Procreazione assistita
Per procreazione assistita si intende qualsiasi procedura messa in atto per facilitare l'incontro dello spermatozoo con l'ovulo, con esito fecondo, nel caso in cui si siano verificate difficoltà al concepimento. La gamma degli interventi è ampia e in funzione della causa della sterilità (v.). Le tecniche di procreazione assistita hanno sollevato, sin dal loro affermarsi, delicate questioni di carattere medico, sociale, giuridico ed etico.
1.
La procreazione dei Mammiferi, e particolarmente dell'uomo, porta le tracce di adattamenti successivi avvenuti durante l'evoluzione e queste memorie inscritte nel genoma sembrano comportarsi come fattori inibitori, che limitano la funzione procreativa mediante controlli marcatamente selettivi o meccanismi apparentemente inutili. Come negli altri campi delle scienze biologiche, la maggior parte delle ricerche attuali sulla procreazione si sviluppa a livello molecolare: caratterizzazione dei geni che regolano singole funzioni e dei geni mutati che inducono patologie. In questo quadro, proposte sempre più efficaci sono state avanzate a livello medico per contenere il numero delle nascite (contraccezione) o per aumentarlo nei casi di infertilità (procreazione assistita) oppure per evitare la nascita di bambini con patologie (diagnosi prenatale e aborto terapeutico). È importante inoltre sottolineare che, in virtù dei recenti e notevoli progressi dell'ostetricia e della perinatalogia nell'assistenza alle donne incinte, la maggior parte dei concepimenti che hanno superato il primo trimestre di gravidanza si conclude con la nascita di un bambino vivo. Sul successo generale della procreazione hanno influito i progressi medico-tecnici, le conquiste della ricerca scientifica e il miglioramento delle condizioni sociali e di vita (alimentazione della madre, qualità dell'acqua, igiene, riposo ecc.). Le probabilità di concepimento sono state stimate nelle coppie in età di procreare intorno al 30% per ciclo ovarico (v. fertilità).
All'incirca una donna su 7 consulta un medico per problemi di infertilità, che, come si è riconosciuto da pochi anni, non costituisce un'anomalia esclusivamente femminile: in un caso su tre ne è responsabile la donna, mentre in un caso su cinque l'infertilità è dovuta al maschio; essa è comunque più spesso di origine mista (40%) e rimane sconosciuta nell'8% dei casi. Tra le varie cause dell'infertilità, l'età della donna influisce più di quella dell'uomo, non solo perché il rischio di mortalità per l'embrione dopo il concepimento aumenta già dopo i 20 anni, ma soprattutto perché la probabilità di procreare diminuisce fortemente a partire dai 35 anni.
Sul finire del 20° secolo mutamenti nell'ambiente sociale e naturale sembrano avere fortemente perturbato la procreazione umana nei paesi industrializzati. C'è anzitutto il problema della posticipazione della maternità, collegata all'esigenza della donna di affermarsi nel mondo del lavoro: il calo sensibile della fertilità conseguente all'aumento dell'età materna è una delle cause per cui si ricorre alla procreazione assistita. Al tempo stesso numerosi studi mostrano un impoverimento nella qualità dello sperma; questo fenomeno, inquietante per la sua repentinità se si considera che il potere di fecondazione dello sperma si è mantenuto stabile per millenni, è stato attribuito all'inquinamento, ma le ragioni precise sfuggono tuttora. Anche in questo caso la procreazione assistita propone una gamma di soluzioni, come per es. l'iniezione dello spermatozoo direttamente nella cellula uovo. D'altra parte, talvolta la stessa procreazione assistita modifica le regole naturali della procreazione, aumentando, per es., di venti volte la frequenza delle nascite multiple.
Diversi interventi di carattere medico, tra i quali la procreazione assistita, aiutano le coppie sterili o poco fertili a generare; a differenza della contraccezione (v.), che è assai diffusa nel mondo occidentale (pillola e spirale in Europa; sterilizzazione in America Settentrionale), questi metodi riguardano, invece, solamente una minoranza della popolazione.
2.
L'espressione procreazione assistita, o più propriamente procreazione medico-assistita (PMA), è riferita agli interventi biomedici che mirano a ottenere la fecondazione senza rapporto sessuale, così come alle pratiche specifiche che precedono (prelievo e selezione dei gameti) oppure seguono (incubazione, selezione, congelamento, conservazione e trasferimento dell'embrione) tali interventi. Il ricorso a metodi non naturali è la risposta a impedimenti nella funzione procreatrice dell'uomo o della donna. Dato che, come avviene in tutti i Mammiferi, la fecondazione e la gravidanza si svolgono nell'organismo femminile, la procreazione assistita si è sviluppata in due direzioni: immettere il seme maschile nelle vie genitali femminili (inseminazione artificiale) o realizzare l'unione dei gameti (spermatozoo e cellula uovo) in una provetta (fecondazione in vitro, FIV) al fine di trasferire l'embrione nell'utero (FIV e trasferimento dell'embrione, FIVET: In vitro fertilization and embryo transfer). Questi metodi comportano tecniche diverse e si rivolgono a pazienti che presentano disturbi della fertilità di vario tipo. La procreazione assistita è nata con le prime pratiche di inseminazione artificiale sperimentate in Inghilterra nel 1780 e poco dopo in Francia. Non si trattò di un'invenzione ex novo: i medici non fecero altro che applicare una tecnologia utilizzata fin dal 14° secolo dagli arabi per selezionare i loro cavalli. Gli esiti furono modesti, nonostante le dichiarazioni trionfalistiche di questi pionieri della fecondazione assistita: lo sviluppo, nel corso dell'Ottocento, venne frenato dalla scarsità e dalla vaghezza delle indicazioni mediche per l'inseminazione artificiale vaginale (tanto sembrava insolito che un uomo non riuscisse a deporre il suo seme nella vagina senza ricorrere all'aiuto di un medico) e dal fatto che i medici ignoravano il momento favorevole per ottenere la fecondazione, intervenendo spesso impropriamente nei periodi mestruali. Tuttavia, più che l'incompetenza dei medici del tempo fu l'opposizione risoluta della Chiesa cattolica a ostacolare la diffusione e l'incipiente progresso di questa tecnica. Dopo la Seconda guerra mondiale, la possibilità di conservare lo sperma mediante tecniche di congelamento ha aperto nuove prospettive per l'inseminazione artificiale. Banche dello sperma sono sorte negli anni Sessanta del 20° secolo negli Stati Uniti e in Giappone e, a partire dal 1973, in Francia. La prima nascita di un bambino concepito con la fecondazione in vitro, fu quella di Louise Brown che avvenne nel 1978, a opera dell'équipe di R. Edwards dell'Oldham General Hospital di Manchester. A questa seguirono migliaia di nascite in tutto il mondo ottenute tramite le medesime procedure.
a) Inseminazione artificiale. Consiste nella deposizione degli spermatozoi in prossimità del canale cervicale o nella cavità uterina o ancora nelle tube o nella cavità peritoneale. Gli spermatozoi possono provenire dal coniuge della paziente inseminata (inseminazione artificiale intraconiugale od omologa) o da un donatore volontario (inseminazione artificiale extraconiugale o eterologa). L'inseminazione intraconiugale od omologa è proposta soprattutto a coppie infertili, quando gli spermatozoi sono o in quantità insufficiente o con mobilità ridotta oppure con morfologia anomala. Il suggerimento per un'inseminazione extraconiugale o eterologa è giustificato, oltre che da un esame diretto dello sperma (spermogramma, spermocitogramma), dall'assenza di spermatozoi, rilevata con un test postcoito, nella secrezione (muco) del collo uterino nel periodo dell'ovulazione. Numerosi accorgimenti possono essere utilizzati per aumentare la probabilità di fecondazione in caso di sperma deficitario; tra i più frequenti si ricorda, la deposizione di spermatozoi oltre il collo uterino (inseminazione intrauterina), che deve essere preceduta da un 'lavaggio' dello sperma al fine di eliminare il plasma seminale, portatore di eventuali germi e di sostanze indesiderabili (induttori di contrazioni uterine, inibitori della fecondazione). È inoltre possibile utilizzare caffeina e pentoxifillina per favorire la mobilità dei gameti; tuttavia, non essendo queste sostanze sempre efficaci, occorre effettuare un test preliminare specifico per ogni coppia.
Le probabilità di fecondazione aumentano con il numero di cellule uovo disponibili (come si vedrà nella FIV), ma la stimolazione del funzionamento delle ovaie deve restare moderata più nell'inseminazione artificiale che nella FIVET, poiché è impossibile limitare successivamente il numero degli embrioni da impiantare nell'utero. Se l'insieme di questi accorgimenti migliora i risultati dell'inseminazione artificiale, uno dei fattori di successo più importanti resta il momento in cui è praticata l'inseminazione, a motivo della breve durata della vita delle cellule uovo e degli spermatozoi (circa 1 e 3 giorni rispettivamente). Non è possibile conoscere l'efficacia media dell'inseminazione omologa, perché i parametri sono molto variabili (indicazione, tecnica scelta, competenza del medico, fertilità della donna ecc.) e i risultati non sono oggetto di statistiche nazionali.
Al contrario, grazie al censimento realizzato dalle banche dello sperma, si sa che l'inseminazione artificiale eterologa permette di ottenere una gravidanza nell'8-9% dei cicli di trattamento. Questa tecnica, infatti, non può essere eseguita autonomamente dai ginecologi: la ricerca e l'individuazione di un'eventuale infezione del donatore, così come la scelta (attualmente obbligatoria per legge) di assicurare il suo anonimato, hanno reso indispensabile la conservazione dello sperma e quindi la distribuzione di campioni congelati (paillets) da parte di laboratori centralizzati. L'impiego dell'inseminazione eterologa diminuisce lentamente ma regolarmente, in parallelo con l'aumento della fecondazione in vitro.
b) Fecondazione in vitro (FIV) e trasferimento di embrione (FIVET). Il metodo consiste nel realizzare la fecondazione in laboratorio e nel trasferire poi gli embrioni nell'utero della stessa paziente dalla quale sono stati prelevati gli ovociti. Lo schema generale è oggi ben noto, ma è comunque interessante richiamare l'evoluzione della tecnica negli ultimi quindici anni del 20° secolo. In questo periodo si possono individuare quattro fasi o avanzamenti tecnologici che hanno modificato la pratica della FIVET nelle sue indicazioni e nella sua efficacia. La prima fase riguarda i trattamenti medici compiuti per intensificare e pianificare nel tempo la produzione di ovuli nelle ovaie delle pazienti: non soltanto il numero medio di ovuli prelevati è stato decuplicato rispetto al ciclo naturale (10 rispetto a uno solo), ma vi è ora la possibilità di decidere con molti mesi di anticipo il momento in cui questi ovuli saranno maturi, e quindi pronti per la fecondazione. Questa capacità relativa di 'dominare' il funzionamento delle ovaie è ottenuta mediante la somministrazione contemporanea di sostanze che inibiscono l'azione dell'ipofisi sulle ovaie stesse e di altre (ormoni gonadotropi) che invece la stimolano. Ciononostante, il controllo del sistema è imperfetto perché è ancora impossibile garantire lo scopo ultimo di questi trattamenti (ottenere 2 o 3 ovuli) senza rischiare una risposta più importante (si ottengono in media 10 ovuli, ma a volte diverse decine).
Da qui le conseguenze più negative della FIVET: concepimento di embrioni 'in eccesso' (nell'incertezza sulla qualità degli ovuli, li si feconda tutti), induzione di gravidanze multiple (ignorando la qualità degli embrioni, ne vengono trasferiti molti nell'utero), sindrome di iperstimolazione (patologia, a volte grave, dovuta all'abbondanza degli ormoni steroidei secreti dalle ovaie così stimolate). Vi sono tuttavia interventi medici mirati a prevenire o curare l'iperstimolazione (arresto del ciclo, somministrazione di antinfiammatori ecc.) o la gravidanza multipla, sia prima dell'impianto (diminuzione del numero degli embrioni trasferiti) sia dopo (riduzione embrionale). La produzione di embrioni 'soprannumerari' ha portato a sua volta a una seconda innovazione importante: la loro conservazione mediante congelamento per assicurarne la sopravvivenza a beneficio della stessa coppia. Più di 100.000 embrioni sono stati conservati in Francia dal 1986, i 2/3 dei quali sono stati restituiti alla coppia e impiantati nell'utero dopo un periodo di tempo variabile da qualche mese a più anni. Circa 30.000 embrioni sono custoditi nei congelatori dei laboratori di FIV, ma la maggior parte è 'in transito' per brevi periodi e solo a una minoranza è riservato un destino ignoto, che potrebbe essere il dono a un'altra coppia o la distruzione.
Non sembra che i bambini nati dopo congelamento allo stadio embrionale mostrino conseguenze da questo trattamento, pur sempre drastico; in realtà essi sono avvantaggiati rispetto a quelli fecondati con la FIV senza congelamento, poiché nascono quasi sempre da gravidanze monofetali: solo le gravidanze multiple dopo procreazione assistita fanno nascere bambini a rischio (prematurità o ipotrofia). Un terzo avanzamento tecnico ha permesso di prelevare gli ovuli con metodiche meno invasive della celioscopia. Piuttosto che introdurre nell'addome uno strumento in grado di effettuare simultaneamente l'osservazione e l'esplorazione delle ovaie (celioscopio o laparoscopio), queste due funzioni sono oggi dissociate: l'osservazione è assicurata dall'ecografia, tecnica non invasiva; l'esplorazione è condotta con un semplice ago guidato dagli ultrasuoni fino ai follicoli che contengono gli ovuli. Più spesso l'ago è introdotto dalla vagina e l'intervento non lascia traccia; soprattutto non è necessaria anestesia generale; il trattamento può essere effettuato in day hospital. Oltre ai vantaggi psicologici ed economici, l'aspirazione ecoguidata degli ovuli ha eliminato i pericoli dell'anestesia e fortemente ridotto il rischio chirurgico della FIVET (emorragie, infezioni ecc.). Infine, la quarta innovazione per trattare alcune sterilità di origine maschile è l'iniezione di un solo spermatozoo direttamente nell'ovulo. Questa tecnica di iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI, Intracytoplasmic sperm injection) ha riservato sorprese ai suoi stessi promotori, rivelandosi ben tollerata dall'ovulo e dando esiti insperati: malgrado la 'debolezza' estrema dello sperma che utilizza, l'ICSI risulta due volte più efficace della FIVET tradizionale e quattro volte più valida dell'inseminazione artificiale che impiega lo sperma normale. Così, un ciclo di trattamento su tre si conclude con una gravidanza, anche nel caso in cui il numero di spermatozoi mobili sia un milione di volte inferiore a quello di un'eiaculazione tipica o quando sia necessario cercare i rari gameti negli organi genitali maschili (testicolo, epididimo).
Si è quindi ottenuto, con la FIVET associata all'ICSI, un ribaltamento delle leggi naturali che prevedono 200 milioni di spermatozoi per una sola cellula uovo: non è raro ottenere la gravidanza anche quando il numero degli spermatozoi disponibili si rivela inferiore a quello degli ovuli prelevati (per es., 5 spermatozoi per 15 ovuli). Poiché la fertilità maschile sembra in rapida flessione, l'ICSI rappresenta la prima proposta razionale ed efficace per sopperire alla carenza di spermatozoi; essa costituisce un approccio nuovo e promettente per la sterilità maschile, soprattutto perché evita il ricorso all'inseminazione artificiale eterologa (o alla FIV eterologa) permettendo all'uomo considerato sterile di procreare egli stesso i suoi figli. Sembra che la tecnica possa applicarsi anche a individui che non producono spermatozoi e la cui linea germinale si ferma allo stadio di spermatide (grosse cellule tonde, sprovviste di flagello, precursori degli spermatozoi e ancora indifferenziate). Si presume che l'ICSI, essendo la tecnica di procreazione assistita più efficace, verrà applicata progressivamente alla quasi totalità delle prescrizioni di FIVET.
Anche l'incertezza che pesava sulla normalità dei bambini così concepiti trova risposte rassicuranti nei resoconti internazionali, che contavano diverse migliaia di nascite già prima della fine del 1995. Si può invece paventare la tentazione di utilizzare questa tecnica in modo deviato per identificare geneticamente il singolo gamete da introdurre nell'ovulo: fin d'ora l'ICSI permette infatti la scelta del sesso dei bambini grazie alla selezione degli spermatozoi che portano il cromosoma X (femmine) o Y (maschi). I vari progressi della FIVET hanno ridotto per la coppia il costo finanziario e umano elevandone al medesimo tempo l'efficacia, in particolare nel caso di sperma deficitario. Così questa metodica, originariamente destinata a risolvere la sterilità femminile, è stata applicata progressivamente a quasi tutte le situazioni di infecondità. Le statistiche dell'attività francese, per es., mostrano questa trasformazione dal 1986 al 1993: in tale periodo la frequenza della FIVET per infecondità prettamente maschile è aumentata dal 13 al 23%, e quella per infecondità che coinvolga anche fattori maschili dal 29 al 44%.
3.
Accanto a queste innovazioni di indiscutibile interesse medico, la procreazione assistita presenta numerose pseudonovità di natura tecnica o sociale. Tra le invenzioni che hanno mobilitato l'attenzione dei media (e dei pazienti), si ricordano il GIFT e la CIVETE. Il GIFT (Gamete intra fallopian transfer) consiste inizialmente in una FIVET (stimolazione di ovaie, prelievo di uova e di sperma), permettendo però che la fecondazione avvenga nelle tube, dove i gameti sono trasferiti durante un intervento chirurgico in anestesia generale. I suoi risultati, in un primo momento sopravvalutati, sono gli stessi della FIVET, ma il GIFT richiede che le tube siano permeabili e lo sperma di qualità. Sulla stessa metodica del GIFT si basano lo ZIFT (Zygote intra fallopian transfer) e il TET (Tubal embryo transfer) che prevedono il trasferimento intratubarico rispettivamente di zigoti o di pre-embrioni, dopo avere ottenuto la fertilizzazione in vitro dei gameti. La CIVETE (Culture intra vaginale et transfert d'embryon, cultura intravaginale e trasferimento di embrione) coincide anch'essa inizialmente con una FIVET, ma la provetta viene messa nella vagina materna e non nell'incubatore a 37°. La tecnica è andata rapidamente in disuso non avendo incontrato il favore delle donne, preoccupate di espellere la provetta. Altre invenzioni, ampiamente divulgate dai media, si basano in realtà sull'uso deviato di tecniche già acquisite. Infatti, nessuna invenzione è necessaria per far procreare una vergine nubile o una donna in menopausa: per la prima basta ricorrere a un donatore di sperma, per la seconda a una donatrice di uova e a un trattamento ormonale, noto già da tempo, che rende l'utero recettivo. Nella corsa agli esperimenti più audaci (per es., la maternità in età senile) che affrontano alcuni medici, soprattutto in Italia, l'unica novità è la temerarietà del fare più che la scoperta di tecniche originali. Altri medici, in particolare negli Stati Uniti, mantengono vivo il vecchio fantasma del clonaggio, con annunci il cui effetto mediale è assicurato. Clonare (v. clonazione) significa riprodurre un individuo in diversi esemplari, come avviene in natura con i gemelli monovulari. In quest'ambito Edwards ha avanzato la proposta più 'clinica': ottenere gemelli (con la scissione dello zigote) per conservarne uno congelato affinché possa fornire organi di ricambio al fratello che, una volta divenuto adulto, sarebbe esposto come tutti al logorio degli organi.
Per assicurare una riserva di tessuti altamente compatibili da trapiantare nei prossimi cinquant'anni, la procreazione assistita dovrebbe già da ora indurre la gemellazione dello zigote ottenuto con la FIV, ma finché nessun genitore formulerà una tale richiesta, l'idea singolare di Edwards resterà inutilizzata. In conclusione, lo sviluppo della procreazione assistita dovrebbe dipendere soprattutto dai rapidi progressi ottenuti nelle tecnologie genetiche. Ma questi progressi hanno poco a che vedere con le manipolazioni genetiche che tendono a modificare l'embrione: in nome di quale perversione si dovrebbe correggere un embrione deficiente per un gene importante quando nella maggioranza degli embrioni disponibili (che peraltro sono spesso in sovrannumero) il gene normale è presente? Invece, le tecniche diagnostiche che permettono di identificare un numero sempre crescente di caratteristiche genetiche, in un embrione come in un adulto, cominciano a essere utilizzate per selezionare gli embrioni ottenuti con la FIV, allo scopo di trasferire nell'utero i migliori dal punto di vista genetico.
La recente possibilità di moltiplicare a volontà una cellula embrionale, fino a ottenere un clone di milioni di cellule, permette tecnicamente l'individuazione simultanea di tutte quelle caratteristiche genetiche per le quali esisteranno marcatori. In questo senso, i risultati ottenuti nel Progetto genoma umano potrebbero essere alla base di un nuovo sviluppo della FIVET, il cui scopo non sarebbe più di curare l'infertilità ma piuttosto di evitare la trasmissione di malattie particolarmente gravi.
1.
Il dibattito sulla liceità di tecnologie che intervengono sull'inizio della vita, in un processo ritenuto da sempre fisiologico qual è la gravidanza, ha superato i confini del mondo scientifico coinvolgendo e sensibilizzando l'opinione pubblica. La divulgazione di informazioni, non sempre adeguate, attraverso i comuni canali di comunicazione, ha generato dubbi e perplessità. Gran parte della popolazione non ritiene opportuno intervenire artificialmente nella procreazione umana, mentre coloro che vivono il problema della mancanza di un figlio ripongono nella PMA notevoli speranze. Negli anni si sono avuti un notevole aumento della richiesta e un progressivo diffondersi non controllato di centri pubblici e privati in cui vengono effettuati questi interventi. In Italia, a differenza di altri paesi, non esiste a tutt'oggi una regolamentazione in tale settore. Il rapido evolversi delle diverse procedure, in assenza di normative specifiche, non consente di disporre di elementi adeguati alla conoscenza continua e costante dei rischi e dei benefici derivanti dall'applicazione delle nuove tecnologie riproduttive, per le quali sarebbe opportuno avviare specifici sistemi di sorveglianza che consentano di stimare, con rigore scientifico, gli esiti di una procreazione diversa da quella naturale. Non essendo disponibile alcun sistema di controllo sulla reale efficacia di tali interventi, al momento non è possibile conoscere le condizioni di salute dei bambini nati da concepimento assistito così come le condizioni di salute nel tempo delle donne che ricorrono a tali interventi, mentre la conoscenza e la diffusione di dati reali concernenti l'attività in questo campo risultano indispensabili sia per tutelare coloro che più o meno adeguatamente informati ricorrono a tali metodiche, sia per stimare attraverso dati nazionali omogenei l'andamento e l'esito di tali procedure nel tempo. Le rivoluzionarie possibilità offerte oggi dalle metodiche di medicina della riproduzione pongono il medico in una posizione molto delicata sul piano etico e professionale; è necessario che egli abbia una coscienza del limite, che sia cosciente cioè che non sempre tutto ciò che la scienza rende tecnicamente possibile è lecito.
Si rendono pertanto necessarie alcune regole che consentano di individuare criteri di riferimento per la valutazione di ciò che oggi può essere ritenuto lecito, indicazioni chiare e condivise che possano fornire elementi utili a garanzia di un comportamento deontologicamente corretto da parte degli operatori. In un settore così delicato, che richiede competenze multidisciplinari, è fondamentale instaurare un rapporto medico-paziente adeguato alla corretta gestione di chi affida grandi speranze e investe emotivamente in un intervento che consentirà la realizzazione del desiderio di maternità e paternità altrimenti negato. Questo desiderio deve essere recepito e modulato affinché la PMA non diventi semplicemente la medicina dei desideri impossibili del figlio a tutti i costi. Il medico deve informare adeguatamente il paziente sui reali rischi e sulle possibilità concrete di successo senza generare false speranze. Per fornire elementi conoscitivi, in mancanza di indicazioni e di norme, l'Istituto superiore di sanità, nel 1993, presso il Laboratorio di epidemiologia e biostatistica, ha attivato un'indagine conoscitiva nazionale sull'attività della PMA (v. oltre).
Il dibattito aveva infatti già raggiunto toni tali da rendere necessaria l'acquisizione di elementi cognitivi nazionali che potessero sostenere sia attività di ricerca specifiche nel settore sia attività normative nazionali. Di seguito verranno sinteticamente affrontate alcune problematiche oggetto di discussione e per le quali si sta cercando di trovare un consenso che possa condurre a una normativa in grado di definire limiti e possibilità di applicazione di tali metodologie, in sintonia con il riconoscimento e il rispetto della salute e della malattia nelle diverse realtà culturali. Il ruolo dei diversi fattori, quali l'indicazione al trattamento per diverso tipo di patologia, l'influenza delle numerose variabili interferenti sui risultati dell'intervento, ovvero sull'ottenimento della gravidanza e sull'evoluzione della stessa, potrebbero essere meglio valutati se venissero applicati protocolli clinici standardizzati e linee guida, e se i dati disponibili fossero numericamente ampi e omogenei così da costituire un pool significativo da sottoporre a idonee indagini e analisi statistico-epidemiologiche. La necessità di conoscere, disponendo di dati scientificamente attendibili, sia il numero e il tipo dei trattamenti effettuati sia l'esito di ciascuno di essi, deriva dalla consapevolezza che la PMA, come qualsiasi atto medico, comporta rischi e complicazioni che possono riguardare diversi momenti del trattamento, come per es. la fase della stimolazione ovarica, l'anestesia, l'avvio e il decorso della gravidanza e il parto. Le fasi principali di un ciclo di fecondazione artificiale possono essere schematicamente suddivise in: induzione farmacologica dell'ovulazione, recupero degli ovociti, inseminazione, fertilizzazione, coltura embrionaria e trasferimento degli embrioni.
L'induzione dell'ovulazione si ottiene attraverso l'uso di farmaci che stimolano le ovaie a produrre diversi ovociti maturi piuttosto che un singolo ovocita, come avviene normalmente a ogni ovulazione fisiologica; il tipo di farmaco e la durata della stimolazione dipendono dal protocollo ritenuto maggiormente efficace per quel programma e per la paziente; in genere il trattamento viene effettuato per circa 10 giorni usando trattamenti singoli o associazioni di farmaci. L'induzione farmacologica della crescita follicolare multipla, utilizzata per ottenere migliori percentuali di gravidanze, può avere nella donna alcuni effetti indesiderati a breve e lungo termine; tra quelli a breve termine ricordiamo la sindrome da iperstimolazione ovarica di origine iatrogena che può manifestarsi con sintomatologia clinica di diverso grado, da forme lievi fino a forme severe. L'affinamento delle tecniche di prelievo ovocitario ha portato a un recupero di gameti femminili per ciclo di fecondazione in vitro superiore a quanto necessario per terminare un ciclo di trattamento, e l'impossibilità di definire correttamente quali ovociti dopo l'inseminazione si fertilizzeranno e quali formeranno embrioni ha portato a sviluppare tecniche di congelamento degli embrioni. È stata tentata anche la crioconservazione di ovociti non fertilizzati: questa metodica, che potrebbe trovare maggior consenso nell'opinione pubblica rispetto alla crioconservazione di embrioni, trova difficoltà pratiche di applicazione soprattutto in considerazione del grande rischio di alterazioni cromosomiche. I possibili danni all'ovoplasma e la frequente presenza di polispermia e/o di embrioni poliploidi dopo l'inseminazione degli ovociti scongelati dimostrano come tale possibilità è ancora da considerare rischiosa in campo umano. Tuttavia, l'utilizzazione di tale tecnica potrebbe trovare particolare applicazione in alcune situazioni, come per es. in pazienti ad alto rischio di perdere la funzione ovarica o che debbano subire un'ablazione chirurgica delle gonadi.
Ulteriore argomento di dibattito è offerto dalla possibilità del ricorso all'utilizzazione di gameti ricevuti in donazione. A tal riguardo è opportuno ricordare come il trattamento con ovociti ricevuti in donazione costituisce una possibilità per quelle donne che risultano essere affette da patologie che colpiscono l'8-10% delle donne sterili e sono rappresentate da disgenesia ovarica, menopausa precoce e menopausa chirurgica o iatrogena. Le tecniche di PMA hanno portato a notevoli progressi anche nel campo della sterilità di tipo essenzialmente maschile, dove alcune condizioni, fino a poco tempo fa non risolvibili se non con il ricorso a seme di donatore, possono essere affrontate utilizzando particolari metodi, come per es. l'ICSI (v. sopra). È doveroso segnalare al riguardo che in letteratura esistono segnalazioni di possibile trasmissione di patologie alla prole nata dall'impiego di tali procedure. Non possono essere inoltre trascurati i rischi anestesiologici, le complicanze legate all'elevata incidenza di gravidanze plurigemine nei concepimenti indotti, il numero dei nati pretermine e di basso peso, nonché il più frequente ricorso al parto operativo rispetto ai concepimenti fisiologici. Relativamente alla frequenza di gravidanze plurigemine è da ricordare come la frequenza naturale di gravidanze con 3 feti o più, in Italia come negli altri paesi europei, è all'incirca dello 0,1‰. A partire dai primi anni Ottanta del 20° secolo vi è stato un brusco incremento di queste gravidanze che in poco tempo si sono triplicate e il cui andamento sembra essere in continuo aumento. Il fenomeno potrebbe ascriversi al diffondersi delle pratiche di PMA. I dati sulle condizioni di salute dei nati, provenienti principalmente da paesi in cui esiste una normativa e/o dove l'attività di sorveglianza è presente e costante da diverso tempo (Francia, Inghilterra, Svezia, Australia, Nuova Zelanda), sono ancora insufficienti per poter dedurre informazioni capillari.
Da una revisione della letteratura è possibile affermare che tanto la prematurità quanto il basso peso alla nascita rappresentano eventi frequenti nella PMA, e quindi costituiscono importanti complicazioni per i rischi immediati e a lungo termine che queste condizioni comportano. La probabilità che si verifichino queste condizioni appare superiore tra coloro che ricorrono alla PMA rispetto alla popolazione generale e questo aumento non è attribuibile esclusivamente all'elevata incidenza di (multi-) gemellarità, perché anche tra i nati singoli prematurità e basso peso sono più frequentemente riscontrabili. Va infatti segnalato che nei nati singoli da PMA la probabilità di nascere con un peso inferiore ai 1500 g è 3 volte più alta rispetto a quella della popolazione generale, e ovviamente nei nati da gravidanza gemellare, soprattutto quando i feti sono più di 3, la frequenza di peso inferiore ai 1500 g aumenta considerevolmente. L'elevata percentuale di nati pretermine e di peso basso o molto basso tra i nati dalla PMA porta come conseguenza immediata un incremento, in questa categoria di popolazione, dei tassi di mortalità perinatale, neonatale e infantile. Nel registro inglese la mortalità perinatale e quella infantile della coorte dei bambini nati da PMA sono rispettivamente 2,5 e 2,8 volte maggiori di quelle osservate nella popolazione generale. Inoltre, tra i nati da concepimento assistito si segnala un maggior ricorso alle terapie intensive. È infatti aumentata la frequenza di malattia delle membrane ialine con necessità di trattamento, di pervietà del dotto arterioso, di sepsi, della ventilazione meccanica e della sua durata, dell'ossigenoterapia, nonché del ricovero ospedaliero.
I dati disponibili, seppure non del tutto tranquillizzanti, non consentono inoltre di valutare in maniera inequivocabile le problematiche pediatriche a medio e lungo termine, soprattutto nel senso di sviluppo neurologico e comportamentale dei nati da PMA. Per poter valutare almeno a breve e medio termine, 3-5 anni, questi e altri problemi ancora non noti della PMA, dovrebbero essere raccomandate e potenziate tutte le strategie di intervento idonee a consentire un monitoraggio continuo e costante di tutela e sorveglianza della salute, soprattutto in considerazione della rapida e continua evoluzione scientifica di queste tecnologie.
2.
Come si è detto, la peculiare situazione nel nostro paese di carenza di indicazioni e normative specifiche ha reso indispensabile l'attivazione di uno strumento finalizzato alla conoscenza e alla descrizione del fenomeno in termini di tipologia e quantità di strutture presenti sul territorio nazionale, numero di trattamenti effettuati e percentuali di successo per tecnica utilizzata. L'esigenza di mantenere un controllo costante di quanto avviene nel settore, attraverso la raccolta di informazioni e dati omogenei, ha creato i presupposti per avviare un'attività di coordinamento delle strutture pubbliche e private che svolgono i vari trattamenti. Per fornire elementi conoscitivi, come si è detto, l'Istituto superiore di sanità nel 1993 ha attivato il Registro nazionale italiano della PMA. L'indagine si propone di valutare la frequenza delle diverse indicazioni per le quali le coppie ricorrono al trattamento; esaminare la diffusione e la percentuale di successo di ciascuna metodica impiegata; stimare gli esiti di tutti i cicli di trattamento e lo stato di salute delle donne e dei nati; consentire il confronto e la collaborazione con registri analoghi a livello internazionale. Da un punto di vista normativo, per definire in modo adeguato gli standard minimi necessari alla conduzione dei programmi di PMA, sono stati considerati tre diversi livelli di intervento, che prevedono rispettivamente: 1) l'effettuazione di interventi di inseminazioni semplici; 2) le procedure al punto 1 e l'esecuzione di interventi in cui sono previsti il prelievo ovocitario e l'inseminazione in vitro; 3) le metodiche previste ai punti 1 e 2, l'esecuzione di tecniche di microfertilizzazione e, in alcuni casi, la crioconservazione dei gameti. Un'ordinanza del ministro della Sanità del 7 marzo 1997, successivamente prorogata (30 dicembre 1998), pone il divieto di commercializzazione e di pubblicità di gameti ed embrioni umani. In base all'art. 3, i centri pubblici e privati in cui si praticano tecniche di procreazione assistita devono comunicare al Ministero della Sanità (Dipartimento della prevenzione), all'Istituto superiore di sanità (Laboratorio di epidemiologia e biostatistica) e al competente assessorato regionale, i dati relativi alla composizione dello staff clinico, la denominazione del centro o istituto, il relativo indirizzo e il tipo di attività espletata.
Le tabb. 1-7 illustrano alcuni degli esiti dell'analisi dei dati volontariamente inviati dai centri di PMA, pervenuti, fino alla data del 31 dicembre 1998, al Laboratorio di epidemiologia e biostatistica dell'Istituto superiore di sanità. Si tratta di 14.787 schede relative ad altrettanti cicli di trattamento di PMA, che forniscono importanti informazioni sulle tecniche utilizzate, sulla distribuzione delle metodiche in vitro e in vivo per tipo di patologia dichiarata, sul numero dei cicli sospesi o completati, sulle complicanze occorse durante l'intervento, e su altri aspetti egualmente rilevanti.
1.
Per quanto sia considerato da molti come ormai definitivamente acquisito e consolidato sul piano della pratica sociale, il nuovo paradigma dell'assistenza tecnologica alla procreazione umana non cessa di essere altamente controverso sul piano bioetico. La cosa non deve stupire, ove si consideri come al riguardo vengano a intrecciarsi non solo delicate questioni morali, ma anche problemi psicologici e sociologici, medici e giuridici, in nodi tematici di estrema complessità, la cui stessa focalizzazione appare ardua e la cui gestione concettuale è aperta non solo al rischio della banalizzazione e della contraddizione, ma anche alla tentazione, forse ancora più grave, della 'rimozione' epistemologico-dialettica, quasi che l'intera questione fosse riducibile a un mero problema di coscienza individuale, afferente all'intimità personale di ciascuno e suscettibile, al più, di analisi esclusivamente casistiche. Quale che sia infatti la visione del mondo propria di ciascun individuo, quale che sia la gerarchia di valori cui ciascuno aderisce, è indubbio che i problemi bioetici non trovano il loro luogo specifico solo nell'intimo delle coscienze, non possono cioè ridursi a fatto o a problematica strettamente privata: essi afferiscono alla dimensione pubblica della coesistenza sociale. Una delle difficoltà non ultime della riflessione bioetica sta proprio, da una parte, nel suo dover salvaguardare contro ogni possibile offesa e aggressione l'autonomia etica del singolo, e nel doverla, dall'altra, mediare con le esigenze dell'etica pubblica, su cui si fonda la possibilità di una vita sociale ordinata e che garantisce ai diritti e alle spettanze di ogni individuo di non essere soffocati o violentati dal potere prevalente di altri. I problemi bioetici della PMA non possono essere assimilati a quelli etici tradizionali, tematizzabili mettendo a fuoco anzitutto i valori in gioco, per poi gerarchizzarli ed esaminare successivamente le questioni attinenti al loro concretarsi nella prassi. Se viene costretta in questa prospettiva, la bioetica della procreazione perde molto della sua autentica rilevanza e si riduce a una sorta di casistica, peraltro facilmente esposta al rischio di interpretazioni dozzinali.
È infatti evidente che il desiderio procreativo di una donna o di una coppia è sicuramente un valore che merita di essere tutelato; che analogamente è un valore la difesa degli interessi di chi sarà chiamato a nascere tramite pratiche di PMA; e infine che - in linea generale - è un valore che l'intera procedura di PMA avvenga secondo corretti protocolli medici e nel pieno rispetto di un principio condiviso da tutti come quello della tutela della salute. Se si segue questa prospettiva, la novità da un punto di vista bioetico dei problemi inerenti alla procreazione andrebbe quindi riferita non al piano dei valori da promuovere o da difendere (tutti riconducibili a valori in certo senso tradizionali, a partire dallo stesso desiderio procreativo, tra i più caratteristici e diffusi in tutti i tempi e in tutte le culture), ma a quello del controllo delle tecniche adottate, capaci, a causa del loro carattere di frontiera, di turbare le coscienze, soprattutto quelle inclini al misoneismo.
Ma se si ritiene - come purtroppo è frequente rilevare - che quello della tecnica rappresenti un problema esclusivamente strumentale, ne seguirà necessariamente una sua sostanziale irrilevanza da un punto di vista propriamente etico. È tuttavia possibile impostare tali questioni in una prospettiva profondamente diversa che, senza trascurare la corretta analisi dei valori in gioco, li inquadri all'interno di un diverso orizzonte problematico. In questo orizzonte, quella che da molti è tuttora ritenuta una dimensione strettamente strumentale, e cioè la tecnica, acquista una valenza antropologica e culturale assolutamente nuova, fino a essere considerata alla stregua della 'cifra' (per usare un termine caro a K. Jaspers) o se si preferisce dell''emblema fondamentale' dell'epoca moderna, con ineludibili ricadute sul piano etico e bioetico. I più lucidi interpreti della coscienza filosofica e sociale del Novecento, a partire da H. Bergson fino a M. Heidegger, a M. Horkheimer o a H. Jonas, hanno colto e interpretato secondo modalità tematiche differenti, ma comunque convergenti nell'essenziale, questo tema: l'esplodere della tecnica, la trasformazione di Homo sapiens in Homo faber, costituiscono il segno di un'alterazione della stessa identità dell'uomo, del suo Dasein, del suo 'esserci nel mondo'.
Secondo questa linea interpretativa, che ha suscitato infiniti dibattiti, la tecnica non costituisce soltanto uno strumento (ormai potentissimo) a disposizione dell'uomo per soddisfare i suoi interessi (più o meno legittimi) e destinata a conoscere sempre nuovi e ulteriori perfezionamenti, ma la strada per la completa 'cosificazione' del mondo, che gli toglie ogni significato e lo desertifica come ambito vitale di accoglienza non solo per l'uomo ma, al limite, per ogni vivente. Simbolo adeguato della tecnica, intesa in questa prospettiva, è il meccanismo, cioè un artefatto integralmente scomponibile e ricomponibile in tutte le sue parti costitutive, dotato di un valore non intrinseco ma conseguente al valore del progetto in base al quale è costruito e alla minuziosità con cui il progetto stesso è realizzato. Come simbolo alternativo a quello del meccanismo può invece essere scelto quello dell'organismo, unità vivente non artefatta, non progettata, dotata quindi di un valore intrinseco, composta anch'essa di parti, che però non tollerano di essere scomposte o ricomposte, pena la morte dell'organismo stesso. L'intera storia dell'uomo può essere (ed è stata) interpretata come caratterizzata, fino all'avvento della modernità, da un grande equilibrio dialettico tra principio meccanicistico e principio organicistico, suscettibile anche di conoscere caratteristiche inversioni prospettiche (per es. è ben possibile attribuire al meccanismo, entro una certa misura, un valore intrinseco o, per dir così, organico: ma con il rischio di cadere nel feticismo; ed è ben possibile considerare l'organismo, entro una certa misura, in una prospettiva meccanicistica: gran parte del progresso della medicina è dipeso proprio da questo). La novità dell'epoca moderna starebbe nel suo aver rinunciato a mantenere in equilibrio questa dialettica, nel suo aver assolutizzato il principio meccanicistico, e cercato ostinatamente di ridurre a esso ogni dimensione organicistica. Il disagio che nel mondo in cui viviamo avvertiamo tutti per l'artificializzazione dell'ambiente e il correlativo nascere di nuove istanze ecologiche sono un indizio di come questa prospettiva filosofico-culturale possieda una sua indubbia concretezza e meriti, se non condivisione, almeno attenzione, riflessione e rispetto. Se le pratiche di PMA vengono comprese in questo nuovo orizzonte epistemologico dominato dal primato della tecnologia, acquistano immediatamente una nuova e specifica valenza bioetica.
Appare infatti chiaro che esse si differenziano radicalmente da qualsiasi prassi terapeutica in senso stretto: non hanno alcun carattere propriamente curativo (dato che non ridonano ai corpi la loro fecondità naturale), ma operano attraverso una manipolazione tecnologica dei soggetti chiamati alla generazione. Le conseguenze bioetiche di questo dato sono di grande rilievo. Nella PMA la scissione della dimensione unitiva dalla dimensione procreativa (per utilizzare una formula di frequente ripetuta, da molti criticata, ma anche, il più delle volte, fraintesa) non crea problemi etici in quanto corrisponderebbe a una violazione di ipotetiche, supreme 'leggi divine' o di 'leggi naturali' che presiedono alla procreazione, ma in quanto depersonalizza la generazione umana: da effetto di un incontro diretto e immediato tra due persone, questa diviene l'effetto di una raffinata procedura tecnologica, esistenzialmente impersonale e unicamente per questo motivo eticamente problematica. Nella PMA, per quanto grande sia il desiderio psicologico di una coppia sterile di avere comunque un figlio, la depersonalizzazione della procedura impoverisce il significato stesso della generazione (come si rende evidente, nella frequente richiesta della coppia di mantenere la massima privacy in ordine all'avvenuta fecondazione assistita) e altera in modo significativo quella valenza 'personale' dei ruoli generazionali, ai quali è affidata la costruzione della stessa identità profonda dell'uomo.
2.
Tutti gli altri problemi strettamente etici sorti dalle pratiche di PMA si radicano in questo che abbiamo appena messo in luce e non possono essere considerati indipendentemente da esso. È indubbio per es. che il rapporto di coppia, nella sua dimensione specificamente etica e non meramente giuridica, può essere significativamente alterato dalle pratiche di PMA, ancorché omologa. Comunque si voglia tematizzare quello specifico fenomeno che definiamo coppia, esso possiede una caratteristica valenza antropologica. Nella coppia (e massimamente in quella coniugale) l'incontro dell'uomo e della donna non possiede un mero carattere istintuale, ma mette in gioco specifici valori personali, cioè affettivi, psicologici, sociali e giuridici, di segno propriamente umano; nella coppia si realizza sempre e comunque l'incontro di un io con un tu. La coppia non si crea nell'ordine dell'artificializzazione dell'esistenza, nell'ordine del tecnologico; essa anzi costituisce una delle più significative linee di resistenza all'artificializzazione del mondo. Inserire nell'ordine della vita della coppia la dimensione tecnologica della fecondazione assistita implica alterare la sua relazionalità costitutiva personale. In questa prospettiva va rilevata come significativa la differenza che corre tra la scelta di ricorrere alla PMA e la scelta da parte della coppia di adottare un bambino: l'opzione adottiva ha sempre uno spiccato carattere personale, perché implica esclusivamente la messa in gioco dell'affettività e dell'accoglienza e non della tecnologia. Per quanto rilevante possa essere sul piano etico la decisione di una coppia di ottenere un figlio tramite PMA omologa, molto più problematica sembra essere la scelta di ricorrere a quella eterologa, cioè a un donatore (più raro è il caso in cui si ricorre a una donatrice) di gameti. L'inserimento nella dinamica della coppia della figura del donatore non può che portare fino all'estremo il carattere di depersonalizzazione della procedura cui si è già accennato, depersonalizzazione che si rende evidente nell'irrisolubile paradosso che inerisce alla PMA eterologa. Perché infatti una coppia richiede la PMA eterologa e non, per es., l'adozione di un minore? Evidentemente perché da parte almeno di uno dei due membri della coppia si ritiene alla stregua di un valore essenziale e irrinunciabile l'avere un obiettivo vincolo genetico con il figlio che verrà così dato alla luce.
Con altrettanta evidenza, tuttavia, si deve pensare che per l'altro membro della coppia questo valore sia inessenziale e rinunciabile, al punto da fargli acconsentire a essere surrogato da un donatore di gameti. È chiaro che in una simile situazione emerge una profonda diversità nell'ordine dei valori e delle intenzioni all'interno della coppia che, vanificando l'indispensabile simmetria tra i partner, ne rende problematica la valenza specificamente antropologica e fa sorgere gravi questioni etiche sulla procedura di PMA nel suo complesso. Un breve cenno meritano i problemi che nascono quando si rifletta sulla figura del donatore o della donatrice dei gameti. Sul piano strettamente etico, la scelta di donare gameti viene in genere giustificata sottolineandone la generosità e l'altruismo. Ma per operare una valutazione etica adeguata di questo gesto è necessario riflettere a fondo su ciò che viene donato: non una cosa, non mero materiale biologico, ma cellule germinali, una parte essenziale, cioè, della propria identità, quella parte che verrà trasmessa al figlio chiamato alla vita tramite PMA e che attiverà inevitabilmente in lui - ne sia o no consapevole il donatore - legami psicologici con il suo genitore genetico (così come non è da escludere che anche nel donatore possano attivarsi problemi psicologici in riferimento ai possibili figli nati grazie alla donazione dei suoi gameti). Simili problemi, per quanto meno rilevanti di molti altri inerenti alla PMA, non possono essere né banalizzati né rimossi.
Ancora maggiori sono le perplessità che sorgono quando spostiamo la nostra attenzione dai membri della coppia alla figura del bambino chiamato alla vita tramite la PMA. Vengono qui in rilievo gli interessi (in senso lato) del nascituro: di un soggetto, cioè, terzo rispetto alla coppia che chiede di essere ammessa a queste pratiche, e meritevole di particolare tutela, anche sul piano giuridico-sociale. Il primo degli interessi del nascituro che hanno un valore etico (oltre a quelli inerenti alla sua salute: ma in questo caso si tratta di interessi che coincidono con quelli della coppia che vuol darlo alla luce e che pertanto non possiedono un loro particolare rilievo) è quello che non venga recata offesa alla sua identità. In un essere umano, sotto la parola identità si cela un denso e complesso nucleo di significati; ai nostri fini può essere sufficiente rilevare come l'identità abbia una valenza specificamente familiare e si costruisca attraverso il rapporto costitutivo (positivo oppure negativo) che unisce ciascun essere umano ai propri genitori (noti oppure ignoti).
È evidente che sotto questo profilo il ricorso alla PMA omologa non crea particolari problemi etici, dato che l'identità personale del nascituro è assolutamente certa, sotto ogni punto di vista. Nel caso della PMA eterologa, invece, si verifica il fenomeno, ormai ben noto, perché tante volte sottolineato nei suoi esiti più paradossali e conturbanti, della 'moltiplicazione delle figure genitoriali'. In questa sede non prenderemo in esame i problemi psicologici e sociologici che conseguono a questa situazione (e che invano si cerca di rimuovere da parte di chi vuole a ogni costo legittimare la PMA eterologa), ma ci limiteremo a osservare come non possa apparire etico che il desiderio di genitorialità di una coppia venga a trovare soddisfazione attraverso una pratica che obiettivamente indebolisce l'identità personale del figlio destinato a nascere, creandogli - almeno potenzialmente - una molteplicità di referenti esistenziali diversi, se non conflittuali, tra loro. Il problema si accentua in modo particolare quando alla PMA chieda di essere ammessa una donna priva di partner: in questa ipotesi si toglie al nascituro quello che viene efficacemente chiamato il 'diritto a una doppia figura genitoriale'.
Diritto, questo, che possiede una pluralità di valenze: da quella psicologica (dato che per un'equilibrata crescita è indispensabile possedere un doppio referente genitoriale), a quella sociale (dato che le garanzie di assistenza che due genitori possono dare a un figlio sono evidentemente migliori di quelle che può dare un genitore solo), e soprattutto a quella antropologico-esistenziale, che è poi l'unica, da un punto di vista etico, che in questa sede ci interessa. Il figlio di donna sola, ottenuto tramite PMA, è costitutivamente diverso, in virtù della sua nascita, e in forza della tecnologia, dai bambini nati naturalmente: il suo non aver padre non dipende, come per gli orfani, dalla natura, o, come per gli abbandonati, dalla cattiva volontà di un soggetto reale: ipotesi ambedue tragiche, ma in qualche modo socialmente non prevenibili e comunque dotate di un loro intrinseco significato (quello della sventura, che incombe su ogni vivente esponendolo in ogni istante alla possibilità della morte, nel primo caso; quello dell'ingiustizia, dimensione propriamente umana, anche se deformata, nel secondo). Il non aver padre di chi nasce da PMA di donna sola dipende invece da un progetto individuale, che richiede per la sua realizzazione il convergere di forze e di intenzionalità sociali diverse: in breve, da una procedura tecnologica, che toglie al nato ineluttabilmente una parte della propria identità. L'orfano può sempre costruire un proprio rapporto ideale con il padre scomparso; il bambino abbandonato può sempre ipotizzare un possibile rapporto con il padre che lo ha lasciato. Al figlio della PMA di donna sola sono precluse di principio l'una e l'altra possibilità. Il carattere non etico della procedura è, sotto questo profilo, particolarmente evidente.
3.
È possibile inserire alcune valutazioni etiche in ordine al fatto che allo stato attuale, e quasi inevitabilmente, le pratiche di PMA comportano il rischio che durante la loro esecuzione, per massimizzarne l'efficacia, si addivenga alla soppressione intenzionale di alcuni tra i diversi embrioni prodotti a fini procreativi. Il tema è molto discusso in bioetica e dà ragione del sorgere della 'teoria del pre-embrione', di quella teoria cioè che sostiene che, prima dell'annidamento in utero, quella dell'embrione non sarebbe una vita umana a pieno titolo e non esigerebbe pertanto quella tutela piena e indifferenziata che, indipendentemente da valutazioni filosofiche e religiose, almeno per opinione comune bisogna garantire alle 'persone umane' (v. anche bioetica).
In tale contesto può essere sufficiente su questo punto sollevare le seguenti riflessioni problematiche.
1) I principi del rispetto e della tutela della vita umana difficilmente tollerano sottili distinzioni tra persone umane a pieno titolo e persone umane da non ritenere tali; il rischio che da un simile punto di partenza si formulino ulteriori distinzioni morali (anche se non intenzionalmente volute) tra vite sane e vite malate appare molto forte.
2) Va ricordato che in quanto appartenente alla specie umana l'embrione umano fin dal concepimento è un essere umano, nuovo rispetto al patrimonio genetico dei genitori, individualizzato, soggetto attivo della propria costruzione e intrinsecamente autonomo nella sua crescita, che si sviluppa in modo graduale, continuo e coordinato e quindi meritevole. Ciò comporta l'illiceità, generalmente condivisa da tutti quelli che si occupano di bioetica, di qualsiasi manipolazione genetica in senso proprio, cioè non terapeutica, a suo carico. Appare però piuttosto curioso difendere l'embrione quanto a ogni possibile manipolazione, ma non quanto al suo diritto alla vita.
3) Ogni argomento a favore di una tutela differenziata dell'embrione (una tutela cioè che non inizi nel momento stesso della fusione dei gameti umani, ma in epoca successiva), oltre ad apparire estremamente fragile a causa della sua arbitrarietà (dato che dal momento della fusione dei gameti fino alla nascita ogni evento biologico che si sussegue a carico del concepito appare ugualmente necessario al suo corretto sviluppo), appare debole da un punto di vista tuzioristico: già la sola esistenza di un semplice dubbio in merito alla corretta individuazione dello statuto ontologico dell'embrione (e i dubbi in merito non possono non essere riconosciuti da tutti come almeno consistenti), il mero sospetto cioè che la soppressione dell'embrione comporti la soppressione di un essere umano, dovrebbe implicare il dovere etico di rispettarlo e tutelarlo in ogni occasione.
4.
Considerazioni più rapide merita il problema dell'ammissibilità a pratiche di PMA di coppie omosessuali, di donne in menopausa o comunque per altre finalità non strettamente procreative. Si tratta di ipotesi statisticamente meno frequenti, ma non immeritevoli di attenzione della loro rilevanza etica. Cominciando dal riflettere sulle pretese delle coppie omosessuali di essere ammesse a tali pratiche, è essenziale sottolineare come non si intenda, in questa sede, procedere ad alcuna valutazione etica dell'omosessualità, né ad alcuna osservazione fenomenologica che abbia per oggetto le coppie omosessuali. Si deve però rimarcare come il desiderio di genitorialità di una coppia omosessuale possieda un evidente, e problematico, carattere mimetico della coppia eterosessuale, che fa sorgere sotto questo esclusivo profilo gravi questioni etiche.
L'esperienza di coppia di tipo omosessuale implica infatti l'alterazione esistenziale di uno dei due partner, che assume la funzione del sesso mancante, non avendone però la sostanza psicosomatica. I partner si collocano pertanto nella difficile situazione dell'essere-come, facendo riferimento, per la soddisfazione del loro desiderio mimetico, a una raffinata procedura tecnologica, che comunque non potrà mai sottrarli all'ambiguità costitutiva del loro rapporto. Tutti i problemi etici sopra analizzati con riferimento alle coppie che chiedono di essere ammesse a PMA eterologa si ripresentano, in questa circostanza, come ingigantiti. Ma ancor più grave, da un punto di vista etico, appare la questione se tale mimesi possa operare positivamente nei confronti del figlio che verrebbe alla luce tramite procreazione assistita e del suo diritto ad acquistare una identità non incrinata sotto alcun profilo. Queste considerazioni inducono a ritenere, almeno per forti ragioni prudenziali, che non si possa attribuire valore bioetico al desiderio di coppie omosessuali (anche se in sé stesso meditato e generoso) di essere ammesse a pratiche di PMA.
Consideriamo ora il problema dell'eticità di tale procedura a carico di una donna in menopausa. Uno degli argomenti più frequentemente, e più ragionevolmente, addotti da chi critica questa pratica è il grave dislivello di età che si viene a determinare tra la madre e il figlio, con tutti i conseguenti e immaginabili problemi psicologici e sociali che l'una e l'altro dovranno inevitabilmente prima o poi affrontare. Tanto potrebbe bastare per ritenere molto problematica, da un punto di vista bioetico, questa possibilità. Ma è opportuno aggiungere che, anche nel caso in cui non si avesse una ragionevole certezza (scientifica) su possibili danni sociopsicologici a carico del nascituro, resterebbe pur sempre aperta la possibilità di valutare tale caso in chiave strettamente etica. Il vero problema etico che nasce in questa ipotesi non è collegato infatti a una mera, per quanto rilevante, questione anagrafica, ma a quello della 'riduzione tecnologica' del significato della gestazione. La donna anziana vuole ostentatamente negare, tramite la PMA, non solo i limiti connessi alla propria età anagrafica, ma quelli generalmente connessi a ogni gestazione in generale: l'artificialità entra nella sua gravidanza non solo come mero momento di avvio di un processo naturale, ma come necessario e ineludibile momento di continuo supporto. Sotto questo profilo, la PMA a carico di donne in menopausa realizza nel modo più compiuto - e paradossalmente coerente - l'artificializzazione del nascere.
Un breve discorso va riservato ad alcune ipotesi residuali, che però si sono già presentate nella pratica, suscitando dibattiti molto accesi. Le ipotesi sono quelle della clonazione e della produzione di embrioni, prescindendo dall'obiettivo di ottenere una gravidanza e quindi all'esclusivo scopo di sperimentazione, di ricerca o di utilizzazione commerciale. Valgono al riguardo le considerazioni già fatte quando si è trattato della bioetica dell'embrione. Si può però aggiungere in questo contesto un'ulteriore osservazione di grande rilievo bioetico: come cioè l'utilizzazione di tecnologie, progettate originariamente a fini di PMA, per finalità non procreative, anche se rispettabili come quelle medico-sperimentali (e questo è in verità il senso ultimo del tentativo di giungere alla clonazione di embrioni umani), e la conseguente utilizzazione degli embrioni come semplice 'materiale biologico', privo di una propria identità e di proprie spettanze, costituiscano un vistoso esempio di quel fenomeno della 'colonizzazione del mondo vitale', per usare la forte espressione di J. Habermas, che contrassegna il predominio della tecnologia nel nostro tempo e contro il quale appare sempre più indispensabile reagire con fermezza e consapevolezza.
5.
Condividere le valutazioni e le preoccupazioni sopra esposte non implica in alcun modo il cristallizzarsi di un giudizio etico negativo di carattere individuale a carico di coloro che chiedono di utilizzare queste pratiche. Il giudizio sulle azioni e sulle scelte dei singoli, infatti, non possiede mai un carattere logico-deduttivo, in quanto esso è reso possibile unicamente a partire dalla precisa conoscenza di un contesto esistenziale, che è evidentemente preclusa a chiunque operi riflessioni generali e/o di principio, come quelle che sono state sopra sviluppate. Deve però restar fermo che la lettura etica dei fenomeni e delle azioni umane è sempre e comunque legittima (anzi doverosa), indipendentemente dal rispetto (anch'esso doveroso) da nutrire nei confronti dei singoli soggetti agenti. Il valore etico non si radica e non coincide con gli interessi, con i desideri e meno che mai con le pulsioni dei singoli, ma possiede una sua obiettività che lo rende suscettibile di riflessione e di analisi.
Del resto, se non si assumesse questo presupposto, lo stesso pensiero bioetico perderebbe ogni consistenza obiettiva e si ridurrebbe a una registrazione cronachistica di opzioni morali soggettive, sprovviste, proprio per il loro carattere soggettivo, di ogni rigore teoretico. Condividere le valutazioni e le preoccupazioni sopra esposte non implica nemmeno, e in alcun modo, pretendere che l'ordinamento giuridico debba intervenire con la propria forza sanzionatoria per proscrivere in generale gli interventi di PMA. È infatti evidente che la mera valutazione etica di un qualsiasi fenomeno non consente, in quanto tale, di qualificarlo in senso positivo o negativo sul piano giuridico. La dimensione sanzionatoria (così come del resto quella promozionale) del diritto non trova le sue radici e le sue ragioni nei giudizi di carattere strettamente morale: il giurista non è al servizio del moralista, così come il diritto non è al servizio della moralità. Al diritto non sta a cuore la difesa dell'etica in generale, ma esclusivamente la difesa dell'etica che gli è propria, quella della 'socialità della coesistenza', che si realizza individuando e proponendo ragionevoli modelli di azione sociale e promuovendo la difesa dei soggetti (in genere i più deboli socialmente) nei confronti di ogni eventuale e indebita azione lesiva nei loro confronti che possa venire posta in essere da altri soggetti (in genere quelli socialmente più forti). Di conseguenza, ogni valutazione bioetica nel campo della procreazione potrà avere una ricaduta giuridica solo quando siano percepibili dinamiche sociali rilevanti per il diritto, quando in buona sostanza il diritto avvertirà che vengono messi in gioco valori coesistenzialmente rilevanti. Anche se in generale valori di questo tipo possiedono una duplice rilevanza, etica e giuridica, potrà ben darsi che una pratica eticamente riprovevole possa essere considerata lecita dall'ordinamento giuridico.
E potrà anche darsi il caso inverso: che una pratica che un soggetto sarebbe disposto ad attivare mosso da un generoso spirito altruistico (e quindi definibile soggettivamente come morale) possa venire ritenuta illecita giuridicamente, fino a essere specificamente sanzionata. Fra i valori sociali che il diritto non può fare a meno di tutelare e di promuovere, pena l'infedeltà ai propri principi costitutivi, rientra di certo il valore della salute: appare quindi opportuno giuridicamente (oltre che eticamente indispensabile) che tutte le pratiche di PMA siano poste in essere in modo tale da garantire nel modo ottimale tutti i soggetti coinvolti nel processo (ivi compresi i soggetti nascituri). La difesa di questo valore acquista dunque quasi la valenza di un presupposto logico di ogni conseguente processo. È molto dubbio che valori coesistenzialmente rilevanti siano in gioco nel caso della PMA omologa: per quanto gravi possano essere le obiezioni etiche che le si possano muovere, essa va con ogni probabilità ritenuta assolutamente lecita da un punto di vista giuridico. Maggiori invece sono le perplessità che possono nascere a carico della PMA eterologa, sia sotto il profilo della tutela dell'istituto della famiglia (uno di quei modelli di 'azione sociale' che l'esperienza giuridica di ogni tempo ha trattato con particolare rispetto), sia sotto il profilo della difesa dei 'preminenti interessi del nascituro'. Il legislatore dovrà muoversi in materia con estrema prudenza. Ma non c'è dubbio che egli possa, con un'accorta politica legislativa, operare in modo da rendere irrilevanti o almeno minimizzare entrambi i rischi: per es. ammettendo alla PMA eterologa solo coppie coniugate e precludendo al membro della coppia che non sia genitore genetico del bambino e abbia dato un consenso libero e informato alla PMA ogni futura azione di disconoscimento nei confronti del nato.
Da parte di molti si suggerisce di considerare le 'coppie stabili' analoghe a quelle coniugate, ai fini della loro ammissibilità alla PMA omologa ed eterologa. Il problema è molto delicato, ma supera l'ambito della riflessione bioetica: esso mette in gioco non solo il problema dell'obiettiva giuridicizzazione dei matrimoni di fatto, che proprio attraverso l'ammissione di coppie stabili a pratiche di PMA acquisterebbero nuovi profili istituzionali, ma anche la questione ben più complessa dell'identità stessa della famiglia 'come società naturale fondata sul matrimonio' (secondo il dettato dell'art. 29 della nostra Costituzione). Il legislatore verrà a trovarsi di fronte a una scelta molto significativa, anche al di là delle problematiche bioetiche strettamente intese, e questo dato va posto nel dovuto risalto.
Grandi sono infine le perplessità che sorgono per quel che attiene l'ammissibilità giuridica di coppie omosessuali, di donne sole e di donne in menopausa a pratiche di PMA. Si tratta certamente di ipotesi molto diverse, per quel che concerne una loro valutazione etica, ma che in prospettiva giuridica possono essere accomunate sotto un solo profilo, che è poi l'unico rilevante. In ognuno di questi casi si favorisce infatti la nascita di un bambino al di fuori di una famiglia e al limite contro di essa: il che appare assolutamente inaccettabile, non solo per ragioni etiche, psicologiche, sociologiche e più generalmente antropologiche, ma per un'esigenza minimale di coerenza giuridica (che ha poi in sé stessa una propria valenza etica). Come potrebbe infatti il legislatore in un ordinamento quale il nostro, che parla della famiglia come di una 'società naturale', introdurre il riconoscimento di queste nuove e alternative forme di familiarità, senza contraddire sé stesso? L'esigenza giuridica di garantire i preminenti interessi del nascituro si fa sotto questo profilo molto forte e sembra dunque necessario auspicare una preclusione generale di tali possibilità.
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