Procopio
Nato a Cesarea di Palestina verso la fine del 5° sec. e morto intorno al 565, P. fu una figura di rilievo della corte imperiale bizantina e ricoprì anche la carica di prefetto di Costantinopoli. Storico di corte dell’imperatore Giustiniano, è autore di una Storia delle guerre (Οƒ ὑπὲρ τῶν πολέμων λόγοι) in otto libri, di ispirazione erodotea e tucididea, che tratta delle campagne militari condotte in età giustinianea – alle quali P. aveva preso parte in qualità di consigliere giuridico e segretario di Belisario –, ma che di fatto costituisce una storia generale del regno di Giustiniano; della cosiddetta Storia segreta (Τὰ ἀνέκδοτα, letteralmente «Storia inedita»), libello incompiuto nel quale sono narrati i vizi e gli intrighi della corte di Costantinopoli (non esclusa la vita privata di Giustiniano, dell’imperatrice Teodora, di Belisario e della moglie di quest’ultimo Antonina), la cui autenticità è stata messa in dubbio sin dalla pubblicazione dell’editio princeps nel 1623 ma oggi è generalmente accolta; e di un trattato a carattere encomiastico sugli edifici fatti costruire da Giustiniano in tutto l’impero (Περὶ κτισμάτον, Degli edifici).
La Storia delle guerre fu pubblicata inizialmente in traduzioni latine parziali (la princeps del testo greco è del 1607), la prima delle quali fu nel 1470 quella di Leonardo Bruni (Leonardi Aretini De bello Italico adversus Gothos, 1470); secondo Francesco Bausi (p. 356 nota 36 dell’ed. dei Discorsi, 2001), i primi quattro libri potevano essere noti a M. nella latinizzazione di Raffaele Maffei (De bello Persico, 1509), come sembrerebbe confermare la citazione latina riportata nei Discorsi (cfr. subito infra), che pure presenta una leggera variante. M. menziona esplicitamente P. in un passo dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (II viii 20-21, nel capitolo intitolato La cagione perché i popoli si partono da’ luoghi patrii e inondano il paese altrui), derivato dall’opera dello storico bizantino (IV x 13-22):
E, perché io ho detto di sopra che qualche volta tali popoli sono cacciati dalla propria sede per guerra donde sono constretti cercare nuove terre, ne voglio addurre lo esemplo de’ Maurusii [scilicet Mori], popoli anticamente in Sorìa; i quali, sentendo venire i popoli ebraici e giudicando non potere loro resistere, pensarono essere meglio salvare loro medesimi e lasciare il paese proprio che, per volere salvare quello, perdere ancora loro; e levatisi con loro famiglie se ne andarono in Africa, dove posero la loro sedia, cacciando via quelli abitatori che in quegli luoghi trovarono. E così quegli, che non avevano potuto difendere il loro paese, potettono occupare quello d’altrui; e Procopio, che scrive la guerra che fece Belisario coi Vandali occupatori della Africa, riferisce avere letto lettere scritte in certe colonne ne’ luoghi dove questi Maurusii abitavano, le quali dicevano: «Nos Maurusii, qui fugimus a facie Iesu latronis filii Navae»; dove apparisce la cagione della partita loro di Sorìa [nella versione di Maffei ricordata supra: «Nos a facie fugimus Iesu praedonis filii Navae»].
L’opera di P. (I vii) è quasi certamente la fonte, in questo caso non esplicitamente indicata, anche di un altro episodio narrato nei Discorsi (II xxvi 4-5, nel capitolo intitolato Il vilipendio e l’improperio genera odio contro a coloro che l’usano, sanza alcuna loro utilità), che altri ritengono invece – meno persuasivamente – tratto da Ammiano Marcellino (XIX i e segg., riferito a un episodio storico differente):
Di che ne seguì già uno esemplo notabile in Asia, dove Gabade, capitano de’ Persi, essendo stato a campo a Amida più tempo e avendo deliberato, stracco dal tedio della ossidione, partirsi, levandosi già con il campo, quegli della terra venuti tutti in su le mura, insuperbiti della vittoria, non perdonarono a nessuna qualità d’ingiuria, vituperando, accusando e rimproverando la viltà e la poltroneria del nimico. Da che Gabade irritato, mutò consiglio, e, ritornato alla ossidione, tanta fu la indegnazione della ingiuria che in pochi giorni gli prese e saccheggiò.
P. motiva diversamente la decisione di riprendere l’assedio, che sarebbe stata dovuta a un auspicio favorevole tratto dal gesto osceno che le meretrici della città avevano rivolto agli assedianti; ma la ragione della modifica apportata al racconto da M. nella propria versione potrebbe essere, verosimilmente, la necessità di trovare in tal modo conferma alla tesi che sta sostenendo. È possibile inoltre che da P. – in questo caso, dalla latinizzazione di Bruni citata supra più probabilmente che da altre – derivino alcuni episodi narrati nel primo libro delle Istorie fiorentine, tra i quali si vedano in particolare I i 15 («Di che ne seguì che i Vandali, i quali avevano occupata quella parte della Spagna detta Betica, sendo combattuti forte da’ Visigoti e non avendo rimedio, furono da Bonifazio, il quale per lo Imperio governava Affrica, chiamati che venissero ad occupare quella provincia; perché, sendosi ribellato, temeva che il suo errore non fusse dallo imperadore ricognosciuto»; da confrontare con Procopio, III iii, 22-25) e I iii 7 («La quale [Eudossa], desiderosa di vendicare tale ingiuria, non potendo, nata di sangue imperiale, sopportare le nozze d’uno privato cittadino, confortò secretamente Genserico, re de’ Vandali e signore di Affrica, a venire in Italia, mostrandogli la facilità e la utilità dello acquisto»; da confrontare con Procopio, III iv, 37-39).
P. è inoltre nominato in una lettera a M. di Francesco Vettori (23 nov. 1513, Lettere, pp. 291-93) nel contesto di un elenco di storici antichi e in particolare, insieme a Erodiano e Ammiano Marcellino, tra «quelli altri che scrivono delli imperatori» (p. 292; secondo Corrado Vivanti, Lettere, pp. 1571-72 nota 14, Vettori leggeva probabilmente la versione di Cristoforo Persona, De bello Gottorum, 1506; sul passo si vedano: G. Sasso, Niccolò Machiavelli. Storia del suo pensiero politico, 1980, pp. 296-97; G. Barberi Squarotti, Machiavelli o la scelta della letteratura, 1987, pp. 215-17).
Bibliografia: R.T. Ridley, Machiavelli and Roman history in the Discourses, «Quaderni di storia», 1983, 9, 18, pp. 197-219; F. Bausi, Fonti classiche e mediazioni moderne nei Discorsi machiavelliani: gli episodi di Scipione, Torquato e Valerio, «Interpres», 1987, 7, pp. 159-90; M. Martelli, Machiavelli e i classici, in Cultura e scrittura di Machiavelli, Atti del Convegno, Firenze-Pisa 27-30 ottobre 1997, Roma 1998, pp. 279-309; M. Martelli, Machiavelli e gli storici antichi. Osservazioni su alcuni luoghi dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Roma 1998; G. Inglese, Per Machiavelli. L’arte dello Stato, la cognizione delle storie, Roma 2006.