura dell'istruzione sulle questioni non ancora decise dal collegio (articoli 279, 280, 281); ma non per questo si spezza l'unicità del processo nei gradi superiori perché, essendo vietata la impugnazione separata delle sentenze parziali (art. 340, art. 360, ultimo comma), l'unicità si ricostituisce poi in sede di impugnazione, dove i gravami contro le diverse sentenze si riuniscono in un solo procedimento.
L'istruzione civile così congegnata si ispira in larga misura ai principî dell'oralità e dell'immediatezza, insegnati da Giuseppe Chiovenda: in tutta la fase istruttoria le parti stanno a contatto immediato col giudice, e le loro difese si svolgono oralmente. Dopo lo scambio delle scritture preparatorie iniziali, solo eccezionalmente il giudice istruttore può autorizzare le parti a presentare memorie scritte (art. 183 ultimo comma); chiusa l'istruzione, anche la trattazione della causa dinanzi al collegio si svolge oralmente, ma è preceduta dallo scambio, cinque giorni prima dell'udienza, delle comparse conclusionali (art. 190).
A questo sistema del codice ha portato notevoli modificazioni il decr. legislativo 5 maggio 1948, n. 483, che doveva entrare in vigore il 1° gennaio 1949, ma che è stato sospeso, in attesa di qualche miglioramento, dalla legge 29 dicembre 1948, n. 1470. Secondo le norme originarie di tale decreto legisl., la citazione si fa a udienza fissa, con invito a comparire dinanzi al giudice istruttore designato dal presidente (art. 4); le ordinanze del giudice istruttore sono impugnabili con reclamo al collegio, avente efficacia sospensiva (articoli 8 e 9); nuove deduzioni e produzioni sono sempre ammissibili dinanzi al giudice istruttore finché la istruttoria non sia chiusa (art. 13); le sentenze parziali sono separatamente impugnabili (art. 16); anche le ordinanze del collegio col quale questo abbia deciso questioni relative all'istruzione della causa, possono essere in certi casi impugnate prima della sentenza definitiva, in modo tale da costituire un ritorno, sia pur larvato, al sistema delle interlocutorie separatamente impugnabili e allo spezzettamento del processo che ne era la deplorata conseguenza. Un giudizio sicuro sul valore di questa riforma si potrà dare soltanto dopo che la sua entrata in vigore avrà permesso di sperimentarne gli effetti pratici; ma le critiche fatte dalla dottrina al testo originario del decreto 5 maggio 1948 sono fin da ora severissime e gli effetti si prevedono deleterî.
Estinzione del processo. - Secondo il codice 1942 l'estinzione del processo si produce per rinuncia agli atti del giudizio (art. 306) o per inattività delle parti (articoli 307-309). La disciplina della rinuncia agli atti del giudizio è analoga a quella del cod. 1865. L'estinzione per inattività delle parti costituisce un nuovo istituto, simile negli effetti alla perenzione d'istanza (articoli 338-342 cod. proc. civ. 1865), ma molto diverso da questa nella sua struttura. Il concetto che il processo potesse continuare a pendere, nell'inattività delle parti, per un periodo di notevole lunghezza, mantenendo in vita gli effetti processuali e sostanziali della citazione, e che ad interrompere tale periodo potesse essere sufficiente un qualsiasi atto di procedura, è sembrato incompatibile con il nuovo sistema, dominato dall'impulso di ufficio e dalla tendenza ad accelerare il ritmo del processo. Pertanto, il legislatore ha congegnato il nuovo processo in modo che ogni specifico atto processuale sia concatenato, mediante un breve termine perentorio, fissato dalla legge o dal giudice, a quello che deve immediatamente seguirlo, talché se l'atto successivo non è compiuto entro il termine stabilito, la catena si spezza e il processo si estingue.
L'estinzione è dichiarata con ordinanza, anche d'ufficio (art. 307, 2° comma), mentre la perenzione non poteva essere dichiarata se non fosse stata eccepita dalla parte (art. 340 cod. proc. civ. 1865). Non può tuttavia essere dichiarata l'estinzione, cioè questa si ha per non avvenuta, se pure essendo stato il processo proseguito o riassunto fuori del termine, sia successivamente intervenuta sentenza o sia stata data esecuzione a un'ordinanza istruttoria.
Verificatasi l'estinzione, sia per rinuncia agli atti del giudizio sia per inattività delle parti, l'azione non si estingue, e quindi le parti possono iniziare ex novo il processo per far valere il loro diritto (art. 310, 1° comma; analogamente per la perenzione l'art. 341 cod. proc. civ. 1865). Gli atti compiuti nel processo estinto restano inefficaci, salvo le sentenze di merito e quelle regolatrici della competenza.
A temperare la gravità dell'istituto dell'estinzione nei suoi riflessi di carattere sostanziale, il nuovo cod. civ. ha stabilito (art. 2945, 3° comma) che, verificatasi l'estinzione del processo, rimanga fermo l'effetto interruttivo della prescrizione, derivante dalla proposizione della domanda giudiziale, e che il nuovo periodo prescrizionale cominci a decorrere dalla data dell'atto interruttivo. Per il cod. civ. abrogato, invece, una volta perenta la domanda giudiziale, la prescrizione si aveva come non mai interrotta (art. 2128).
L'estinzione del procedimento d'impugnazione (appello o revocazione nei casi dell'art. 395 cod. proc. civ. nn. 4 e 5) fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti (cioè la sentenza sia stata riformata) con provvedimenti (anche ordinanze) istruttorie (art. 356 cod. proc. civ.); pronunciati nel procedimento estinto (art. 338 cod. proc. civ.; cfr. analogamente l'art. 341, 2° comma cod. proc. civ. 1865).
L'estinzione del giudizio di rinvio travolge l'intero processo, e quindi, trattandosi di rinvio in grado d'appello, pone nel nulla anche la sentenza di primo grado, salvo l'effetto vincolante della sentenza della cassazione nel nuovo processo che sia instaurato (art. 393 cod. proc. civ.).
L'estinzione del processo d'esecuzione si verifica per le stesse cause già indicate a proposito del processo di cognizione (articoli 629-631).
Nel decr. legisl. 5 maggio 1948, contenente modificazioni al cod. proc. civ. è stato stabilito che alla mancata costituzione delle parti e alla diserzione bilaterale dell'udienza non segua più l'estinzione immediata, restando invece alle parti la possibilità di riassumere il processo entro un anno; sono stati poi prolungati i varî termini perentorî, e la dichiarazione di estinzione è stata subordinata all'istanza di parte.
Bibl.: Sugli aspetti generali e politici della riforma, cfr. specialmente: P. Calamandrei, Studî sul processo civile, V, Padova 1947; id., Istituzioni di diritto processuale civile, I, 2ª ed., Padova 1943; id., Commemorazione di G. Chiovenda, in Rivista di diritto processuale civile, I, 1947. Cfr. inoltre: S. Satta, Guida pratica per il nuovo processo civile italiano, 2ª ed., Padova 1942; F. Carnelutti, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, 2ª ed., Roma 1942; G. A. Micheli, Sospensione, interruzione e estinzione del processo, in Rivista di diritto processuale civile, I, 1942; M. T. Zanzucchi, Il nuovo diritto processuale civile, 3ª ed., Milano 1942 segg.; V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 2ª ed., Napoli 1943-47; E. Redenti, Diritto processuale civile, Milano 1947-49; S. Satta, Diritto processuale civile, Padova 1948.