PROPAGANDA
. Se il nome deriva indubbiamente da quello della celeberrima Congregazione della Chiesa cattolica, la cosa può considerarsi come avente le sue remote origini nella credenza primitiva nell'efficacia magica della parola (l'esaltazione del valore proprio rafforza, il vilipendio del nemico lo indebolisce). Ciò che caratterizza infatti la propaganda è l'essere linguaggio (nel senso più ampio del termine), rivolto ad altri allo scopo d'influire sul loro modo di agire; di provocare cioè in essi quella reazione che il propagandista si è proposto di suscitare, e con intensità tale da determinarli a un dato comportamento.
Poiché una certa condotta normalmente è consigliata o suggerita da alcune idee o sentimenti, basta spesso il provocare una forte impressione che metta in azione il complesso meccanismo dei sentimenti e delle associazioni d'idee: così, p. es., la manifestazione della propria potenza e ricchezza mediante i grandiosi monumenti, lo spiegamento di forze militari, l'ostentare calma e sicurezza in momenti difficili, ecc. Si è detto che la miglior propaganda consiste nell'esempio, e di questo ch'è il miglior mezzo educativo; e infatti la propaganda è, in certo modo, educazione. Tale essa fu nelle democrazie greche, e in questo senso si può dire che agisse tutto il pensiero greco; segnatamente con Pitagora, con la sua psicagogia (anche Aristotele tratterà poi del valore psicagogico della parola); ma più intensamente, con maggiore coscienza e coerenza, con i sofisti. Onde l'importanza da essi attribuita alla retorica (v.), in quanto arte del trovare e presentare i proprî argomenti, sì da convincere gli ascoltatori col suscitare precisamente la disposizione d'animo voluta e (come fu loro rimproverato) da "rendere prevalente il discorso (per sé) meno forte". Ogni corrente d'idee, ogni movimento politico, religioso, economico, sociale e via dicendo ha avuto la sua propaganda; e sempre che una questione importante ha occupato la mente degli uomini, è sorta una letteratura in favore di questa o quella tesi. Ma assai più forte si è sentito questo bisogno nei tempi moderni in relazione con il riconoscimento come forza attiva nella storia della cosiddetta "pubblica opinione", il cui studio ha attratto negli ultimi decennî l'attenzione di storici, intenti a valutarne la natura, le manifestazioni e il peso nel passato, e di sociologi, che ne esplorano la consistenza reale, al di fuori appunto di artifici propagandistici (quali il presentare una veduta come confortata da larghi e autorevoli consensi) nel presente, mediante i "sondaggi" (v., in questa App.).
E la propaganda si potrebbe definire come l'arte di rendere "pubblica" l'opinione di un singolo o di un gruppo ristretto che in regime di democrazia e libertà aspira a trasformarsi in maggioranza. Ed è, in certo modo, un riconoscimento indiretto del valore dell'opinione pubblica e della necessità di ottenere il consenso dei governati, il continuo ricorrere alla propaganda dei governi autoritarî e antiliberali, che non invocano più i principî tradizionali di autorità e di legittimità. Ma vi è un'essenziale differenza tra la propaganda, quale è stata intesa e praticata tradizionalmente, e quella moderna. Mentre, almeno nelle intenzioni, i sofisti greci, in maniera che può considerarsi caratteristica, e poi tutti hanno cercato di convincere, dirigendosi principalmente all'intelletto e alla ragione; la propaganda modernissima tende di proposito, e in maniera che si potrebbe dire romantica, sempre più a fondarsi sulla psicologia dell'inconscio, sulle attività extrarazionali dell'animo umano, sulla suggestione; e vuole caratteristicamente elevare questo ricorso a scienza, elaborando una tecnica speciale, sviluppata assai, grazie ai mezzi offerti dalla moderna tecnica delle comunicazioni. La grande intensità delle impressioni prodotte dal giornale e assai più dal manifesto a colori, dalla pubblicità luminosa, dal cinematografo, dalla radio, dalla televisione, era stata già avvertita dalla pubblicità commerciale che di esse tende sempre più a valersi e ricorre alla ripetizione e al "monoideismo" (v. pubblicità, App. I, p. 954). Si aggiunga l'uso di formule e frasi fatte, la presentazione unilaterale delle notizie, e il "sensazionalismo" di molti giornali.
Largo uso di questi e altri mezzi venne fatto dai belligeranti già durante la prima Guerra mondiale, nel corso della quale la propaganda politica si sviluppò straordinariamente, e fu praticato in larghissima misura il bourrage des crânes. Talché, a qualche anno di distanza, si ebbe in molti paesi una reazione, non senza conseguenze politiche specie negli Stati Uniti, ove l'opinione pubblica ebbe l'impressione di essere stata ingannata, e che il paese fosse stato trascinato innecessariamente nel conflitto da abili manovre di gruppi interessati.
Alla propaganda alleata durante il conflitto rivolse la sua attenzione A. Hitler, che attribuì alla sua efficacia quel "crollo interno" della Germania, che avrebbe determinato la catastrofe, non dovuta pertanto a una sconfitta militare: argomentazione, questa, che divenne uno dei caposaldi della propaganda nazista. Hitler giunse, forse indipendentemente, alle stesse conclusioni raggiunte dai teorici della pubblicità commerciale e asserì che la propaganda, diretta alle grandi masse popolari, deve essere fatta con calore e passione, mantenendosi al livello del meno intelligente tra gli ascoltatori, rivolgersi al sentimento, non alla ragione; limitarsi a pochi punti, condensati in uno slogan da ripetere continuamente; e non cercare di esporre la verità obbiettivamente, "ma servire senza interruzione verità propria" tenendo presente che "le grandi masse di un popolo.... nella semplicità primitiva delle loro menti, cadranno più facilmente vittime di una bugia grande che di una piccola" (Mein Kampf, I, capp. 3, 6, 10, 12; II, 6 e 11, e passim). Cotali metodi pubblicitarî, inclusi quelli che in nome dell'etica negli affari e a tutela del consumatore si cercava di eliminare (cfr. l'azione della Federal Trade Commission e altri enti governativi contro la pubblicità senza scrupoli negli S. U.), vennero applicati su vastissima scala: ovunque ritratti del "capo" in atteggiamenti drammatici, scritti sui muri i suoi motti, resi più nutriti da dischi negli altoparlanti gli applausi, sottoposti a rigida vigilanza e a ordini precisi la stampa, la radio, il cinematografo, la letteratura, le arti, tutta la cultura, tutti i mezzi con cui gli uomini comunicano tra loro. E, soprattutto, reso difficile il rendersi conto dei fatti, pertanto il libero ragionare su di essi, da una sistematica occultazione o alterazione della verità. Basterà accennare all'opera della Reichskulturkammer e del Ministero della propaganda, tenuto da J. Goebbels, in Germania, e alla sempre maggiore invadenza, in Italia, di quello che da semplice Ufficio stampa del presidente del consiglio dei ministri, divenne sottosegretariato di stato, quindi ministero, per la "stampa e propaganda", prima, e per la "cultura popolare" poi.
La propaganda non fu intesa però soltanto come mezzo per affrettare la conquista del potere, e poi mantenerlo, all'interno, bensì - identificato, com'è nella natura di tali movimenti, il partito con lo stato e con la nazione - anche come strumento di lotta, e come mezzo per agevolare l'espansione imperialistica. Inteso il valore che ha in un conflitto l'elemento morale, lo sforzo della propaganda all'estero fu rivolto a minare, in tutti i modi, la resistenza dei potenziali nemici, formando tra i connazionali residenti all'estero e fra gli stranieri sedotti dalla propaganda le cosiddette "quinte colonne" sempre disposte a trovare giusta e moderata qualunque pretesa dei totalitarî, ad opporsi ad ogni atteggiamento risoluto dei proprî governi, a dichiarare inutile e vana, anzi delittuosa, e destinata a moltiplicare lutti e rovine, la resistenza. La propaganda si dedicò a spargere il terrore anche presso le truppe operanti, al fine di minarne la compagine morale, e presso i neutrali: onde le pellicole "documentarie" sulla guerra insistettero nel mostrarne tutti gli aspetti più crudeli e ripugnanti. Insieme, si cercò di mantenere elevato lo spirito dei combattenti e dei civili all'interno, con mezzi a tutti ben noti.
Dall'altra parte, la propaganda sottolineò quegli aspetti ideologici che nella seconda Guerra mondiale esistettero senza dubbio ed ebbero grande importanza, specialmente durante le prime fasi del conflitto; ma, poi, vennero progressivamente dimenticati da chi più che altri forse se n'era fatta un'arma, e confessò poi pubblicamente che avevano perduto valore di fronte agli interessi economici, politici e militari ed all'umana ripugnanza a sacrificare presenti e futuri vantaggi e progetti di egemonia sull'altare dei principî; che, da fini, si trasformarono gradatamente in strumenti di una propaganda, posta al servizio della convenienza militare. Non si vuol dire con ciò che fossero del tutto dimenticati e brutalmente rinnegati o messi da parte, ma constatare il fatto che si pensò sempre più a disanimare i nemici che ai bombardamenti terroristici ricorse anche chi li aveva subìti e che la propaganda si fece semplice mezzo di "guerra psicologica", come si chiamò uno degli uffici che vi attendeva (Psychological Warfare Bureau, PWC). Accanto al quale funzionavano i varî ministeri, e uffici "di informazioni", da cui dipendeva, tra l'altro, una vastissima rete di radiodiffusioni dirette a tutti i paesi del mondo, mentre da tutti i contendenti fu posto al servizio della propaganda anche il cinematografo, e più sottilmente in drammi e commedie.
La propaganda politica a sua volta ha reagito nella pubblicità commerciale. Le grandi imprese capitalistiche hanno da tempo cercato di influire sui poteri pubblici e sull'opinione. Ma, nei regimi democratici, è viva anche l'esigenza di una pubblicità intesa in un senso più alto: che sia portato cioè a conoscenza del pubblico tutto ciò che può interessare il cittadino, come tale, e come contribuente, consumatore e produttore. Di qui l'interesse, per le stesse imprese, di spiegare al pubblico la loro linea di condotta, di presentare gli argomenti ad esse favorevoli, anche d'illuminarlo su innovazioni apportate ai prodotti, per suscitarne in esso il desiderio (si cita il caso della Pullmann Standard Company, che attirando la curiosità del pubblico sulle sue nuove vetture aerodinamiche, indusse le compagnie ferroviarie a farne acquisto, il che le mise in condizioni di resistere meglio alla concorrenza dei trasporti automobilistici ed aerei). È sorto così, ed è utilizzato anche da enti pubblici, partiti politici, associazioni, ecc., un nuovo tipo di propagandista, il "consigliere di relazioni pubbliche" (public relations counsel), incaricato altresì di trasmettere alla direzione dell'impresa le reazioni dell'opinione pubblica, indipendentemente dall'agente pubblicitario e dai "sondaggi di mercato".
Il divulgarsi della propaganda, e il generalizzarsi della pratica di fornire notizie tendenziose, hanno inoltre posto nuovi problemi: quello di studiare i metodi e misurare l'efficacia della prima, nell'intento di porre un freno, così ad essa come alla diffusione delle seconde. L'"analisi della propaganda", è stata oggetto di speciali studî e ricerche dell'Institute for propaganda analysis, di New York, scioltosi volontariamente alla fine del 1941, essendo impossibile svolgere il suo compito in un paese in guerra; e si è cercato di elaborare criterî e metodi che rendano possibile lo stabilire il carattere propagandistico di certe notizie, rappresentazioni, ecc. e soprattutto il misurarne l'effetto sul pubblico. Se l'incoltura generale di questo (un "sondaggio" del New York Times Magazine del maggio 1944, mostrò che il 30% della popolazione adulta ignorava che i Giapponesi avessero occupato le Filippine, il 60% non aveva sentito parlare della Carta Atlantica, più del 90% non era in grado di menzionare neppure una delle sue disposizioni) facilita l'opera del propagandista, che può tranquillamente alterare fatti e cifre nella quasi sicurezza di non essere contraddetto; è altresì vero che egli non deve a sua volta essere dotato di autentica cultura: come è confermato in genere da indagini sulla psicologia dei propagandisti. Il rimedio contro la propaganda, il modo di resisterle, è pertanto nella cultura, nell'abito della riflessione, nel predominio della ragione sul mondo oscuro dell'istinto e dell'inconscio.
Bibl.: Eccellenti e amplissime indicazioni alle voci: Propaganda, Public opinion, Publicity, in Encyclopedia of the Social Sciences e in B. L. Smith, H. D. Laswell, R. D. Casey, Propaganda, Communication and Public Opinion, Princeton 1946; W. A. Lydgate, What our people think, New York 1944; Th. R. Sills e Ph. Lesly, Public Relations, Chicago 1946.