Profili processuali della “tenuità del fatto”
In un’epoca di politiche criminali segnate da spinte e (tentate) innovazioni volte all’efficienza e alla decongestione processuale, la non punibilità per particolare tenuità del fatto introdotta dal d.lgs. 16.3.2015, n. 28 rappresenta una significativa novità. L’istituto realizza la cd. depenalizzazione “in concreto” che, nel rispetto del principio di legalità e obbligatorietà dell’azione penale, si colloca in un contesto culturalmente moderno. Il contributo che segue delinea una sintesi dei profili processuali dell’istituto e dei primi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia.
Con il d.lgs n. 28/2015, in esecuzione della l. delega n. 28.4.2014, n. 67, in materia di pene detentive non carcerarie e di depenalizzazione (in astratto e in concreto), è stata introdotta nel sistema penale la causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto”1.
L’istituto dell’irrilevanza del fatto già regolato, nel processo minorile, all’art. 27 d.P.R. 22.9.1988, n. 448, quale ipotesi di pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, e nel giudizio innanzi al giudice di pace all’art. 34 d.lgs. 28.8.2000, n. 274, come condizione di (im)procedibilità, è configurato all’interno del processo ordinario quale condizione di non punibilità.
L’istituto intende rimediare alla cd. “ipertrofia verticale” che consiste non tanto in un incremento della cifra della criminalità lato sensu intesa, quanto, piuttosto, nell’aumento di una criminalità che si caratterizza per l’esiguità dei fatti corrispondenti alle fattispecie legali, generando, così, la crescita del numero dei procedimenti penali pendenti e una eccessiva dilatazione dei tempi di definizione dei procedimenti. Il meccanismo attua il cd. diritto penale minimo, facendo riacquisire alla pena la sua natura di extrema ratio2, e il recupero dell’efficienza del sistema criminale3, sotto il totale controllo dell’autorità giurisdizionale.
Il legislatore delegante (art. 1, co. 1, lett. m), l. n. 67/2014) ha costruito la clausola ponendo a carico del Governo l’impegno ad escludere la «punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale», lasciando intendere, da subito, come quella in discorso non si risolve in una normale o ordinaria causa di non punibilità.
La disciplina è articolata fra codice penale e processuale. La particolare tenuità del fatto trova nell’art. 131 bis c.p. i suoi presupposti e nell’archiviazione o proscioglimento i suoi passaggi procedurali. Le persone offese dal reato possono rivalersi in sede civile dei danni subiti. Non si prevede alcun automatismo: spetta al giudice valutare il caso concreto.
2.1 La tenuità “sostanziale”
Sotto l’aspetto sostanziale, il perimetro di applicazione del nuovo istituto è tutto contenuto nell’art. 131 bis c.p. La condizione opera, innanzitutto, per i reati sanzionati con la sola pena pecuniaria o detentiva entro il limite dei 5 anni; in secondo luogo, il giudizio deve svilupparsi, ai sensi dell’art. 133, co. 1, c.p., su due ulteriori elementi, quali le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, e, infine, sulla non abitualità del comportamento. La legge esclude, poi, che possa sussistere la particolare tenuità quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha approfittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa, ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. L’abitualità è esclusa ex lege nel caso di delinquente abituale, professionale o per tendenza o quando il soggetto abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità o nel caso di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Per il computo della pena e la concorrenza con le circostanze, anche ad effetto speciale o di pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, dispone l’art. 131 bis, co. 4, c.p.4 Come ha affermato la Cassazione5 la causa di non punibilità è del tutto atipica, in quanto fondata su accertamenti di merito (tanto in riferimento alla condotta e al grado dell’offesa, quanto alle modalità della condotta e alla sussistenza di determinati requisiti soggettivi in capo al suo autore): il fatto ex art. 131 bis c.p. è sempre qualificato come “reato” e l’imputato viene, semplicemente, dichiarato “non punibile”. Tale connotazione ibrida e densa di giudizi, anche soggettivi e fondati sulla personalità del reo, che si allontana dagli iniziali lavori preparatori volti a semplificare i requisiti de quibus onde agevolarne l’accertamento, produce inevitabili effetti e riflessi sulle dinamiche processuali in cui la nuova regola di giudizio trova applicazione.
2.2 Gli aspetti procedurali
L’adeguamento della normativa processuale penale ha coinvolto minimali e insoddisfacenti modifiche settoriali che aprono il varco a non pochi dubbi e distonie applicative.
Il d.lgs. n. 28/2015 ha introdotto una nuova ipotesi d’archiviazione e un peculiare modello di archiviazione “garantita” (art. 411 e 411 bis c.p.p.); una minima modifica all’art. 469 c.p.p. al fine di consentire la declaratoria de qua in sede predibattimentale e ha stabilito una specifica efficacia extrapenale dell’accertamento statuito all’esito del dibattimento e del rito abbreviato (art. 651 bis c.p.p.) e, al fine di conservare “memoria storica” dei provvedimenti de quibus, ha interpolato la disciplina del casellario giudiziale (art. 3 d.P.R. 14.11.2002, n. 313).
All’interno di tale esiguo quadro, l’individuazione di un soddisfacente punto di equilibrio tra le esigenze di alleggerimento delle pendenze e del carico giudiziario e la necessaria tutela della posizione della persona sottoposta alle indagini (e dell’imputato) e dell’offeso (e parte civile), passano attraverso l’informazione, la partecipazione e l’articolazione di un contraddittorio esiguo, “minimo” o “debole”6.
2.3 La nuova ipotesi archiviativa
Sul piano procedurale, la necessità di una significativa, quanto trasparente, deflazione del carico giudiziario, ha condotto a configurare la particolare tenuità del fatto come causa di legittima rinuncia all’esercizio dell’azione penale che ben si conforma al protocollo archiviativo, funzionale ad evitare processi “superflui”, qui da intendersi “per infondatezza della punibilità”. Tuttavia, la nuova clausola non è stata ricondotta fra le condizioni generali dell’“insostenibilità dell’accusa in giudizio” (art. 408 c.p.p. e art. 125 disp. att. c.p.p.), entro le quali ben poteva rientrare, ma è stata configurata come ipotesi peculiare, ergo “speciale”, di archiviazione a cui è destinata una specifica procedura “garantita” (art. 411, co. 1bis, c.p.p.). Qualora ritenga di formulare la richiesta d’archiviazione per particolare tenuità del fatto, il pubblico ministero deve, infatti, darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa7, a cui spetta, nel termine di dieci giorni8, il diritto di prendere visione degli atti e presentare opposizione indicando, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso. L’opposizione pare integrare, dunque, un reclamo “di merito”. Il giudice, se l’opposizione non è inammissibile, procede all’instaurazione dell’udienza camerale i sensi dell’art. 409, co. 2, c.p.p. e dopo avere sentito le parti (lasciando così intendere come la convocazione sia necessaria, al fine di porre i soggetti nelle condizioni di articolare le loro ragioni, pena, altrimenti, l’aumento dei ricorsi per cassazione), se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza. In mancanza di opposizione o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e se accoglie la richiesta pronuncia decreto motivato, ricorribile per Cassazione solo per violazione del contraddittorio. Nei casi in cui non accoglie la richiesta, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell’art. 409, co. 4 e 5, c.p.p. La restituzione è epilogo significativo, in quanto, a differenza di quello che avviene solitamente, reintegra il p.m. nella sua competenza a (ri)determinarsi in ordine (o meno) all’esercizio dell’azione penale, posto che nel caso di specie la richiesta di inazione non si fonda sull’inidoneità degli atti investigativi a sostenere l’accusa in giudizio, ma semplicemente sul fatto che, accertato il fatto di reato e la sua attribuibilità ad un soggetto, il giudice ritenga che non ricorrono gli estremi della causa della punibilità. Non si esclude, peraltro, che il giudice sollecitato ad esprimersi ex art. 131 bis c.p., possa disporre l’archiviazione per una causa diversa. È altrettanto pacifico, poi, che nel caso inverso vada garantito il più ampio protocollo conoscitivo stabilito all’art. 411, co. 1-bis, c.p.p.9 Non va tralasciato il fatto che, qualora lo ritenga necessario, il giudice possa infatti disporre udienza, considerato che l’art. 411, co. 1-bis, c.p.p. rinvia alla possibile emissione dei provvedimenti previsti all’art. 409, co. 4 e 5, c.p.p., adottabili solo all’esito del contraddittorio camerale. Invero, se la nuova archiviazione “garantita” apre il varco a possibili conflitti d’incostituzionalità per l’assenza di analoghe garanzie nel caso delle altre ipotesi archiviative, parte della dottrina ritiene che la disciplina de qua, riposando sulla valutazione “pregiudiziale” di tutti gli elementi costitutivi del reato e sulla sua offensività, necessiti del consenso dell’indagato10. Tale deficit è, invece, superato da altra parte della dottrina11, la quale evidenzia che l’archiviazione per esiguità del fatto si basa comunque sulla valutazione della “sostenibilità” in giudizio della notizia di reato rispetto ai punti relativi alla responsabilità (sulla sussistenza del fatto, sulla sua commissione da parte dell’indagato e sulla sua configurabilità come reato), a cui si affianca, tuttavia, la “non sostenibilità” del punto relativo alla punibilità ergo, del trattamento sanzionatorio. Peraltro, si afferma che “la regola del “pieno accertamento” è operativa solo nel caso in cui siano applicate delle pene e il provvedimento di inazione non applica pene”12 e che il riconoscimento di un “veto” in capo all’indagato finirebbe per assegnargli il diritto ad essere processato, riconoscendogli un ruolo attivo sull’esercizio dell’azione penale, non contemplato dalla legge. Per quanto apprezzabile, tale impostazione non scioglie il nodo interpretativo che peraltro esce aggravato dal fatto che il d.lgs. n. 28/2015 ha previsto che i provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 131 bis c.p., fra cui quello d’archiviazione, siano oggetto d’iscrizione nel casellario giudiziario (art. 3, lett. f), d.P.R. n. 313/2002). Dati i presupposti della tenuità, occorre che il sistema repressivo possa aver memoria di una eventuale pronuncia per questa particolare causa, certamente per valutare anche la non abitualità del comportamento, senza dimenticare, tuttavia, come le iscrizioni possano essere impiegate anche in altri procedimenti e per altri fini (si pensi alla concessione delle misure alternative).
È palese che tale scelta condurrà ad un incremento considerevole delle opposizioni, con buona pace della decongestione del carico giudiziario che, anche attraverso la tenuità, s’intende realizzare. Se per superare tali limiti sono già state avanzate delle interpretazioni che, in un’ottica costituzionalmente orientata, ritengono che l’iscrizione non sia riferibile al provvedimento di archiviazione, dal momento che la lettura combinata degli artt. 2, lett. g) e 3 lett. f), d.P.R. n. 313/2002 induce a sostenere che essa riguardi solo i provvedimenti definitivi e che la locuzione “reati commessi” contenuta all’art. 131 bis, co. 3, c.p. sia riferibile solo ai reati accertati nel processo, la ratio e il tenore delle nuove disposizioni appaiono difficilmente superabili.
2.4 La sentenza predibattimentale
Per la fase successiva all’esercizio dell’azione penale, il d.lgs. n. 28/2015 si limita ad operare una minimale riforma dell’art. 469 c.p.p. ed è silente rispetto all’ambito, modalità e termini di applicabilità della tenuità del fatto ai sensi degli artt. 129, 425 e 529530 c.p.p.
In ossequio alla scelta di evitare nuove qualificazioni dogmatiche e di creare formule proscioglitive ad hoc, il testo si limita al mero «coordinamento processuale» della regola che consente al giudice, soprattutto nei casi previsti dall’art. 550 c.p.p., di disporre il proscioglimento anticipato dell’imputato. La novella inserisce all’art. 469 c.p.p. un comma 1bis a mente del quale «la sentenza di non doversi procedere è pronunciata anche quando l’imputato non è punibile ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare». Al di là dell’incoerenza legata all’inopportuna riconduzione della peculiare clausola di non punibilità all’interno delle sentenze di non doversi procedere, la normativa ha già originato alcune questioni sul piano applicativo e dubbi sulla sua reale efficacia.
Innanzitutto, la previsione non affronta la questione dell’esiguità degli atti a disposizione del giudice (contenuti nel fascicolo del dibattimento) per la decisione, a cui si è cercato di rimediare attraverso una – discutibile – informale richiesta officiosa degli atti su consenso delle parti, capace di assecondare certo la speditezza e l’economia del rito, ma di originare l’incompatibilità del giudice che non si determini per l’applicazione dell’art. 131 bis c.p.13; in secondo luogo, al giudice non è consentito procedere all’acquisizione delle prove ai sensi dell’art. 467 c.p.p. Ancora, dubbi non secondari circondano la sfera d’applicazione della nuova previsione: valorizzando la sua ratio, formulazione e autonoma collocazione, un primo orientamento esclude che il giudice debba sentire anche l’imputato e il pubblico ministero, non menzionati dalla norma, né acquisire il loro consenso alla pronuncia, ma possa limitarsi a “sentire anche la persona offesa, se compare ” e pronunciare la sentenza anche con l’opposizione del p.m.14; secondo altro indirizzo15 l’audizione, capace di assecondare i diritti di cui è portatrice la persona offesa, si unisce a quella dell’accusa e dell’imputato, unici titolari del diritto di opporsi alla statuizione. Peraltro, in assenza di un espresso diritto di veto della persona offesa, va escluso che l’organo giurisdizionale possa farsi portatore dei suoi interessi, senza che rilievo alcuno possa assumere la diversa portata dell’art. 34 d.lgs. n. 274/2000.
2.5 I silenzi normativi e le prime applicazioni
Il legislatore delegato non è intervenuto sugli ulteriori epiloghi processuali successivi all’esercizio dell’azione penale, limitandosi a prevedere – indirettamente – la pronuncia di tenuità in fase dibattimentale e all’esito del giudizio abbreviato (arg. ex art. 651 bis c.p.p.). Il silenzio sembra riposare sulla pretesa applicabilità della disciplina ordinaria (capace di assecondare il diritto al contraddittorio spettante alle parti), salvo poi sollevare diverse difficoltà applicative.
Così, a dispetto di quanto prospettato inizialmente16, nessuna modifica è stata apportata all’art. 129 c.p.p.: se l’omissione è dogmaticamente giustificata alla luce della qualità e del carattere del vaglio imposto dalla peculiare decisione di proscioglimento in commento, essa, tuttavia, depaupera il potere di un accertamento officioso della tenuità nei casi in cui non è stato conferito espressamente al decidente, anche se la pratica pare andare al di là del costrutto normativo17.
All’esito dell’udienza preliminare – in cui il p.m., l’imputato e la parte civile possono ben esercitare il loro diritto di difesa e al contraddittorio – sembrerebbe soccorrere, invece, l’art. 425 c.p.p. La previsione contiene, infatti, una formula coerente con la causa di esclusione della punibilità che può essere compresa nell’ampia dizione «persona non punibile per qualsiasi causa». Se in tale fase la possibilità di accertare la particolare tenuità del fatto esce rafforzata dai poteri d’integrazione investigativa e probatoria spettanti al g.u.p., isolatamente si ritiene che la sentenza de qua non possa prescindere dal consenso dell’imputato, pena la violazione dell’art. 111, co. 4 e 5, Cost.18, tenuto conto di quanto già affermato dal giudice delle leggi in ordine all’analogo istituto minorile19.
Sicuramente incerta è la categoria alla quale ricondurre la decisione emessa all’esito del dibattimento: se parte dei commentatori rinvia all’art. 529 c.p.p.20, salvo constatare, poi, che la norma non menziona le ipotesi di non punibilità, altra parte della dottrina si richiama all’art. 530 c.p.p.21 a cui, tuttavia, mal si adattano gli effetti extrapenali della declaratoria indicati all’art. 651 bis c.p.p. Proprio tale norma stabilisce che «la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto a norma dell’articolo 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato». Considerato senza possibilità di dubbio che il fatto non punibile ex art. 131 bis c.p. è penalmente illecito, nonostante l’intervenuta sentenza di proscioglimento, la legge chiarisce che l’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto ivi accertata non è una pronuncia tipicamente assolutoria, ma al contrario, accerta, in via definitiva, che il reato è stato commesso dalla persona dichiarata non punibile.
Quanto al giudizio d’appello, regolato e vincolato al principio del tantum devolutum quantum appellatum, poi, al di là della richiesta formulata dalle parti nell’atto d’appello, si prospetta, per ammetterne la dichiarazione officiosa, l’estensione dell’art. 597, co. 5, c.p.p.22: trattandosi di una norma eccezionale l’impostazione è, però, difficilmente sostenibile.
Anche nel giudizio di Cassazione la questione relativa alla possibilità del giudice di applicare officiosamente la nuova clausola di non punibilità rimane aperta23. In tal caso, al di là dell’ambigua natura della tenuità, un ruolo non secondario, come ha confermato di recente proprio la Cassazione, è svolto dai (ulteriori) limitati poteri cognitivi spettanti alla Corte. Così, se da un lato, si fa leva sull’art. 623 c.p.p. ogniqualvolta nella motivazione e/o negli atti devoluti sono rappresentati indici significativi circa la possibile sussunzione entro i confini della particolare tenuità24; dall’altro lato, isolatamente, s’invoca l’art. 620, lett. l), c.p.p. ogniqualvolta la Corte sia in grado di formulare quel giudizio, certamente, applicabile ai casi già pendenti innanzi al Supremo Collegio25 a cui la nuova normativa va applicata a mente dell’art. 609 c.p.p.26 La sentenza è suscettibile di impugnazione secondo il regime ordinario.
La legge nulla prescrive sul piano del regime transitorio27. Se è pacifico che il fenomeno integra una successione di norme penali28, non v’è alcun dubbio che esso andrà, tuttavia, adeguato, di volta in volta, al grado di sviluppo del procedimento e alla specifica situazione di fatto e di diritto a cui va applicata. Non va trascurata, infatti, la possibile concorrenza con altre (maturate) ipotesi di possibile proscioglimento, anche più favorevoli (si pensi all’intervenuta prescrizione)29.
2.6 La (assoluta) carenza della tutela civilistica
Del pari, risulta insoddisfacente la tutela del pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno che dalla declaratoria può conseguire: limitato appare lo spazio garantito dalla configurazione di una specifica efficacia extrapenale della decisione (nuovo art. 651 bis c.p.p.)30. Innanzitutto deve escludersi che un tale effetto possa operare a vantaggio del danneggiato che sia rimasto estraneo al giudizio penale o si sia opposto al rito abbreviato ex art. 438 c.p.p.; in secondo luogo, quanto alla parte civile che ha partecipato al giudizio, deve ritenersi che il vincolo riguarda la sussistenza del fatto e la sua commissione da parte dell’imputato, mentre è dubbio che si estenda agli elementi costitutivi della tenuità31. Certamente per una maggiore tutela era preferibile agire sull’art. 538, co. 1, c.p.p., sull’art. 75 c.p.p. o, infine, rinviando all’art. 165 c.p.32.
Al di là delle segnalate criticità, la legge non chiarisce, tra l’altro, se a fronte della tenuità possano essere adottate delle misure precautelari e cautelari (personali e reali). Se tale possibilità è stata inizialmente bandita in ragione dell’art. 273 c.p.p., prospettive più sfumate sono state avanzate per quanto riguarda l’ipotesi dell’arresto. La legge tralascia d’indicare, poi, quale rapporto intercorre tra l’applicabilità della tenuità e la responsabilità dell’ente o della persona giuridica (d.lgs. n. 231/2001).
Come si comprende i problemi pratici che la nuova disciplina solleverà sono destinati ad aumentare. Certamente sarebbe stata preferibile una maggiore compiutezza sistematica degli aspetti processuali contenuti nella riforma.
Va, invece, apprezzato il fatto che l’irrilevanza si muove tra la disciplina penale e processuale confermando, in questo modo, la condivisibile linea di tendenza tesa a raccordare le nuove riforme tra previsioni processuali e disposizioni di diritto penale sostanziale, nella consapevolezza che i due sistemi si muovono in simbiosi, componendo un nuovo orizzonte al quale la dottrina guarda, anche in un’ottica di profonda riforma33.
1 Scaccianoce, C., La legge delega sulla tenuità del fatto nel procedimento ordinario, in La deflazione giudiziaria. Messa alla prova degli adulti e proscioglimento per la tenuità del fatto, a cura di N. Triggiani, Torino, 2014, 235 ss.
2 Per maggiori riflessioni, v. Bartoli, R., L’irrilevanza penale del fatto, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 1480; Caprioli, F., Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in www.penalecontemporaneo.it, 8.7.2015; Quattrocolo, S., Deflazione e razionalizzazione del sistema: la ricetta della particolare tenuità dell’offesa, in Processo penale e giustizia, 2015, 152 ss.
3 Quattrocolo, S., Deflazione e razionalizzazione del sistema, cit., 159 ss.
4 V., al riguardo, Trib. Napoli, sez. I, 4.5.2015, n. 7393; Trib. Foggia 14.4.2015, n. 1670.
5 Cass. pen., sez. III, 26.5.2015, n. 27055, in Guida dir., 2015, fasc. 38, 88.
6 Così, volendo, Marandola, A., I “ragionevoli dubbi” sulla disciplina processuale della particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. e processo, 2015, 795.
7 V., Linee guida della Procura di Lanciano, in www.penalecontemporano.it, 3.4.2015.
8 La previsione è difettosa rispetto ai 20 gg. richiesti nel caso di delitti commessi con violenza alla persona.
9 Cfr., anche, Bronzo, P., L’archiviazione per particolare tenuità del fatto, in Misure cautelari. Indagini preliminari. Giudizio, a cura di A. Marandola, nel trattato Procedura penale – Teoria e pratica del processo, diretto da G. Spangher-A. Marandola G.-Garuti L. Kalb, II, Torino, 2015, 957 ss.
10 Spagnolo, P., Gli epiloghi processuali della “particolare tenuità del fatto”, in I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, a cura di S. Quattrocolo, Torino, 2015, in corso di pubblicazione.
11 In tal senso, Aprati, R., Le regole processuali della dichiarazione di “particolare tenuità del fatto”, in Cass. pen., 2015, 1321.
12 Relazione di accompagnamento al d. lgs. n. 28/2015, in www.giustizia.it.
13 Trib. Bari, sez. IV, 5.5.2015, in Guida dir., 2015, fasc. 22, 72, con nota di Amato, G.; Trib. Bari, sez. II, 4.5.2015, n. 1523; contra Spagnolo, P., Gli epiloghi processuali, cit., 73, nt. 26.
14 Trib. Asti, 13.4.2015, n. 724, Belli est., in Arch. pen., ed. Arch. pen. web, 2015, n. 2; in analogo senso, Cascini, N.D., Tenuità del fatto: le prime applicazioni anche in fase predibattimentale, in Arch. pen. web, 2015, n. 2; Santoriello, C., Prime applicazioni della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, in www.quotidianogiuridico.it, 15.5.2015.
15 Così, Spagnolo, P., op. cit., 75.
16 Lo «Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’art. 1, comma 1, lett. m), della L. 28 aprile 2014 n. 67» del 23.12.2014 prevede(va) al comma 1 dell’art. 129 c.p.p., dopo le parole «non è previsto dalla legge come reato», l’inserimento dell’inciso: «che l’imputato non è punibile ai sensi dell’articolo 131bis del codice penale».
17 Trib. Perugia, 7.5.2015, n. 759, in cui il giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di applicazione della pena ex art. 444 ha applicato l’art. 131 bis c.p. «sebbene l’art. 129 c.p.p. non richiami espressamente l’ipotesi in cui sussistano cause di non punibilità».
18 Spagnolo, P., op. cit., 78.
19 C. cost., 2.4.2004, n. 110; 11.6.2003, n. 208; 9.5.2003, n. 149; 16.5.2002, n. 195.
20 Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione, Rel/III/02/2005, del 23.4.2015, in www.giustizia.it, 3; Marandola, A., I “ragionevoli dubbi”, cit., 800; Menditto, F., Prime linee guida per l’applicazione del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, in Gatta, G.L., Non punibilità per particolare tenuità del fatto: le linee-guida della Procura di Lanciano, in www.penalecontemporaneo.it, 3.4.2015.
21 Aprati, R., Le regole processuali, cit., 1328; Caprioli, F., Prime considerazioni, cit., 24; Mangiaracina, A., La tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.: vuoti normativi e ricadute applicative, in www.penalecontemporaneo.it, 28.5.2015, 4; Quattrocolo, S., Deflazione e razionalizzazione del sistema, cit., 11.
22 Ancora, Aprati, R., op. cit., 1329.
23 Con 3 ordinanze del 7.5. 2015, la sez. III ha rimesso alle Sezioni Unite, varie questioni, fra cui «se in sede di legittimità possa essere dedotta per la prima volta la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. introdotto con normativa successiva alla presentazione del ricorso» e «se, in caso di ritenuta ammissibilità della nuova prospettazione in sede di legittimità, rientri nei poteri della Corte la valutazione di meritevolezza ai fini dell’applicabilità dell’istituto o debba, in ogni caso, disporsi l’annullamento con rinvio»: data l’assenza di un contrasto sul punto, il Primo Presidente della Cassazione ha restituito gli atti alla sez. III ai sensi dell’art.172 disp. att. c.p.p.: cfr., Milone, S., La “tenuità del fatto” non arriva per ora alle Sezioni Unite, in Dir. pen. e processo, 2015, 989.
24 Così, Cass. pen., sez. III, 2.7.2015, n. 31932, J.M., inedita; v., anche, Cass. pen., sez. III, 22.4.2015, n. 21474.
25 V. Cass. pen., sez. III, 8.4.2015, n. 15449, Mazzarotto, in Cass. pen., 2015, 2595 che ritiene possibile un giudizio “in negativo” ricavabile dagli elementi contenuti nella sentenza. Sul tema, Gaeta, P.,Macchia, A., Tra nobili assiologie costituzionali e delicate criticità applicative: riflessioni sparse sulla non punibilità per “particolare tenuità del fatto”, ivi, 2612 ss.; Gatta, G.L., Note a margine di una prima sentenza della Cassazione in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131bis c.p.), in www.penalecontemporaneo.it, 22.4.2015.
26 Sul punto Aprati, R., op. loc. ult. cit.; Menditto, F., Prime linee guida, cit., 24.
27 Amato, G., Senza fase transitoria operatori del diritto in “crisi di nervi”, in Guida dir., 2015, fasc. 15, p. 46; Gaeta, P. Macchia, A., Tra nobili assiologie, cit., 2614: è scelta – probabilmente – non casuale, ma ponderata: una disciplina transitoria di lex mitior è ad alto rischio, andando comunque incontro a pericolosi dubbi di compatibilità costituzionale che, se riconosciuti fondati, rischiano di rivelarsi nel tempo un disastroso boomerang per la funzionalità del sistema.
28 È inammissibile il ricorso diretto alla revoca della sentenza ex art. 673 c.p.p., v. Uff. g.i.p. Milano, 28.5.2015, ined. Sulla natura abolitrice della nuova legge, cfr., invece, Linee-guida della Procura di Lanciano, cit., 24.
29 Cass., sez. III, 26.5.2015, n. 27055, in Guida dir., fasc. 38, p. 88, per la quale la declaratoria di estinzione del reato prevale sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
30 V., Lavarini, B., Gli effetti extrapenali, in I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, cit., in corso di pubblicazione.
31 In senso negativo Caprioli, F., op. cit., 33; Scaccianoce, C., La legge-delega sulla tenuità del fatto, cit., 251; contra, Piccioni, F., Per gli avvocati “armi spuntate” nella strategia, in Guida dir., 2015, fasc. 15, 43.
32 Nella Relazione al testo del decreto legislativo, cit., si indica che la sentenza passata in giudicato avrebbe efficacia nel giudizio civile anche «in ordine all’entità del fatto illecito causativo del danno» indica, però, che il giudice è «libero quanto alla quantificazione del risarcimento.»
33 Spangher, G., Urge una riforma organica del sistema sanzionatorio, in Dir. pen. e processo, 2015, 913.