COLONNA, Prospero
Nacque a Napoli il 18 luglio 1858, ultimo figlio maschio di Giovanni Andrea e di Isabella da Toledo. Già principe di Sonnino e Paliano, il matrimonio con Maria Massimo gli portò il titolo di duca di Rignano, di cui essa era l'ultima erede.
Come il fratello Fabrizio, e per gli stessi motivi, venne inviato a studiare nel vicino Regno d'Italia. Diventò ufficiale di cavalleria ed ebbe cariche alla corte sabauda, ma presto lasciò ogni servizio per dedicarsi alle cure della famiglia e del patrimonio, alla vita amministrativa di Roma. Varie volte consigliere comunale, di tendenze liberali conservatrici, cominciò ad assumere posizioni di rilievo negli ultimi anni del secolo: nelle elezioni amministrative del 1895, in cui si profilò nuovamente un grande successo delle forze cattoliche, ebbe 7.366 voti contro i 7.866 di Torlonia. In quell'anno divenne assessore e il 21 gennaio 1899 sindaco, succedendo al principe E. Ruspoli. La scelta confermava la presenza e la funzione che l'aristocrazia romana continuava a conservare sulla scena cittadina e la continuità di quella linea di alleanza con i cattolici che, salvo brevi periodi, aveva guidato il Campidoglio per molti anni (il C. era fratello di Marcantonio, assistente al soglio pontificio). Nel 1896 era stato eletto deputato nel collegio di Anagni; nel 1900 fu nominato senatore.
L'elezione a sindaco avveniva in un momento difficile per la vita del comune e della città, che stava raggiungendo i 424.943 abitanti (1901). Solo da qualche anno era cominciata una lenta e faticosa ripresa economica, dopo il grave dissesto successivo alla crisi edilizia e finanziaria degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta, ma in una situazione produttiva generale che restava depressa: una moderna trasformazione industriale era bloccata dalla condizione della circostante campagna, tuttora semideserta e semilavorata, dalla difficoltà delle comunicazioni, dal peso del dazio consumo, dalla carenza di capitali e di forze imprenditoriali. Il comune si dibatteva nella passività dei bilanci conseguente alle eccessive esposizioni compiute nel periodo del massimo sviluppo urbanistico e ai pagamenti degli interessi e degli ammortamenti dei debiti contratti (arrivati a superare i 200.000.000). Mentre crescevano le richieste della cittadinanza, aggravate dalle ondate continue dei nuovi immigrati, gli avversari politici affinavano le armi: democratici, radicali, repubblicani e socialisti, che facevano leva sui ceti popolari e sui loro bisogni e chiedevano un sistema nuovo di gestione amministrativa, impegnata in una operazione di sviluppo produttivo, agrario e industriale, in una conduzione diretta dei principali servizi (acqua, energia elettrica e gas, trasporti), in una più equa ripartizione delle imposte e delle spese, in una battaglia contro la speculazione edilizia.
Il C., appoggiato dalle forze liberali e cattoliche conservatrici, non si discostò dalle linee tradizionali, che erano quella del paternalistico, spesso assistenziale, intervento per la risoluzione dei problemi più urgenti e quella della salvaguardia degli interessi della proprietà fondiaria e speculatrice, che aveva allora la sua massima espressione nelle società appaltatrici dei servizi pubblici ma che ricominciava ad interessarsi al mercato delle aree fabbricabili e all'attività edilizia. Comunque il C., fiancheggiato dall'abile segretario generale A. Lusignoli, seppe dare l'impronta nuova di un più deciso intervento su alcuni terreni, in particolare quello dell'istruzione elementare e della lotta antimalarica; sotto la sua guida venne acquisita al pubblico villa Borghese, ebbe sistemazione definitiva piazza Esedra, fu completato ponte Cavour e compiuto il traforo sotto il Quirinale. Ma tutta Roma stava ridiventando, per iniziativa anche privata, un fervente cantiere: nel 1905 furono coperti da nuove costruzioni e strade 50.000 mq: erano stati 17.000 nel 1899.
Il nome del C. resta però legato a una più importante operazione: la legge speciale per la capitale, elaborata da Giolitti ed approvata dal Parlamento nel luglio del 1904 ("Roma è città sacra, cioè terribile - aveva confidato il capo del governo -. Non scherziamo con essa. Atterrati questi amministratori, ne troveremo di peggio...": Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni di politica italiana, II, a cura di G. Carocci, Milano 1962, p. 354).
Discussa in un quadro di animati dibattiti a livello anche nazionale (ritornavano sul tappeto i problemi della responsabilità dello Stato, e quindi dell'intero paese, nella condizione materiale e nella gestione amministrativa della capitale), la legge si limitava a fornire al comune un aiuto finanziario (con l'assunzione di una più diretta garanzia dello Stato sulla sua posizione debitoria e l'allungamento dei termini di ammortamento dei prestiti contratti), e ad agevolare (con facilitazioni fiscali) il rinascente sviluppo delle costruzioni edilizie. Alla Camera non era passata la proposta, avanzata in alcuni ambienti politici, di un intervento statale anche nella incentivazione della produzione industriale. Vi era stata opposizione nelle stesse forze governative, contrarie al rafforzamento di una classe operaia nella capitale o sensibili alle ombrose manifestazioni di altre zone industriali del paese (ma già dal 1903 lo Stato aveva assunto il diretto impegno della bonifica dell'Agro).Il 21 ott. 1904 il C. veniva sostituito da E. Cruciani Alibrandi nella funzione di sindaco: si trattava di un normale avvicendamento che non mutava la linea operativa della Giunta conservatrice, obbligata a riaffrontare i problemi lasciati insoluti dalla legge del 1904, ad insistere presso governo e Parlamento perché venisse ripresa in considerazione la necessità di ulteriori interventi per la vitalizzazione della potenzialità produttiva. Si sarebbe ottenuto poco: inadeguati e disorganici altri contributi finanziari, autorizzazioni ad accendere mutui, anticipi sul versamento delle annualità del nuovo prestito contratto. Sarebbe poi aumentata la tassa sulle aree fabbricabili, ma erano più le cause in corso che i pagamenti.
Fermo sostenitore di Cruciani Alibrandi, il C. divenne uno dei principali esponenti, anche sulla scena cittadina e non solo comunale, dello schieramento liberale ultramoderato, indebolito dall'allontanamento dell'ala democratica, confluente in parte nel "blocco" di sinistra che si stava consolidando (nel 1902 era nata la Unione democratica romana) e rafforzando con l'adesione - non senza qualche contrasto - dei socialisti. Anche i cattolici dell'Unione romana affrontavano una crisi di interna disgregazione, per lo sviluppo delle correnti democratiche, ma preferivano il ripiegamento alla battaglia. I liberali conservatori l'accettarono, nelle elezioni amministrative del 1907, e la persero: saliva al Campidoglio con il "blocco Nathan" la prima amministrazione di sinistra, che aveva fruito, se non di un vero e proprio appoggio, della neutralità di Giolitti, impegnato in un difficile gioco di equilibri politici.
Il "blocco" aveva condotto un'animata campagna contro la passata gestione, accusata di collusioni con i gruppi monopolistici e la finanza speculatrice, e proposto un programma che, in un quadro di netta impronta laicista, mirava al potenziamento dell'istruzione, alla municipalizzazione dei servizi pubblici, all'aumento delle imposte sulla proprietà, soprattutto fondiaria, all'incremento dell'assistenza sanitaria, alla costruzione di case popolari e al sostegno di una larga base popolare, interessata e coinvolta attraverso l'uso dei referendum. Ma solo in parte questo programma sarebbe stato attuato, indebolito dalla resistenza di potenti forze economiche, dalla opposizione di molti membri della maggioranza governativa e dal mutato atteggiamento dello stesso Giolitti, dalla crescente polemica, anche, dei socialisti intransigenti, che lamentavano la lentezza e la cautela delle operazioni rinnovatrici. Esso avrebbe ancora vinto le elezioni amministrative del 1912, ma nel 1914 sarebbe stato sconfitto.
Passato all'opposizione in Campidoglio, il C. aveva svolto una vivace opera politica in vari ambienti: tonalità orgogliose di casta (in Senato aveva proclamato che "il popolo guarda spesso, come a modelli, a coloro che per ricchezza, per titoli, per lustro fainiliare, è abituato a tenere in considerazione": A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia..., Torino 1961, p. 530) si frammischiavano a tonalità patriottico-militari, che avevano la loro matrice nella tradizione risorgimentale e nella apertura nazionalista, nell'orgoglio anche della appartenenza all'esercito (il C. era rimasto ufficiale in congedo), e trovavano la loro espressione principale nella difesa della guerra in Libia e nella richiesta di un rafforzamento delle Forze armate.
Come presidente dell'Associazione liberale romana, roccaforte dei liberali conservatori, procedente in intesa con la Destra cattolica e lo schieramento nazionalista (aveva recuperato anche alcuni esponenti del liberalismo democratico), il C. ebbe parte importante, agitando la bandiera della difesa antisovversiva, nella battaglia per le elezioni politiche del 1913. Vittoriosa, la stessa coalizione avrebbe riconquistato la maggioranza in Campidoglio nel 1914.
Non ci fu tempo per mettere a punto le linee di un programma di lavoro che sarà poi, piuttosto genericamente, così ricordato dal C. stesso: "provvedere allo sviluppo ed al miglioramento della città, con criteri rispondenti alle sue tradizioni ed al suo carattere, nella misura richiesta dalle necessità locali, per fronteggiare da un lato il fenomeno dell'urbanesimo, e tutelare dall'altro, con spirito di progresso, le supreme ragioni della sua dignità e del suo decoro; assicurare ai pubblici servizi un organismo rispondente alle moderne esigenze civili, curando in particolar modo la scuola ed ogni iniziativa di ordine morale che si proponga di migliorare lo spirito e la cultura del nostro popolo; tendere con ogni sforzo possibile alla industrializzazione della città, perché nella propria attività economica, Roma possa trovare le fonti e gli elementi della sua prosperità", (Sull'opera..., pp. 22 s.).
Eletto sindaco il 14 luglio 1914, il C. fu in primo piano nello schieramento interventista, favorendone le manifestazioni e impegnando il Campidoglio nella crescita del movimento: nell'anniversario della breccia di Porta Pia invitò il popolo a una sola fede e a un solo proposito; come presidente della commissione che doveva esaminarlo, svolse in Senato una infiammata relazione in difesa del progetto di legge per i pieni poteri al governo che ebbe ampia diffusione in tutto il paese. Nel maggio del 1915 fu a Parigi, rappresentante di Roma, accolto con particolari onori.
"Io mi sentii il feciale romano, apportatore all'alleato del simbolo per la guerra. Ma non solo la gioia di aver comune la lotta e la fede, l'aver comune la vittoria agitavano la sorella latina; gli spiriti dei nostri fratelli di Francia erano pervasi ed esaltati dal fascino del nome augusto di Roma, rafforzati di nuova fede nel vederla come sempre - come nei secoli - al suo posto, il primo posto nella marcia irresistibile e fatale della civiltà e del diritto" (Sull'opera..., p. 69).
Entrata l'Italia nel conflitto, il C. partì volontario e raggiunse a Udine il comando generale, ma venne presto richiamato alla sua funzione di sindaco della capitale in un momento particolarmente difficile della vita cittadina.
Problemi antichi (mancanza di abitazioni, difficoltà di approvvigionamento) erano aggravati dal flusso dei profughi e dei disastrati del terremoto della Marsica (6.000), dall'aumento dei prezzi, dall'esigenza di assicurare i richiesti "servizi di guerra". Il C. stesso avrebbe poi dato un accurato resoconto dell'attività svolta (Sull'opera compiuta dall'amministrazione comunale di Roma nel quadriennio 1914-1918, Roma 1919), in cui venne validamente affiancato dal prosindaco A. Apolloni e dal segretario generale E. Caselli. Ai provvedimenti imposti dal governo - calmiere, requisizioni, limitazioni dell'uso di determinate derrate, razionamento, tessera annonaria - la Giunta decise di affiancare, sull'esempio di altre grandi città, nuove iniziative: acquisto di grano, apertura di forni e di spacci municipali, costituzione dell'Ente autonomo di consumo. Premevano i problemi dell'assistenza (8.000 famiglie erano iscritte nell'elenco dei poveri in una popolazione arrivata a 650.000 unità): primo in Italia, fu creato l'Istituto della organizzazione civile, poi divenuto Ente autonomo, furono distribuiti sussidi (4.500.000 lire), buoni pasto gratuiti (400.000), viveri e indumenti, furono aperti asili per permettere una maggiore utilizzazione della mano d'opera femminile (da 6 passarono a 34); venne migliorata l'assistenza sanitaria. Lo Stato aveva intanto concesso, con legge del 1917, agevolazioni tributarie per la costruzione di case. La situazione finanziaria era sempre più grave: la limitazione dei consumi riduceva il gettito del relativo dazio (che era stato sempre principale fonte di entrata delle casse comunali) e le altre entrate mentre aumentavano le spese, anche per la necessaria riorganizzazione degli uffici. Dal 1915 al 1918 si accumulò un passivo di lire 25.000.000. Non poterono porre riparo le economie effettuate in altri settori e gli incrementi di alcune imposte (fra cui la tassa di famiglia per i redditi superiori a 100.000 lire annue, la tassa di esercizio e rivendita, l'aumento della sovraimposta terreni e fabbricati).
Il C. avrebbe anche curato la propaganda di guerra (per un suo discorso, pronunziato in Campidoglio il 4 luglio 1917, v. Nuova Antologia, 16 luglio 1917, pp. 203 s.).
Una commissione comunale continuava intanto a dibattere il problema dello sviluppo economico di Roma e individuava alcune linee d'intervento: costruzione di un quartiere industriale presso S. Paolo e di un porto a Ostia (su progetto di P. Orlando), raccordo ferroviario con quest'ultima località, navigabilità del Tevere, maggiore utilizzazione delle forze idrauliche e facilitazioni fiscali per i terreni destinati a fabbriche e case operaie, istruzione professionale e tecnica, sviluppo della produttività agricola. Chiedendo l'intervento dello Stato, il C. trasmise al governo, alla fine del 1917, gli atti del lavoro svolto e una nuova commissione mista di rappresentanti di varie istituzioni si mise al lavoro nel marzo 1918 "per il risorgimento economico, industriale e commerciale di Roma". Il C. presiedeva la sottocommissione incaricata dello sviluppo dell'agricoltura, in cui svolse, nel quadro anche dei suoi interessi di proprietario terriero, un'azione frenante: con l'asserzione che la bonifica dell'Agro rientrava nei compiti dello Stato (egli faceva parte della apposita commissione di studio), veniva preso in esame solo il problema della fascia "ortofrutticola" che circondava la città, indispensabile alla sua alimentazione. Il C. sosteneva, inoltre, l'inopportunità di assoggettarla a vincolo, auspicando un intervento del governo, con l'obbligo ai proprietari di terre nell'intera campagna circostante di destinarne una parte a coltivazione ortiva (sotto la sua guida, l'opera del comune nell'Agro si era limitata alla fornitura di alcuni servizi - stazioni sanitarie, polizia rurale, scuole -, alla elargizione di premi e di contributi, alla elaborazioni di un piano regolatore). Quando la commissione "per il risorgimento" di Roma terminò i suoi lavori, il C. non ne faceva più parte.
Nel citato scritto Sull'opera compiuta dall'amministrazione comunale indicava gli obiettivi del Campidoglio nel dopoguerra (ampliamento edilizio, sviluppo economico, ammodernamento dei servizi), facendo anche presente la necessità di un difficile periodo di transizione (i sindaci delle maggiori città italiane avevano discusso a Roma i loro problemi). Ma la fine del conflitto lo aveva visto di nuovo in primo piano sul terreno politico, acceso difensore dei diritti nazionali su Fiume e sulla Dalmazia. Nella battaglia, che tendeva ad animare e ad appoggiare il forte movimento cittadino, egli coinvolse il municipio: il 28 apr. 1919 il Consiglio, in cui erano vari nazionalisti, votava un ordine del giorno, nel quale si prendeva atto della volontà di Fiume e si ricordava al governo il dovere di liberare le città italiane non ancora redente; poco dopo il sindaco arringava la folla sul piazzale del Campidoglio. Il 4 maggio, nel grande comizio dell'Augusteo, il C. dava lettura, per l'approvazione, di un o. d. g. ancora più duro di quello del Consiglio; il 6 offriva ospitalità a D'Annunzio per l'infuocata orazione dal balcone del palazzo capitolino. La successiva polemica e la conflittualità con il governo lo spinsero, il 29 maggio, alle dimissioni. Gli subentrava il prosindaco Apolloni, mentre ricominciavano le discussioni sulle difficoltà antiche e nuove della città (arrivata nel 1921 a 663.848 abitanti) e sulle responsabilità governative e comunali. L'avvento del fascismo, visto con favore dal C., le stroncava: il municipio era trasformato in governatorato e posto in gran parte alle dipendenze del ministero degli Interni. F. Cremonesi sarebbe stato il primo governatore.
Il C. si dedicò a studi storici, utilizzando i ricchi archivi di famiglia: allo scritto su Francesco Massimo e i suoi tempi, apparso a Roma nel 1911, fecero seguito la Crociera dei cavalieri e delle dame del Sovrano Militare Ordine di Malta a Rodi e a Gerusalemme (Roma 1928) e I Colonna dalle origini all'inizio del secolo XIX. Sunto di ricordi storici (Roma 1927). All'impegno politico e amministrativo accompagnava una serie di altre funzioni: era gran balì dell'Ordine di Malta, presidente dell'Associazione dell'Arma di cavalleria, membro dell'Accademia di S. Luca, vicepresidente della Società italiana per il gas, presidente del comitato consultivo dell'Esercizio romana gas, presidente del consiglio di amministrazione dell'Istituto romano di beni stabili.Morì a Roma il 16 sett. 1937, solennemente celebrato. Era allora governatore il figlio Piero, succeduto nel 1936 a G. Bottai.
Fonti e Bibl.: Per un ulteriore approfondimento indispensabile il ricorso in Roma agli inesplorati archivi di famiglia e all'Archivio storico capitolino. Fra i principali necrologi: Il Messaggero, 17 sett. 1937; Il Popolo di Roma, 17 sett. 1937; La Tribuna, 18 sett. 1937; Il Lavoro fascista, 18 sett. 1937; A. Muñoz, Don P. C., in L'Urbe, II (1937), 9, pp. I-IV. In tutte le opere relative alle vicende romane fra Ottocento e Novecento sono rapidi accenni al C.: per l'attività politica si v. in particolare H. Ullrich, Le elezioni del 1913 a Roma, in Nuova Riv. stor., LV (1971), pp. 265-322, 537-588, in partic. pp. 281, 578; B. Vigezzi, L'Italia di fronte alla prima guerra mondiale, Milano 1966, ad Indicem; S. Cilibrizzi, Storia politica…, IV-V, Napoli 1940, ad Indicem. Per la sua attività amministrativa: A. Lucente, La legislazione sul Comune di Roma dal 1870 al 1955, Roma 1955; P. Colonna, Sull'opera compiuta dall'Amministrazione comunale, cit.; L'Amministrazione municipale di Roma durante la guerra e dopo la guerra, Roma s. d.; Riassunto dei lavori compiuti dalle Commissioni comunale e reale per il risorgimento economico industriale e commerciale di Roma, Roma 1920; A. Caracciolo, Roma capitale, Roma 1956, ad Indicem; M. Zocca, in Topografia e urbanistica di Roma, Bologna 1958, pp. 614 s., 663 ss.; I. Insolera, Roma moderna, Torino 1962, ad Indicem. Per i ricordi cittadini: P. Scarpa, Sessant'anni di vita romana, Roma 1956, pp. 222-247 e passim. Notizie di carattere familiare in P. Paschini, I Colonna, Roma 1965, p. 73 e passim; V. Colonna di Sermoneta, Memorie, Milano 1937, passim.