Profili processuali della nuova legge sulla filiazione
Queste pagine hanno ad oggetto gli aspetti processuali della nuova disciplina della filiazione, attuata dalla l. 10.12.2012, n. 219 che, nel dare finalmente ai figli naturali una condizione giuridica identica a quella dei figli legittimi, ha anche inciso su alcune regole processuali, riflesso della precedente disparità, e ridotto le competenze civili del tribunale minorile sia pure con solo riguardo a quelle previste dal codice civile: una scelta interlocutoria in attesa d’una riforma che superi il sistema diarchico ancora caratterizzante l’amministrazione della giustizia minorile. Accanto a queste nuove regole di competenza, altre ve ne sono per migliorare, sia pure sotto profili assai limitati, l’efficienza della giustizia minorile.
La l. 10.12.2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, in vigore dal 1° gennaio 2013), è il punto d’arrivo d’un lungo e tortuoso percorso che, iniziato con un disegno di legge presentato alla Camera nel 2009, ha segnato l’intera XVI legislatura. Si tratta d’un percorso non ancora interamente concluso poiché, per l’art. 2 della legge cit., la nuova disciplina dev’essere integrata da un decreto legislativo il cui testo, già approvato dal Governo, attende ancora il vaglio delle competenti Commissioni parlamentari.
Il titolo dato alla legge ne rispecchia solo in parte il contenuto, distribuito nei suoi sei articoli. Infatti, le nuove norme non hanno soltanto innovato la disciplina del riconoscimento dei “figli nati fuori del matrimonio” o sancita l’equiparazione tra figli legittimi e figli naturali col nuovo testo dell’art. 315 c.c, per cui «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico» con i necessari riflessi di questa scelta sul diritto successorio1, ma sono destinate ad incidere anche su alcuni importanti profili della giustizia minorile in materia civile.
Infatti, l’art. 3 della legge detta regole che hanno non soltanto lo scopo di ridurre le competenze civili del tribunale minorile e di favorire l’applicazione del rito camerale nei giudizi riguardanti i minori, ma anche di costruire una rete di garanzie per assicurare l’attuazione dei diritti patrimoniali dei figli in materia di mantenimento: vengono così estese alla filiazione naturale, con qualche adattamento, le regole già dettate in materia per la filiazione legittima nella separazione e nel divorzio, ma non anche nella crisi della famiglia naturale2.
La riforma riduce sensibilmente il catalogo delle competenze in materia civile del tribunale minorile previste dal testo originario dell’art. 38 disp. att. c.c. 3: infatti, ora rientrano nella competenza generale del tribunale ordinario la dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità naturale e le controversie sull’esercizio della potestà4. Resta invece confermata la competenza del giudice specializzato per conoscere, oltre ad alcuni procedimenti di marginale importanza, le controversie de potestate: peraltro, come vedremo, anche quest’ultima competenza cede a quella del tribunale ordinario quando tra le stesse parti sia in corso un giudizio di separazione o di divorzio o una controversia sull’esercizio della potestà parentale.
L’art. 2 della legge dà delega al Governo per adottare, entro dodici mesi dalla sua entrata in vigore, uno o più decreti legislativi che rivedano le disposizioni vigenti in materia di filiazione osservando principi e criteri in lunga serie minuziosamente indicati. La delega è stata già esercitata con un solo decreto che, approvato dal Governo, attende il parere delle competenti Commissioni parlamentari5: un decreto che, con i suoi centosette articoli, modifica codice civile e altre fonti, a volte con variazioni soltanto lessicali.
Nell’unificare le disposizioni sui diritti e i doveri dei genitori riguardo ai figli – come vuole la norma delegante dell’art. 2, co. 1, lett. h) – il d.lgs. interviene anche sulla struttura del codice civile. Infatti, la disciplina di tali rapporti è ora interamente collocata nel suo titolo IX, suddiviso in due capi: nel primo ritroviamo, per quanto modificate, le norme sui reciproci diritti e doveri dei genitori e dei figli (artt. 315-329) e quelle che ne sanzionano gli abusi (artt. 330-336); nel secondo, di nuovo conio, tutte le regole sull’esercizio della responsabilità genitoriale (artt. 337 bis-337 octies)6, già sancite dalla legge sull’affidamento condiviso, per trovare generale applicazione nella crisi, ampiamente intesa, dei rapporti familiari7.
Mentre le norme sostanziali trovano immediata applicazione a tutti i rapporti di filiazione8, per quanto riguarda le norme processuali di cui all’art. 3 della legge esse trovano applicazione solo nei giudizi instaurati dalla data della sua entrata in vigore9. Una regola questa con due eccezioni: infatti, l’art. 4, co. 2, stabilisce che ai processi pendenti davanti al tribunale minorile per «l’affidamento e il mantenimento dei figli di genitori non coniugati» si applicano, in quanto compatibili, sia gli artt. 737 ss. c.p.c. 10 sia le norme a tutela dei provvedimenti sul mantenimento della prole di cui all’art. 3, co. 2, della legge: in tal modo, è consentito l’accesso alle garanzie previste dalla legge anche nei processi pendenti ed eliminata una residua disparità con la filiazione legittima altrimenti difficile da giustificare.
I profili processuali della nuova legge hanno, in parte, valenza interlocutoria: così è per l’amministrazione della giustizia civile minorile, ancora affidata alla diarchia tribunale ordinario/tribunale minorile con regole che, pur restringendo in modo significativo la competenza del giudice specializzato11, sembrano ignorare la generale riforma preannunciata nel 2012 dall’ordine del giorno con cui il Governo s’è impegnato a favorire l’istituzione del “Tribunale per la persona e le relazioni familiari”, un giudice specializzato con competenza per tutti i procedimenti in materia di persone, famiglia e minori12.
La legge detta una regola generale sul rito dei procedimenti civili della giustizia minorile, con lo stabilire che tutti dovranno svolgersi in camera di consiglio13. Si tratta d’una regola poco innovativa poiché se da un lato codifica l’esistente, come avviene per i giudizi davanti al tribunale minorile, dall’altro trova deroga ogni qual volta già esiste una specifica disciplina processuale: la legge fa riferimento alle azioni di stato14, ma occorre considerare anche procedimenti non riconducibili alle cause di stato che si svolgono in forme specialmente disciplinate dalla legge15. Del resto, è la stessa riforma che disattende tale indicazione quando, confermando l’esistente, dà forme ultrasemplificate ai giudizi che dirimono contrasti nell’esercizio della responsabilità genitoriale16 e nel regolare, con norme alquanto oscure, la disciplina processuale del riconoscimento successivo quando manchi il consenso dell’altro genitore17.
Innovativa, peraltro, è la regola per cui i provvedimenti riguardanti i minori «sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente», una regola che non soltanto si distacca da quanto dispone l’art. 741 c.p.c., ma pone un principio vòlto ad aumentare l’effettività della giustizia minorile18. Lascia perplessi il potere discrezionale dato al giudice di disporre in modo diverso e quindi d’inibire temporaneamente l’efficacia esecutiva del proprio decreto: una regola che contrasta con il sistema che attribuisce sempre al giudice dell’impugnazione tale potere e soltanto per «gravi e fondati motivi»19.
2.1 Le norme di garanzia
Molto interessante e in parte innovativo quanto dispone l’art. 3, co. 2, che costruisce una rete di misure per assicurare l’attuazione e la fruttuosità dei provvedimenti sul mantenimento della prole, ferma restando la possibilità d’avvalersi, in caso di gravi inadempienze, delle sanzioni previste dall’art. 709 ter, c.p.c., a cui peraltro la legge non fa riferimento20.
Così, il citato art. 3 consente al giudice d’imporre al genitore, obbligato al mantenimento della prole, di prestare garanzie reali o personali quando esista il pericolo che si sottragga all’adempimento di tale obbligo: la legge riproduce quanto già previsto dagli artt. 156, co. 4, e 8 l. div. senza peraltro scioglierne i dubbi interpretativi riguardanti sia la necessità d’una specifica domanda, sia la natura del provvedimento e la sua attuazione21. Ancora, la legge dispone essere titolo per iscrivere ipoteca giudiziale a carico dell’obbligato non più soltanto i capi di condanna contenuti nelle sentenze di separazione e di divorzio22, ma anche qualunque provvedimento patrimoniale a favore della prole, purché definitivo: la nuova regola codifica quanto già stabilito dal diritto vivente giurisprudenziale per cui sono titoli idonei per l’iscrizione ipotecaria anche i decreti che rivedono le sentenze di separazione o di divorzio23 e quelli che omologano le separazioni consensuali24 nonché i decreti sul mantenimento dei figli naturali pronunciati ex art. 317 bis25.
Su domanda del creditore e per assicurare ne siano soddisfatte le ragioni quanto al mantenimento della prole, il giudice può disporre il sequestro dei beni del genitore obbligato. La legge vuole trovi qui applicazione l’art. 8, co. 7, l. 1.12.1970, n. 898 (l. div.): così il sequestro presuppone un pericolo d’inadempimento e svolge una funzione cautelare ma, per le sue speciali caratteristiche, sembra sottrarsi alle regole del procedimento cautelare uniforme26.
È altresì stabilito che il giudice ordini ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, di versarle direttamente agli aventi diritto e precisa che si applica «quanto previsto» dall’art. 8, co. 2 ss., l. div. Si tratta d’un rinvio che se da un lato conferma come la specifica disciplina dettata dalla legge sul divorzio rimanga tutt’oggi in vigore, dall’altro appare poco comprensibile, poiché è l’art. 156, co. 6, c.c. – e non anche l’art. 8 cit. – a prevedere siffatti ordini da parte del giudice della separazione: infatti, la legge sul divorzio non prevede ordini giudiziali nei confronti dei terzi, ma soltanto che il creditore, dopo aver costituito in mora l’altro coniuge, formuli lui stesso al terzo un semplice “invito” ad adempiere nelle sue mani, salvo agire esecutivamente nei confronti del terzo che non accolga l’invito. È quindi alla disciplina della separazione e alla giurisprudenza che occorre guardare per integrare sul punto la nuova legge: ne deriva essere necessaria una domanda e la verifica giudiziale almeno del pericolo d’inadempimento27.
2.2 L’audizione del minore
Il legislatore non ha ritenuto di regolare in modo innovativo la partecipazione del minore ai processi che coinvolgono il suo superiore interesse28 ed esigono provvedimenti pronunciati «con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della prole», per ripetere la formula di cui all’art. 6, co. 1, l. div., e che già abbiamo trovato nelle norme del codice modificate nel 2006 dalla legge sull’affidamento condiviso29. La presenza del minore ai processi in cui è coinvolto il suo superiore interesse continua ad avere necessaria attuazione soltanto nelle forme dell’audizione giudiziale che è attuazione del diritto all’ascolto dato comunque al minore capace di discernimento e ciò a prescindere dalla sua eventuale partecipazione al processo in qualità di parte, un’audizione il cui mancato esercizio è causa di nullità del processo30.
Mentre il nuovo art. 315 bis stabilisce che il figlio minore ultradodicenne, o anche d’età inferiore se capace di discernimento, «ha diritto d’esser ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano», l’attuazione di questo principio sul versante del processo civile è stata affidata al Governo dall’art. 2, lett. i), l. n. 219/2012. Questi, con il previsto decreto legislativo, dovrà disciplinarne le modalità d’esercizio «in tutte le procedure che lo riguardano»31 rispettando le vincolanti indicazioni contenute nella norma delegante di cui all’art. 2, lett. i).
La legge si fa sul punto criticare perché, nel prevedere che all’ascolto «provvede il presidente del tribunale o il giudice delegato», dà poca flessibilità a un adempimento così delicato: tuttavia, il legislatore delegato è riuscito a stemperare tale rigida prescrizione nel consentire al magistrato d’avvalersi «di esperti o di altri ausiliari» come prevede il nuovo art. 336 bis c.c.32
La nuova disciplina, modellata dal decreto legislativo, prevede che prima di iniziare l’audizione il giudice informi il minore «della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto»33. L’audizione, documentata da un apposito verbale34, deve svolgersi con modalità che garantiscano la spontaneità e la genuinità delle dichiarazioni del minore: le parti private e i difensori non possono assistervi senza l’autorizzazione del giudice ma, prima che inizi, possono indicare al magistrato «argomenti e temi di approfondimento»: in ogni caso, tale autorizzazione non serve quando la salvaguardia del minore viene comunque assicurata «con idonei mezzi tecnici»35. L’audizione può essere pretermessa solo quando il giudice, con provvedimento motivato, accerti che essa sia in contrasto con l’interesse del minore o quando sia «manifestamente superfluo» assumerla: ipotesi quest’ultima che dovrebbe ricorrere quando l’audizione verta «su circostanze acclarate o non contestate»36.
2.3 La tutela dei rapporti con gli ascendenti
La l. n. 219/2012 nel disciplinare con il nuovo art. 315 bis c.c. i diritti e i doveri dei figli, riproducendo quanto previsto dal testo originario dell’art. 155, precisa che i figli non soltanto hanno diritto di crescere in famiglia ma anche «di mantenere rapporti significativi con i parenti». Un diritto che trova simmetrico, quanto parziale, riscontro nel diritto espressamente attribuito agli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori. In questo senso, l’art. 2, lett. p), che affida al legislatore delegato l’attuazione in sede giurisdizionale di tale diritto, come è avvenuto con il nuovo art. 317 bis per cui l’ascendente al quale venga impedito di avere tali rapporti può ricorrere al tribunale minorile affinché siano adottati «i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore».
La nuova norma precisa ulteriormente che si applica quanto prevede l’art. 336, co. 2, ossia le regole processuali previste per i giudizi de potestate. Si tratta, a ben vedere, di una norma poco innovativa poiché il comportamento del genitore che impedisca al figlio di mantenere rapporti con gli ascendenti o con altri parenti si concreta in un abuso della potestà genitoriale censurabile a norma dell’art. 333 c.c., con un’azione esercitabile dai soggetti indicati dall’art. 336, co. 1, e quindi non soltanto dagli ascendenti ma anche dai parenti37. In sintesi, il nuovo art. 317 bis non fa che attribuire agli ascendenti una forma di tutela che essi già possiedono mentre non ha ritenuto di dare loro anche la legittimazione ad intervenire nei giudizi in cui è coinvolto l’interesse superiore dei propri nipoti minorenni38.
Le complesse vicende parlamentari che hanno portato alla definitiva approvazione della Camera, in seconda lettura, della legge sulla filiazione, hanno avuto negativa influenza sulle norme processuali in essa contenute che certo «avrebbero necessitato maggior approfondimento»39. Questo ha inciso specialmente sulle regole che, modificando l’art. 38 disp. att. c.c., hanno fortemente ridimensionato le competenze del tribunale per i minorenni previste dal codice civile riaffermando, in sintonia con quanto dispone l’art. 9 c.p.c., la generale competenza del tribunale ordinario per i provvedimenti relativi ai minori «per i quali non è espressamente prevista la competenza di una diversa autorità giudiziaria».
Il nuovo elenco, accanto a procedimenti di marginale importanza40, comprende ancora la delicata materia dei giudizi de potestate previsti dagli artt. 330 ss. c.c. Tuttavia, la competenza del tribunale minorile a conoscere tali procedimenti subisce un forte ridimensionamento poiché cede a quella del tribunale ordinario quando, davanti a quest’ultimo, sia in corso «tra le stesse parti»41 un giudizio di separazione o di divorzio o una controversia sull’esercizio della responsabilità genitoriale instaurata «ai sensi dell’art. 316 c.c.» e quindi d’una norma, non modificata dalla legge, che riguarda l’esercizio della potestà in seno alla famiglia legittima.
Peraltro, la nuova legge, nel delimitare la competenza del tribunale per i minorenni, non menziona il procedimento, previsto dall’art. 317 bis c.c., per risolvere i contrasti sull’esercizio della potestà sorti nell’àmbito della famiglia naturale, come faceva invece l’originario art. 38 disp. att. c.c. Poiché la legge di riforma non ha neppure implicitamente abrogato l’art. 317 bis42, la sua mancata menzione nell’elenco dei procedimenti attribuiti ancora al giudice minorile riconduce alla competenza generale del tribunale ordinario anche le controversie sull’esercizio della potestà nella famiglia naturale previste da tale articolo, com’è avvenuto per quelle che sorgono nella famiglia legittima.
Se è così, pur essendo le controversie di cui agli artt. 316 e 317 bis divenute entrambe di competenza del tribunale ordinario, la lettera del nuovo art. 38, attribuisce soltanto alle pendenza delle prime la vis attractiva nei confronti dei giudizi de potestate. Si crea in tal modo un’ingiustificata disparità tra filiazione legittima e naturale: infatti, dando solo alla prima gli indubbi vantaggi derivanti dalla concentrazione delle competenze davanti al tribunale ordinario, è in tal modo violato, sia pure soltanto sul terreno processuale, il principio di unicità dello stato di figlio che ha ispirato l’intera riforma43.
Questa discrasia, frutto evidente d’una poco meditata scrittura delle nuove regole, viene ora eliminata dal decreto legislativo in itinere sul presupposto che la legge, nel fare riferimento all’art. 316 e non anche all’art. 317 bis, avrebbe dato al legislatore delegato un’indicazione precisa: quella di guardare soltanto all’art. 316 come alla norma a cui affidare la disciplina delle controversie sull’esercizio della potestà quando non sono pendenti giudizi di separazione o di divorzio. Si perviene così alla prammatica soluzione di riversare nel testo dell’art. 316 c.c. quelle norme contenute nell’art. 317 bis non abrogate per incompatibilità con quanto già aveva disposto la legge sull’affidamento condiviso44.
Viene così eliminata una palese incongruenza della disciplina legislativa, anche se resta il dubbio che il legislatore delegato avesse effettivamente il potere di farlo. Infatti, la modifica da questi operata del testo dell’art. 316, amplia l’àmbito di applicazione della vis attractiva nei confronti delle controversie de potestate come delineato dal nuovo art. 38 disp. att. c.c.: in questo modo, il legislatore delegato ha inciso su regole di competenza e quindi su un àmbito della disciplina normativa rimasto estraneo ai poteri legislativi delegati che gli sono stati attribuiti al Governo dall’art. 2 l. n. 219/2012.
Queste regole sulla vis attractiva, operanti nei confini ora delineati, sono norme di competenza la cui applicazione certo favorisce ma non garantisce affatto l’attuazione del simultaneus processus e quindi la proposizione in cumulo oggettivo delle controversie de potestate davanti al medesimo giudice che conosce un giudizio di crisi coniugale o un procedimento di cui all’art. 316.
L’attuazione del processo simultaneo, infatti, non è possibile quando la causa preventivamente proposta sia pervenuta ad uno stato o ad un grado di giudizio che non consenta la trattazione della causa connessa: ad esempio, se la causa di separazione pende in grado d’appello la domanda de potestate appartiene alla competenza del tribunale ordinario anche se non è possibile la trattazione congiunta delle due cause45.
Si noti, infine, come la lettera dell’art. 38, co. 1, disp. att. c.c., restringa l’oggetto della vis attractiva alle sole controversie previste dall’art. 333, quando la condotta pregiudizievole di uno o d’entrambi i genitori non è così grave da dar luogo alla decadenza dalla potestà parentale, mentre le altre controversie de potestate di cui agli artt. 330 ss. c.c. resterebbero in ogni caso di competenza del tribunale per i minorenni che avrebbe pertanto un’inderogabile competenza per i giudizi di decadenza dalla potestà genitoriale.
A questa conclusione, fondata sulla lettera dell’art. 38 disp. att. c.c., si oppongono considerazioni anch’esse fondate sull’interpretazione letterale di altra parte della medesima norma. Infatti, la seconda parte dell’art. 38, co. 1, stabilisce che nell’ipotesi in cui sia in corso un giudizio di separazione o divorzio o un procedimento ex art. 316, la competenza spetta al giudice ordinario «anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo» ossia dal catalogo delle controversie di competenza del giudice specializzato che menziona, come si è detto, tutte le controversie de potestate e non soltanto quelle previste dall’art. 333.
L’apparente discrasia deve essere risolta con un’interpretazione che valga a consentire al giudice ordinario di conoscere le controversie de potestate, qualunque ne sia il titolo, poiché un’interpretazione diversa spezzerebbe l’unità funzionale dei provvedimenti de potestate e avrebbe anche negativi riflessi sull’effettività della tutela.
Si pensi alle ricorrenti incertezze che sorgerebbero, in pendenza di giudizi di crisi coniugale o di procedimenti sull’esercizio della responsabilità genitoriale, nell’individuare il giudice competente a conoscere domande sanzionatorie degli abusi compiuti dai genitori, anche per la difficoltà di stabilire a priori se la loro condotta sia tale da giustificare un provvedimento ablativo ovvero soltanto, come avviene nella maggior parte dei casi, quei provvedimenti «convenienti» di cui all’art. 333 c.c.46
1 Su questi profili, Bianca, C.M., La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, 1 ss.; Palazzo, A., La riforma dello status di filiazione, ibidem, 245 ss.; Sesta, M., Unicità dello stato di filiazione e nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, 231 ss.
2 Si noti che, in caso di gravi inadempienze, è sempre possibile applicare le sanzioni previste dall’art. 709 ter c.p.c., norma tuttavia non richiamata dalla legge in commento.
3 Peraltro, l’art. 38 disp. att. c.c. come modificato dalla legge e dal decreto, dà al tribunale minorile le nuove competenze per autorizzare il minore a riconoscere il figlio naturale e per i giudizi promossi dai nonni a tutela del diritto ad avere rapporti significativi con i nipoti (artt. 251 e 317 bis). Interessanti anche le nuove competenze “amministrative” previste dall’art. 2, lett. o): Tommaseo, F., Le nuove competenze amministrative del tribunale per i minorenni nella legge sulla filiazione, in Fam. dir., 2013, 933 ss.
4 Già previste dagli artt. 316 e 317 bis, rispettivamente, per i figli legittimi e quelli naturali: il d.lgs., nell’attuare il principio dell’unicità dello status di filiazione, riconduce le controversie sull’esercizio della “responsabilità genitoriale” nell’àmbito del riformato testo del solo art. 316, mentre nell’art. 317 bis è ora collocata la regola sulla tutela in sede giurisdizionale del diritto degli ascendenti ad avere rapporti significativi con i nipoti minorenni.
5 Il testo del decreto legislativo è stato elaborato dalla commissione ministeriale presieduta da Cesare Massimo Bianca denominata per lo studio e l’approfondimento di questioni giuridiche afferenti la famiglia e l’elaborazione di proposte di modifiche alla relativa disciplina e istituita nel marzo 2012 con decreto del Ministro per l’integrazione con delega alle politiche per la famiglia.
6 La delega si limita a prescrivere che la responsabilità genitoriale venga delineata quale aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale: il d.lgs. dispone invece che in tutta la legislazione vigente le parole “potestà”, riferita alla potestà genitoriale, e “potestà genitoriale” siano sostituite dalle parole “responsabilità genitoriale”. Scelta poco opportuna, poiché non si tratta di espressioni equivalenti essendo la potestà uno specifico profilo della più ampia nozione di responsabilità genitoriale: così Sesta, M., Diritto di famiglia, II ed., Padova, 2005, 447 s.; Dogliotti, M., La potestà dei genitori e l’autonomia del minore, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2007, 139 ss.
7 Così, espressamente, l’art. 337 bis d.lgs., per cui tali norme si applicano nei casi di «separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio».
8 Sono ovviamente fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell’entrata in vigore della legge: così i diversi commi dell’art. 103 d.lgs. con disposizioni transitorie che integrano quelle dettate, per le norme processuali, dall’art. 4 l. n. 219/2012.
9 Così le norme transitorie dell’art. 4, co.1.
10 Regola superflua poiché i processi davanti al giudice specializzato già si svolgono in forme camerali sempreché non sia diversamente disposto dalla legge come avviene, ad esempio, per la dichiarazione dello stato di adottabilità.
11 Le norme di competenza danno luogo a dubbi specie per quanto riguarda i giudizi de potestate: infra, 3.
12 L’o.d.g. governativo è stato approvato dal Senato il 16.5.2012. Si attende l’attuazione d’una generale riforma seguendo le linee anticipate dal disegno di legge Casellati (S. 3323) presentato il 29 maggio 2012 e condiviso dalle forze politiche della passata XVI legislatura, ma anche da altre proposte sulle quali Autorino, G., Il tribunale per le relazioni familiari: una storia infinita, in Fam. dir., 2010, 90 ss.
13 Così il nuovo testo dell’art. 38, co. 3, disp. att. c.c., modificato dall’art. 3 l. n. 219/2012, e ivi la precisazione che il rito camerale si applica «in quanto compatibile» nei procedimenti sul mantenimento e l’affidamento dei minori nonché, come precisa l’art. 4, ai processi pendenti davanti al tribunale minorile aventi il medesimo oggetto, precisazione superflua già essendo tali giudizi retti dal rito camerale. Si tratta dei procedimenti riguardanti la filiazione naturale a cui fa implicito riferimento l’originario testo dell’art. 317 bis c.c., il cui contenuto, ampiamente modificato, sarà trasfuso nei nuovi artt. 316 e 316 bis dal decreto legislativo in itinere ed è interessante notare come la menzionata clausola di compatibilità trova applicazione nei procedimenti familiari cameral-contenziosi, ossia nei procedimenti in camera di consiglio aperti alle garanzie date dai giudizi di ordinaria cognizione.
14 Quelle previste dal codice civile o da leggi speciali che si esercitano in giudizi di cognizione ordinaria o regolati da forme speciali: fra questi ultimi, la dichiarazione dello stato di adottabilità di cui alla l. 4.5.1983, n. 184.
15 Mi riferisco ai giudizi di separazione e divorzio che restano governati dalle regole previste per ciascuno di essi anche quando si controverte sull’affidamento o il mantenimento dei figli minori. Sul punto, Proto Pisani, A., Note sul nuovo art. 38 disp. att. e sui problemi che esso determina, in Foro. it., 2013, v, 127; Danovi, F., Nobili intenti nei nuovi procedimenti per i figli “naturali”, in Corr. giur., 2013, 541 s.
16 Il nuovo testo dell’art. 316 c.c. continua infatti a prevedere che ciascun genitore può rivolgersi “senza formalità” al giudice competente (ora il tribunale ordinario); il giudice tenta di trovare accordo e, in mancanza, “attribuisce il potere di decisione” al genitore che gli sembra il più idoneo a curare l’interesse del figlio.
17 Il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante: così l’art. 250, co. 4, c.c., nel testo novellato dall’art. 1, co. 2, legge n. 219, che detta una disciplina molto lacunosa da colmare utilizzando le regole dell’ordinario processo di cognizione.
18 Serra, M.L., Sulla decorrenza degli effetti del provvedimento di revisione dell’assegno divorzile, in Fam. dir., 2011, 1133 s. Il disposto dell’art. 741 c.p.c. è stato giudicato residuo «affatto eccezionale» in una materia come quella familiare che richiede «tempestività e snellezza operativa»: Cass., 27.4.2011, n. 9373 in Fam. dir., 2011, 877 ss. con nota di Tommaseo, F, Sull’efficacia di titolo esecutivo dei decreti che rivedono le condizioni della separazione.
19 V. l’art. 283 c.p.c. ma anche l’art. 669 terdecies (che parla del pericolo di «grave danno» per motivi sopravvenuti) rispettivamente per le sentenze e per i provvedimenti cautelari.
20 Impagnatiello, G., Profili processuali della nuova legge sulla filiazione, in Nuove leggi civ., 213, 725 s.
21 Feola, D., Le garanzie dell’assegno, in Bonilini, G.-Tommaseo, F., Lo scioglimento del matrimonio, III ed., Milano, 2010, 927 ss.
22 Così gli artt. 156 c.c. e 8, co. 2, l. 1.12.1970, n. 898 (l. div.), con norme ricognitive di quanto già dispone l’art. 2818 c.c. per il quale sono titolo per iscrivere ipoteca giudiziale tutte le sentenze di condanna.
23 Artt. 710 c.p.c. e 9 l. div.: Trib. Vicenza, 27.1.2010, in Fam. dir., 2011, 289 ss. con nota di Tommaseo, F., Sui titoli idonei per iscrivere ipoteca giudiziale a garanzia delle obbligazioni assunte nella separazione e nel divorzio.
24 In questo senso, la sentenza interpretativa della C. cost., 18.2.1988, n. 186, in Dir. fam., 1988, 700 ss. con nota di Morozzo della Rocca, P., Separazione consensuale e iscrizione d’ipoteca giudiziale.
25 Trib. Bologna, 29.6.2012, in Fam. pers. e succ., 2012, 634 ss. con nota di Costanzo, A., Il decreto del tribunale minorile sul mantenimento dei figli naturali è titolo per iscrivere ipoteca; si noti che, il decreto legislativo prossimo ad entrare in vigore, riconduce parte dei contenuti dell’art. 317 bis nel nuovo testo dell’art. 316.
26 Si ritiene che il sequestro di cui all’art. 8 l. div., nonché quelli analoghi di cui agli artt. 146, co. 3, e 156, co. 6, c.c. abbiano funzione compulsiva e non cautelare. In questo senso il Giudice delle leggi nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 156 là dove non prevedeva che il sequestro potesse essere concesso anche dal giudice istruttore: C. cost., 18.4.97, n. 99, in Foro it., 1998, V, 3074 ss. ma ora per la struttura cautelare di tali sequestri, Cass., 2.2.2012, n.1518, ivi, 2012, I, 1472 ss. con nota di Di Marzo, F., Natura del sequestro ex art. 156 c.c.
27 La domanda è necessaria come si argomenta da quanto dispone l’art. 156 mentre per la verifica del pericolo d’inadempimento, v. Cass., 19.5.2011, n. 11062. È competente il tribunale ordinario che provvede con rito camerale a norma del novellato art. 38, co. 2, disp. att. c.c.: su questi ordini giudiziali di pagamento, Graziosi, A., L’esecuzione forzata, in I processi di separazione e divorzio, a cura di A. Graziosi, II ed., Torino, 2011, 291 ss.
28 Un interesse che si specifica nel più articolato diritto di «conservare o raggiungere appropriati equilibri affettivi nonché ricevere educazione e idonea collocazione sociale»: così C. cost., 20.7.1990, n. 341 (rel. Mengoni), in Foro it., 1992, I, 25 ss. con nota di P. Formica. Si tratta d’una clausola generale che è «regola di giudizio e misura di giustizia del provvedimento»: Tommaseo, F., L’interesse dei minori e la nuova legge sull’affidamento condiviso, in Fam. dir., 2006, 295 ss.; Querzola, L., Il processo minorile in dimensione europea, Bologna, 2010, 78 ss.
29 Artt. 155, co. 2, e 155 sexies, co. 2 che, con il decreto legislativo in itinere, diventeranno i nuovi artt. 337 ter e 337 octies c.c. Il principio per cui occorre dare preminente considerazione al “superiore interesse” del minore ha trovato la propria origine nel diritto convenzionale (Convenzioni sui diritti del fanciullo di New York del 1989 e di Strasburgo del 1996) ed è ora in modo molto significativo recepito dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per cui in tutti gli atti relativi ai minori, compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, «l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente.
30 Giurisprudenza pacifica: Cass., 16.4.2007, n. 9094, in Fam. dir., 2007, 883 ss. con nota di Tommaseo, F., La Cassazione sull’audizione del minore come atto istruttorio necessario; Cass., S.U., 21.10.2009, n. 22238, ivi, 2010, 364 ss. con nota di Graziosi, A., Ebbene sì, il minore ha diritto di essere ascoltato nel processo.
31 Anche se la legge non lo dice esplicitamente, l’audizione è atto processuale necessario solo nei procedimenti che coinvolgono l’interesse superiore del minore nei quali tale interesse è criterio necessario di giudizio e misura di giustizia della decisione: in questo senso deve essere interpretato l’art. 336 bis là dove dispone che il minore è ascoltato «nell’àmbito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano».
32 L’art. 336 bis, coniato dal decreto legislativo, è collocato in un contesto poco appropriato poiché sarebbe stato più opportuno inserirlo nel I libro del codice di rito fra le disposizioni riguardanti le parti: Tommaseo, F., Verso il decreto legislativo sulla filiazione: le norme processuali proposte dalla Commissione ministeriale, in Fam. dir., 2013, 632.
33 Cómpito impegnativo che recepisce, in modo parziale, le indicazioni delle Linee guida sulla giustizia minorile, elaborate nel 2010 in seno al Consiglio d’Europa poi richiamate nel 2011 anche dalla Commissione UE nel suo Programma per i diritti dei minori, per favorire la creazione, negli Stati europei, d’una giustizia “a misura del minore”: Ruo, M.G., Indicazioni sovranazionali per l’ascolto del minore, in AA.VV., Indicazioni sovranazionali per l’ascolto del minore, Roma, 2012, 62 s.
34 Il processo verbale deve anche descrivere «il contegno del minore», prescrizione importante poiché a volte anche i silenzi del minore possono essere significativi: l’art. 336 bis precisa ulteriormente che il verbale può essere sostituito da una registrazione audiovisiva.
35 Così il nuovo art. 38 bis disp. att. c.c. che, a titolo esemplificativo, fa riferimento «all’uso di vetro specchio unitamente ad impianto citofonico», ma ben può essere utilizzato altro strumento idoneo quale un collegamento televisivo a circuito chiuso come avviene nell’ascolto protetto del minore in sede penale.
36 Così la relazione che accompagna il testo del decreto legislativo preparato dalla commissione presieduta dal civilista Cesare Massimo Bianca ma è osservazione che non si può condividere poiché l’ascolto non rileva come dichiarazione di scienza con finalità istruttorie ma serve soltanto a raccogliere una manifestazione di volontà del minore che questi ha sempre il diritto di effettuare.
37 Trib. min. Milano, 5.10.2010, in Dir. fam., 2011, 243; Cass., 19.6.2009, n. 14091. Cfr. Tommaseo, F., Verso il decreto legislativo sulla filiazione, cit., 631.
38 Lo ha negato la prevalente giurisprudenza: Cass., 16.10.2009, n. 22081, in Dir. fam., 2010, 101 ss., con nota di Danovi, F., Ancora inammissibile l’intervento dei nonni nella separazione e nel divorzio; Cass., 27.12. 2011, n. 28902, in Fam. dir., 2012, 348 ss., con nota di Vullo, E., Inammissibile l’intervento degli ascendenti nei giudizi di separazione o divorzio.
39 Così la relazione Bianca che ammette essere prevalsa l’esigenza d’approvare, prima che finisse la legislatura, una legge per eliminare le discriminazioni tra figli e garantire pari trattamento nei rapporti di parentela e successori, con l’auspicio di poter realizzare in tempi brevi una giustizia “a misura del minore” anche applicando quanto richiesto dalle Linee guida elaborate dal Consiglio d’Europa nel 2010, poi richiamate nel 2011 dalla Commissione UE nel suo Programma per i diritti dei minori.
40 Si tratta dei procedimenti di cui agli artt. 84, 90 e 371, co. 2, rispettivamente, per autorizzare al matrimonio il minore ultrasedicenne e per nominargli un curatore speciale che lo assista nella stipula delle convenzioni matrimoniali e per autorizzare il minore sotto tutela ad esercitare l’impresa commerciale entrata nel suo patrimonio.
41 Le controversie de potestate continuano a rientrare nella competenza del giudice specializzato senza subire la vis attractiva dei giudizi pendenti di crisi coniugale quando le parti non sono le stesse: ad es. quando l’azione ex art. 336 è promossa da un parente o dal pubblico ministero, soggetti legittimati ex art. 336, co. 1.
42 Così invece Sesta, M., L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, 235 s.: in tal modo le norme del procedimento ultrasemplificato di cui all’art. 316 regolerebbero anche le controversie sull’esercizio della potestà nella famiglia naturale mentre quelle sull’affidamento e sul mantenimento seguirebbero il rito camerale, come prevede la regola generale posta dal nuovo art. 38, co. 2, disp. att. c.c. Per un’interpretazione estensiva/correttiva, che sanasse la discrasia, Graziosi, A., Una buona novella di fine legislatura: tutti i “figli” hanno eguali diritti, dinanzi al tribunale ordinario, in Fam. dir., 2013, 270.
43 Cfr. Tommaseo, F., I procedimenti de potestate e la nuova legge sulla filiazione, in Riv. dir. proc., 2013, 564 ss.; Danovi, F., I procedimenti de potestate dopo la riforma, tra tribunale ordinario e giudice minorile, in Fam. dir., 2013, 621 s.
44 Sulla complessa questione del coordinamento fra quanto dispone l’art. 317 bis e la l. 8.2.2006, n. 54 sull’affidamento condiviso, De Cristofaro, G., Della potestà dei genitori, nel Commentario al diritto di famiglia, diretto da A. Zaccaria, II ed., Padova, 2011, 869 ss.
45 Tommaseo, F., op. ult. cit., 567 s.
46 In senso conforme, Proto Pisani, A., Note sul nuovo art. 38, disp. att., cit., 126 s.; Danovi, F., I procedimenti de potestate dopo la riforma, tra tribunale ordinario e giudice minorile, in Fam. dir., 2013, 626; De Marzo, F., Novità legislative in tema di affidamento e di mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio: i profili processuali, in Foro it., 2013, V, 14 s. In senso contrario, Graziosi, A., Una buona novella, cit., 270.