Vedi Profili processuali della tenuita del fatto dell'anno: 2017 - 2019
Profili processuali della «tenuità del fatto»
Le Sezioni Unite sciolgono i quesiti interpretativi più controversi relativi alla nuova causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Viene così tracciato un netto confine fra offensività e tenuità del fatto e nel contempo delineato il campo applicativo dell’art. 131 bis c.p., nonché il suo regime giuridico nel giudizio di legittimità.
Tutti erano in attesa di vedere quale strada le Sezioni Unite avrebbero intrapreso per sciogliere i nodi interpretativi sollevati dall’introduzione del nuovo istituto della particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131 bis c.p. All’indomani della novella si erano infatti posti una serie di quesiti, sia di carattere sostanziale, sia di carattere processuale1.
In primo luogo c’era la necessità di chiarire il significato di alcune locuzioni contenute nell’art. 131 bis
c.p.p. Si era a tal proposito parlato in dottrina di un «problema di ambiguità semantica …: talvolta nella disposizione di cui all’art. 131 bis si attribuisce lo stesso significato ai termini “fatto” e “offesa” (e “danno o pericolo”), usandoli come sinonimi. Inoltre era stata segnalata l’esigenza di chiarire in che rapporto stessero nella disposizione la dimensione del fatto con la dimensione dell’autore. Il piano oggettivo e quello soggettivo risultano infatti a volte confusi. Il requisito del “comportamento non abituale”, sebbene attenga in gran parte alla dimensione dell’autore, viene riferito però anche alla dimensione del fatto, là dove si richiede la valutazione della commissione di reati che hanno ad oggetto “condotte plurime, abituali e reiterate»2.In secondo luogo ci si era interrogati se la causa di non punibilità fosse applicabile a tutte le tipologie di reato, o se, al contrario, la struttura peculiare di alcuni illeciti la rendesse con questi incompatibile3. Il dilemma riguardava soprattutto i reati di pericolo astratto o presunto, come quelli strutturati su una mera disobbedienza, ovvero come quelli nei quali il fatto è individuato dal legislatore una volta per tutte attraverso delle soglie che segnano il confine fra diversi reati o fra illeciti penali e illeciti amministrativi. Si pensi, come ipotesi paradigmatiche (e non a caso proprio su tali reati sono state interpellate le Sezioni Unite) al rifiuto di sottoporsi all’alcooltest e alla guida in stato di ebrezza.
In terzo luogo erano sorti dubbi sull’applicabilità o meno delle sanzioni amministrative conseguenti l’irrogazione della sanzione penale. Il dubbio nasceva dal fatto che da una parte la pronuncia di proscioglimento per tenuità del fatto presuppone l’accertamento positivo della commissione di un fatto penalmente rilevante, ma dall’altra in via generale le sanzioni amministrative accessorie sono subordinate alla previa sentenza di condanna.
Infine erano emersi una serie di quesiti intorno al regime giuridico processuale. Primo fra tutti quale fosse lo statuto della tenuità in Cassazione.
Le Sezioni Unite intervengono dunque con due pronunce omologhe, nelle quali disegnano la struttura della causa di non punibilità e, di conseguenza, il suo regime giuridico4.
La soluzione dei vari quesiti viene fornita attraverso una previo inquadramento della causa di non punibilità per particolare tenuità nella teoria del reato. Ebbene, secondo la Cassazione, la dichiarazione di tenuità si applica ai fatti tipici (e perciò già offensivi), nei quali la caratterizzazione concreta degli elementi che compongono il fatto consente di escluderne la punibilità a causa della sua particolare tenuità, in attuazione dei canoni penali della extrema ratio e della proporzionalità dell’intervento punitivo e con effetti in tema di deflazione.
Si tratta di una valutazione complessa che spetta al giudice compiere, attraverso il sussidio dei tre indicatori forniti dal legislatore: modalità della condotta (vale a dire delle componenti materiali dell’illecito); entità della lesione o della messa in pericolo (vale a dire dell’offesa); intensità del dolo o grado della colpa (vale a dire dell’elemento psicologico del reato). Si richiede, in breve, una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta. Si precisa poi che la valutazione dei tre indicatori potrebbe dare anche risultati opposti (ad esempio particolare intensità del dolo e, nel contempo, particolare esiguità dell’offesa, ovvero il contrario). Dunque essi andranno prudentemente bilanciati dal giudice, al fine di escludere o ammettere la causa di non punibilità, secondo un meccanismo di prevalenza, analogo a quello che caratterizza il concorso di circostanze di segno opposto.
Da queste premesse le Sezioni Unite traggono la conseguenza che non esiste un fatto tenue o non tenue in chiave archetipica: sicché in ogni tipologia di reato, senza esclusione alcuna, può essere applicata la causa di non punibilità per tenuità.
La conclusione a cui perviene la Corte non si fonda solo sulla distinzione fra principio di offensività, in forza del quale il reato esiste o non esiste, e principio di proporzionalità, in forza del quale fatti offensivi non meritano la sanzione penale per la tenuità della loro caratterizzazione concreta; ma anche dalle inequivoche indicazioni normative, che escludono l’applicabilità della causa di non punibilità solo in due tassativi casi: uno di carattere oggettivo (le soglie edittali); uno di carattere soggettivo (la personalità dell’autore valutata attraverso l’abitualità del comportamento). Non a caso le Sezioni Unite sentono l’esigenza di chiarire come anche il requisito della abitualità del comportamento sia stato tassativamente individuato dal legislatore nel terzo comma della disposizione, dove viene inserita una vera e propria definizione normativa. È dunque il legislatore a segnare il confine della abitualità, senza lasciare al giudice la possibilità di fare valutazioni diverse e più ampie. Il nucleo comune è individuabile nei comportamenti seriali. Da una parte serialità nella commissione di più reati: soggetti dichiarati delinquenti abituali o professionali o per tendenza, soggetti che hanno commesso altri due fatti della stessa indole (accertati con sentenza definitiva di condanna, o in corso di accertamento e dunque vagliabili incidentalmente, o che abbiano giovato della non punibilità per particolare tenuità). Dall’altra serialità della condotta che caratterizza il reato per cui si procede: reati abituali in senso stretto, reati strutturati astrattamente con condotte reiterate, reati in astratto non seriali ma in concreto realizzati con condotte reiterate.
Dunque, vista la tassatività dei casi in cui la non punibilità è esclusa, anche per i reati di pericolo presunto, o per i reati costruiti a soglie, è possibile valutare in concreto la misura della tenuità del fatto.
I tre indicatori normativi che fondano il giudizio di tenuità, infatti, possono differentemente atteggiarsi. Se dunque in qualche reato appare arduo graduare un aspetto (per esempio il pericolo nel rifiuto di sottoporsi ad alcooltest, o la modalità della condotta nel reato di guida in stato di ebbrezza), ben potranno profilarsi con agilità gli altri due indicatori, ovvero uno soltanto. Su tre indicatori se ne potrà sempre accertare almeno uno, che potrà dunque essere d’ausilio per la valutazione della tenuità del fatto. Senza contare poi che nei reati di pericolo presunto in realtà è possibile individuare sempre qualche aspetto dell’offesa in concreto; così come nei reati a soglie, dove la modulazione delle modalità della condotta è già possibile all’interno della stessa forbice di valori indicata dal legislatore.
E questo vale anche nel caso in cui le soglie disegnano il confine fra illecito penale e illecito amministrativo. Ogni reato è graduabile e può in concreto non meritare l’intervento punitivo, in attuazione del canone di proporzionalità ed estrema ratio, tipico del sistema penale e per ciò non esportabile nel sistema amministrativo, che si configura come autonomo e distinto dal primo. Sicché ben può accedere che l’illecito amministrativo a soglia minore sia perseguibile amministrativamente, mentre quello penale a soglia maggiore non sia in concreto punibile. Spetta in pratica al legislatore decidere se per gli illeciti amministrativi sia o meno opportuno regolare una causa di non punibilità omologa a quella prevista dal comma 14 dell’art. 75 t.u. stupefacenti, la quale esclude anche le conseguenze amministrative in presenza di una particolare tenuità del fatto integrante un illecito amministrativo. Sicché l’eventuale disomogeneità dei due sistemi non può riflettersi sul funzionamento di quello penale, riducendo il campo di applicazione della causa di non punibilità, che si caratterizza proprio per la sua generale capacità di applicarsi a qualsiasi reato.
E il medesimo discorso riguarda le sanzioni amministrative conseguenti alla commissione di un reato. Proprio l’autonomia dei due sistemi giustifica la circostanza che in assenza di condanna il fatto dovrà passare alla cognizione dell’autorità amministrativa, la quale potrà irrogare o meno la sanzione amministrativa.
Infine le Sezioni Unite si occupano delle questioni processuali.
L’attenzione è però tutta concentrata sul ricorso per cassazione. Senza esitazione si afferma che la non punibilità per particolare tenuità del fatto nella fase transitoria può essere sollevata d’ufficio ex art. 609 c.p.p. Siamo in presenza di una lex mitior sopravvenuta, vi è dunque l’obbligo (e non già la facoltà) di procedere alla sua immediata cognizione.
In relazione agli esiti decisori, per individuare le possibili alternative percorribili, va considerato che la causa di non punibilità non è un elemento negativo del fatto, non concorre a delineare il fatto tipico; essa è piuttosto una “misurazione” del fatto come concretamente realizzato. Il suo accertamento, quindi, non si basa sulla prova dell’esistenza di requisiti strutturali nuovi e ulteriori, ma su una prognosi postuma del fatto come è stato accertato, in pratica è “un accertamento sull’accertamento”, compiuto, attraverso i parametri dell’art. 131 bis c.p.
Da ciò deriva che se nella motivazione il fatto accertato non si presenta come tenue, perché già è stato provato che il danno è grave, la condotta è aggressiva, il dolo è intenso, o se già risulta che il comportamento è abituale, si può escludere l’applicabilità della causa di non punibilità direttamente. E si tratta di un’evenienza assai probabile: nelle motivazioni sono spesso presenti queste valutazioni, in forma poi particolarmente analitica nella parte dedicata alla quantificazione della pena, la Cassazione ha infatti già da tempo sottolineato come sia obbligatoria una motivazione nell’ipotesi in cui il giudice si distacchi dal minimo edittale5.
Allo stesso modo però, qualora nella sentenza di merito vi sia già la prova della ricorrenza dei parametri che vanno a comporre la causa di non punibilità, perché magari considerati per applicare una circostanza attenuante costruita sulla tenuità del fatto, ben si può prosciogliere per non punibilità ai sensi dell’art. 620, lett. l), c.p.p. analogamente a quanto di recente si è ritenuto in tema di rideterminazione della pena detentiva in materia di stupefacenti6. Si tratta di un’attività di mera sussunzione dei fatti nella norma, che può dunque compiere anche la Cassazione prosciogliendo direttamente.
Ma non solo, le Sezioni Unite si preoccupano anche di precisare che in tal modo non vi è la violazione del contraddittorio, perché il giudizio di cassazione è strutturato in maniera tale da consentire un’ampia interlocuzione sulla res iudicanda.
Dal punto di vista formale poi, si ritiene che si possa utilizzare l’art. 129 c.p.p. Si afferma infatti che la norma non attribuisca autonome facoltà decisorie, ma ribadisca la possibilità per il giudice di prosciogliere in ogni momento. Sicché la lista delle cause di non punibilità dell’art. 129 c.p.p. è in pratica solo esemplificativa, il potere di prosciogliere per tenuità è già conferito altrove e dunque ex art. art. 129 c.p.p. può essere esercitato anche in cassazione.
Nel caso, infine, in cui il ricorso sia inammissibile, si pone il problema se possa comunque trattarsi d’ufficio la questione sopravvenuta. Ebbene la Cassazione dà una risposta positiva, sul presupposto che la lex mitior sopravvenuta vada comunque applicata finché il processo è pendente: e il processo è pendente fino a quando non venga emessa una sentenza che non potrà essere più impugnata per nessuna ragione.
Le Sezioni Unite, dunque, risolvono il problema di diritto transitorio sollevato dalla nuova disposizione: da una parte applicabilità dell’art. 2, co. 4, c.p.; dall’altra possibilità per la Corte di cassazione di sollevare la questione sopravvenuta d’ufficio e procedere al contestuale giudizio rescindente e rescissorio ex art. 129 c.p.p. anche in caso di ricorso inammissibile.
Per le sentenze di condanna irrevocabili, dunque, non è possibile alcun effetto retroattivo. È noto infatti che il giudicato deve essere modificato solo nei casi di abolizione di un’incriminazione (art. 2, co. 2, c.p.) e di annullamento da parte della Corte costituzionale di una norma incriminatrice (art. 673 c.p.p. e art. 30, co. 3, l. 11.3.1953, n. 87) o di una norma che regola il trattamento sanzionatorio7. Al fine di applicare la nuova causa di non punibilità ai processi definitivamente conclusi, sarebbe stato necessario un intervento normativo: per esempio, una norma di “diritto transitorio” volta a consentire la deroga al limite temporale di retroattività della lex mitior previsto dall’art. 2, co. 4, c.p.
Ribadito che non si tratta di una ipotesi abolitiva regolata dal comma 2 dell’art. 2 c.p., in assenza di un espresso intervento normativo, non appare superfluo chiedersi della compatibilità costituzionale di tale soluzione, che preclude interventi oltre il giudicato, con la nuova quotazione del principio di retroattività della legge più favorevole dopo la nota sentenza Scoppola della C. eur. dir. uomo (art. 7 CEDU) e dell’eventuale disparità di trattamento rispetto a quanto stabilito dal comma 3 dell’art. 2 c.p., che permette la rimodulazione del giudicato di condanna in caso di trasformazione della pena detentiva in pecuniaria8.
Inoltre, come accennato, le Sezioni Unite negano, nei processi per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della nuova legge favorevole, sia la possibilità di sollevare la questione d’ufficio, sia la possibilità di annullare senza rinvio applicando direttamente la causa di non punibilità. In conclusione “a regime” la tenuità del fatto per poter essere trattata in Cassazione dovrà essere oggetto di uno specifico motivo di ricorso (la questione dovrà allora essere stata già portata alla cognizione dei giudici di merito e dunque già censurata dalle parti nel giudizio di appello9) e l’esito del giudizio, oltre che l’inammissibilità per manifesta infondatezza, sarà un rigetto o un annullamento con rinvio.
Tuttavia, dalla ricostruzione delle Sezioni Unite non si può trarre né la conseguenza che in assoluto alla Corte di cassazione sia impedita una cognizione ufficiosa, né la conseguenza che in assoluto sia inibito il contestuale giudizio rescindente e rescissorio. Queste conclusioni sarebbero extra petita rispetto a quanto affermato dalle Sezioni unite.
Infatti una porzione di cognizione d’ufficio deve comunque ricavarsi dal canone generale dello iura novit curia! derivante – com’è noto – dalla soggezione del giudice solo alla legge ex art. 101 Cost. Il giudice ai sensi dell’art. 609 c.p.p. conosce di tutte le questioni rilevabili d’ufficio e la corretta applicazione del diritto è – ex art. 101 Cost. – nel monopolio di qualunque giudice10. E si tratta – ricordiamolo – di potere esercitabile tanto in bonam partem quanto in malam partem. Sicché il giudice di legittimità ha una cognizione extra petita solo sull’eventuale “errore di diritto” relativo alla tenuità del fatto, perché per una cognizione extra petita “sull’errore di fatto” sarebbe stato necessario integrare l’art. 129 c.p.p.
Quanto ai possibili esiti, poi, per l’errore di diritto ex art. 606, lett. b), c.p.p., andrebbe considerata l’ipotesi di servirsi dell’art. 620, lett. l), c.p.p., al fine di annullare senza rinvio e applicare direttamente la causa di non punibilità. A ben vedere, quando le parti si lamentano della mancata sussunzione da parte del giudice di merito dei fatti nella norma corretta, non sono necessari ulteriori accertamenti né valutazioni. Del pari, se pur più prudentemente, quando si delinea il significato di una disposizione, si può procedere alla sussunzione del relativi fatti, se già risultano accertati nella sentenza. Il vizio della violazione di legge sostanziale, infatti, è configurabile per lo più nel caso di “errata interpretazione” della portata astratta dei parametri che delineano l’esiguità del fatto. Si pensi al significato dell’espressione «commissione di più reati in forma reiterata», ovvero al concetto di “crudeltà”, o all’identificazione dell’offesa tutelata da un reato. Se anche più difficile da profilare, non si può escludere che ci si possa dolere anche della «erronea o mancata applicazione» della legge penale ai fatti accertati in sentenza. Si pensi all’avvenuto riconoscimento di una circostanza attenuante generica, giustificata nella motivazione proprio sulla base degli indici che tracciano la tenuità del fatto; ovvero alla perdurante applicazione di una circostanza speciale per tenuità del fatto, per legge destinata a soccombere per essere sostituita dalla non punibilità. Ma si ipotizzi anche il caso contrario, come quando sia dichiarato non punibile un omicidio colposo, in violazione degli indici di esclusione in astratto previsti dai commi 2 e 3 dell’art. 131 bis c.p.p.
Qui non si deve valutare la ricorrenza della tenuità del fatto, né devono essere ricalibrate le sanzioni. E ciò dovrebbe valer anche qualora si ammettesse che l’errore di diritto possa essere sollevato dal giudice d’ufficio. Anzi, paradossalmente in questa situazione, più che nel caso in cui il motivo sia presentato dalle parti, si potrà più facilmente ricorrere al contemporaneo giudizio rescindente e rescissorio di quanto non accada rispetto alle norme di favore relative al trattamento sanzionatorio. Qui, da una parte, la conseguenza favorevole risiede nella non punibilità secca dell’imputato, e non già nel ricalcolo della pena; dall’altra parte, sono proprio i fatti già accertati nella sentenza che permettono al giudice di “conoscere” l’errore di diritto e, quindi, di emendarlo direttamente attraverso una mera operazione di riqualificazione giuridica.
Note
1 Marandola, A., La tenuità del fatto, in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, a cura di G. Spangher, A. Marandola, G. Garuti e L. Kalb, II, Milano 2015, 964.
2 Gambardella, M., Particolare tenuità del fatto, relazione orale tenuta alle Camere penale di Roma, 22.9.2015, p. 1 del dattiloscritto.
3 Aprati, R., Le regole processuali della tenuità, in Cass. pen., 2015, 1321.
4 Cass. pen., S.U., 25.2.2016, n. 13681, Tushaj; Cass. pen., S.U., 25.2.2016, n. 13682, Coccimiglio; ambedue in Cass. pen., 2016, p. 1233 ss.
5 x plurimis, Cass. pen., sez. I, 13.3.2013, n. 24213, in CED rv. n. 255825, Pacchiarotti.
6 Cass. pen., sez. VI, 20.3.2014, n. 15157, in CED rv. n. 259253, La Rosa.
7 Cass. pen., S.U., 29.5.2014, n. 42858, Gatto, in Cass. pen., 2015, 65.
8 Contra Cass. pen., sez. I, 14.3.2016, n. 37850, Blascioli, in www.cortedicassazione.it.
9 Cass. pen., sez. VI, 27.4.2016, n. 20270, in CED rv. n. 266678, Gravina.
10 Aprati, R., Le regole processuali, cit., 1333; Nappi, A., Tenuità del fatto, in www.lalegislazionepenale.eu, 25.5.2016, 11; Spagnolo, P., Gli epiloghi processuali della tenuità, in I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, a cura di S. Quattrocolo, Torino, 2015, 65.