Progetti di riforma sulla cooperazione internazionale
L’esigenza di adeguamento alla normativa sovranazionale in tema di cooperazione giudiziaria in materia penale, non disgiunta da quella di adottare una disciplina più agile, in grado perciò di assicurare tempi ragionevoli nell’espletamento delle richieste, ha indotto il legislatore ad intervenire sia in tema di recepimento di convenzioni ed altri provvedimenti normativi dell’Unione europea, sia rivisitando i classici strumenti della cooperazione giudiziaria con l’obiettivo di renderli più snelli e attuando, in alcuni casi, una migliore tutela dei soggetti coinvolti nei procedimenti de quibus. Il contributo che segue è volto a dare conto, pur in estrema sintesi, da un lato delle innovazioni derivanti dalla imminente recezione della normativa sovranazionale e, dall’altro lato, delle modifiche al libro XI del codice di procedura penale indicate nella legge delega ed attuate nel relativo schema di decreto legislativo.
2.4 Il riconoscimento delle sentenze. L’esecuzione all’estero 2.5 Il trasferimento dei procedimenti penali 2.6 La Convenzione di assistenza giudiziaria dell’UE 2.7 L’Ordine europeo di indagine penale 2.8 La procedura passiva
2.9 La procedura attiva e le disposizioni finali 3. I profili problematici
Approvata il 21 luglio del 2016 la legge delega per la ratifica della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, Bruxelles 29 maggio 2000, (MAP) e per le modifiche al libro XI del codice di procedura penale, stabilisce non irrilevanti variazioni al tessuto codicistico segnatamente con riguardo al tema delle rogatorie che risultano, come si vedrà, ampiamente innovate. Va subito precisato, peraltro, che anche l’Ordine europeo di indagine penale, da recepire – per esplicito disposto della direttiva 2014/41/UE del 3 aprile 2014, art. 36, § 3 – entro il 22 maggio 2017 è oggetto di una delega riguardante, però, vari strumenti normativi dell’Unione europea (l. 9.7.2015 n. 114). Peraltro, le disposizioni da adottare per conformarsi all’Ordine europeo di indagine penale (OEI) non implicano modifiche al codice di procedura penale posto che la relativa disciplina è oggetto di una normativa separata, come del resto già sperimentato con l’implementazione del Mandato di arresto europeo e di una nutrita serie di altre decisioni quadro attuate nel 2015 e 2016.
Prima di passare ad un breve esame della disciplina relativa ai vari istituti interessati – fermo restando che ci soffermerà soltanto sulle disposizioni innovate –, sembra utile precisare, sia pure in maniera sintetica, le linee di tendenza della legge delega così come emergono dalle direttive da questa impartite.
Anzitutto, lo scopo è tendenzialmente quello di attuare uno snellimento ed una razionalizzazione degli istituti in tema di cooperazione giudiziaria anche al fine di ottenere una semplificazione ed un’accelerazione delle procedure in tutti i diversi settori interessati. In secondo luogo, l’obiettivo, che risulta in maniera evidente con riguardo alle rogatorie, è costituito da una sorta di “allineamento” delle modalità concrete di esecuzione a quelle seguite nel procedimento ordinario. Infine, si vuole realizzare una migliore tutela dei soggetti coinvolti nei procedimenti de quibus, in particolare in tema di estradizione in cui è forse maggiormente sentita l’esigenza di attuare più stringenti garanzie a favore della persona da consegnare.
Ciò premesso, vediamo come influiscono le direttive della delega sugli istituti disciplinati dal libro XI.
Le molteplici modifiche normative agli istituti della cooperazione internazionale in materia penale rispondono all’esigenza precedentemente segnalata di rendere più snella e incisiva la cooperazione e di tutelare adeguatamente i diritti dei soggetti coinvolti nella stessa. Esigenza che ha portato ad alcune rilevanti modifiche in tema di estradizione e di riconoscimento delle sentenze straniere, ad una cospicua trasformazione delle rogatorie e all’inserimento di un nuovo istituto costituito dal trasferimento dei procedimenti.
La prima significativa variazione è data dall’inserimento di alcune disposizioni di carattere generale relative all’attuazione del principio del mutuo riconoscimento. Si riafferma anzitutto, pur in termini generali, l’ormai consueta prescrizione secondo la quale si dà esecuzione alle decisioni giudiziarie di altri Stati membri senza sindacarne il merito; si conferma la trasmissione diretta tra le autorità giudiziarie; si ribadisce la necessità che le decisioni sul riconoscimento siano adottate con la massima urgenza, onde garantirne la tempestività e l’efficacia; si stabilisce la impugnabilità – tendenzialmente senza effetto sospensivo, salvo specifici casi – delle decisioni di riconoscimento oltre a richiamare la necessità di prevedere idonei rimedi a tutela dei terzi di buona fede eventualmente pregiudicati dalla decisione di riconoscimento. Infine, oltre a riaffermare la necessaria tutela dei diritti fondamentali della persona, si stabilisce il potere del Ministro di verificare l’osservanza delle condizioni eventualmente richieste, purché queste non siano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento. Alcune delle regole appena richiamate valgono sia nel caso di richiesta da parte del nostro Stato, sia quando la stessa provenga dall’autorità straniera.
La scelta del legislatore delegante di ridurre i poteri del Ministro evitando una inopportuna sovrapposizione tra le valutazioni dello stesso e della Corte d’appello, nonché una migliore tutela dei diritti dell’estradando, ha portato alla modifica, o alla riformulazione di diverse norme dell’istituto de quo. Non solo, la l. 21.7.2016, n.149 ha direttamente innovato talune disposizioni con l’intento di risolvere alcuni problemi emersi nell’applicazione pratica.Vediamole brevemente.
Anzitutto è stata ribadita la tutela dei diritti della persona ed in tale ambito è stabilito – ed è una delle disposizioni della l. n. 149/2016 dianzi richiamata – che non può essere concessa l’estradizione per reati puniti o punibili con la pena di morte salvo che sia stata applicata una pena diversa o che la pena capitale sia stata commutata. Quanto al potere di rigetto della richiesta da parte del Ministro, questo può essere esercitato solo in caso di compromissione della sovranità, sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato, ovvero se lo Stato richiedente non dia idonee garanzie di reciprocità. Peraltro tale ultima limitazione è imposta anche dall’art. 696, nella nuova formulazione, e riguarda tutti gli istitutidella cooperazione giudiziaria. È stato inoltre imposto l’obbligo di interrogare l’estradando da parte del PM o del Presidente della Corte d’appello in sede di audizione dell’interessato sottoposto ad arresto provvisorio, e sono stati individuati termini ad hoc entro i quali deve concludersi il procedimento dinnanzi alla Corte d’appello, ovvero, nel caso di ricorso per cassazione, quello davanti alla Corte stessa.
Le ulteriori modifiche attengono in particolare all’estradizione attiva. Anzitutto una nuova formulazione del principio di specialità che – secondo la specifica indicazione del legislatore delegante – è ora opportunamente configurato come causa di sospensione del procedimento; è stata poi disciplinata l’emissione del provvedimento coercitivo custodiale necessario per la richiesta di estradizione suppletiva e la obbligatoria revoca dello stesso nell’ipotesi in cui l’estensione venga rifiutata. Si è pure modificato l’art. 722, a suo tempo dichiarato incostituzionale1, al fine di ottemperare alla decisione della Corte salvaguardando, al contempo, la necessità di mantenere la domanda di estradizione. Si è così prevista la possibilità per il PM di chiedere, nel corso delle indagini preliminari, la proroga dei termini di custodia prossimi a scadere, onde evitare la revoca della domanda di estradizione per essere venuto meno il provvedimento che, nel caso di estradizione processuale, ne costituisce l’ineludibile presupposto.
Una ulteriore innovazione è data dalla riparazione per ingiusta detenzione che deve riguardare anche la custodia subita all’estero in conseguenza di una domanda di estradizione.
Va, infine, ricordato che la l. 149/2016 ha direttamente modificato alcune norme. Della riforma della disposizione relativa alla pena di morte si è già detto, gli ulteriori mutamenti riguardano l’art. 708, co. 5, in relazione al quale è ora prevista un’ipotesi di sospensione del termine della consegna nel caso in cui il giudice amministrativo sospenda l’efficacia della decisione del Ministro, e l’art. 714 cui è stato aggiunto il co. 4-bis che stabilisce un termine massimo di durata delle misure coercitive per la fase successiva all’emissione del decreto ministeriale di consegna dell’estradando.
La ritenuta inadeguatezza del sistema di assistenza giudiziaria, delineato dal nostro codice, «a fronte di una criminalità, specie quella organizzata, che ha esteso il raggio di azione ben oltre i confini del territorio di un singolo stato»2, ha determinato un ampio intervento in tema di rogatorie passive eliminando quelle criticità da tempo denunciate da parte della dottrina3.
Ciò premesso, anche per le rogatorie si prevede un contenimento del ruolo del Ministro al quale spetta valutare esclusivamente il pericolo per la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato.
Peraltro la più significativa e rilevante innovazione è certamente costituita dall’individuazione dell’autorità giudiziaria competente a decidere sull’ammissibilità della richiesta di rogatoria e a provvedere alla sua esecuzione.
Tale autorità è individuata dal legislatore delegante nel Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto nel quale si deve procedere all’esecuzione degli atti richiesti. Non più quindi la Corte d’appello che fino ad ora è stata competente per l’exequatur e per la eventuale successiva esecuzione. Viene in tal modo meno il procedimento in sede giurisdizionale ma non la valutazione in ordine all’ammissibilità della richiesta che resta vincolata ai parametri previsti dall’attuale art. 724. Ovvio, peraltro, che ove la richiesta riguardi attività che debbono svolgersi dinnanzi al giudice, o che debbano dallo stesso essere autorizzate, il procuratore della Repubblica presenti le proprie richieste al giudice per le indagini preliminari del tribunale del capoluogo del distretto. A tali stringenti indicazioni ci si è ovviamente uniformati e l’art. 724 è stato modificato in tal senso, prevedendosi inoltre dei criteri per la determinazione della competenza nell’ipotesi in cui si debba procedere in differenti distretti quali il riferimento ad atti per i quali è previsto l’intervento del giudice, al maggior numero di atti, o all’autorità che per prima ha ricevuto la richiesta. In caso di contrasto, se si tratta di atti per i quali non è previsto l’intervento del giudice, si applicano gli artt. 54 e ss., mentre quando tale intervento sia previsto, gli atti sono trasmessi alla Corte di cassazione per la relativa risoluzione.
Si è poi scelto di stabilire espressamente l’impugnabilità mediante incidente di esecuzione del decreto motivato emesso dal procuratore distrettuale, anche sotto il profilo della valutazione in ordine all’ammissibilità della richiesta: vale a dire della legittimità dell’exequatur. Ci si è così in una qualche misura uniformati, ma solo sotto il profilo del mezzo di impugnazione esperibile, all’interpretazione giurisprudenziale secondo la quale, pur in mancanza di espressa indicazione, è ammissibile l’incidente di esecuzione avverso gli atti di esecuzione della rogatoria4. Quanto poi all’esecuzione della richiesta ovviamente vi provvede il procuratore distrettuale, salvo che l’atto debba essere compiuto dinanzi al giudice nel qual caso vi sarà la trasmissione al gip competente.
L’istituto è inoltre arricchito da una nutrita serie di disposizioni riguardanti le forme particolari di assistenza giudiziaria quali il trasferimento temporaneo all’estero di persone detenute ai fini del compimento di un’attività di indagine o di acquisizione probatoria, l’audizione mediante videoconferenza o teleconferenza, l’attività di indagine sotto copertura e quelle che vengono solitamente definite consegne controllate. Esula dal presente lavoro dare conto, in maniera sia pure sintetica, di tutte queste innovazioni che peraltro non costituiscono un inedito nell’ambito dell’assistenza giudiziaria essendo già previste da varie convenzioni sia bilaterali che plurilaterali, ivi compresa la MAP. Resta da dire che tali modalità sono disciplinate anche per le rogatorie attive per le quali è pure prevista una dettagliata regolamentazione delle squadre investigative comuni attuata in sintonia con quanto disposto dal d. lgs. 15.2.2016, n. 34.
Per quanto riguarda le rogatorie attive, le principali modifiche attengono ad una riformulazione di alcune disposizioni e in particolare di quella riguardante le modalità richieste (art. 727, co. 5-bis) e di quella relativa alla inutilizzabilità degli atti rogati dalla quale è stato eliminato ogni riferimento alle vie di trasmissione, stabilendosi, inoltre, che, ove gli atti siano assunti con modalità diverse da quelle indicate, sono utilizzabili nei limiti stabiliti dalla nostra legge processuale.
Sebbene con riguardo al riconoscimento della sentenza straniera il legislatore delegante abbia consentito una virtuale possibilità di ampie modifiche, collegate all’opportunità di individuare criteri di “massima semplificazione”, pure le novazioni normative sono state abbastanza contenute. L’ipotizzato snellimento delle procedure ha, infatti, riguardato il riconoscimento ai fini dell’art. 12 c.p. (art. 730), o quello richiesto per gli effetti civili (art. 732), ovvero delle disposizioni civili (art. 741), per i quali si prevede che la Corte d’appello decida sulla base della richiesta scritta del procuratore generale e sulle memorie presentate dalle parti. Un procedimento di tipo cartolare dunque che dovrebbe rendere più rapida la deliberazione della Corte. Si è poi optato per l’imposizione di termini entro i quali addivenire alla decisione sul riconoscimento e si è prevista la possibilità di utilizzare la via informatica per ottenere le eventuali informazioni supplementari ritenute necessarie.
Inoltre è stato modificato l’art. 737 bis prevedendo l’applicazione degli artt. 723, 724 e 725 i quali impongono, stante la loro nuova formulazione, la trasmissione degli atti al procuratore distrettuale competente ai sensi dell’art. 724.
Inedita è la previsione relativa all’obbligo imposto al Ministro della giustizia di assicurare il rispetto delle condizioni eventualmente poste dallo Stato straniero, purché queste non siano in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento.Un’analoga disposizione è inserita pure per l’esecuzione all’estero delle sentenze italiane: qui al Ministro compete un obbligo di vigilanza in ordine al rispetto delle eventuali condizioni alle quali venga subordinata l’esecuzione all’estero.
In precedenza del tutto ignorato dal codice, il trasferimento dei procedimenti penali risponde all’esigenza di evitare la duplicazione del procedimento nei confronti della stessa persona per il medesimo fatto evitando in tal modo il verificarsi di un bis in idem ancorché la reiterazione del procedimento si realizzi in stati diversi.
Il legislatore delegante ha fornito delle indicazioni di massima riguardanti sia il potere del Ministro di rifiutare il trasferimento all’estero, sia la necessità che sussistano più stretti legami territoriali con il fatto per il quale si procede.
Ciò premesso, le disposizioni generali individuano una serie di criteri, elencati in ordine “decrescente”, da considerare ai fini della decisione sul trasferimento, fermo restando che, comunque, quest’ultimo deve risultare conforme all’interesse della corretta amministrazione della giustizia.
Quanto al trasferimento di procedimenti penali dall’estero, oltre a disciplinare i poteri del Ministro e l’eventualità che per il reato per il quale si procede sia necessaria la presentazione della querela, si regola l’utilizzabilità degli atti di acquisizione probatoria compiuti all’estero, stabilendo che questi conservano efficacia e sono utilizzabili quando non siano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento.
Per quel che attiene al trasferimento all’estero, l’autorità giudiziaria che lo dispone deve comunicare tale decisione al Ministro che può esercitare il potere di diniego qualora possano essere compromessi la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato. Non può in ogni caso procedersi al trasferimento allorché la persona sottoposta alle indagini rischi di venir sottoposta ad atti persecutori o discriminatori, ovvero assoggettata a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o ad atti che configurino violazione di uno dei diritti fondamentali della persona. Quanto alle sorti del procedimento interno, questo resta sospeso fino alla comunicazione della decisione del Ministro.
Da segnalare, infine, che è stato individuato un limite temporale alla possibilità di effettuare il trasferimento costituito dalla chiusura della fase degli atti preliminari al dibattimento.
Dal momento che la Convenzione è stata in larga parte trasfusa nell’OEI, talché soltanto alcune disposizioni resteranno operanti dopo la recezione di quest’ultimo, si è scelto di predisporre una normativa di attuazione “esterna” al codice di procedura penale sebbene molte delle sue disposizioni coincidano con quelle inserite nel tessuto codicistico.
Ciò premesso, sulla base dei criteri direttivi indicati dalla legge delega, sono state predisposte le norme di attuazione senza intervenire, come già detto, sul tessuto codicistico: le uniche modifiche alla normativa vigente interessano, infatti, la l. 14.9.1981, n. 689 con riguardo all’assistenza giudiziaria nei procedimenti per l’applicazione di sanzioni amministrative. Quanto ai nuovi istituti previsti dalla MAP5, questi sono stati regolamentati in maniera analoga a quelli introdotti nel codice, mentre si è resa necessaria una disciplina ad hoc per le intercettazioni telefoniche. Va, peraltro, precisato che, sebbene la MAP vi abbia dedicato notevole attenzione, regolando in maniera puntigliosa le intercettazioni su rete mobile e quelle satellitari, la normativa pattizia è modulata su una tecnologia ormai superata, e la disciplina di attuazione ha dovuto ovviamente tener conto di siffatta obsolescenza.
Resta infine da accennare all’Ordine europeo di indagine penale che sostituirà tra gli Stati membri dell’Unione europea larga parte della normativa vigente in tema di assistenza giudiziaria. Si tratta di una disciplina ampia ed articolata tesa a regolare i vari aspetti dell’assistenza sia per quel che attiene all’attività di indagine, sia in relazione all’acquisizione probatoria: un modello a carattere orizzontale riguardante le prove costituite, quelle costituende oltre che, come appena detto, le indagini.
Dal momento che l’implementazione della direttiva comporta la sua pressoché totale trasposizione nella normativa interna, è evidente come il relativo decreto legislativo risulti abbastanza corposo ed è stato per tale ragione suddiviso in quattro titoli, due dei quali a loro volta distribuiti in capi, seguendo l’ormai tradizionale ripartizione in procedura passiva e procedura attiva.
Il titolo I contiene le disposizioni generali riguardanti tra l’altro sia l’ambito di applicazione che i procedimenti per i quali può essere emesso, nonché le informazioni che deve contenere. A differenza della scelta effettuata per il mandato di arresto europeo, la trasmissione avviene direttamente tra le autorità giudiziarie interessate senza quindi la designazione di un’autorità centrale per il cui tramite trasmettere e ricevere l’OEI.
Il titolo II, che riguarda la procedura passiva, delinea il procedimento per il riconoscimento e l’esecuzione; anzitutto viene determinata l’autorità giudiziaria competente, la quale – in sintonia con quanto stabilito per le rogatorie dall’art. 724 nella versione innovata – è individuata nel procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto nel quale l’atto, o gli atti debbono essere compiuti. Nel caso di atti da compiere in diversi distretti, la competenza è determinata in base al luogo in cui deve svolgersi l’atto per il quale è previsto l’intervento del giudice e, se necessario l’intervento di giudici diversi, si fa riferimento al maggior numero di atti, ovvero all’atto più urgente o più rilevante. I criteri da ultimo indicati si applicano anche nel caso in cui non sia previsto l’intervento del giudice.
Quanto al riconoscimento, questo avviene senza imporre ulteriori formalità: una formulazione ormai consueta derivante dal principio del reciproco riconoscimento che ne costituisce, e non solo per l’OEI, l’ineludibile presupposto. Si prevede, inoltre, la possibilità che vengano seguite specifiche modalità per l’esecuzione dell’attività richiesta, nonché la eventuale partecipazione dell’autorità emittente: il tutto a condizione che non vi sia contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento. È, peraltro, possibile che in alcune ipotesi si faccia ricorso ad un atto di indagine diverso o all’assunzione di un diverso mezzo di prova, fermo restando che il ricorso ad un atto alternativo non è consentito in relazione a vari atti specificamente elencati.
Sono poi individuati vari motivi di non riconoscimento o di non esecuzione – ad uno dei quali è collegata la deroga alla doppia incriminazione – considerati tutti obbligatori, sebbene la direttiva avrebbe consentito una diversa scelta; a questi si affiancano ulteriori motivi previsti in relazione a specifiche attività.
I termini per il riconoscimento e l’esecuzione sono ovviamente quelli previsti dalla direttiva: vale a dire trenta giorni dalla ricezione dell’OEI e novanta giorni per la successiva esecuzione salvo che le prove siano già state acquisite, ovvero sia stato disposto il rinvio nel caso in cui l’esecuzione possa pregiudicare un’indagine o un procedimento in corso, o gli oggetti, i documenti o i dati siano utilizzati nell’ambito di un procedimento penale.
Quanto alla possibilità di impugnare i provvedimenti di riconoscimento o di esecuzione – prevista anche dalla direttiva – si è scelto di realizzare siffatta possibilità mediante incidente di esecuzione. Fermo restando che l’impugnazione tendenzialmente non ha effetto sospensivo, se viene presentata prima del trasferimento, questo rimane sospeso fino alla decisione e non ha luogo qualora l’impugnazione venga accolta; per contro, quando il trasferimento sia stato effettuato, l’esito favorevole del relativo procedimento viene comunicato all’autorità di emissione perché ne tenga conto.
Sono poi disciplinate – sia per il procedimento passivo (titolo II, capo II) che per quello attivo (titolo III, capo II) – quelle forme specifiche, considerate anche nella MAP, quali il trasferimento temporaneo di un detenuto da o per lo stato di emissione al fine di compiere un atto che richiede la sua presenza, l’audizione mediante videoconferenza o teleconferenza, le informazioni relative a conti o operazioni bancarie o finanziarie – disposizioni in pratica mutuate dal Protocollo alla MAP –, l’acquisizione di elementi di prova in tempo reale e per un periodo determinato – controllo di operazioni bancarie e consegne controllate –, nonché le operazioni sotto copertura. Non si parla invece delle squadre investigative comuni che perciò restano regolate dalla Convenzione di cui sopra6.
Un capo a sé è dedicato alle intercettazioni di telecomunicazioni che sono disciplinate nella direttiva in maniera più sobria rispetto alla MAP e che perciò stesso saranno, forse, meno influenzate dal progresso tecnologico.
È, infine, regolato il sequestro volto ad evitare la distruzione, trasformazione, rimozione, trasferimento
o alienazione di elementi utilizzabili come prove (titolo II, capo IV: provvedimenti provvisori). Si tratta, come è evidente, di quella parte della decisione quadro 2003/577/GAI, attuata con il d. lgs. 15.2.2016 n. 35, riguardante il sequestro probatorio che verrà sostituita dall’OEI e, conseguentemente, dalla relativa norma interna di recepimento.
Il titolo III riguarda la procedura attiva per la quale si prevedono disposizioni concernenti anzitutto l’autorità giudiziaria che può emettere l’OEI che viene individuata a seconda della fase nella quale si trova il procedimento: vale a dire il pubblico ministero o il g.i.p., nell’ambito delle rispettive attribuzioni, se l’ordine è emesso nel corso delle indagini preliminari, mentre dopo l’esercizio dell’azione penale, il giudice che procede. Analogamente nel caso di procedimento di prevenzione.
Si è, inoltre, dedicato un articolo ad hoc alla possibilità – peraltro prevista dalla stessa direttiva (art. 1, § 3) – che l’emissione dell’OEI venga chiesta dal difensore dell’indagato o dell’imputato e si è scelto di ampliare, rispetto a quanto indicato nella direttiva, il novero dei soggetti inserendo anche il proposto per l’applicazione di una misura di prevenzione, la persona offesa e le altre parti private. Quanto alle modalità è di tutta evidenza come la richiesta vada rivolta all’autorità giudiziaria che procede, la quale, in caso di rigetto, provvederà con decreto motivato.
Tornando alla disciplina generale, viene poi regolata la possibilità di richiedere specifiche forme e modalità di esecuzione, nonché la partecipazione all’attività da compiere, le condizioni per l’emissione e la trasmissione, che avviene direttamente tra le autorità giudiziarie interessate. Infine – lo si è già accennato –, il titolo III, capo II, è dedicato agli specifici atti di indagine già presi in considerazione nella procedura passiva, disciplinati ovviamente in funzione “attiva”.
Il titolo IV, dedicato alle disposizioni finali, riguarda sia le relazioni con altri strumenti giuridici, stabilendo quali vengono sostituiti dal decreto di attuazione dell’OEI, sia la disciplina transitoria.
Si è fin qui delineata la normativa in fieri che ha cercato di risolvere alcuni dei problemi “storicamente” collegati alla cooperazione, nondimeno alcune delle soluzioni prospettate non sono esenti da critiche.
Anzitutto, con riguardo alle rogatorie, la scelta, effettuata dal legislatore delegante, di affidare la competenza anche per l’exequatur al procuratore distrettuale, se da un lato può rendere più lineare il procedimento, dall’altro lato riduce in una qualche misura la garanzia connessa a tale verifica, posto che l’intervento del giudice fornisce di per sé una migliore tutela. Pure il problema connesso alla pluralità di atti da compiere in diversi distretti è stato risolto in base alle indicazioni a suo tempo fornite dalla dottrina che nondimeno non sono esenti da critiche7. Un dato positivo è costituito dall’aver previsto l’impugnazione anche nell’ambito delle rogatorie e dell’OEI, sebbene le limitazioni e le cautele derivanti dall’esigenza di salvaguardare, ove necessario, la segretezza delle indagini ne riducano fortemente l’impatto.
Un ulteriore aspetto discutibile – da ascrivere però alle scelte del legislatore europeo – riguarda le squadre investigative comuni per le quali si realizza una parziale sovrapposizione normativa derivante dalla operatività della decisione quadro 2002/465/GAI e della MAP, posto che gli effetti della prima cesseranno solo al momento dell’entrata in vigore della seconda per tutti gli Stati U.E., con intuibili problemi di individuazione dello strumento normativo applicabile allorché per gli Stati interessati siano entrambi applicabili.
Note
1 C. cost., 21.7.2004, n. 253, in Giur. cost., 2004, 2593 ss.
2 Relazione al d.d.l. n. 1949.
3 Cfr. per tutti Melillo, G., Ruoli e forme della garanzia giurisdizionale, in Rogatorie penali e cooperazione giudiziaria internazionale, a cura di G. La Greca e M.R. Marchetti, Torino, 2003, 265 ss.
4 La giurisprudenza ha tuttavia sempre precisato che non è possibile che l’impugnazione riguardi questioni attinenti la legittimità dell’exequatur. V., tra le altre, Cass. pen., 14.11.2014, n. 51839, in CED rv. n. 261584, Provenzano.
5 Si tratta del trasferimento temporaneo di persone detenute, dell’audizione mediante videoconferenza e teleconferenza, delle operazioni sotto copertura che sono state disciplinate sia dall’estero che per l’estero.
6 Attualmente le squadre investigative comuni sono disciplinate dal d.lgs. 15.2.2016, n. 34 di attuazione della decisione quadro 2002/465/GAI la quale però pone un limite alla propria operatività: l’entrata in vigore della MAP. L’art. 5 della decisione de qua stabilisce infatti che «i suoi effetti cesseranno allorché la convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea entrerà in vigore in tutti gli Stati membri», sicché la ratifica della Convenzione determinerà – quando venga soddisfatta la condizione della completa operatività della Convenzione stessa – la sostituzione della decisione quadro e del d.lgs. di cui sopra con la corrispondente normativa pattizia e di recepimento interno.
7 Cfr., anche per una panoramica delle varie soluzioni, Marchetti, M.R., L’assistenza giudiziaria internazionale, Milano, 2005, 80 ss.