PROSELITO (dal gr. προσήλυτς "sopraggiunto")
Questo termine è usato modernamente per indicare chi si aggrega volontariamente a una data religione, accettandone le credenze e i riti. S'intende perciò che non può trattarsi di una religione la quale non abbia professione di fede e qualche rito di aggregazione; e pertanto il proselitismo - come del resto l'attività missionaria, che costituisce l'altro aspetto del fenomeno - non si trova nelle religioni naturali, ma è proprio delle religioni fondate e anche, in un certo senso, delle religioni di mistero. La questione più interessante è quella della posizione fatta ai proseliti, che non sempre vengono ammessi subito a far parte di pieno diritto della comunità religiosa, ma vengono fatti passare attraverso un periodo intermedio di preparazione e di istruzione: come accadeva nel cristianesimo antico ai catecumeni e come poteva verificarsi nell'iniziazione ai misteri di Eleusi (v.; e v. iniziazione; missione; professione di fede).
Ma il termine è particolarmente proprio del giudaismo, dove, nelle versioni greche della Bibbia, è usato come equivalente dell'ebraico gēr, che in origine significa lo straniero dimorante nel territorio israelita, in una condizione simile a quella dei meteci (v.) in in Grecia; ma più tardi designò invece il proselito in senso proprio, cioè colui che da una religione etnica si convertiva a quella d'Israele, con piena uguaglianza di diritti, purché fosse passato attraverso il rito d'aggregazione, che comprendeva la circoncisione (v.), un bagno o "battesimo" rituale e l'offerta di un sacrificio al Tempio (finché questo fu in piedi). Il "battesimo" presenta una somiglianza superficiale con riti di purificazione; in realtà, la presenza di due assistenti che leggevano precetti fondamentali della legge, deve indurre piuttosto a considerarlo come una vera e propria iniziazione. L'offerta del sacrificio, più che far parte del rito, è da considerare come l'adempimento d'una condizione preliminare per il godimento dei pieni diritti religiosi, essendo il proselito considerato come assolutamente uguale, almeno in diritto, agli Ebrei per nascita.
Tuttavia, specie nell'età degli Asmonei, si ebbero conversioni forzate e anche conversioni interessate; perciò nella letteratura rabbinica si distinguono varî tipi di convertiti per motivi mondani - per amore, per timore, ecc. - che vennero contrapposti al convertito per motivi puramente religiosi: il "proselito giusto" (gēr ṣedeq).
Accanto ai proseliti veri e proprî, ma nettamente distinti da loro, sono da porre tutti coloro che, nel mondo greco-romano, accettavano il principio monoteistico del giudaismo, ma senza sottoporsi alla circoncisione né partecipare effettivamente al culto, o almeno a tutti i riti, e senza sottoporsi a tutte le prescrizioni legali obbligatorie per gli Ebrei: categorie di persone designate come i "tementi" o "veneranti" Dio (ϕοβούμενοι o σεβόμενοι τὸν ϑεόν), ma che non possono essere considerate propriamente come "proseliti".
Né come proselito sí può considerare il gēr toshāb "straniero residente", locuzione che nei testi rabbinici - poiché gēr significava ormai il proselito - indica l'incirconciso ammesso a dimorare nel territorio degl'Israeliti, a patto di osservare certe prescrizioni. Non si ha invece traccia nelle fonti antiche di una terza presunta categoria di proseliti o semi-proseliti (il cosiddetto gēr sha ar "proselito della porta") che per lungo tempo è stata considerata come una categoria affine ai semi-convertiti, ma la cui esistenza è esclusa dagli studiosi più recenti e autorevoli.
L'atteggiamento del giudaismo verso i proseliti variò secondo le scuole e i tempi. La scuola di Shammai si mostrò più severa di quella di Hillel; ma in genere l'atteggiamento verso i convertiti fu benevolo, finché la loro tiepidezza nelle guerre sotto Nerone e Vespasiano e sotto Adriano e insieme la loro proclività a passare al cristianesimo non tolse loro simpatie, persuadendo i capi del giudaismo a rallentare l'opera di propaganda. Incominciò così il costume di ricordare ai convertiti, prima della cerimonia d'iniziazione, il fatto che Israele è perseguitato. Nell'impero romano, in cui gli Ebrei erano tollerati in quanto popolo, coloro che aderivano alla loro religione non potevano partecipare dello stesso diritto: anche questo fu un motivo per cui molti, pur convertiti, non si circoncisero. Questo fatto, insieme con talune ambiguità nelle fonti e l'incertezza se, specie nel sec. I, il giudaismo e il cristianesimo fossero nettamente distinti da tutti, rende perplessi se si debbano considerare ebrei o cristiani taluni personaggi, cui vediamo rivolta l'accusa di "ateismo", cioè di non venerare gli dei pagani. Più tardi, il divieto della circoncisione e, sotto l'impero cristiano, il divieto di passare dal cristianesimo al giudaismo - ripetuto anche nelle legislazioni medievali - diminuì ancora il numero delle conversioni e l'importanza dei proseliti.
Bibl.: J. Juster, Les Juifs dans l'empire romain, Parigi 1914, voll. 2; Strack-Billerbeck, Kommentar zum Alten Testament aus Talmud u. Midrasch, II, Monaco 1924, p. 715 segg.; G. F. Moore, Judaism in the first centuries of the Christian era, I, Cambridge (Mass.) 1927, pp. 323-53. V. anche: ebrei.