Professioni
di Talcott Parsons
Professioni
sommario: 1. Introduzione. 2. Formazione professionale e istruzione superiore. 3. La professione legale. 4. La professione medica. 5. La professione dell'ingegnere. 6. Alcuni casi di confine: il clero e le professioni di recente formazione. 7. Conclusioni. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Le cosiddette professioni sono una classe particolare di ruoli occupazionali, oppure, da un altro punto di vista, i gruppi di persone che svolgono ruoli di un certo tipo. La loro storia risale, per certi aspetti, all'antichità classica, ma hanno assunto un particolare rilievo soprattutto nelle moderne società industriali. Solo in data relativamente recente, tuttavia, gli studiosi di scienze sociali hanno cominciato a sottoporle a ricerche estensive. Sul piano storico è interessante notare come non si faccia quasi menzione delle professioni nelle grandi discussioni sulla natura della società moderna incentrate sulle caratteristiche e sui problemi del ‛capitalismo' e del ‛socialismo'. Il dibattito su questi argomenti si è imperniato su tre ruoli non privi di qualche affinità con quelle che gli odierni sociologi chiamano le ‛occupazioni'. Il primo è il ruolo del ‛capitalista', inteso grosso modo nel significato marxiano, ruolo che assomma il controllo dell'impresa mediante la proprietà e l'effettivo esercizio delle funzioni manageriali. Il secondo ruolo-tipo riscontrabile nell'impresa capitalistica è quello del ‛lavoratore'. I lavoratori costituiscono una classe che non ha né la proprietà dei mezzi di produzione né quella del prodotto; essa dipende dai salari pagati dal datore di lavoro ed è inoltre concepita come non caratterizzata da alcuna competenza specifica. C'è poi da considerare il ruolo degli amministratori statali, cui spettano le funzioni manageriali nelle imprese di proprietà pubblica. Essi vengono catalogati sulla base dell'assunto che si tratti di ‛funzionari statali' ordinari, senza riguardo ad alcun particolare criterio di competenza. (V. anche stratificazioni sociali).
Delineiamo ora in breve le caratteristiche principali che secondo noi contraddistinguono le professioni. La prima è il possesso, da parte dei loro membri, di una specifica competenza tecnica ad alto livello. Siffatta competenza è di tal natura che la sua acquisizione esige un addestramento formale, appartenente in ultima analisi alla sfera dell'istruzione superiore. Benché ciò non avvenga sempre, nella generalità dei casi tale addestramento si svolge in facoltà universitarie o scuole appositamente organizzate. Nella maggior parte dei paesi è necessaria per l'esercizio di quasi tutte le professioni una licenza dello Stato, e il rilascio delle licenze è in molti casi subordinato al superamento dei corsi prescritti. Un'eccezione di rilievo è costituita dalla professione accademica, per i cui membri, almeno in molti paesi, non è prevista alcuna speciale licenza.
La seconda caratteristica fondamentale delle professioni è quella che W. J. Goode ha definito ‟orientamento sul servizio" (service orientation). Si intende con ciò l'assunzione di uno speciale impegno a dare la priorità assoluta alla difesa degli interessi del cliente, cioè del diretto destinatario delle prestazioni professionali. In questa accezione, l'‛orientamento sul servizio' è concepito in diretta contrapposizione al ‛perseguimento razionale dei propri interessi', quale viene formulato dagli economisti in riferimento alle imprese e agli uomini d'affari: concetto, quest'ultimo, che si basa sulla fiducia che i meccanismi concorrenziali del mercato assicurino gli interessi degli acquirenti.
Questa caratteristica è intimamente connessa con quello che potremmo chiamare il ‛divario di competenza', che di norma esiste tra il professionista e il destinatario delle sue prestazioni, il quale, sotto quest'aspetto, è in genere un profano. Tra i presupposti della legittimità del mercato concorrenziale c'è quello che gli acquirenti siano in condizioni di valutare razionalmente sia la qualità che il prezzo delle merci offerte in vendita. Palesemente, ciò non si verifica nel caso della maggior parte delle prestazioni professionali di alto livello. Va notato, inoltre, che quando i professionisti sono impiegati in un'organizzazione, come avviene sempre più spesso, il divario di competenza sussiste anche nei confronti dei loro superiori, che sono in genere profani per quanto riguarda una certa professione specifica. Ad esempio i dirigenti non sono per lo più in grado di valutare personalmente le prestazioni di un ingegnere alle dipendenze dell'impresa.
Una terza caratteristica della professione è quella che potremmo chiamare ‛responsabilità fiduciaria', intendendo con ciò una responsabilità che va oltre la difesa degli interessi di questo o quel cliente nelle materie che sono oggetto del rapporto con il professionista. E va oltre sotto due aspetti fondamentali. In primo luogo, ciascuna professione esercita una sorta di ‛tutela' su un settore importante del patrimonio culturale della società. Così la professione legale non ha unicamente la responsabilità di difendere e curare gli interessi particolari dei singoli clienti; è anche responsabile dell'integrità e adeguatezza di una componente essenziale della cultura normativa della società: il diritto. Analogamente, la professione medica esercita una tutela sul vasto insieme di tecniche e di conoscenze relative alla salute, mentre la professione accademica la esercita nel campo delle grandi tradizioni della conoscenza e dell'erudizione.
In secondo luogo, la conservazione e lo sviluppo delle tradizioni culturali, come anche l'uso che ne vien fatto, sono - per usare una vecchia espressione - ‛questioni di interesse pubblico', che oltrepassano gli interessi particolari dei singoli clienti che fruiscono delle prestazioni professionali. Proprio a causa della presenza in queste componenti della cultura di un elemento di competenza tecnica, chi sia partecipe di tale competenza deve assumersi anche sotto questo profilo una grossa responsabilità, che si aggiunge a quella contratta verso il singolo cliente.
Infine, la quarta caratteristica fondamentale di una professione è la sua relativa autonomia, che si manifesta nelle libertà e nei privilegi di cui i suoi membri godono e nel suo status giuridico. Questa autonomia, tuttavia, non va disgiunta dai due livelli di responsabilità sopra individuati. Vista in questi termini, l'autonomia cui ci riferiamo è giustificata dalla combinazione di due ordini di fattori: da un lato, che i professionisti siano messi in grado di fronteggiare adeguatamente le loro responsabilità è di vitale importanza per l'interesse pubblico; dall'altro, il requisito della competenza significa che la partecipazione di coloro che la posseggono è essenziale se si vogliono ottenere risultati soddisfacenti. Esempio tipico di autonomia professionale è l'antica tradizione delle libertà universitarie, che impone drastiche limitazioni all'intervento di organi esterni (soprattutto politici) nell'adempimento delle funzioni relative all'istruzione superiore e alla ricerca.
Quando si pensa all'interesse personale del professionista, viene in mente anzitutto l'aspetto finanziario, ma c'è anche, naturalmente, l'imperativo etico del servizio, che comprende l'impegno a mantenere il più alto livello di competenza possibile e quello, divenuto ben noto nel caso dell'etica della professione medica, a evitare di recar danno al cliente.
Le professioni così intese costituiscono una classe di occupazioni molto antica. I medici, ad esempio, esistevano, come categoria più o meno nettamente professionale, già a Roma e in Grecia: basti solo citare il nome di Ippocrate. A Roma, inoltre, esisteva una classe di avvocati professionisti, i giureconsulti (v. Fowler, 1909). L'Europa postmedioevale conobbe una notevole rinascita delle professioni, soprattutto - come è ovvio - della professione medica e di quella legale, quest'ultima strettamente legata alla pubblica amministrazione (v. Pollock e Maitland, 19232). Nel Novecento le professioni hanno visto ulteriormente infittirsi i loro ranghi; l'aumento quantitativo è stato accompagnato da un innalzamento dei livelli di competenza e, almeno in certi campi, dalla formazione di nuove professioni (v. Lynn e altri, 1963).
Abbiamo già notato come le professioni, ma anche l'istruzione superiore e la ricerca intellettuale che - come vedremo - hanno tanta importanza per le professioni, siano state trascurate nei dibattiti suscitati dal movimento socialista nell'Ottocento sulla natura e lo sviluppo della moderna società industriale. Prevalse la tendenza a dividere il mondo delle occupazioni in due blocchi: la categoria dei proprietari capitalisti da un lato, e quella dei lavoratori dall'altro (v. Marx ed Engels, 1848). Il movimento socialista, naturalmente, partiva dal presupposto che l'organizzazione e l'amministrazione dell'industria dovevano essere assunte dallo Stato; nulla si diceva però circa la specifica professionalità degli amministratori pubblici.
Chi scrive fu spinto a interessarsi all'analisi sociologica delle professioni proprio perché i professionisti non sembravano riducibili né alla figura dell'imprenditore capitalistico né a quella del lavoratore quali erano delineate nel dibattito su capitalismo e socialismo. In seguito, gli studiosi di scienze sociali e soprattutto i sociologi si sono occupati ampiamente delle professioni.
2. Formazione professionale e istruzione superiore
La caratteristica distintiva di un addestramento tecnico generalizzato ci porta a considerare il rapporto tra la formazione professionale e il più vasto sistema dell'istruzione superiore. A questo riguardo, c'è stata una fortissima tendenza ad assegnare la formazione dei professionisti - almeno di quelli di più alto livello - a scuole professionali universitarie, che sono diventate parte integrante del sistema universitario moderno. Questa tendenza è stata particolarmente accentuata negli Stati Uniti. Non è però una tendenza assolutamente generale. In Gran Bretagna, ad esempio, gli avvocati di livello superiore, i barristers, ricevono la loro formazione negli Inns of courts, che sono completamente indipendenti dalle università (v. Cheatham, 1971; v. Megarry, 1971); per quanto riguarda i medici, soprattutto la dimensione clinica della formazione è stata concentrata negli ospedali, anch'essi indipendenti dalle università. In forme diverse, ciò si verifica nell'Unione Sovietica e negli altri paesi comunisti. Nell'Unione Sovietica (v. Berman, 1963) la ricerca si svolge in prevalenza fuori dalle università ed è affidata all'Accademia delle Scienze. Si può affermare, tuttavia, che l'inclusione della formazione professionale nel sistema universitario è il modello più diffuso.
Questa circostanza, soprattutto nel caso degli Stati Uniti, c'induce dunque a concentrare l'attenzione sulla professione accademica. Una tendenza molto accentuata nello sviluppo dell'istruzione superiore negli Stati Uniti, sin dalla nascita di vere e proprie università, è stata quella comunemente chiamata la ‛professionalizzazione delle facoltà universitarie'. Sua caratteristica principale è stata la richiesta di un prolungato iter formale quale requisito preliminare per una nomina universitaria anche quando le funzioni si limitino all'insegnamento. Allo stesso tempo, però, soprattutto in questo secolo, l'attività di ricerca si è notevolmente estesa, tanto che la capacità di svolgere ricerche e la formazione specifica a questo fine hanno assunto un'importanza centrale nella preparazione alla professione accademica.
In America il nucleo centrale del sistema universitario era costituito dalle facoltà di arti e scienze, che erano in larga misura sviluppi delle tradizionali facoltà di filosofia delle università europee; in Europa c'era in alcuni casi una combinazione di facoltà di filosofia e facoltà di scienze naturali. Si sono venute creando connessioni - anche con rilevanti sovrapposizioni - tra le facoltà professionali, come quelle di legge e di medicina, e quelle di arte e scienze. Questo fenomeno si è accentuato in particolare da quando le scienze di base sono divenute sempre più importanti come presupposto dell'esercizio di numerose professioni.
In molti paesi l'ingegneria ha costituito un caso a sé. Si è avuta la tendenza alla costituzione di istituti tecnici di vario tipo, indipendenti dalle università. In Germania, ad esempio, per tutto l'Ottocento le cosiddette Technische Hochschulen non facevano parte del sistema universitario e non erano autorizzate a rilasciare titoli dottorali (v. BenDavid, 1971). La situazione mutò solo dopo la seconda guerra mondiale. Anche negli Stati Uniti alcune delle scuole di ingegneria più avanzate sono state indipendenti dalle università, ma, almeno nel caso delle migliori, vi è stata la tendenza a trasformarle in vere e proprie università. Così, il Massachusetts Institute of Technology ha esteso la propria attività non solo nel campo della scienza pura, ma - e in misura cospicua - anche in quello delle humanities e delle scienze sociali.
Con la fioritura delle discipline accademiche in data relativamente recente si è accresciuto in misura decisiva il peso di una rilevante distinzione. Per fare l'esempio della medicina, a partire all'incirca dall'inizio del secolo, una componente sempre più importante della formazione dei medici è stata costituita da quelle che i professionisti americani chiamano le ‛scienze di base' (v. Becker e altri, 1961; v. Hammond e Kern, 1959; v. Merton e altri, 1957). Si tratta principalmente di settori della chimica e delle scienze biologiche; tra queste ultime, ad esempio, la fisiologia e la batteriologia hanno costituito - insieme, ovviamente, con l'anatomia umana - materie fondamentali. I docenti di queste scienze di base non sono stati necessariamente medici essi stessi, e nelle facoltà di medicina si è andata sviluppando un'importante distinzione tra chi si occupa delle scienze di base e chi si impegna nella formazione clinica.
La clinica ha invero come proprio fondamento un corpo di conoscenze organizzato in modo diverso rispetto a quello che è essenziale per le ‛scienze di base'. La locuzione usuale ‛scienza della medicina' non si riferisce a una disciplina scientifica nel senso in cui sono discipline scientifiche la fisica, la chimica o la biologia, ma a tutte le conoscenze rilevanti per la dimensione clinica della medicina, conoscenze che possono essere ricavate da un'amplissima gamma di discipline ‛pure' (v. Parsons e Platt, 1973), tra le quali, nel caso della medicina, sono state di recente incluse la psicologia e alcune scienze sociali. La rilevanza di ciò che qui chiamo dimensione clinica, che non si limita alla medicina malgrado l'origine medica del termine, spiega perché le scuole di addestramento professionale, anche se incluse nelle normali università, debbano però conservare almeno in parte la propria autonomia. Se tale autonomia non ricevesse un riconoscimento istituzionale, non mancherebbero di prodursi frizioni.
La professione accademica, in quanto presuppone una formazione specifica, dovrebb'essere senz'altro inserita nel mondo delle professioni. Anzi, sotto certi aspetti, potremmo chiamarla ‛la chiave di volta dell'edificio delle professioni'. In essa si distinguono, ovviamente, i due grandi settori delle facoltà di arti e scienze - dove le funzioni di formazione riguardano soprattutto la formazione dei propri successori nelle funzioni accademiche - e le facoltà in cui si addestrano i cultori delle professioni applicate.
Usiamo il termine ‛professioni applicate' per indicare quelle professioni il cui fine non è in primo luogo il progresso della conoscenza o del sapere in quanto tale né la loro trasmissione mediante l'istruzione, ma piuttosto la loro utilizzazione per il raggiungimento di scopi pratici per l'uomo.
Oltre alla professione accademica, vi sono due gruppi principali di professioni. Il primo è molto antico e si occupa di tre aspetti diversi della condizione umana. Il diritto riguarda l'ordinamento normativo della società umana, soprattutto la definizione dei diritti e dei doveri dei singoli e delle collettività che sono parte di una società. La medicina si occupa delle condizioni del singolo soprattutto come organismo biologico (non però in modo esclusivo, dato che l'interesse dei medici si è esteso in misura rilevante ai problemi psicologici e persino sociali). Quanto all'ingegneria, essa si occupa dell'utilizzazione delle risorse offerte dall'ambiente fisico.
Il secondo gruppo, infine, è formato dalle professioni di recente costituzione, di cui parleremo più avanti.
3. La professione legale
Tutte e tre le professioni summenzionate sono, in un senso importante, professioni fondate scientificamente.
Nel nostro secolo ciò è lampante per la medicina e l'ingegneria, che hanno visto accrescersi costantemente l'importanza relativa della componente scientifica nelle loro conoscenze di base. La professione legale è stata, tendenzialmente, molto più indipendente come professione, e in un certo senso è rimasta una professione prevalentemente ‛clinica' (v. Weber, 1956; v. Fuller, 1968). Di recente si è però prodotto un significativo spostamento verso una collaborazione tra la professione legale, e in particolare le facoltà universitarie di legge, e almeno alcune delle scienze sociali e del comportamento. Si può prevedere che nel prossimo futuro questa tendenza guadagnerà rapidamente terreno.
Sembra opportuno un breve commento su ciascuna delle tre professioni o meglio, forse, dei tre insiemi di attività professionali. Nel mondo moderno ciascuna di esse, com'è naturale, presenta un'articolazione estremamente complicata. Nel caso della professione legale una caratteristica particolarmente importante è la complessità delle sue relazioni con lo Stato. I tribunali sono, in effetti, organi diretti dello Stato, le cui decisioni certi altri organi esecutivi hanno l'obbligo di far applicare. I giudici che siedono in questi tribunali nell'esercizio delle loro funzioni sono, ovviamente, funzionari statali. Inoltre, nell'amministrazione dello Stato sono occupati in vario modo numerosi membri della professione legale, e anzi in alcuni paesi dell'Europa continentale è tradizione che tutti i funzionari statali di grado superiore debbano avere una formazione giuridica, il che non si verifica invece nei paesi di lingua inglese (v. Rueschemeyer, 1973).
Nonostante le sue funzioni pubbliche e i suoi rapporti con lo Stato, nel mondo moderno - e particolarmente nei paesi di lingua inglese - la professione legale è anche una professione privata. Certo, l'attestazione del diritto a esercitare la professione dà all'avvocato uno status almeno in parte pubblico. Negli Stati Uniti egli è chiamato un officer of the court. Le sue prestazioni sono comunque a disposizione dei clienti privati (singoli o società), e la professione in quanto tale ha un'organizzazione relativamente indipendente dallo Stato. Il presidente di un Ordine degli avvocati, ad esempio, non deve essere necessariamente un funzionario statale. La dimensione privata della professione legale risale almeno all'impero romano, quando fu istituzionalizzata la distinzione tra il praetor e il jurisconsultus, consulente privato delle parti.
Nonostante l'importanza della funzione legislativa nelle società moderne, si può probabilmente affermare che la funzione centrale del sistema giuridico è la funzione giurisdizionale, i prodotti della quale (giurisprudenza) servono da orientamento nel consigliare i clienti. Grazie a essa il diritto diviene una tradizione vivente, capace di modificarsi attraverso canali diversi dalla legislazione ufficiale o altri atti specificamente statali. Sotto questo rispetto è cruciale l'interazione tra l'attività giurisdizionale nei tribunali e la professione legale al di fuori.
È particolarmente importante il fatto che i tribunali non si limitano a emettere sentenze giuridicamente vincolanti per i contendenti; in sede di appello sono tenuti anche ad addurre i fondamenti giuridici delle loro sentenze o, nel caso di corti composte da più giudici, le motivazioni dell'eventuale dissenso dalla decisione della maggioranza. Siffatti materiali, consegnati in documenti pubblici, sono di particolare interesse per quanti esercitano la professione legale e soprattutto per gli studiosi. Insieme con la legislazione essi costituiscono il substrato fondamentale dell'evoluzione del diritto. Un altro fatto importante è che solo una minoranza delle vertenze giudiziarie - in realtà una parte minima - viene decisa formalmente nei tribunali. Moltissime sono risolte privatamente negli studi degli avvocati, e persino quelle che finiscono davanti al giudice trovano di frequente una composizione fuori delle aule giudiziarie.
Questa circostanza non deve però condurre a sminuire l'importanza dei tribunali. Sono anzitutto le sentenze effettivamente emesse dai tribunali a orientare l'opera professionale degli avvocati: lo ha sottolineato con particolare chiarezza uno dei campioni della tradizione giuridica americana, il giudice O. W. Holmes, definendo la legge come l'insieme delle sentenze che ci si attende i tribunali emetteranno (v. Holmes, 1881). Vi è ancora un punto importante, di particolare rilevanza nel caso del diritto, ma che - in modi e gradi diversi - trova riscontro in tutte le altre professioni. Si tratta del fatto che le comunicazioni tra l'avvocato e il suo cliente sono privilegiate, nel senso che essi non possono essere costretti, neppure in tribunale e sotto giuramento, a rivelare il contenuto di loro comunicazioni private e attinenti ai loro rapporti professionali. L'altro più cospicuo esempio di ‛privilegio' è quello riguardante i coniugi che, nella maggioranza degli ordinamenti giuridici, non possono testimoniare in tribunale l'uno contro l'altro.
4. La professione medica
E ora qualche considerazione sulla medicina. Questa professione, come già osservato, è incentrata sulla funzione di proteggere la salute degli individui. Inoltre - anche questo è stato già notato - il campo della medicina si è esteso gradualmente dagli aspetti puramente somatici della salute e della malattia a quelli psicologici e, per certi versi, a quelli sociali (v. Freidson, 1971; v. Field, 1971).
Evidentemente, l'esercizio della professione medica non comporta rapporti con lo Stato paragonabili a quelli della professione legale. È significativo però che una qualche forma di licenza o di iscrizione è richiesta ovunque quale condizione per praticare la medicina. Non è facile delimitare l'ambito della professione, ma in genere si tende a porre l'accento su alcune condizioni molto concrete, quali in particolare il diritto di prescrivere farmaci considerati pericolosi, il diritto di effettuare operazioni chirurgiche e quello di firmare certificati di morte. È quindi evidente l'interesse pubblico che la medicina riveste. L'idea di Herbert Spencer (v., 1897) che tutti i servizi offerti dai medici debbano essere venduti sul mercato come qualsiasi altro servizio e che le restrizioni cui sottoporre o non sottoporre il rapporto medico-paziente debbano essere decise interamente all'interno del rapporto medesimo, ha registrato un cospicuo fallimento.
Benché molte delle prestazioni mediche nei confronti dei pazienti siano di natura relativamente banale e di routine, esiste nondimeno una percentuale rilevante di casi - e da essi deriva in larga misura l'ethos della professione - che implicano un'intimità specialissima e coinvolgono cospicui interessi dei singoli pazienti. Ad esempio, il semplice fatto dell'accesso al corpo, necessario per l'esame clinico e per la cura, presuppone un'intimità alla quale non si arriva usualmente nell'ambito di altri rapporti umani, forse neppure nel matrimonio. Collegata all'attività medica è poi la dimensione dei problemi ‛esistenziali' connessi con l'infermità e, in ultima analisi, con i limiti posti all'attività umana e con quel fatto definitivo che è la morte dell'individuo. È un tratto cruciale della maggioranza dei sistemi giuridici moderni che il certificato indicante le cause della morte debba essere firmato da un medico autorizzato.
Pertanto, analogamente a quanto si riscontra nella professione legale, per la cui comprensione è essenziale il riferimento ai suoi rapporti con l'interesse pubblico, nell'organizzazione della pratica medica è fattore importante la considerazione delle condizioni esistenziali dell'individuo, incluso ovviamente il coinvolgimento di quanti gli sono vicini.
Appare chiara l'esistenza, nella medicina come nella legge, di un fattore decisivo, il quale spiega la fondamentale asimmetria nei rapporti tra il professionista e il cliente (o il paziente). Il punto essenziale, a questo riguardo, è che in ambedue i casi sono in gioco interessi sovraindividuali, rispetto ai quali il professionista gode del particolare vantaggio della competenza, in genere non condivisa dal cliente. Ciò implica che la funzione professionale può essere svolta solo se il cliente - o paziente - ha fiducia nei titolari della funzione medesima. Il fondamento di questa fiducia è dato da una combinazione delle due componenti menzionate all'inizio di questo articolo, e cioè la competenza specifica del professionista e l'impegno da questi posto nelle sue prestazioni. È quindi un fatto degno di nota che, a proposito della medicina, l'opinione sia divisa tra una maggioranza che se mai esagera la competenza e l'affidabilità dei medici e ripone in essi particolare fiducia, e una minoranza invece apertamente scettica sulla loro pretesa alla fiducia, e incline piuttosto a ravvisare nell'esercizio della medicina un'attività fondamentalmente fraudolenta.
5. La professione dell'ingegnere
Il caso dell'ingegneria (v. Evan, 1968) è un po' diverso, il suo campo principale essendo costituito dai rapporti dell'uomo con l'ambiente naturale. Inoltre, i lavori d'ingegneria hanno dimensioni tali, soprattutto per quanto riguarda i costi finanziari, che generalmente i clienti degli ingegneri sono società anziché singoli individui. Nei casi più comuni si tratta di imprese con problemi tecnologici di un qualche tipo o di organismi statali di ogni genere e livello. Nel caso della tecnologia militare, il cliente è lo Stato stesso. Le caratteristiche ‛fiduciarie' già sottolineate nel caso della legge e della medicina si riscontrano, tuttavia, anche nel caso dell'ingegneria. Vi è la stessa ‛asimmetria', data dall'incompetenza dei clienti nel campo specifico e dall'incapacità, per lo più, di valutare esattamente sia le loro necessità sia la qualità delle prestazioni professionali fornite.
In un certo senso, perciò, l'autonomia dei membri di un gruppo professionale si basa sul fatto che le prestazioni di un professionista possono essere valutate con competenza solo dai suoi colleghi. Questa circostanza ha rilevanti conseguenze sugli interessi del cliente individuale, ma anche, e in misura non lieve, su quelli del cliente-società. Anche nel caso in cui un professionista impiegato in una organizzazione sia gerarchicamente subordinato a un dirigente amministrativo, è di norma escluso, quando siano in discussione problemi squisitamente tecnici, che quest'ultimo sia in grado di dare personalmente un'esatta valutazione della competenza e delle prestazioni dell'esperto che è formalmente alle sue dipendenze.
Un'esemplificazione estrema di questa situazione è data dagli amministratori delle università i quali svolgono, tra l'altro, un ruolo importante, sebbene non esclusivo, nella nomina dei docenti.
Si pensi ad esempio, nel caso degli Stati Uniti, ai rettori e presidi di facoltà. Una facoltà universitaria, ad esempio di arti e scienze, richiede persone con le più diverse competenze specialistiche. Anche se chi la governa è egli stesso uno specialista di alto livello in un campo specifico, ciò non lo mette in grado di esprimere un giudizio competente sull'attività svolta in altri campi. Questo è uno dei motivi fondamentali che spiegano perché il ricorso alle prestazioni professionistiche in un'ampia gamma di organizzazioni moderne cozzi con certe vecchie concezioni di una burocrazia strutturata unicamente in base al principio dell'autorità gerarchica. Questo stesso motivo spiega perché le facoltà universitarie siano per lo più associazioni collegiali anziché organizzazioni burocratiche (v. Parsons e Platt, 1973). Sarebbe impossibile trovare una ‛direzione centrale' che avesse una competenza tale da poter controllare nei particolari il lavoro di tutti gli specialisti presenti in una facoltà.
6. Alcuni casi di confine: il clero e le professioni di recente formazione
Molti lettori si saranno chiesti perché il clero non sia stato incluso nel gruppo centrale delle professioni. Il motivo di fondo è che la base principale dell'autorità e del prestigio del clero non risiede nella competenza tecnica, ma in una sorta di status morale o spirituale di natura più generale. Va sottolineato, però, che in tutte le principali chiese cristiane, come anche nel giudaismo, il clero deve sottoporsi, per svolgere in modo adeguato il proprio ruolo, a una formazione lunga e difficile, nella quale ha un'importanza centrale la componente intellettuale: un membro del clero deve infatti essere preparato in teologia, disciplina che richiede solide conoscenze filosofiche, e in storia ecclesiastica; un punto particolarmente importante, naturalmente, è un'approfondita comprensione concettuale delle Scritture.
Date queste caratteristiche, il clero va considerato come un caso ‛di confine' nell'universo delle professioni. In effetti, le sue funzioni si sovrappongono a quelle di svariate professioni: in talune circostanze possono essere molto simili a quelle dei consulenti legali, in altre possono approssimarsi a quelle degli psicoterapeuti; nondimeno la base fondamentale della sua posizione è sufficientemente diversa da permetterci di considerarlo come un caso particolare.
I gruppi esaminati finora hanno una lunga storia, benché contrassegnata nei secoli da numerosi mutamenti; in una forma o nell'altra, infatti, risalgono tutti all'antichità. Vi sono però occupazioni che, pur nate in epoca assai più recente, pretendono anch'esse, e con notevole successo, allo status di professioni.
I tre gruppi di occupazioni ai quali soprattutto mi riferisco sono quelli connessi con l'‛istruzione', l'‛assistenza sociale' e l'‛amministrazione'. Non sarà inopportuna qualche breve considerazione su ciascuno di essi. Con ‛istruzione' non mi riferisco principalmente all'istruzione superiore, soprattutto a livello universitario; in quest'ultimo caso, si sono opposte forti resistenze al tentativo di sottoporre l'attività di didattica a un tirocinio formale, mentre è invece oggetto di un controllo formale la competenza nelle discipline accademiche. Ma nel caso dell'istruzione primaria e secondaria (v. Dreeben, 1968) si è in effetti sviluppata una sorta di professione, riguardante da un lato le tecniche pedagogiche, e dall'altro l'organizzazione e la amministrazione delle scuole e dei sistemi scolastici (v. Halsey e altri, 1961). In alcuni paesi queste occupazioni hanno acquistato un vero e proprio status professionale e si sono assicurate il privilegio di una formazione universitaria.
Anche le professioni connesse con l'assistenza sociale hanno goduto di quello che possiamo definire uno status ‛di confine' (v. Toren, 1969). Nel corso di un periodo assai breve (all'incirca due generazioni) esse hanno preso un grande sviluppo a partire da una matrice filantropica praticamente sfornita di qualsiasi dimensione professionale. La base teorica della loro competenza, che va sempre combinata con la conoscenza empirica circostanziata delle situazioni affrontate, è presumibilmente da ravvisarsi nelle scienze sociali, compresa la psicologia. In quasi tutto il settore regna però una considerevole incertezza quanto alla base teorica, fatto che si riflette nell'insicurezza delle pretese alla pienezza dello status professionale. Nondimeno, sono stati fatti sostanziali passi in avanti, e non è impossibile che, nella generazione successiva - o pressappoco - la posizione di queste professioni si faccia assai più solida. Dopo tutto un'autorità come J. B. Conant ha affermato che, all'incirca fino alla fine del secolo scorso, era legittimo chiedersi se l'esercizio della medicina avesse giovato piuttosto che nociuto alla salute dei pazienti (v. Conant, 1947).
Vi è infine il caso delle professioni amministrative (v. Simon, 19572). Vi è stata senza dubbio una forte spinta a professionalizzare i funzionari superiori dell'amministrazione, sia pubblica che privata. La vecchia tradizione europea continentale, secondo la quale gli impiegati statali di grado superiore dovevano avere una formazione giuridica, rientra in questa linea. Anche in questo campo, però, si incontrano serie difficoltà nella definizione di un ambito di competenze coerenti. La fonte principale di queste difficoltà sta nel carattere composito dell'attività di gestione (ne abbiamo già fatto cenno riguardo all'università). Vi sono tuttavia alcune tecniche generali, di essenziale importanza nell'attività di gestione, che possono essere oggetto di insegnamento. Si tratta, soprattutto, di tecniche per la raccolta e la valutazione dei dati. Nei programmi di addestramento all'attività di gestione si tende quindi ad assegnare un posto di rilievo a discipline quali la statistica e la contabilità. Tale tendenza presenta invero qualche pericolo nel senso che la professionalizzazione delle funzioni di gestione tende a esagerare l'importanza, nel processo di decisione, degli indici concreti e misurabili. È ovvio, d'altra parte, che in tutte le grandi organizzazioni si presentano problemi alla cui soluzione può contribuire in misura determinante la buona padronanza delle tecniche per la raccolta e l'analisi delle informazioni. Ma allo stesso tempo, ogni lettore attento del classico The functions of executive di Ch. I. Barnard, dovrebbe essere ben consapevole che l'effettiva attività di gestione consiste in larga misura nell'affrontare e risolvere numerosi problemi che, diversamente dalla contabilità finanziaria, non possono essere codificati (v. Barnard, 1938). Un importante problema del genere è, per esempio, quello dello stato d'animo del personale e dei clienti. Di conseguenza, la professionalizzazione dell'attività di gestione presenta, in forma piuttosto accentuata, un rischio comune a tutti i gruppi professionali - un rischio, per così dire, di eccessiva razionalizzazione.
Alla luce delle considerazioni precedenti, diviene evidente come non vi siano confini rigidi e immutabili, che delimitino il gruppo di occupazioni a buon diritto definibili come professioni; né vi è una netta barriera contro l'inclusione di nuovi gruppi attraverso quel processo che abbiamo appunto definito di ‛professionalizzazione'. Abbiamo già richiamato l'attenzione sull'antichissimo gruppo costituito dal clero, che riteniamo vada considerato ai confini dell'universo delle professioni. Lasciando da parte il problema del livello tecnico e culturale, si possono citare altri rilevanti casi ‛di confine'. Una classe significativa è costituita dalle arti, soprattutto quelle che implicano un'esecuzione (v. Griff, 1968). Ad esempio, per diventare un esecutore di musica di alto livello - anche senza essere un solista - è necessaria una lunga e difficile formazione, sia teorica che pratica, che si acquisisce di norma, e secondo un curriculum formale, nei conservatori. È significativo che questi conservatori in generale non siano stati riassorbiti entro le strutture universitarie, benché i dipartimenti di musica delle università abbiano assunto una parte considerevole delle loro funzioni. Un musicista di fama mondiale come L. Bernstein, ad esempio, ha ricevuto una parte sostanziale della sua formazione al Dipartimento di musica dell'Università di Harvard.
Inoltre, la formazione di un esecutore di musica, per non parlare di quella di un compositore, comprende senza dubbio una rilevante componente intellettuale, benché l'accento cada soprattutto sull'abilità tecnica. Per essere un raffinato esecutore di musica è infatti indispensabile avere una buona padronanza della storia della musica; ad esempio, sarebbe assolutamente ingiustificabile, in un violinista, la totale ignoranza della personalità di Mozart e del suo ruolo nella storia della musica nell'Austria del XVIII secolo.
Ciò che è vero per la musica è vero, sotto molti aspetti, anche per le altre arti: le arti visive e forse, in particolare, la letteratura, dato il ricorso, tipico di quest'ultima, al linguaggio verbale.
In quest'ambito, tuttavia, è stata tracciata un'interessante distinzione istituzionale: quella tra l'attività artistica e la cosiddetta critica. L'attività artistica comprende ovviamente la creazione di lavori artistici originali, ma anche l'esecuzione di composizioni musicali o la recitazione di lavori teatrali scritti da persone diverse dagli attori. In contrapposizione all'attività artistica intesa in questo senso, la critica è definita come un'attività che ha per oggetto la comprensione intellettuale dei lavori artistici. Nei limiti delle mie conoscenze in materia, mi sembra che abbia avuto un ruolo particolarmente importante l'opera di N. Frye, il quale ha sostenuto, tra l'altro, che l'università è il luogo ideale per lo studio intellettuale della letteratura, mentre è un luogo relativamente poco idoneo alla produzione di opere letterarie (v. Frye, 1970). In che misura continuerà a essere istituzionalizzata questa linea di demarcazione tra lo studio critico delle arti e la partecipazione creativa all'attività artistica è, allo stato attuale delle cose, una questione controversa.
7. Conclusioni
Abbiamo iniziato questa trattazione suggerendo che l'insieme di occupazioni comunemente chiamate professioni acquista una propria caratterizzazione se visto entro il capitale quadro di riferimento costituito dalla composizione della moderna società industriale e dalle linee di tendenza del suo sviluppo. In questa ottica, l'elemento discriminante è senza dubbio costituito dal livello di competenza e dal grado di formazione.
Da questo punto di vista, un interessante caso di confine che non pone problemi di legittimità è quello dei farmacisti; un altro caso che solleva problemi di legittimità - di natura non del tutto limpida - è quello di talune categorie di guaritori quali i cultori di ‛chiropratica'.
Riteniamo ora che dalla rapida panoramica tracciata emergano dati sufficienti a motivare il giudizio che le professioni, quali si sono sviluppate nelle società moderne, costituiscono effettivamente uno specifico elemento strutturale del sistema occupazionale. Sotto un primo aspetto fondamentale, l'importanza delle professioni sta nel fatto che esse spezzano la dicotomia classica tra borghesia e proletariato. Senza dubbio, la maggior parte dei professionisti sono, da un certo punto di vista, membri della classe borghese, ma non sono certamente capitalisti nel classico significato marxiano; né sono, ovviamente, annoverabili tra i proletari. Una seconda caratteristica cruciale sta nel fatto che, sebbene l'attività professionale sia variamente intrecciata con le funzioni dell'apparato statale, i professionisti serbano palesemente una propria autonomia e non sono quindi soltanto creature dello Stato. In realtà, benché il problema dell'interesse personale nell'attività professionale sia stato affrontato spesso con una buona dose di cinismo, ritengo vi siano ragioni sufficienti per concludere che le professioni non vadano classificate come occupazioni la cui finalità fondamentale è il perseguimento razionale del proprio interesse, nel senso in cui quest'obiettivo è stato comunemente attribuito agli imprenditori.
Una caratteristica particolarmente rilevante delle professioni è data dalla misura in cui coinvolgono interessi umani di natura non economica né politica. Se l'ingegneria può avere nessi particolarmente stretti con l'economia, e la giurisprudenza, in senso diverso, con la politica, l'oggetto della medicina è certo costituito da interessi umani, che trascendono la sfera economica e quella politica, benché, ovviamente, non manchino interrelazioni; anche la professione accademica, data la sua concentrazione sui problemi della conoscenza e dell'apprendimento, è alquanto remota dal centro focale degli interessi economici e politici. Infine, i casi più importanti di gruppi professionali ‛di confine' che abbiamo esaminato, come il clero e le arti, non sono certo esempi di gruppi che si occupano in primo luogo della produzione economica e degli interessi a essa connessi, o dei processi politici in quanto tali. Per concludere, ci sembra che tutte le considerazioni sinora svolte giustifichino l'assunto che le professioni nel loro insieme godono in certa misura di uno status particolare.
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