TAPARELLI d<apost>AZEGLIO, Prospero (Luigi).
Nacque a Torino il 24 novembre 1793 da Cesare e da Cristina Morozzo di Bianzè, settimo di otto fratelli.
L’educazione familiare ricevuta da Prospero fu improntata ai principi religiosi e civili dell’Amicizia cristiana, un’associazione di chierici e laici nata a Torino fra 1778 e 1780 per sostenere l’alleanza tra il trono e l’altare e la ricostituzione della Compagnia di Gesù, attraverso la produzione e la diffusione della ‘buona stampa’ cattolica. Entrambi i genitori erano parte attiva di questa associazione e per questo Prospero, insieme ai fratelli, fu coinvolto fin dall’infanzia in una vita religiosa comunitaria più ampia di quella familiare, scandita da un quotidiano ritmo liturgico e da più lunghi ritiri spirituali.
Nel 1800, a seguito dell’avanzare dell’armata francese e del progressivo stabilizzarsi del dominio napoleonico nel territorio piemontese, la famiglia Taparelli, in segno di fedeltà al re e mal sopportando il dominio straniero, si trasferì in volontario esilio a Firenze. Nel frattempo, Prospero, coi fratelli Enrico e Roberto, studiava a Siena, sotto la direzione dei padri delle Scuole Pie, presso il Collegio Tolomei.
Nel 1806 Prospero lasciò Siena per Firenze, dove iniziò a frequentare le Scuole Pie di San Giovannino. Poco tempo dopo, nel 1807, un decreto di Napoleone costrinse al rimpatrio le famiglie piemontesi emigrate.
Con l’annessione del Piemonte all’Impero, Napoleone avviava un processo di consolidamento politico-sociale, che prevedeva l’integrazione dei figli delle famiglie nobili piemontesi nell’amministrazione e nell’armata francese: Prospero, a quel tempo quattordicenne, fu nominato fra i nuovi allievi della Scuola imperiale militare di Saint-Cyr e in seguito in quella di Saint-Germain. Benché non si mostrasse affatto indifferente al fascino della carriera militare, come avrebbe confessato in seguito al suo padre spirituale, il padre Cesare fece il possibile per strapparlo dalle mani di quello che la famiglia considerava un ‘usurpatore’. L’arcivescovo di Torino, Giacinto della Torre, intermediario principale della questione, inviò una missiva all’imperatore, tramite il ministro dei Culti, Félix Julien Jean Bigot de Préameneu, chiedendo di esonerare Prospero da tale obbligo per una sua attestata vocazione ecclesiastica. Il 22 ottobre 1810 Napoleone acconsentì alla dispensa.
Nel 1811 a Torino, Taparelli ricevette gli ordini minori dall’arcivescovo Della Torre e conseguì il titolo di bachelier en lettre presso l’Oratorio di San Filippo Neri, uno dei pochi seminari a essere stato riaperto durante il periodo napoleonico. Partecipava, inoltre, all’Accademia ecclesiastica, un’associazione di giovani chierici improntata agli insegnamenti di Alfonso Maria de' Liguori, diretta da Pio Brunone Lanteri, fondatore dell’ordine degli oblati di Maria Vergine, e del teologo Luigi Maria Fortunato Guala, entrambi appartenenti all’Amicizia sacerdotale, costola dell'Amicizia cristiana. L’Accademia ecclesiastica formò Taparelli a una forte militanza teologico-politica di stampo rigorosamente cattolico romano in funzione antigallicana e antigiansenista.
Nel 1814, con la Restaurazione, Taparelli seguì a Roma il padre, ambasciatore ad interim del Regno di Sardegna presso la Santa Sede, presenziando all’udienza pontificia del 14 giugno di quello stesso anno. Nella città eterna, intraprese un periodo di apostolato, attraverso la predicazione e la confessione rivolte ai prigionieri di Castel Sant'Angelo, sotto la guida di Luigi Felici, un ex gesuita, fondatore nel 1785 della Pia Unione di San Paolo Apostolo, di cui lo stesso Taparelli entrò a far parte.
Nel settembre 1814, a poco più di un mese dalla promulgazione della bolla Sollecitudo omnium ecclesiarum, con cui Pio VII aveva decretato la ricostituzione della Compagnia di Gesù, Taparelli decise di farsi gesuita. Nel mese di novembre dello stesso anno, dopo la visita del papa con cui si aprì l’anno accademico, egli iniziava il suo noviziato a Sant’Andrea al Quirinale. Fu in tale occasione che scelse il nome Luigi con cui è passato alla storia e che, molto probabilmente, era legato alla devozione per Luigi Gonzaga, santo della Compagnia nonché fondamentale modello educativo nei collegi gesuitici fra il XVII e il XVIII secolo.
Taparelli ebbe una rapidissima ascesa ai vertici della Compagnia di Gesù. Già nel 1816, ancora durante il noviziato, veniva inviato a Torino in qualità di procuratore della Compagnia presso il governo sardo, a seguito di un regio biglietto di Vittorio Emanuele I che disponeva il ristabilimento dei gesuiti nel proprio Regno. Nel 1818, poco dopo l’ordinazione sacerdotale, fu creato ministro e in seguito rettore del Regio Collegio di Novara, il primo istituto del Regno sabaudo affidato ai gesuiti.
Nel 1824, all’età di trentun anni, fu nominato rettore del Collegio Romano, una volta che questo fu restituito alla Compagnia. Qui, fra i diversi compiti assolti, Taparelli si occupò della riforma della Ratio studiorum, uno dei testi fondatori della Compagnia.
Gli archivi della Compagnia conservano diverse relazioni scritte da Taparelli a tal riguardo, che manifestano un graduale spirito di conciliazione verso il pensiero moderno, fondandosi su una strategia semantica che utilizzava una terminologia scientifica moderna per preservare, in una nuova forma, il fondamento epistemologico aristotelico-tomista dell’antica Ratio.
Nel frattempo, all’interno della Compagnia la questione della riforma della Ratio studiorum si tradusse in un’aspra querelle che coinvolgeva i vertici dell’Ordine ignaziano e che probabilmente fu la causa del trasferimento, nel 1829, di Taparelli a Napoli, dove fino al 1832 ricoprì la carica di preposito provinciale. La sua gestione della provincia napoletana si concentrò particolarmente sulla riforma degli studi, orientata verso la rinascita della filosofia scolastica e l’attuazione di un programma d’espansione territoriale dell’Ordine. Anche gli anni dell’amministrazione della provincia lo videro al centro di diverse polemiche: il suo impegno per il mantenimento del metodo tomista nell’insegnamento nei collegi lo portò nuovamente al disaccordo con alcuni confratelli, ostili a tale orientamento. Diversi furono i problemi anche sul piano economico: l’espansione territoriale dell’Ordine, che Taparelli promosse fino alle Puglie, non corrispose a un’adeguata gestione delle risorse disponibili. Si giunse al punto che il governo centrale della Compagnia inviò da Roma due commissari per una valutazione dell’operato amministrativo di Taparelli: l’esito non fu positivo per l’aggravarsi delle tensioni e Jan Roothaan, generale della Compagnia, decise di trasferire Taparelli in Sicilia come ‘semplice operaio’.
Nel 1833 iniziava il soggiorno di Taparelli al Collegio Massimo di Palermo, dove insegnò diritto naturale e francese e si occupà delle confessioni e della direzione del coro. Durante il periodo palermitano si dedicò più sistematicamente all’attività teoretica, componendo quel Saggio teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto (I-V, Palermo 1840-43), che lo ha reso celebre ai suoi e ai nostri contemporanei.
Si tratta della prima opera sul tema del diritto naturale fortemente agganciata ai problemi cruciali – giuridici, politici ed economici – del suo tempo e, contemporaneamente, in linea con la coeva dottrina cattolica romana.
Fu proprio sulla scia della pubblicazione del Saggio, numerose volte riveduto e corretto dall’autore anche in funzione dei mutevoli rapporti fra poteri civili e religiosi in Italia, che Taparelli sembrava, stando alle fonti pervenuteci, riprendere la sua vita attiva anche oltre i confini della Compagnia di Gesù. Il gesuita, infatti, era in stretto contatto con i liberali più moderati del suo tempo: i fratelli Massimo e Roberto, il cugino Cesare Balbo, l’abate Vincenzo Gioberti e Marco Minghetti. Con questi instaurò un dialogo fruttuoso, fatto di intensi scambi epistolari e di riunioni nella sua sede di Palermo, che permetteva d’intravedere la possibilità di una concreta collaborazione fra la Compagnia e l’ala moderata del liberalismo italiano. Già a partire dal 1843, anno in cui fu pubblicato Del primato morale e civile degli italiani, intrecciò una relazione epistolare con Gioberti, conosciuto in gioventù durante gli studi torinesi presso l'Oratoio di San Filippo Neri: le lettere di Taparelli sono piene di stima verso il suo lontano collega nonché di critica ammirazione verso il suo programma politico di matrice neoguelfa e verso la sua impostazione metafisica. L’armonia fra i due durò poco, incrinandosi nel 1845 dopo la pubblicazione dei Prolegomeni del primato civile e morale degli italiani, una lunga introduzione aggiunta al precedente Del primato civile e morale degli italiani, in cui Gioberti dichiarava l’opposizione fra i princìpi morali cattolici e quelli lascivi e autoritari propri del gesuitismo. Taparelli, su richiesta dello stesso generale Roothaan, reagì con una lettera, datata 15 giugno 1845, dove, invano, chiedeva all’amico di rivedere le sue posizioni contro la Compagnia.
Nel 1847, forse all’insaputa dello stesso Taparelli, si pubblicava a Genova, presso l’editore Ponthenier, il suo Della nazionalità, un breve saggio, che nelle esplicite intenzioni dell’autore era destinato ad annettersi come nota alla quarta edizione del suo Saggio sul diritto naturale. Le reazioni al suo breve scritto furono molto dure: la concomitanza fra la pubblicazione e la crisi della dominazione austriaca nel Regno Lombardo-Veneto, condusse molti, sia fra i gesuiti che fra i liberali, a dare un’interpretazione politica dell’opuscolo, applicando all’astrattezza filosofica del saggio la storia concreta che allora traversava l’Italia. Da questa pubblicazione nacque un caso diplomatico che coinvolse i vertici della Compagnia e i moderati piemontesi: la tesi incriminata, secondo cui per la nazione non è essenziale l’attributo dell’indipendenza, portò i liberali, anche quelli più vicini a Prospero, come i fratelli Roberto e Massimo, il cugino Cesare Balbo e Gioberti a supporre che la Compagnia avesse abusato della penna di Taparelli per esprimere il proprio assenso verso la dominazione austriaca nel Regno Lombardo-Veneto sancita dal Congresso di Vienna. Dal carteggio edito di Taparelli con i superiori della Compagnia non emerge una tale manipolazione e, d’altra parte, l’autore rivendicava, contro ogni accusa di patteggiamento dell’Ordine con l’Impero austriaco, l’istanza essenzialmente teorica del suo scritto che, pur interessandosi e misurandosi ai fatti sociali più vivi del suo tempo, non pretendeva né intendeva prender parte alle concrete scelte politiche dettate dalla contingente situazione italiana.
La questione toccava il suo culmine con la pubblicazione nel 1847 del quinto tomo dell’opera Il Gesuita moderno, dove in una nota Gioberti confutava punto per punto gli argomenti del saggio di Taparelli. Lo scontro fra l’abate e il gesuita manifestava in maniera emblematica i primordi della complessa costruzione del programma e del mito del nazionalismo italiano. Da questa disputa intellettuale emergeva il dissidio interno che caratterizzava l’ideologia risorgimentalale italiana, in cui confliggeva quanto per gli altri Stati europei del tempo e per lo stesso Pio IX, re italiano e pontefice, era concepito come naturalmente unito: le idee di Stato-nazione e quelle di popolo e civiltà.
L’ultima reviviscenza del sogno di Taparelli di conciliare cattolicesimo e liberalismo si ebbe durante la rivoluzione che nel 1848 agitò la Sicilia. Come spiegava in una lettera a suo fratello Massimo, Prospero insieme ad alcuni suoi confratelli aderì alla causa dei liberali per l’autonomia dell’isola dal Regno borbonico: «tutti quanti fummo in Palermo ci dichiarammo da quel giorno per la causa comune: ci occupammo a vicenda negli stessi ministeri, ci mettemmo con voi nella dubbia sorte di vincere o morire» (De Rosa, 1963, p. 289).
Tuttavia, una volta che i moti siciliani furono repressi, Taparelli fu costretto a fuggire e venne poi arrestato. Una volta scarcerato, trovò rifugio prima a Torino e poi a Marsiglia, finché nel 1849 tornò per breve tempo a Palermo.
Nel frattempo, il suo sogno conciliatore si era infranto definitivamente con il ritiro delle truppe pontificie dalla guerra contro l’Austria, decretato con l’allocuzione Non semel di Pio IX, che rompeva il precario equilibrio che sino ad allora aveva caratterizzato l’atteggiamento ambivalente del papa rispetto agli ideali risorgimentali, risolvendo definitivamente l’equivoco attraverso una loro netta condanna.
Malgrado la sua logica di compromesso non potesse trovare sbocchi nella realtà politica contemporanea, Taparelli seppe far fruttare all’interno della stessa Compagnia uno dei progetti vagheggiati insieme ai suoi amici liberali: nel 1850 con altri confratelli (fra i quali Carlo Maria Curci e Matteo Liberatore) fondò, grazie anche al diretto appoggio del pontefice, il primo periodico gesuita in lingua volgare: La Civiltà cattolica. Sulle pagine di questo periodico, di cui fu caporedattore e poi responsabile della sezione di morale e diritto, Taparelli scatenava maggiormente la sua invettiva, sempre più colma di rammarico e disillusione, contro i primi passi del governo liberale sabaudo. Prima come caporedattore, poi come responsabile della sezione di morale e diritto della Civiltà cattolica, Taparelli dedicò a un’indefessa e poliedrica attività pubblicistica gli ultimi anni della sua vita.
Morì a Roma il 21 settembre 1862.
Oltre a quelle citate nel testo, si segnalano: La preghiera cattolica considerata in ordine alla civiltà de' popoli, Milano 1847; Corso elementare di natural diritto. Opera del padre L. T. della Compagnia di Gesù, adottata per testo presso la R. Università degli studii in Modena, Modena 1851; Esame critico degli ordini rappresentativi nella società moderna, I-II, Roma 1854,
Roma, Archivio della Civiltà cattolica, Fondo Taparelli d’Azeglio; Ibid., Archivum Romanum Societatis Iesu, Archivio della Nuova Compagnia, Provincia Romana; Provincia d’Italia; Registro T. Aloysius Fortis pars I. 1821-1823, II. 1824-1825, III. 1825; Studia, 8-13; Ibid., Archivio Storico della Pontificia Università Gregoriana, Fondo del Collegio Romano; Arch. di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, 1ª cat., Negoziazioni con Roma; Istruzione pubblica, Scuole secondarie e collegi; Fondo Morozzo I e II versamento. Inoltre: M. Curci M., Sopra gli studi e gli scritti del padre L.T. d’A., in Civiltà cattolica, XIII (1862), 4, pp. 385-404, pp. 546-564; E. Di Carlo, Una polemica tra V. Gioberti e p. L. T. intorno alla nazionalità, Palermo 1919; Id., Tre lettere inedite del padre L. T. d’A. a Vincenzo Gioberti, Bologna 1921; Id., Lettere inedite di C. Balbo e L. T. d'A., Torino 1923; Id., Un brano di lettera inedita di A. Rosmini al p. L. T. d’A., in Rivista rosminiana, XVIII (1924), 2, pp. 65-71; P. Pirri, L’Università Gregoriana del Collegio Romano nel primo secolo dalla restituzione 1553-1824-1924, Roma 1924, ad ind.; E. Di Carlo, Uno scambio di lettere tra C. Balbo e p. L. T. d’A., Palermo 1925; Id. Un carteggio inedito del p. L. T. d’A. coi fratelli Massimo e Roberto, Roma 1926; A. Brucculeri A., Un precursore italiano della società delle nazioni, in Civiltà cattolica, LXXVII (1926),1, pp. 395-405; 2, pp. 28-37, pp. 121-131; P. Pirri, La scolastica e la politica dei gesuiti, in Civiltà cattolica, LXXVIII (1927), 3, pp. 193-205; I carteggi del p. L. T. d'A. della Compagnia di Gesù, a cura di P. Pirri, Torino 1932; G. De Rosa, I gesuiti in Sicilia e la rivoluzione del ’48. Con documenti sulla condotta della Compagnia di Gesù e scritti inediti di L. T. d’A., Roma 1963; Miscellanea Taparelli. Raccolta di studi in onore di L. T. d’A. nel primo centenario della morte, Roma 1964; F. Traniello, La polemica Gioberti-T. sull’idea di nazione e sul rapporto tra religione e nazionalità, in Id., Da Gioberti a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano 1990, pp. 43-62; L. Di Rosa, L. T., l'altro d'Azeglio, Milano 1991; F.C. Dandolo, Insediamenti e patrimoni die gesuiti nel mezzogiorno continentale (1815-1900), Napoli 1998, pp. 65-90; G. Dianin, L. T. d’A. (1793-1862). Il significato della sua opera al tempo del rinnovamento neoscolastico, per l’evoluzione della teologia morale, Roma 2000; T. Behr, L. T. and the 19th-Century Neo-Thomistic “Revolution” in Natural Law and Catholic Social Sciences, Doctoral Thesis, State University of New York at Buffalo, 2000; Id., L. T.’s Natural Law Approach to Social Economics, in Journal des Économistes et des Études Humaines, XIII (2003), 2, online: https://doi.org/10.2202/1145-6396.1093; Id., Luigi Taparelli and Social Justice. Rediscovering the Origins of a “Hollowed” Concept, in Social Justice in Context, 2005, vol. 1, pp. 3-16; F. Traniello, Religione cattolica e Stato nazionale. Dal Risorgimento al secondo dopoguerra, Bologna 2007, pp. 36, 62-64, 76, 78-81, 97 s., 105, 112, 170.