personali, pronomi
I pronomi personali, come tutti i ➔ pronomi, sono una sottoclasse della categoria più generale delle cosiddette pro-forme, parole semanticamente vuote (o quasi) che servono a sostituire altre unità linguistiche nella frase (cfr. anche ➔ parole generali).
In particolare, i pronomi personali designano le ‘persone’ coinvolte nell’atto linguistico: il pronome di prima persona (io) indica l’emittente del discorso, quello di seconda (tu) il destinatario, quello di terza (lui, lei) l’entità (persona o cosa inanimata) di cui si parla. Il referente dei pronomi personali può essere individuato o tramite un rinvio deittico (➔ deittici) a un’entità presente nel contesto extralinguistico (sei tu?) o attraverso un rinvio anaforico o cataforico (➔ anafora; ➔ catafora) a un elemento del cotesto linguistico (Francesca è partita e non sono riuscita a salutarla).
Tra le prime due persone (io, tu) e la terza (lui, lei) c’è una cruciale asimmetria, che fu colta da Benveniste (1956). Le prime due persone designano gli attori della comunicazione, cioè emittente e ricevente; la terza ha uno statuto diverso: si riferisce a ciò di cui si parla, che non è necessariamente una persona né è obbligatoriamente presente alla comunicazione (Benveniste parla perciò di «non persona»). Tale differenza si riflette in una specificità dei diversi pronomi: mentre i pronomi di prima e seconda persona ammettono solo un uso deittico, quelli di terza possono avere uso sia deittico sia anaforico.
I pronomi personali italiani si flettono in base alle categorie di ➔ genere e ➔ numero, anche se in modo non simmetrico: la prima e la seconda persona hanno singolare e ➔ plurale (io ~ noi, tu ~ voi), la terza persona ha anche l’opposizione tra ➔ maschile e ➔ femminile (egli ~ ella, essi ~ esse).
Talune forme sono vestigia di precedenti elementi latini. Per questo pronomi personali conservano distinzioni di ➔ caso, sicché vanno distinti i pronomi ➔ soggetto (io, tu, ecc.), che segnalano tale funzione, e i pronomi non-soggetto (me, te, ecc.), che possono essere diretti (pronomi oggetto) o obliqui. A rendere più complesso il sistema, le forme complemento si distinguono ulteriormente in toniche e atone (➔ clitici), con proprietà diverse sul piano sintattico, distribuzionale e funzionale. Data la sua complessità, il sistema pronominale italiano è uno dei settori della lingua in cui si hanno grandi cambiamenti diacronici e oscillazioni nell’uso (➔ lingue romanze e italiano; ➔ lingua parlata).
La tab. 1 riporta l’elenco delle forme, con l’esclusione dei pronomi riflessivi (per i quali ➔ riflessivi, pronomi).
Come mostra la tabella, la terza persona ha grande varietà di forme. Tuttavia, non tutte queste forme sono utilizzate con la stessa frequenza: le forme toniche singolari egli, ella, esso, essa e plurali essi e esse sono rare nella lingua d’oggi (specie quella parlata) e sono semmai impiegate in alcune varietà della ➔ lingua scritta (scientifica, burocratica, letteraria).
Il latino non aveva forme specifiche per i pronomi di terza persona singolare e plurale e usava al loro posto i dimostrativi: is, ille, ipse, ecc. Le forme italiane di terza persona rappresentano la continuazione di tali forme. In fiorentino antico il numero delle forme di pronomi soggetto di terza persona era ancora maggiore di quello attuale. Era presente, ad es., un pronome plurale maschile elli:
(1) Ben m’accors’io ch’elli era d’alte lode (Dante, Par. XIV, 124)
C’erano poi le forme ei (con la variante apocopata e’, identica a una delle forme dell’articolo determinativo maschile plurale), per la terza persona singolare e plurale maschile, la e le per la terza persona singolare e plurale femminile, rispettivamente:
(2) E’ mi par d’or in hora udire il messo (Petrarca, Canz. CCCXLIX, 1)
Il sistema italiano antico del pronome soggetto di terza persona si può così schematizzare:
sing. masch.: egli, elli, esso
sing. femm.: ella, essa
plur. masch.: essi, egli, elli, eglino
plur. femm.: elle, esse, elleno
Le forme lui, lei, loro, diffusissime oggi, erano usate quasi esclusivamente in funzione di complemento e potevano avere valore dativo (conservato frammentariamente nell’uso dativo attuale di loro: dissi loro).
La situazione attuale è molto diversa: in base a uno studio sul Lessico dell’Italiano Parlato (LIP), in cui compaiono 39 occorrenze di egli, contro le 764 di lui, osserva Renzi (1994: 248):
egli con le sue 39 occorrenze, di cui 33 nello stile più alto e formale, è ormai un residuo, è morto; e lo stesso vale per esso che è un povero marginale nella lingua italiana. Questo fenomeno è il punto di arrivo di una lunga storia in cui lui nasce pronome obliquo, probabilmente all’origine sempre senza preposizione («io dissi lui» scriveva Dante), poi scala i vari usi, finché oggi si è esteso a tutte le posizioni sintattiche. Molto simile è la situazione di lei, perché ella è morto, non ha nemmeno un’occorrenza.
Ecco qualche esempio:
(3) Sabino Fornelli fa l’avvocato civilista. Quando un suo cliente ha un problema, lui chiama me (Gianrico Carofiglio, Le perfezioni provvisorie, Palermo, Sellerio, p. 9)
(4) Lei scosse il capo, prese tutte le carte e poi mi fece una linguaccia (ivi, p. 35)
➔ Alessandro Manzoni con I promessi sposi contribuì alla diffusione di lui e lei come pronomi soggetto: nell’edizione definitiva del romanzo (1840), infatti, eliminò la maggior parte delle forme egli, ella per sostituirle con la semplice soppressione o appunto con le forme lui, lei.
Sempre a proposito della terza persona, nella lingua parlata, ma anche in quella scritta poco sorvegliata, è oggi diffusa una tendenza molto netta: l’uso della forma maschile singolare gli del complemento dativo, al posto del femminile singolare le. Tale fenomeno si riscontra anche in francese e spagnolo: il fr. lui e lo spagn. le sono forme di dativo usate sia per il maschile sia per il femminile.
Inoltre, il pronome dativo di terza persona plurale loro è scomparso nella lingua orale quotidiana, dove è sostituito da gli:
(5) altre sei o sette persone hanno telefonato per dire che gli sembrava di aver visto una ragazza somigliante a Manuela … (ivi, p. 59)
(6) allora hanno chiamato i carabinieri – era notte, ormai – ma quelli gli hanno risposto che non potevano fare niente (ivi, p. 41)
Un altro fenomeno tipico dell’italiano è la diffusione del pronome di seconda persona singolare oggetto te come soggetto, uso originante dalla Toscana (➔ toscani, dialetti) e da Roma (➔ Roma, italiano di; ► te / tu):
(7) Ma giudicandoti alla fisonomia, anche te mi sembri un cane di garbo (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, p. 22)
(8) te che ne pensi?
Secondo Lorenzetti (2002: 78-79):
questa costruzione è interessante perché non può essere attribuita alle stesse cause in tutte le varietà dove compare. Negli italiani settentrionali e nell’italiano toscano essa dipende soprattutto dai dialetti sottostanti, che esprimono obbligatoriamente il soggetto pronominale e usano frequentemente, seppure in modi diversi, un te soggetto, sia da solo sia in forme reduplicate (bolognese te t port «tu porti»). Ma il te soggetto è diffuso e vitale anche in varietà regionali che, come quella romana e quella napoletana, non hanno pronomi soggetto obbligatori. Qui il pronome te come soggetto si deve a due fattori convergenti: uno, sociolinguistico, è l’influsso dell’italiano settentrionale, varietà trainante a partire dagli anni Settanta; il secondo, grammaticale, è l’indebolirsi della distinzione tra una forma soggetto e una forma complemento oggetto.
Come si è ricordato, i pronomi personali italiani hanno forme toniche e forme atone. Le forme toniche sono forme libere, in quanto possono occorrere liberamente in quasi tutti i contesti in cui può occorrere un sintagma nominale; al contrario, le forme atone (prive cioè di accento proprio) sono forme legate, in quanto necessitano della presenza di un verbo o altro elemento, a cui si ‘appoggiano’ per posizione e accento; tali pronomi, noti anche con il nome di clitici, si appoggiano o a un elemento che li precede (si parla allora di ➔ parole enclitiche) o a un elemento che li segue (➔ parole proclitiche).
Per la sintassi delle forme clitiche ➔ clitici e ➔ pronomi. Ricordiamo solo che, dal punto di vista sintattico, le due serie si comportano diversamente: i pronomi tonici sono paragonabili a sintagmi nominali e possono occuparne le stesse posizioni; i clitici, viceversa, occupano una posizione fissa nella frase, in quanto sono sempre vicini all’elemento da cui dipendono (➔ ordine degli elementi).
I pronomi personali clitici possono avere posizione preverbale (proclitici) con verbi di modo finito:
(9) mi ha fatto un prestito
oppure posizione postverbale (enclitici) con verbi di modo non finito (10) e con l’➔ imperativo di seconda persona singolare e di prima e seconda persona plurale (11):
(10) gli chiederò di farmi un prestito → *gli chiederò di mi fare un prestito
(11) fammi un prestito!
Con l’imperativo negativo (12-13) così come in presenza di verbi modali (14; ➔ modali, verbi) il clitico può precedere o seguire il verbo:
(12) non farlo! → non lo fare!
(13) non prendetelo → non lo prendete
(14) dovrei spedirti quel documento → ti dovrei spedire quel documento
Come ricorda Serianni (1988), in una stessa pagina di Così è (se vi pare) di ➔ Luigi Pirandello si trovano soluzioni difformi: con quel valore che ognuno gli vuol dare contro nessuno vuol tormentarlo; le si deve far dire così contro lei deve scusarlo.
Le forme pronominali atone sono spesso usate con funzione espressiva e con valore intensivo (➔ pronominali, verbi), soprattutto nell’italiano del Centro-Sud, in espressioni del tipo:
(15) mi guardo un bel film
(16) ti mangerai un bel piatto di pesce
Il pronome atono, sempre con valore intensivo, allude a un interlocutore generico (➔ generico, interlocutore), con una sorta di ➔ dativo etico:
(17) vado alla conferenza e chi ti trovo? Giulia!
(18) Se incroci il suo sguardo in certi momenti, però, ti accorgi che buffa non è proprio la parola più adatta, per lei (Carofiglio, cit., pp. 29-30)
L’italiano non ha pronomi clitici in funzione di soggetto, a differenza, ad es., del francese, ove je «io» è clitico, come tu «tu» nella forma apocopata t’as [ta] «tu hai»; nei casi in cui il soggetto pronominale italiano non è espresso da una forma tonica, non è espresso da alcun pronome. In altre parole, la frase può apparire senza soggetto: è una proprietà della lingua italiana, a differenza di altre lingue (come l’inglese, il francese, il tedesco, l’olandese, ecc.) in cui il soggetto va espresso obbligatoriamente.
Nella ➔ lingua parlata si nota un uso dei pronomi tonici soggetto più frequente che nella lingua scritta: a volte si tratta di usi enfatici o contrastivi (➔ focalizzazioni), ma, molto spesso, è il risultato di semplici automatismi deittici, spia del fatto che, in un’interazione orale, si tende a sottolineare insistentemente i ruoli dei partecipanti all’evento comunicativo.
A volte, al posto del pronome personale tonico di terza persona si utilizza un pronome dimostrativo (➔ dimostrativi, aggettivi e pronomi); ciò accade più spesso, ma non unicamente, se si tratta di referenti non umani o inanimati:
(19) rincorrevamo il cane, ma quello era più veloce di noi
Il dimostrativo può anche riferirsi a un essere umano:
(20) parla tu con questo!
I dimostrativi (specie il distale quello) usati per indicare pronominalmente persone hanno spesso una sfumatura dispregiativa:
(21) ho parlato con Mara: ma quella è proprio una scema!
Va menzionato l’uso sempre più diffuso della forma reduplicata a me mi + verbo psicologico (a me mi piace, a me non mi convince, ecc.; ➔ psicologici, verbi), in cui il pronome clitico occorre in modo ridondante. Tale uso è sempre più diffuso nella lingua parlata e compare anche in testi scritti di tipo formale, come la prosa giornalistica (➔ giornali, lingua dei):
(22) Al Papa in Sinagoga gli danno il benvenuto Pacifici, Renzo Gattegna, presidente degli ebrei italiani, e il Rabbino capo («La Repubblica» 18 gennaio 2010)
Del resto, è significativo che questo uso fosse rispecchiato in Manzoni, che nella prima edizione del romanzo aveva usato la soluzione in (23 a.), mentre in quella definitiva ricorre alla soluzione (23 b.):
(23)
a. Ella sa che noi altre monache siamo vaghe di intendere le storie per minuto
b. Lei sa che noi altre monache, ci piace di sentir le storie per minuto (I promessi sposi IX).
Come più sopra ricordato, il pronome di terza persona, a differenza di quelli di prima e seconda persona, può avere una funzione sia deittica sia anaforica: in quest’ultimo caso, il pronome si riferisce a un’entità menzionata prima nel discorso tramite una forma linguistica (l’antecedente del pronome), che può essere un sintagma nominale (24) o un’intera frase (25):
(24) il professore è entrato e l’abbiamo salutato
(25) «Ho pensato che questa frase potesse ispirarla, per via di quello che ha detto prima. Sul cambiamento. Non so se agli altri capita la stessa cosa, ma io ho voglia di condividere quello che leggo. Quando ripeto una frase che ho letto, o un concetto, o una poesia, mi sembra un po’ di esserne l’autore. Mi piace molto». […] «Grazie. Capita anche a me, da quando ero un ragazzino. Non ero mai stato capace di dirlo così bene, però» (Carofiglio, cit., pp. 14-15)
Più raramente, l’antecedente può precedere il pronome anaforico: si tratta di una dislocazione a destra (➔ dislocazioni) con effetto di prolessi («anticipazione»), con cui si vuole creare un’aspettativa nell’ascoltatore:
(26) … ma poi dovette rivedere le sue idee sulla possibilità di cambiarlo davvero, da solo, il mondo (ivi, p. 19)
(27) Risulta che lo abbia preso, il treno? (ivi, p. 39).
Il pronome atono femminile la si può trovare come oggetto neutro in locuzioni come chi la fa, l’aspetti; la smetti?; ce la pagherete; l’ha scampata bella; passarla liscia; ecc. Si deve a Spitzer (2007: 216-217) un’acuta analisi di questo uso:
Tutte queste espressioni sono legate in origine a un rapporto di familiarità tra interlocutore e parlante, il quale presuppone che il proprio interlocutore sia in grado di comprendere a cosa si riferisca il la, mentre non oserebbe pretendere la stessa perspicacia se avesse con questi un rapporto meno intimo. […] In italiano e in francese si fa dunque spazio un’espressione femminile-neutra, un neutro più intimo e familiare rispetto a quello espresso dalle forme realmente neutre (lo, etc.). […] Queste locuzioni tendono progressivamente alla grammaticalizzazione e spesso i parlanti non sono più in grado di risalire al sostantivo originario a cui si riferisce il pronome, cfr. per es. cavarsela, che sta per cavarsi la castagna colla zampa del gatto.
I pronomi personali hanno un ruolo fondamentale nella codifica delle relazioni sociali che si instaurano tra i partecipanti all’evento comunicativo. Si tratta degli usi allocutivi, con cui si forniscono informazioni sullo status di parlante, ascoltatore e persona / entità di cui si parla, sulla gerarchia esistente tra di loro, ecc. Per questi aspetti, ➔ allocutivi, pronomi; ➔ appellativi; ➔ plurale maiestatis; ➔ saluto, formule di.
Benveniste, Emile (1956), La nature des pronoms, in For Roman Jakobson. Essays on the occasion of his sixtieth birthday, compiled by M. Halle et al., The Hague, Mouton & Co., pp. 34-37 (rist. in Id., Problèmes de linguistique générale, Paris, Gallimard, 1966, pp. 251-257).
Lorenzetti, Luca (2002), L’italiano contemporaneo, Roma, Carocci.
Renzi, Lorenzo (1994), Egli-lui-il-lo, in Come parlano gli italiani, a cura di T. De Mauro, Firenze, La Nuova Italia, pp. 247-250.
Salvi, Giampaolo & Vanelli, Laura (2004), Nuova grammatica italiana, Bologna, il Mulino.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.
Spitzer, Leo (2007), Lingua italiana del dialogo, a cura di C. Caffi & C. Segre, Milano, Il Saggiatore (ed. orig. Italienische Umgangs-sprache, Bonn - Leipzig, Schroeder, 1922).