PROPORZIONE
. I. L'origine della teoria delle proporzioni si fa risalire ai Babilonesi, e il suo primo sviluppo geometrico ai pitagorici, che nelle grandezze numeriche - concepite come pluralità composte di unità - vedevano il tipo di ogni altra classe di grandezze. La scuola pitagorica considerava tre specie di proporzioni, che, con linguaggio e simbolismo moderno, si possono definire nei termini seguenti:
1. Proporzione aritmetica. - Quattro numeri a, b, c, d si dicono costituire, nell'ordine scritto, una proporzione aritmetica, quando sia:
onde risulta b + c = + ad, sicché in una proporzione aritmetica la somma dei medî eguaglia quella degli estremi.
2. Proporzione geometrica. - Quattro numeri a, b, c, d si dicono costituire, nell'ordine scritto, una proporzione geometrica, quando sia:
onde risulta bc = ad, sicché in una proporzione geometrica il prodotto dei medî eguaglia quello degli estremi.
3. Proporzione armonica (v. armonico: Gruppo/armonico). - Quattro numeri a, b, c, d si dicono costituire, nell'ordine scritto, una proporzione armonica, quando i loro reciproci siano in proporzione aritmetica, sicché si abbia:
In particolare, i pitagorici consideravano il caso in cui i medî di ciascuna delle precedenti proporzioni vengono a coincidere, talché, denotando con a, b, c la terna di numeri, cui si riduce la quaderna dianzi considerata, si abbia rispettivamente:
Alle proporzioni aritmetiche (1), (1′) si riservava il nome di ἀναλογία, mentre si usava il vocabolo μεσότης per indicare una qualsiasi delle sei proporzioni (1) - (3′); in particolare, le proporzioni (1′), (2′), (3′), in cui coincidono i medî e che oggi si dicono continue, venivano chiamate μεσότητες (medietates nel De institutione arithmetica di S. Boezio).
Altri tipi di proporzioni e di medietà furono considerate nell'antichità, per esempio dal pitagorico Ippaso (sec. IV a. C. ?), da Archita di Taranto (sec. IV a. C.), da Nicomaco (sec. I d. C.), da Giamblico (sec. IV d. C.); e l'importanza, che quegli antichi matematici annettevano al concetto di proporzione, si comprende, riflettendo che nelle loro speculazioni le proporzioni compivano quel medesimo ufficio, che, attraverso il secolare lavorio conclusosi con la costituzione dell'algebra e del suo simbolismo, dovevano poi assumere le equazioni. Così, ad es., la determinazione del quarto proporzionale, aritmetico o geometrico o armonico, dopo tre numeri dati, equivale alla risoluzione della prima o seconda o terza delle seguenti equazioni di 1° grado:
mentre la determinazione del medio in una medietà o proporzione continua geometrica equivale alla risoluzione dell'equazione di 2° grado:
II. Fin dall'antichità, sugli altri tipi di proporzioni, prevalsero per l'importanza degli sviluppi e delle applicazioni, di cui apparvero suscettibili, le proporzioni geometriche; e di queste esclusivamente basterà qui oramai occuparci. Già nella scuola pitagorica queste proporzioni avevano mostrato la loro utilità nello studio delle figure simili; ma, dopo che gli stessi pitagorici, con la scoperta di coppie di grandezze incommensurabili (v. incommensurabile), ebbero riconosciuto la fallacia del presupposto di una sostanziale identità fra grandezze geometriche e grandezze numeriche - concepite pitagoricamente come aggregati di unità -, si determinò il distacco della teoria geometrica delle proporzioni da quella aritmetica, e s'impose quindi la necessità di una revisione dei principî stessi della teoria geometrica. Essa raggiunse il suo assetto logico per opera di Eudosso di Cnido (410-356 a. C.); ed Euclide la espose sistematicamente nel più celebrato dei libri degli Elementi, cioè nel V. Si tratta qui esclusivamente di grandezze geometriche, quali sono le linee, gli angoli, le superficie, ecc., e, in generale, ogni classe di enti geometrici, per cui siano definite la uguaglianza e la somma e valga il postulato della continuità (v. grandezza). A base del libro V degli Elementi è posta la seguente definizione, che, secondo quanto si desume da taluni accenni di Aristotele alla teoria di Eudosso, sembra appartenere, in proprio, ad Euclide: si dice che la ragione (gr. λόγος, lat. ratio; e noi diciamo "rapporto") di una grandezza A ad una seconda grandezza B (omogenea ad A) è uguale a quella di una terza grandezza C ad una quarta D (dove C e D sono omogenee fra loro, ma non necessariamente ad A e B), quando, presi degli equimultipli quali si vogliano della prima e della terza, e degli equimultipli quali si vogliano della seconda e della quarta, accade sempre che, se il multiplo della prima è maggiore del multiplo della seconda, anche il multiplo della terza sia maggiore del multiplo della quarta; se uguale, uguale; se minore, minore. Questa definizione, tradotta in simboli dice che A : B = C : D, quando, comunque si scelgano i due interi m, n, accade sempre che, secondo che risulta: sia rispettivamente:
Dopo l'uguaglianza di ragioni o rapporti, Euclide definisce anche la disuguaglianza: quando, date due coppie di grandezze A, B e C, D esistono due coppie di equimultipli di A, C e B, D, tali che il multiplo della prima grandezza A sia maggiore del multiplo della seconda B, mentre il multiplo della terza C non sia maggiore del multiplo della quarta D, si dice che la ragione della grandezza A alla B è maggiore di quella della C alla D. In simboli, si dice che A : B > C : D, quando esistono due interi p e q tali che si abbia:
Le precedenti definizioni diventano più espressive, ove si enuncino nei termini seguenti: si dice che A : B = C : D, se comunque si scelgano gl'interi m, n, si ha simultaneamente: oppure: oppure: Si dice, invece, che A : B > C : D, quando esistono due interi p e q tali che sia simultaneamente:
Si dice, invece, che A : B > C : D, quando esistono due interi p e q tali che sia simultaneamente:
Ma all'adozione di questa forma delle definizioni si opponeva per Euclide uno dei criterî generali, cui egli ha informato l'assetto logico degli Elementi. Invero, così trasformate, queste definizioni fanno intervenire la divisione delle grandezze, di cui si tratta, in un qualsiasi numero di parti uguali, mentre fra le grandezze geometriche se ne presentano di quelle, come ad esempio gli angoli, per le quali la divisione in parti uguali non si può sempre effettuare col solo impiego della riga e del compasso (v. compasso; trisezione); ed Euclide, che vedeva il criterio di esistenza delle figure nella loro costruzione, seguiva costantemente la norma di non prendere in considerazione alcuna figura o alcun ente geometrico, di cui non avesse prima assegnato una effettiva costruzione, eseguibile col solo uso dei due strumenti elementari or ora indicati.
Quanto al contenuto delle definizioni euclidee si ha in esse un esempio - forse il più antico - delle cosiddette definizioni "per astrazione": senza che sia detto esplicitamente che cosa significhi "ragione", si definisce la uguaglianza (e disuguaglianza) di ragione; e di questa uguaglianza (e disuguaglianza) vien poi dimostrata la proprietà transitiva (propos. 11, 13), mentre le proprietà riflessiva e simmetrica sono implicite nella definizione stessa (v. uguaglianza).
Va inoltre osservato, che, se delle due coppie A, B e C, D di grandezze, di cui si vuole constatare la uguaglianza di ragione, la prima è costituita da grandezze commensurabili, talché per certi due interi p e q si abbia qA = pB, la definizione richiede soltanto che si verifichi se sussista l'analoga uguaglianza qC = pD, giacché, in caso affermativo, risultano di conseguenza verificate tutte le infinite altre condizioni imposte dalla definizione, in corrispondenza delle infinite scelte possibili dei due interi m ed n. Occorre, invece, tener conto di tutte queste infinite condizioni, se A e B sono fra loro incommensurabili; e in tal caso la definizione di uguaglianza di ragione conduce, in sostanza, a ripartire tutti i possibili numeri razionali (cioè interi e fratti) m/n in due classi: quelli per cui sia:
e la ragione o rapporto A : B si dice uguale a C : D, se, anche partendo dalla seconda coppia C, D di grandezze, si è condotti a ripartire i numeri razionali nelle medesime due classi, cui ha dato luogo la coppia A, B. Insomma il rapporto risulta definito come elemento di separazione fra le due classi dei numeri razionali minori e, rispettivamente, maggiori. Si è così condotti alla definizione, che ai giorni nostri, seguendo R. Dedekind, si dà del numero irrazionale, atto a rappresentare il rapporto delle due grandezze incommensurabili A, B (v. numero); e, da questo punto di vista, nel libro V degli Elementi si ravvisa uno sviluppo logico e coerente dell'"aritmetica" dei numeri irrazionali, in confronto del quale l'assetto moderno della teoria (a prescindere dall'adozione del simbolismo algebrico) presenta un solo effettivo progresso, cioè il riconoscimento del postulato della continuità della retta (v. continuità), il quale implica la considerazione, almeno virtuale, del più ampio sistema costituito da tutti i possibili numeri irrazionali.
III. Il concetto di proporzionalità acquista il suo più largo significato, quando si applichi non più soltanto a due coppie di grandezze, bensì a due classi costituite ciascuna da quante grandezze si vogliano. Due classi di grandezze (omogenee fra loro in ciascuna classe, ma non necessariamente quelle dell'una a quelle dell'altra) si dicono direttamente proporzionali, se ad ogni grandezza dell'una corrisponde una ben determinata grandezza dell'altra, per modo che ogni coppia di grandezze di una classe sia proporzionale alla coppia corrispondente dell'altra. Si dice, invece, che le due classi di grandezze sono inversamente proporzionali, se il rapporto di ogni coppia di grandezze dell'una è uguale all'inverso del rapporto della corrispondente coppia dell'altra.
Ove, dunque, si denotino con A, B, C,... le grandezze di una delle due classi e con A′, B′, C′,... le grandezze, rispettivamente, corrispondenti dell'altra, si ha nel caso della proporzionalità diretta:
e nel caso della proporzionalità inversa:
Se poi si denotano con a, b, c,... le misure delle grandezze, A, B, C,... e con a′, b′, c.,... quelle di A′, B′, C′,..., le (4) si traducono nella catena di uguaglianze:
Perciò, indicato con k il valore comune dei quozienti (4′) o, rispettivamente, dei prodotti (5′), si riconosce che la proporzionalità diretta fra due classi di grandezze si traduce nel fatto che la misura di ogni grandezza d' una classe si ottiene moltiplicando per un numero fisso k la misura della grandezza corrispondente dell'altra; mentre, nel caso della proporzionalità inversa, la misura di ogni grandezza di una delle due classi si ottiene dividendo un numero fisso k per la misura della corrispondente grandezza dell'altra. Se poi si immagina che le grandezze dell'una e dell'altra classe possano variare con continuità e si denotano con x e y le misure di due quali si vogliano grandezze corrispondenti, le leggi delle proporzionalità diretta e inversa risultano espresse dalle due equazioni:
Questa concezione della proporzionalità diretta scaturisce dalla considerazione del moto uniforme, quando vi si pensi lo spazio percorso come dipendente dal tempo (o in linguaggio moderno, come funzione di esso) secondo l'esigenza sentita da Galileo e più nettamente affermata dal Newton; e nella dinamica galileiana compaiono anche proporzionalità di grado superiore, come, ad es., y = kx2 (spazio di caduta dei gravi, a partir dalla quiete, in funzione del tempo). Così alla teoria delle proporzioni si ricollega, nelle sue forme primordiali, non soltanto il concetto di equazione, bensì anche quello, più moderno e più comprensivo, di funzione.
Bibl.: Gli elementi di Euclide e la critica antica e moderna, editi da F. Enriques col concorso di diversi collab., Bologna (1930); G. Vailati, Sulla teoria delle proporzioni, in F. Enriques, Questioni riguardanti le matematiche elementari, II, i, Bologna (1924); id., I numeri reali, ibid.; T. Bonnesen, Sur la théorie des nombres irrationnels de l'antiquité, in Period. di mat., 1921.
Architettura.
Il concetto di proporzione in architettura ci riporta a quei principî astratti di cui troviamo frequenti applicazioni nei monumenti significativi delle varie epoche, per i quali l'arte assume un valore per sé stante e (sia che esprima o no i mezzi concreti con cui l'opera architettonica si compone) si rivolge al senso estetico dell'osservatore con l'effetto del ritmo delle masse e delle linee, che corrisponde, secondo una nota definizione di Leon Battista Alberti, all'armonia nella musica.
Fin dalla più remota antichità, non appena in un monumento si è cercato il valore di un pensiero e di un simbolo, si sono determinate per le proporzioni norme fisse, spesso riportate a schemi di figure geometriche. Caso tipico nella sua grandiosa semplicità ci è offerto dalle piramidi egiziane che hanno per sezioni rette triangoli a ben definiti rapporti semplici: o il triangolo equilatero, o quello che risulta dal raddoppiare il cosiddetto triangolo egiziano, che è un triangolo rettangolo avente tra i lati rapporti di 3 : 4,5.
È ben naturale che questi concetti abbiano avuto grande importanza presso i Greci, per i quali ogni manifestazione assumeva il carattere di raffinata ricerca estetica. Speciale espressione ne sono stati i rapporti modulari (v. modulo), cioè la misurazione in numeri semplici rispetto a un'unità presa come comune denominatore. Lo Choisy ce ne dà interessanti esempî nel tempio di Nettuno a Pesto, nel Partenone di Atene, o in quell'arsenale del Pireo, di cui un'iscrizione fornisce i dati e le quote di esecuzione.
Nei monumenti romani queste concordanze sono un po' meno costanti e precise, ma pure non mancano. Basti ricordare che il Pantheon ha il suo interno esattamente circoscritto da una sfera e ha tutta la pianta suddivisa in 40 parti con un ritmo che si estende fino ai piccoli particolari della disposizione, quasi a costituire una arcana legge che informa tutte le proporzioni del monumento. Vitruvio, nel raccogliere i precetti dell'arte ellenistica, ha dato particolare importanza ai rapporti aritmetici basati sul modulo, fissando con esso gli elementi degli ordini architettonici. Ha altresì aggiunto alcuni dati di proporzione sperimentalmente determinati ed espressi o graficamente o analiticamente.
Egli consiglia, ad es., per mettere in giusta proporzione i due lati di una sala, di stabilire tra loro il rapporto tra il lato e la diagonale di un quadrato; per la pianta dei teatri greci egli pone per tracciato un cerchio, di cui divide la circonferenza in dodici parti uguali e inscrivendovi un triangolo equilatero ottiene nella sua base la posizione del muro della scena rispetto all'orchestra, e nelle proiezioni nei punti di divisione intermedî gli assi delle porte della scena stessa. Considerando l'atrio in forma di corte coperta con doppî portici laterali, Vitruvio insegna a dare ai portici un'altezza e una profondità di 1/5 della lunghezza nel caso di grandissimi edifici; ma porta questa frazione a 1/3 quando il lato del cortile sia intorno a 30 piedi.
Questo esempio mostra uno dei pochi casi in cui l'architettura antica tiene conto delle dimensioni reali, della scala dell'edificio. Nei monumenti pubblici, e specie nei templi, il ritmo è quasi costante qualunque sia la scala, e la percezione dei rapporti prevale sull'idea della grandezza assoluta. In forma ben diversa da quella dell'architettura classica e con un sentimento di proporzione che tende all'esagerazione dell'altezza anziché a un vasto equilibrio sereno, una stretta applicazione di concetti geometrici appare nell'architettura gotica. Numerose fonti (come il taccuino di Villard d'Honnecourt e i disegni per il duomo di Milano) ci mostrano un complesso intreccio di poligoni, da cui risultavano determinati non solo gli schemi delle linee principali delle chiese, ma anche i particolari architettonici; e una salda unità di proporzioni veniva raggiunta per ragioni geometriche e simboliche apparentemente estranee all'architettura.
Il Rinascimento italiano ritorna al ritmo classico pur in temi nuovi. Vi torna interpretando o sviluppando nel lavoro teorico dei trattatisti i concetti modulari di Vitruvio per gli ordini architettonici (v.), ricercando, come il Pacioli, le leggi de divina proportione e, traendo, come Leonardo, Francesco di Giorgio e il Serlio, forme di sale e di oggetti da figure geometriche, o recando un sentimento di armonia in tutte le concrete espressioni architettoniche: nelle piante delle chiese, che con lo schema perfetto centrale, acquistano un valore estetico a sé, nei rapporti tra l'edificio e l'ambiente urbanistico, o in quelli tra forma architettonica e interna decorazione.
In quest'ultimo tema il Rinascimento tende a ritornare al concetto ritmico astratto indipendente dalla scala dell'edificio, mentre nell'architettura medievale, prevalentemente realistica, i singoli elementi, come altari o amboni, erano riferiti alla scala umana e fornivano quindi subito l'unità assoluta di misura che indicava la grandezza dell'edificio. Il Seicento e il Settecento non fanno che sviluppare e complicare i criterî di proporzione del Cinquecento; talvolta nelle facciate o negl'interni più schemi elementari, rappresentati da indici di rapporti e da motivi tematici, s'incontrano e si uniscono, come polifonia che si sostituisce alla semplicità armonica del periodo precedente. Da tutto questo grandioso repertorio di forme e di schemi attinenti alle proporzioni, che i periodi passati ci hanno lasciato, molti autori moderni hanno cercato di trarre norme fisse e leggi di estetica architettonica.
Alcuni si sono limitati a stabilire dati per i rapporti tra i lati nell'interno delle sale. Applicando gli studî di H. Märtens sulle condizioni di "comoda percezione di un oggetto", si avrebbe che le visuali di una parete dovrebbero essere racchiuse in un angolo compreso tra 18° e 27°. Formule più semplici e adatte all'ambiente italiano sono quelle che dànno per forma planimetrica armonica di una sala rettangolare il rapporto di 1:1,50 tra i due lati, e stabiliscono come limiti superiore e inferiore per le altezze:
Di molto maggior portata sono le teorie, che possono dirsi di analogia geometrica, emesse dallo Zeising, dal Viollet-le-Duc e soprattutto dal Thiersch (v. architettura). Quest'ultimo, riprendendo uno spunto d'idee che nell'oscuro trattato di Leon Battista Alberti accenna a un coordinamento di angoli e linee per ottenere un effetto armonico di analogia (De re aedificatoria, I,1), enuncia la legge della "proporzione costante". "Noi abbiamo trovato, egli dice, osservando le opere più riuscite di tutti i tempi, che in ognuna una forma fondamentale si ripete e che le parti formano, nella loro composizione e disposizione, delle figure simili... L'armonia risulta dalla ripetizione della figura principale dell'opera nelle sue suddivisioni". Questo principio il Thierschillustra con un numero grandissimo di esempî; ma è evidente che la teoria può avere ulteriori sviluppi e importanti limitazioni: sviluppi nelle applicazioni ai ritmi multipli e complessi, come quelli degli edifici del periodo barocco di cui si è testé dato cenno, o nell'introduzione del concetto di prospettiva che è quello della visione reale; limitazione nella stanchezza fisiologica creata dalla soverchia ripetizione, dalle dimensioni o troppo grandi o troppo piccole, cioè anche qui dall'elemento di percezione recato dalla realtà e sovrapposto ai rapporti astratti. Hanno comunque, questi studî, notevole interesse a rappresentare le ragioni del sentimento d'arte nella composizione architettonica, specialmente in un periodo come l'attuale, in cui l'architettura moderna si distacca dalle forme tradizionali e cerca vie nuove, le quali non possono essere solo quelle dell'espressione funzionale e costruttiva.
Bibl.: L. B. Alberti, De re aedificatoria, Firenze 1485; S. Serlio, Tutte le opere di architettura, Venezia 1584; A. Viollet-le-Duc, Entretiens sur l'Architecture, Parigi 1863; R. Adamy, Architektur als Kunst, Hannover 1881; A. Choisy, Études épigraphiques sur l'Architecture grecque, Parigi 1883-84; J. Märtens, Der optische Maasstabe, Berlino 1884; H. Wölfflin, Prolegomena zu einer Psychologie der Architektur, Monaco 1886; Armanini e Beltrami, Il Pantheon, Milano 1898; A. Choisy, Histoire de l'Architecture, Parigi 1903; J. Burckhardt, Geschichte der Renaissance, Stoccarda 1904; A. Choisy, Vitruve, Parigi 1909; F. Macody Lund, Ad Quadratum, Londra 1921; M. Borissaulievitch, Les théories de l'Architecture, Parigi 1926; G. Giovannoni, Saggi d'Architettura del Rinascimento, Milano 1931; F. Hoffstadt, Principi dello stile gotico, Venezia 1853; Hasak, Die romanische und gotische Baukunst, in Handb. d. Arch., II; A. Thiersch, Die Proportionen in der Architektur, in Handb. d. Arch., IV, i.