CAFFARELLI, Prospero
Di nobile famiglia, nacque a Roma in data imprecisata nel quarto decennio del secolo XV, da Antonio e Rita Margani. Dal padre, avvocato concistoriale assai bene introdotto negli ambienti della Curia, fu avviato alla carriera ecclesiastica che iniziò sotto i migliori auspici. Il primo dato biografico noto è costituito infatti dalla sua nomma a vescovo di Ascoli Piceno l'11 dic. 1463.
Alle origini di un così brillante ingresso in prelatura, tanto più promettente se si considera l'età presumibilmente ancora assai giovane del C., va colta l'influenza del padre che godeva del favore di Paolo II, stando all'aneddoto riferito ancora nel 1513 al pontefice Leone X dal maestro delle cerimonie pontificie Paris de Grassi, che confuse però il C. con il padre avvocato concistoriale. A lui infatti, non certo al giovanissimo figliolo che non era avvocato concistoriale, Paolo II poteva affidare l'incarico di prendere la parola in sua vece nel corso di un pubblico concistoro.
I primi anni della carriera ecclesiastica del C. restano ancora completamente oscuri. Il 18 sett. 1464 il papa gli concesse la fortezza maggiore di Assisi, pare per cederla a sua volta ad altra persona. Non è quindi sicuro se questo provvedimento abbia segnato l'inizio di quella carriera amministrativa alla quale il C. si sentì sempre essenzialmente votato e alla quale resterà saldamente ancorato per tutta la vita, con la sola eccezione di alcune brevi parentesi diplomatiche.
La prima di esse potrebbe essere collocata negli anni 1467-1468, se con lui è da identificare il vescovo di Ascoli ambasciatore a Venezia del re di Napoli, Ferrante d'Aragona, per quegli anni. Potrebbe trattarsi infatti del vescovo di Ascoli Satriano Gian Antonio Boccarelli, che ha qualche titolo in più del C. per essere titolare di una diocesi pugliese. Il vescovo di Ascoli ambasciatore del re di Napoli risulta già a Venezia il 29 genn. 1467, data del primo dispaccio indirizzatogli da Ferrante presente nel codice diplomatico edito dal Trinchera, con una provvisione elevata il 13 marzo da quattrocento a cinquecento ducati "per correspondere in alcuna parte alli benemeriti vostri et fideli servicii che alla giornata ne faciti". Dai dispacci di risposta del re (quelli dell'ambasciatore non sono conservati) si può desumere che il vescovo svolse a Venezia attivitá prevalente di informatore politico, con particolare riferimento agli avvenimenti del Levante e ai movimenti del Turco. Non mancò però di seguire da vicino le reazioni veneziane agli atteggiamenti delle potenze italiane, Firenze in primo luogo, collegate con Napoli in una lega per la conservazione della pace. Nella primavera del 1468 l'ambasciatore napoletano cominciò a dare i primi segni di stanchezza: in due dispacci del 27 marzo e del 2 aprile, Ferrante sollecitò una sua più frequente corrispondenza diplomatica, ma delle sue raccomandazioni il vescovo non si dette per inteso, anzi comunicò al re il suo proponimento di abbandonare Venezia e l'incarico diplomatico, adducendo a pretesto ragioni di salute. Di questa richiesta Ferrante s'irritò fortemente, replicando al vescovo, che si era anche lamentato per il ritardo nella corresponsione della sua provvisione, di avere provveduto a fargliela avere con la massima sollecitudine, ma intimandogli anche di non muoversi da Venezia senza suo ordine. Quest'ultimo dispaccio di Ferrante porta la data del 27 maggio 1468 e dopo di esso manca qualsiasi altra notizia sul vescovo di Ascoli suo ambasciatore a Venezia.
Il 5 sett. 1468 il C. prestò giuramento a Paolo II che gli aveva affidato il governo di Norcia, Cascia, Cerreto, Monteleone e altre località della zona. Il breve di nomina accenna all'esperienza acquisita dal C. "in magnis et arduis rebus", ma di esse non è dato di sapere niente di più preciso. Figura in questa carica ancora alla fine del 1470 e solo nell'ottobre del 1472 è attestato il suo passaggio al governo di Todi, dove risulta presente ancora nel gennaio del 1473. Dopo questa data di lui non si hanno più notizie fino all'estate del 1480. Ma negli anni compresi tra il 1477 e il 1480 dovette cadere con tutta probabilità una sua missione diplomatica a Siena, della quale resta traccia in un documento pontificio non datato. Minacciata dai Fiorentini nella primavera del 1477, Siena si rivolse per aiuto a Sisto IV con il quale il re di Napoli strinse nel febbraio del 1478 una lega difensiva. Nel suo territorio si svolsero così in parte le operazioni militari contro Firenze, intraprese dopo la congiura dei Pazzi, dall'estate del 1478 al dicembre del 1479, fino alla pace generale conclusa il 13 marzo 1480. In questo torno di tempo il C. dovette andare a Siena, come scrisse il papa ai Senesi "pro conservatione status et rei publicae… ad confirmandam, dignitatem, libertatem, ac robur civitatis vestre".
Nel 1480 il C. fu nominato nunzio apostolico presso le corti di Federico III imperatore e di Mattia Corvino re d'Ungheria con l'incarico di tentare una mediazione pontificia intesa a riportare la pace fra i due principi cristiani in vista di un comune impegno nella lotta contro il Turco. Uiniziativa pontificia era la conseguenza immediata dello sbarco turco a Otranto che tante preoccupazioni suscitò nelle potenze italiane e nella S. Sede in particolare. La guerra tra Federico III e Mattia Corvino aveva favorito in effetti il colpo di mano turco su Otranto, assicurando ai Turchi la migliore garanzia di tranquillità nel settore balcanico. Mattia Corvino aveva già occupato però buona parte dell'Austria con la stessa Vienna e non era certamente facile indurlo a rinunciare alle sue conquiste, condizione assolutamente indispensabile per ottenere l'adesione imperiale alla pace. Nell'agosto del 1480 il C. giunse alla corte di Mattia Corvino, proveniente da quella di Federico III, e presenziò alle trattative condotte con gli ambasciatori del duca Giorgio di Baviera, designato dalle due parti come arbitro per la soluzione del conflitto. Il negoziato andò però per le lunghe, con la massima irritazione del papa che tempestò di brevi il re ungherese, nel vano tentativo di indurlo a stringere i tempi della pace e volgersi contro i Turchi. Il 6 nov. 1480 Mattia Corvino replicò a Sisto IV addossando tutta la responsabilità del ritardo sulla pretese imperiali. Del C. scrisse che pur giudicandolo "hominem doctum et prudentem ac optime expertem ad res gerendas Sanctitatis Vestre", lo riteneva assolutamente incapace di condurre in porto una trattativa tanto difficile per mancanza della necessaria energia. Per indurre Federico III ad accettare il punto di vista del re d'Ungheria ci voleva in effetti una mano di ferro, e non il C. del quale il Corvino scrisse che si poteva dire come di Cristo nel Vangelo "mitis sum et humilis corde". Il re concludeva sollecitando l'invio di un legato rivestito di maggiore dignità ed autorevolezza. L'insuccesso del C. era evidente e risultò chiaro alla stessa Curia romana che alla fine dell'anno decise di sostituirlo con altra persona più esperta in diplomazia, il vescovo di Teano, Orso Orsini. All'annuncio dell'invio del nuovo nunzio, che doveva godere effettivamente fama di maggiori capacità diplomatiche, la corte ungherese reagì con vivaci proteste, proclamando la dirittura del C., la sua imparzialità e la fiducia riconosciutagli da entrambe le parti in causa. Un tale voltafaccia lascia solo intendere che la insipienza del C. era riuscita assai gradita agli Ungheresi, evidentemente persuasi che sarebbe stato più difficile menare per il naso il nuovo nunzio. Nel corso di tutto l'anno 1481 il C. restò ancora in missione dividendosi tra le due corti, ma senza concludere alcunché. Il vescovo di Teano giunse nel maggio del 1481 e il C. dopo averlo assistito nei primi passi della sua nunziatura, rientrò a Roma, dove risulta presente all'inizio del 1482.
Il pieno insuccesso di questa missione diplomatica non restò senza conseguenze sulla sua carriera. Sisto IV lo lasciò in disparte e non gli conferi nessun altro incarico. Per rientrare nella vita pubblica dovette aspettare la sua morte e l'elezione di Innocenzo VIII, avvenuta il 29 ag. 1484. Il suo rientro sulla scena pubblica fu segnato dal concistoro tenuto dal nuovo pontefice nel dicembre del 1484 al quale egli partecipò. Agli inizi dell'anno successivo, il 10 genn. 1485, fu nominato govematore della provincia del Patrimonio, nella quale carica fu riconfermato il 25 luglio. Nel novembre dello stesso anno fu mandato però a Bologna come vicelegato e luogotenente del cardinale Ascanio Maria Sforza. Conservò questa carica almeno fino al 1487, quando l'umanista Bartolomeo Paganelli gli dedicò, in qualità di vicelegato di Bologna, la sua opera De vita quieta.Ritornò al governo della provincia del Patrimonio nel 1492 e vi restò per qualche anno, se non proprio fino alla morte.
In omaggio alle esigenze della sua carriera amministrativa e diplomatica il C. ebbe poco tempo da dedicare alla sua diocesi, nella quale risiedette assai di rado e quasi solo nelle pause forzate impostegli dalle alterne e non sempre felici vicende della sua carriera.
Nel 1472 vi tenne comunque un sinodo per ovviare almeno all'assenza del pastore con un migliore reclutamento del clero e definire soprattutto i compiti del vicario generale che aveva il governo effettivo della diocesi. Successivamente appoggiò l'iniziativa del capitolo di procedere ad importanti restauri della cattedrale e non si oppose alla vendita di certi immobili di proprietà della chiesa, necessaria per finanziare almeno in parte i costosi lavori. Ai suoi fedeli si rese utile inoltre impegnando tutto il suo prestigio in Curia per favorirli in varie delicate circostanze. Così nel 1482 in occasione della laboriosa trattativa con Sisto IV per la concessione alla città di Ascoli della cosiddetta "Libertas ecclesiastica" che ne doveva garantire l'autonomia politica e amministrativa. Gli Ascolani se l'erano arrogata nel marzo di quell'anno, cavillando sull'interpretazione di un breve pontificio che non la concedeva affatto. Investito della questione, il C. la risolse brillantemente nel giugno, concordando con la Camera apostolica il riconoscimento dell'autonomia della città dietro il versamento della sonima di tremila ducati annui. Nel 1488 patrocinò in Curia ancora una volta gli interessi ascolani danneggiati nel corso di un recente conflitto con la vicina città di Offida.
Il C. ebbe cultura umanistica e curiosità per le anticaglie: ma di questi interessi restano tracce tutt'altro che vistose. Qualche contatto dovette avere con l'umanista marchigiano Antonio Bonfini, che soggiornò ad Ascoli nel 1477e alla corte di Mattia Corvino successivamente, e lo ricordò nel suo Rerum Hungaricarum decades come "vir genere, doctrina, probitate et eloquentia praestans". Rapporti ebbe anche a quanto pare con l'orafo Pietro Vamini e con i pittori Carlo Crivelli e Pietro Alemanno, attivi in Ascoli negli anni del suo vescovato. Si ha notizia infine di una sua collezione di antichità ricca di epigrafi. Scarse notizie si posseggono invece sulla consistenza della sua dotazione patrimoniale che non doveva essere propriamente vistosa. Nel 1485gli riuscì di ottenere l'annullamento del testamento del fratellastro, Bernardino, che evidentemente non gli era favorevole e nel 1491ne poté dividere l'eredità con l'altro fratellastro, Nicola. Ma a ristrettezze finanziarie lascia pensare la richiesta rivolta il 7 febbr. 1.500 al suo vicario in Ascoli per sopperire alle spese della cappella di famiglia che stava facendo costruire nella chiesa di S. Maria sopra Minerva. Gli furono inviati trecento scudi che servirono però a pagare le solenni esequie tributategli dai parenti con il concorso di numerosi alti dignitari pontifici.
Morì infatti a Roma il 12 febbr. 1500, dopo avere dettato il testamento il 1º dello stesso mese. Fu seppellito nella cappella ancora in costruzione.
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