profondo
Voce esclusiva dell'uso poetico, ricorrente soltanto nelle tre cantiche della Commedia, in senso proprio e figurato.
Nella prima cantica è riferito esclusivamente alla struttura ad abisso del mondo infernale, in una progressiva determinazione delle sue parti: IV 10 'n su la proda mi trovai / de la valle d'abisso dolorosa / ... Oscura e profonda era e nebulosa (" profondità intuita piuttosto che percepita ", Torraca); XI 5 'l profondo abisso (il basso Inferno); XVIII 5 un pozzo assai largo e profondo, che conduce al nono cerchio.
Sempre con valore proprio, p. distingue cose che penetrano molto addentro: Pg V 73 li profondi fóri [ferite] / ond'usci 'l sangue; o qualifica (in assonanza interna con la voce fondi) masse d'acqua la cui distanza dalla superficie sia notevole: Pd III 12 acque nitide e tranquille, / non si profonde che i fondi sien persi (cfr. XIX 63, in immagine che traduce in termini sensibili il concetto della profondità imperscrutabile dell'essere divino).
Attestato è in D. l'uso di p. in costrutti di tipo latino (funzione predicativa) per determinare " la parte più profonda, più interna " di qualche cosa: il profondo inferno (If III 41: precisamente " la città di Dite ", secondo il Grabher, dove si trovano i veri e propri demoni) non riceve gli angeli che nella ribellione di Lucifero si mantennero neutrali; nel profondo / Marte (Pd XIV 100; " nella profondità di Marte, cioè non solo superficialmente, ma, per la gran quantità dei lumi, addentrandosi nello spessore del pianeta ", Chimenz; oppure: " nell'interno del cielo di Marte ", Malagoli) D. assiste all'apparizione della fulgida croce in cui lampeggia il Cristo; dalla luce profonda che cela lo spirito di s. Pietro (Pd XXIV 88; ma secondo alcuni l'espressione varrebbe: " luce grandissima ", Buti; " un abisso di luce ", Venturi) il pellegrino sente salire le domande che il santo gli rivolge intorno alla fede. È analogo a questo uso anche profonda notte di Pg I 44, XXIII 121.
All'uso predicativo potrebbe riferirsi anche l'espressione di Pd XXXIII 115 Ne la profonda e chiara sussistenza / de l'alto lume parvermi tre giri (suprema visione della Trinità; " nell'interno della luminosa sostanza dello splendore divino ", Malagoli), che i più, tuttavia, interpretano assegnando a p. funzione attributiva: " Profondo e chiaro, le due qualità d'ogni cosa più grande, e più cospicue in quelle che più somigliano a Dio " (Tommaseo).
Ampio a vario è l'uso figurato di p., nel senso di " elevato ", " grande ", " nobile ", secondo distinti valore che si precisano in rapporto al luogo e alla funzione contestuale. Innanzitutto, in Pd II 131 'l ciel cui tanti lumi fanno bello / de la mente profonda che lui volve / prende l'image, l'espressione mente profonda non sarà da spiegare riferendola a Dio (come gli antichi interpreti e alcuni fra i moderni intesero: " Dio, lo quale chiama mente profonda... perché lo suo sapere non à fondo, né fine ", Buti), ma, secondo l'esatta comprensione della dottrina cosmologica dantesca (cfr. B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 32), si dovrà riferire all'Intelligenza motrice (qui i Cherubini, motori del cielo Stellato; " l'attributo della profondità è proprio di ogni Intelligenza celeste ", Mattalia), di cui il corpo celeste è strumento od organo.
Sempre con valore figurato, p. qualifica altresì la facoltà e potenza conoscitiva (il sì profondo / saver di Salomone, in Pd X 112); i sentimenti umani nel loro manifestarsi (IV 121 non è l'affezion mia tanto profonda, / che basti a render voi grazia per grazia: " Non credo che D. intenda qui propriamente dell'affezione che lo avvince a Beatrice, ma che voglia dire invece che la natura umana non è capace di sì profondi affetti quanto occorrerebbe perché egli potesse render grazie pari alla grazia ricevuta da Beatrice: non può lui uomo concepire sentimenti così profondi ", Barbi, Problemi I 286); le sublimi verità e i misteri del mondo oltreumano (Pg XXXII 90 con più dolce canzone e più profonda: è il canto che accompagna la salita al cielo della processione simbolica, in cui " dolce si riferisce alla melodia, profonda ai concetti del canto ", Scartazzini-Vandelli; Pd XXIV 70 Le profonde cose / che mi largiscon qui la lor parvenza: " l'esistenza e l'essenza della vita eterna ", Chimenz; v. 142 De la profonda condizion divina / ch'io tocco mo: " sì alta, che non vi si può adiungere dallo intelletto umano ", Buti). È altresì da notare la locuzione figurata profonda / fontana (Pd XX 118): Dio, fonte infinita e imperscrutabile di grazia.
P. è anche usato con funzione avverbiale: Pg XXXI 111 le tre [le donne personificazione delle virtù teologali] ... che miran più profondo, e Pd XV 39 io non lo [Cacciaguida] 'ntesi, sì parlò profondo. In entrambi i luoghi ha il valore figurato di " in modo profondo, elevato ", distinguendo la percezione di una verità sublime, aperta solo alle creature superiori, formulata secondo concetti ed espressioni all'uomo inaccessibili per la loro profondità.
Sostantivato, con valore neutro, p. indica la parte più profonda, più interna di cosa concreta, o anche di essenza immateriale, ed è usato sia con la specificazione di un sostantivo (Pg XXIII 40 del profondo de la testa / [Forese Donati] volse a me li occhi: dalla profondità delle occhiaie incavate), sia, prevalentemente, in assoluto: Pd IX 23 la luce... / del suo profondo, ond'ella pria cantava, / seguette (detto delle anime beate del cielo di Venere immerse nella luce); XXXIII 85 Nel suo profondo vidi (D. si profonda nella visione dell'essenza divina).
Controversa è l'interpretazione di Pd XXX 4 Forse semilia miglia di lontano / ci ferve l'ora sesta... / quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo, / comincia a farsi tal, ch'alcuna stella / perde il parere infino a questo fondo, dove D. descrive il progressivo svanire delle luci delle stelle all'avanzare dell'aurora.
Va ricordato, innanzitutto, che qui per mezzo non deve intendersi " meridiano " o " parte mediana " (come da alcuni critici è stato sostenuto: Casini, Malagoli), ma, secondo quanto chiarisce D. stesso in più luoghi della sua opera (Cv III IX 11-12, Pg I 15, XXIX 45, Pd XXVII 74), e conformemente all'uso tecnico del latino medius (v. anche MEZZO), si chiama ‛ mezzo ' l'elemento trasparente e diafano, intermedio fra l'organo della vista e l'oggetto, elemento che, nel nostro caso, è l'etere celeste e l'aria. Interpretazione suggerita anche dall'evidente constatazione che all'alba prime a offuscarsi non sono le stelle della parte mediana del cielo, bensì " quelle che si trovano all'orizzonte orientale, dove l'alba comincia a imbiancarsi " (Porena). Su questo la critica contemporanea si è trovata quasi unanimemente concorde.
Non è così, invece, per quanto riguarda la definizione del rapporto che intercorre fra l'espressione mezzo del cielo e la parte seguente del verso: a noi profondo. La maggioranza degl'interpreti danteschi infatti (Scartazzini-Vandelli, Malagoli, Casini, Sapegno, Chimenz, Pézard), intende che qui p. sia da riferire a cielo e che cielo, a noi profondo stia a indicare il più alto (p. come " alto ", in senso verticale) dei cieli visibili, cioè quello delle Stelle fisse: qualificato p. perché è il più lontano rispetto a noi. Secondo tale spiegazione il senso del brano sarebbe il seguente: all'alba, tutto l'elemento intermedio tra noi e il cielo Stellato, il più elevato rispetto a noi, s'illumina così intensamente per la luce del sole, che la visione delle stelle svanisce alla terra, fondo dell'universo.
Tale spiegazione trova di discorde parere il Porena, il quale, in una densa nota del suo commento alla terza cantica, dopo aver anch'egli (e tra i primi) corretto l'errata interpretazione di mezzo (" parte mediana "), ha sostenuto che, essendo questo in sé stesso un " termine generico " (poiché " vi possono essere altri mezzi ", ad es. l'acqua), D. ha sentito il bisogno di determinarne con più precisione il significato, " aggiungendo le parole del cielo, a noi profondo (genitivo dichiarativo) ". Nel quarto verso del complesso brano, D. avrebbe voluto dunque indicare quel " mezzo " che è per noi uomini la parte " più bassa " (questo, nell'interpretazione del Porena, viene a essere il valore di p.) del cielo: cioè " l'atmosfera ", che è cielo " non già, s'intende, nel senso astronomico, ma in quello comune per designare tutto quello che non è la Terra ".
Pur accettandosi tale lettura per quanto riguarda il significato di mezzo e di cielo, si potrebbe, tuttavia, intendere p. col singolare valore di " lontano " (in senso orizzontale), con tali risultati interpretativi: all'alba, l'atmosfera, nella sua remota zona orientale, in cui il sole diffonde i suoi primi raggi, s'illumina in modo via via così intenso, che la luce delle stelle ne viene offuscata fino a non essere più percepibile alla terra.
Bibl. - Per Pd XXX 4: M. Barbi, in " Bull. " XII (1905) 267; E.G. Parodi, in " Bull. " XIX (1912) 236; G. Buti-R. Bertagni, Commento astronomico della D.C., Firenze 1966, 205-207; I. Capasso, L'astronomia nella D.C., Pisa 1967, 206-207.