proemio
Voce poco frequente, documentata solo nella Vita Nuova e nel Convivio.
Vale " esordio ", " premessa ", e distingue in D. la parte introduttiva di un'opera in prosa, o in versi (nel qual uso, in esclusivo riferimento alla struttura della canzone, indica la stanza iniziale; cfr. ad es. Vn XXXI 3 questa... canzone ha tre parti: la prima è proemio, e Cv III II 1 la prima parte, che proemio di questa canzone fu ordinata), in cui l'autore medesimo (o altri per lui: Cv IV V 16 Ieronimo... nel proemio de la Bibbia... dice che meglio è tacere che poco dire; si allude all'epistola ad Paulinum, considerata nel Medioevo quale prologo alla Vulgata. Cfr. L. Negri, in " Giorn. stor. " LXXXV [1925] 304-305) annuncia l'argomento che verrà trattando, dichiarandone insieme il fine (a volte, anche il carattere dell'espressione stilistica), cui intende mantenersi fedele nello svolgimento dell'opera stessa.
Si veda l'uso del termine in Vn XXVIII 2 avvegna che forse piacerebbe a presente trattare alquanto de la sua [di Beatrice] partita da noi, non è lo mio intendimento di trattarne qui per tre ragioni: la prima è che ciò non è del presente proposito, se volemo guardare nel proemio che precede questo libello, dove p. distingue il breve ma intenso primo capitolo dell'opera (funzione proemiale attribuisce il Terracina anche al seguente), sulle immagini e sui contenuti riposti del quale D. svilupperà la " forma " (Singleton) del libro tutto; Cv IV II 15 in questo proemio prima si promette di trattare lo vero, e poi di riprovare la falso; III 1 Veduta la sentenza del proemio, è da seguire lo trattato. Cfr. anche. Vn XIX 15, Cv III XII 5, IV II 12, XXX 1, Ep XIII 43-45 ss.
Un esame accurato del p. dà l'Ep XIII ai §§ 44-52. Nell'analisi dell'esordio del Paradiso l'epistola a Cangrande ricorda, sulla base di Aristotele (Rhet. III 14, 1414b 19-20), che l'exordium può essere meglio definito come proemium nell'orazione retorica, praeludium nell'esecuzione musicale, e prologus nella poesia. Tale praenuntiatio (o exordium comunemente detto); sorta di ‛ preannuncio ' posto all'inizio dell'esposizione vera e propria, ha caratteristiche tipiche nel caso del retore e del poeta. Il retore infatti usa del p. solo per ‛ apparecchiare l'animo dell'uditore ' (ut animum comparent auditoris) mentre al poeta, oltre il p., è necessaria l'invocatio cioè la " richiesta ", volta a esseri superiori, di un potere eccezionale che sopravanzi la normale condizione umana (aliquid contra comunem modum hominum a superioribus substantiis petendum est). Si tratta qui dell' " ispirazione ", cioè della concessione da parte delle Muse (o, cristianamente, da parte delle sostanze celesti e tramite esse, da Dio) di una virtù sovrumana e divina che cali - come divinum munus - entro il poeta, rendendolo atto a cantare, in concorso con l'ingegno e con l'arte, la materia proposta.
Ciò detto, l'epistola ricorda, sulla base della Nova Rhetorica di Cicerone (= De Inv. I XV 20 " Exordium est oratio animum auditorio idonee comparans ad reliquam dictionem: quod eveniet, si eum benivolum, attentum, docilem confecerit ") che ad bene exordiendum tria requiruntur... scilicet ut benivolum et attentum et docilem reddat aliquis auditorem. Il che appare compendiato nel p. del Paradiso (I 10-12) dov'è detto: Veramente quant'io del regno santo / ne la mia mente potei far tesoro, / sarà ora materia del mio canto. Tale enunciatione suscita infatti la benevolentia dell'uditore, in quanto mira all'utilitas dicendorum, cioè a rivelazioni, che avendo come oggetto i gaudia Paradisi risultano maxime allectiva... desiderii human. Suscita inoltre l'attentio dell'uditore, in quanto la promessa di tam ardua tam sublimia dicere (cioè di esporre le conditiones regni coelestis) mira all'admirabilitas, cioè alla meraviglia che è stimolo all'amore per la sapienza. Suscita infine la docilitas dell'uditore, in quanto la dichiarazione di cantare ciò che del regno santo / ne la mia mente potei far tesoro, dimostra la possibilitas, cioè il " potere " che come D., anche ogni altro può avere, di accedere alla visione e al ricordo del regno di Dio.
Tutta l'analisi dell'Ep XIII, come si vede, mira a verificare la congruenza della costruzione del p. del Paradiso con le regole sancite dalla retorica classica.
Non è esplicitamente chiamato tale il p. della Commedia, cioè il primo canto dell'Inferno. Infatti, collocato fuori della struttura numerica del poema, esso ne costituisce (in rispetto degli esempi classici e dei canoni retorici) il vero e proprio, integrante p., il cui fine è quello di proporre il tema e di motivare la ‛ fabula ' sul piano istoriale, dichiarando le circostanze di fatto entro cui il viaggio conoscitivo dell'oltretomba umanamente si storicizza (su questo problema fondamentale è il saggio del Pagliaro, citato in bibl.). Apparendo, però, tale giustificazione troppo tenue rispetto a " un assunto, per il quale affetti, aspirazioni e giudizi " d'uomo avrebbero varcato " il limite della relatività " per trasferirsi " nella sfera dell'assoluto ", D. ha concepito la più rigorosa struttura del canto secondo, il prologo, in cui, dopo un breve principio narrativo, si ha " un interludio puramente dialogico e quasi teoretico, diretto a chiarire come all'umano l'assolutezza derivi da una investitura divina ". Giustificando l'eccezionalità del viaggio quale concessione salvatrice della grazia, il prologo (la cui razionalità si distingue dal carattere intuitivo e " onirico " dell'immaginoso p.) legittima il privilegio della missione di cui il poeta si trova investito, costituendo un " anello dialettico " fra il p. e l'inizio della trattazione.
Bibl. - E.H. Wilkins, The invention of the sonnet and other studies in italian literature, Roma 1959, 69-75; A. Chiari, in " Convivium " XXIX (1961) 1-11; B. Nardi, in " L'Alighieri " IV 1 (1963) 3-17; V. Vettori, in Letture dell'" Inferno ", Milano 1963, 7-27; Pagliaro, Ulisse 1-114. Per la Vita Nuova cfr. B. Terracini, Analisi stilistica, Milano 1966, 222-223; C. Singleton, Saggio sulla " Vita Nuova ", Bologna 1968, 39-75.