Prostata
La prostata (dal francese prostate, ripreso dal greco προστάτης, alla lettera "che sta davanti") è un organo ghiandolare, fibromuscolare dell'apparato urogenitale maschile (v. vol. 1°, II, cap. 9: Pelvi, Organi genitali maschili). È situata tra la vescica e il distretto pelvico, attorno alla prima porzione dell'uretra, ed è attraversata dai dotti eiaculatori. Secerne un liquido alcalino, il liquido prostatico, che ha la funzione di diluire lo sperma e la cui alcalinità aiuta a neutralizzare l'ambiente acido dell'uretra e delle vie genitali femminili, facilitando la sopravvivenza degli spermatozoi; inoltre contiene un composto, la cui natura non è ancora del tutto chiara, con proprietà antibatteriche. Le dimensioni della prostata variano in funzione dell'età e di diverse patologie; un'infiammazione cronica, per es., provoca tumefazione e deformazione del tessuto prostatico, che comprime l'uretra limitando o impedendo il flusso urinario. Filogenesi e ontogenesi La comparsa della prostata, come quella di altre ghiandole accessorie dell'apparato urogenitale maschile, è in relazione alla formazione e all'arricchimento del liquido spermatico, elementi che si resero necessari quando, nel corso dell'evoluzione dei Vertebrati, si passò dalla fecondazione esterna a quella interna. La prima, tipica della maggior parte dei Pesci e degli Anfibi, prevede che le cellule sessuali di entrambi i sessi, spermatozoi e cellule uovo, vengano rilasciate nell'ambiente acquatico, idoneo al movimento degli spermi verso l'uovo. Il passaggio dall'ambiente acquatico a quello terrestre fu possibile solo con l'acquisizione da parte dell'uovo di una struttura particolare, il guscio, che, circondando e proteggendo l'embrione nel suo ambiente interno, permetteva la deposizione sulla terraferma senza il rischio della disidratazione. Questo adattamento ha reso indipendente dall'acqua lo sviluppo dei primi Rettili; la presenza della struttura protettiva, tuttavia, determinava la necessità di un altro tipo di fecondazione, con la quale lo sperma potesse raggiungere l'uovo prima che questo venisse racchiuso nel guscio. La fecondazione interna, il trasferimento, cioè, degli spermatozoi nel canale genitale femminile, divenne quindi la strategia di maggior successo evolutivo. Nonostante l'emancipazione degli organismi dall'ambiente acquatico, i gameti, comunque, non si svincolarono mai dalla necessità di un mezzo acquoso: nella fecondazione interna l'acqua venne così sostituita da liquidi secreti dal corpo. A tal fine, diverse ghiandole accessorie si sono sviluppate nei Vertebrati terrestri, soprattutto nei Mammiferi, nei quali esse si aprono lungo le vie genitali o alla confluenza tra dotti spermatici e uretra. La ghiandola prostatica è peculiare dei Mammiferi, pur non comparendo in tutti gli ordini. Durante lo sviluppo embrionale umano, la prostata deriva da una serie di gemme entodermiche del rivestimento dell'uretra primitiva e dell'adiacente porzione pelvica del seno urogenitale (la porzione ventrale della cloaca embrionale nella quale sboccano i dotti ureterali e genitali). Queste gemme crescono nel mesenchima circostante, che si differenzia nei componenti muscolari e connettivi della ghiandola.
l. Cenni anatomici La prostata ha la forma di una piramide rovesciata; presenta una base e un apice, una superficie anteriore, una posteriore e due superfici laterali. La base è costituita dalla superficie adiacente al collo vescicale, mentre l'apice è situato nella parte inferiore. La superficie anteriore delimita la cavità posteriore del distretto retropubico, le superfici laterali sono strette dalle fasce prostatiche del muscolo elevatore dell'ano, la superficie posteriore è collocata in linea con il retto da cui è separata dalla fascia rettovescicale. All'interno della superficie posteriore della prostata, inferiormente alla vescica, passano i dotti eiaculatori, che attraversano obliquamente la ghiandola per circa 2 cm per poi sfociare separatamente nell'uretra prostatica, in un punto situato a circa metà della sua lunghezza, sul veru montanum. Uno strato sottile di tessuto connettivale alla periferia della prostata forma quella che viene definita la 'vera capsula'. La prostata ghiandolare può essere suddivisa in tre diverse zone: 1) una zona periferica, che rappresenta circa il 70% della porzione ghiandolare prostatica e i cui dotti confluiscono nell'uretra prostatica distale; 2) una zona centrale, che comprende circa il 20-25% della prostata ghiandolare e che circonda con il proprio apice i dotti eiaculatori, aderendo con la base al veru montanum e al collo vescicale; 3) una zona di transizione, che rappresenta la porzione più piccola del tessuto ghiandolare prostatico, coprendone circa il 5-10%, e consta di due piccoli lobi i cui dotti si aprono nella parte prossimale dell'uretra prostatica. E.J. McNeal (1985) ha messo in evidenza nette differenze istologiche tra la zona ghiandolare centrale e quella periferica, che potrebbero indicare una differenziazione nelle funzioni. Nella zona periferica e in quella transizionale, i dotti e gli acini misurano generalmente 0,15-0,3 mm di diametro e presentano contorni semplici. I dotti e gli alveoli della zona centrale sono più grandi con un diametro fino a 0,6 mm. Nella zona centrale i lobi ghiandolari sono separati da fasce di cellule muscolari lisce compatte, ma il rapporto dell'epitelio con lo stroma appare più elevato rispetto a quello rilevabile nelle zone periferica e transizionale. Lo stroma della zona transizionale è costituito dall'intrinsecarsi di fasci di cellule di muscolatura liscia compatta, che si mescolano con lo stroma adiacente dello sfintere preprostatico e con lo stroma fibromuscolare anteriore. Appurata l'esistenza di zone distinte dal punto di vista anatomico e istologico all'interno della prostata umana, sono iniziati diversi studi sulla relazione tra le patologie prostatiche e le diverse parti che costituiscono la ghiandola, nonché sulla dipendenza ormonale delle varie zone. L'ipertrofia prostatica benigna ha origine prevalentemente nel tessuto ghiandolare preprostatico e periuretrale. Il carcinoma prostatico, nella sua fase iniziale, si manifesta generalmente sotto forma di piccoli noduli, con volume inferiore a 0,1 cm3, che si sviluppano nella zona periferica della prostata. Anche gli stati infiammatori sono rilevati più frequentemente nella zona periferica.
La crescita e lo sviluppo prostatico dipendono dalla produzione degli ormoni androgeni. La differenziazione della prostata durante l'embriogenesi, il suo sviluppo durante la maturazione puberale e la formazione del secreto prostatico nell'adulto, sono infatti processi che si svolgono sotto il controllo ormonale e un ruolo di primaria importanza deve senz'altro essere attribuito agli androgeni. Contrariamente allo sviluppo delle strutture anatomiche derivate dal dotto di Wolff, che dipendono unicamente dal testosterone, la differenziazione della prostata, come struttura derivante dal seno urogenitale, è controllata dall'ormone che si forma per azione dell'enzima 5-α-reduttasi sul testosterone: il diidrotestosterone. Questo è indispensabile per mediare la crescita e lo sviluppo prostatico a partire dal segmento pelvico del seno urogenitale. J. Imperato-McGinley (1984), analizzando il fenotipo di maschi pseudoermafroditi con deficienza di 5-α-reduttasi, ha notato come questi soggetti presentavano un normale sviluppo di vescicole seminali, epididimi e deferenti, ma prostate piccole o assenti. Elemento essenziale per l'azione androgena è la presenza del recettore; il contenuto in recettori androgenici prostatici è regolato non soltanto dal livello degli androgeni ma anche da quello degli estrogeni tessutali, dai quali dipende anche la formazione dei recettori estrogenici e progestinici. Recettori androgenici sono stati individuati prevalentemente nelle cellule epiteliali; la loro concentrazione si aggira intorno a 327 ± 27 fmol/mg di DNA nella frazione nucleare e intorno alle 387 ± 26 fmol/mg di proteine nella frazione citosolica. Sia le cellule epiteliali sia quelle stromali sono bersaglio potenziale dell'azione androgenica, in quanto entrambe contengono recettori androgenici e un'attività 5-α-reduttasica: tuttavia gli effetti più rilevanti sono stati riscontrati nella componente ghiandolare. Studi sulla distribuzione epiteliale e stromale dei recettori steroidei hanno messo in evidenza che l'epitelio prostatico possiede oltre a recettori androgenici anche recettori progestinici, mentre è povero di recettori estrogenici; al contrario lo stroma contiene prevalentemente recettori estrogenici, nonché recettori androgenici. Come è stato in precedenza descritto, la prostata umana consiste di numerosi elementi ghiandolari, delimitati da cellule epiteliali e circondati da una matrice stromale. È sempre più convincente la teoria secondo la quale la componente stromale del tessuto prostatico svolge un ruolo importante nella regolazione dell'attività strutturale e funzionale degli elementi epiteliali. Ugualmente, anche gli elementi epiteliali potrebbero influenzare l'attività stromale. Esistono numerosi dati riguardo alle interrelazioni fra stroma ed epitelio durante lo sviluppo prostatico. Dal momento che questi studi hanno identificato i segnali induttivi esistenti fra le cellule come i maggiori determinanti di crescita e differenziazione, sembra possibile che alterazioni di queste correlazioni possano essere implicate nella patogenesi dell'ipertrofia prostatica benigna. Nelle interazioni stroma-epitelio sono probabilmente coinvolti fattori strutturali e fattori diffusibili ad azione locale, autocrina e paracrina. È stato evidenziato che, sebbene gli androgeni siano un prerequisito necessario per la proliferazione delle cellule prostatiche, la divisione cellulare non è un'inevitabile conseguenza della loro presenza. Il controllo degli androgeni e degli estrogeni è probabilmente solo indiretto, attraverso l'azione di mediatori androgeno- o estrogenodipendenti di origine stromale. In coltura, gli androgeni stimolano la sintesi di DNA nel tessuto epiteliale prostatico in presenza di elementi stromali, ma essi hanno soltanto minimi effetti mitogenici su colture di cellule epiteliali isolate, in assenza degli elementi stromali. L'omeostasi tessutale richiede un elaborato bilancio fra proliferazione e morte cellulare. Ogni disequilibrio porterà a un aumento delle dimensioni del tessuto. L'apoptosi (v. necrosi), un importante meccanismo fisiologico usato per mantenere l'omeostasi del tessuto stesso, è stato ben caratterizzato nella prostata e in altri tessuti ormonodipendenti. L'interazione stroma-epitelio, particolarmente evidente nella prostata, non si limita allo scambio di ormoni steroidei, ma giunge anche a quello di fattori peptidici di crescita, che sono capaci di controllare per via paracrina gli effetti fra stroma ed epitelio e per via autocrina la differenziazione, l'attività funzionale e la crescita all'interno di un singolo compartimento cellulare. La presenza di fattori di crescita nel tessuto prostatico umano è stata dimostrata con tecniche immunoistochimiche, immunofluorescenti e radioimmunologiche. È ipotizzabile che questi fattori siano coinvolti in vari disordini prostatici, fra i quali l'ipertrofia prostatica benigna.
Le patologie prostatiche sono divenute negli ultimi anni un argomento di sempre maggiore interesse, in relazione anche all'allungamento dell'età media della popolazione, legato a una maggiore espressione clinica di problemi quali l'ipertrofia prostatica benigna e il carcinoma della prostata. a) Ipertrofia prostatica benigna. La ghiandola prostatica aumenta lentamente di volume a partire dalla nascita fino all'età puberale dell'individuo, quando si osserva una rapida crescita che proseguirà fino alla terza decade di vita; in seguito il volume rimane pressoché invariato fino ai 40 anni. Anche se la prevalenza dell'ipertrofia prostatica benigna risulta estremamente bassa prima dei 40 anni, successivamente vi è un rapido e continuo incremento fino alla settima e ottava decade di vita. La storia naturale di questa patologia comprende due fasi: patologica e clinica. La prima, o fase patologica, è suddivisa in due stadi, denominati microscopico e macroscopico, nessuno dei quali induce necessariamente la comparsa di una sintomatologia clinica. Quasi tutta la popolazione maschile sviluppa un'ipertrofia prostatica benigna microscopica a partire dall'età di 25-30 anni. Essa è caratterizzata dallo sviluppo di modificazioni iperplastiche nella zona transizionale della prostata. La prevalenza di un'ipertrofia prostatica benigna istologicamente identificabile raggiunge il 100% all'età di 80 anni. Al contrario, all'età di 60 anni, solo la metà delle forme microscopiche evolverà nello stadio macroscopico, con un reale aumento delle dimensioni della ghiandola prostatica. È probabile quindi che fattori addizionali siano necessari per la progressione dalla fase microscopica a quella macroscopica. Inoltre, di queste ipertrofie macroscopiche, solo il 50% è accompagnato da una sintomatologia clinica tale da richiedere un trattamento. Quindi si può affermare che l'aumento delle dimensioni prostatiche è un fattore necessario ma non sufficiente per il passaggio dalla fase patologica a quella clinica. È inoltre possibile rilevare come, mentre la fase microscopica si estende per un periodo di diversi decenni, la trasformazione in una fase clinicamente rilevabile avvenga in un arco di tempo estremamente più breve. Sono state osservate variazioni geografiche della prevalenza dell'ipertrofia prostatica benigna. In 1900 autopsie eseguite in Cina, per es., la frequenza con cui è stata riscontrata un'ipertrofia prostatica era del 6,6% fra i nativi e del 47,2% per gli stranieri. Dati simili sono stati rilevati in Giappone. Al contrario negli Stati Uniti l'incidenza dell'ipertrofia prostatica benigna fra i bianchi e i cinesi è la stessa. La dieta è sicuramente correlata alla genesi di questa patologia. In particolare, risulterebbe che quella orientale, contraddistinta dall'utilizzo di un'alta percentuale di soia e di fibre, possa influenzarne negativamente lo sviluppo. Fra i fattori di rischio associati all'ipertrofia prostatica, l'età sembra essere quello più evidente. Probabilmente a essa sono legate variazioni ormonali, considerando che la patologia non è presente in soggetti castrati prima dell'età puberale. Diverse ricerche autoptiche hanno esaminato la coesistenza o lo sviluppo di un'ipertrofia prostatica nei soggetti affetti da cirrosi epatica. Anche l'ipertensione arteriosa sembra essere associata all'ipertrofia prostatica benigna. Per es., è stato riportato un rischio relativo di 10 per i soggetti ipertesi di età compresa fra i 45 e 64 anni e di 5 dopo i 65 anni. La sintomatologia si manifesta in tre stadi successivi: nello stadio iniziale, detto irritativo, sono presenti difficoltà alla minzione, in particolare all'inizio della stessa, diminuzione della validità del getto urinario con gocciolamento postminzionale, aumento marcato della frequenza delle minzioni diurne e comparsa di minzioni notturne. Nel secondo stadio, detto ritenzione cronica parziale, i sintomi dello stadio iniziale si accentuano e il paziente non riesce a svuotare completamente la vescica nella quale, dopo la minzione, rimane una certa quantità di urina (residuo vescicale). Nel terzo stadio, detto ritenzione cronica totale, la vescica è distesa dall'urina che vi rimane, la minzione volontaria diviene impossibile ed è sostituita da una minzione per rigurgito caratterizzata da uno stillicidio di urina. Complicanze dell'ipertrofia prostatica sono cistiti, ematuria, calcolosi vescicale e, nelle fasi tardive, un quadro di insufficienza renale (attualmente rara). Oggi la chirurgia rappresenta la terapia standard dell'ipertrofia prostatica benigna, ma nelle varie nazioni esiste una significativa variazione della percentuale di individui sottoposti all'intervento. In Italia circa l'80% dei pazienti con problemi minzionali preferisce una terapia alternativa prima della chirurgia. b) Prostatite. Viene definita con il termine prostatite l'infiammazione provocata da microrganismi infettivi che possono pervenire alla prostata per via canalicolare (uretra) o per via ematica nel corso di infezioni generali. Si distinguono in base al decorso forme acute o croniche. Le forme acute sono caratterizzate da febbre, brividi e disturbi urinari molto intensi (tenesmo vescicale, bruciore minzionale, dolore perineale, a volte ritenzione acuta di urina). L'evoluzione può comportare la completa remissione oppure la formazione di un ascesso prostatico o di un flemmone periprostatico. In questo caso si ha un'accentuazione dei sintomi urinari insieme a una compromissione dello stato generale. Se l'ascesso non si apre spontaneamente in uno degli organi vicini (uretra, retto) è necessario ricorrere a un'incisione per via perineale. La terapia si basa sull'impiego di antibiotici. La forma cronica può non presentare sintomi, oppure possono essere presenti disturbi urinari quali pollachiuria, disuria, senso di replezione nel retto. La terapia consiste nella somministrazione di antibiotici, antinfiammatori e nella pratica di massaggi prostatici, che determinano un miglioramento delle condizioni locali sanguigne e linfatiche e favoriscono il riassorbimento degli essudati. c) Tumori maligni della prostata. Sono in genere costituiti da adenocarcinomi, di solito originatisi dalla parte periferica della ghiandola che, in una prima fase, viene invasa all'interno della capsula. Si ha poi lo sconfinamento a livello della loggia prostatica, con invasione delle linfoghiandole e infiltrazione delle vescicole seminali. Sedi elettive di metastasi sono le ossa del bacino e la colonna vertebrale. La sintomatologia è caratterizzata dall'insieme dei disturbi urinari descritti per l'ipertrofia prostatica, che generalmente coesiste, cui si associano nelle fasi avanzate dolori irradiati agli arti, alle regioni trocanteriche e ai lombi. La terapia è chirurgica e si può ottenere guarigione definitiva in caso di diagnosi precoce. Trattamento complementare o alternativo per i casi inoperabili è la terapia radiante e farmacologica con preparati ormonali per ottenere una castrazione farmacologica.
bibl.: Benign prostatic hyperplasia, ed. R. Kirby et al., London-New York, Gower Medical, 1993 (trad. it. Torino, UTET, 1997); Campbell's urology, ed. P.C. Walsh et al., Philadelphia, Saunders, 19926, pp. 1007-22; e. giavini, Embriologia comparata dei Vertebrati, Napoli, SES, 1989; j. imperato-mcginley, The syndromes of male pseudohermaphroditism and 5-alpha-reductase deficiency, in Regulation of androgen action, ed. N. Bruchovsky, Montreal, Liebert, 1984; e.j. mcneal, Morphology and biology of benign prostatic hyperplasia, in Ipertrofia prostatica benigna, Atti del Simposio internazionale di Taormina, a cura di F. Di Silverio, F. Neumann, M. Tannenbaum, Torino, UTET, 1985, pp. 3-10.