Prostituzione
di Nanette J. Davis
La prostituzione può essere definita in termini generali come una prestazione sessuale a scopo di lucro. Tale definizione mette in evidenza due caratteristiche universali del fenomeno: la componente economica, per cui la prostituzione si configura come una transazione commerciale, e la natura relativamente indiscriminata di tali transazioni, che coinvolgono estranei anziché il coniuge o persone amiche (v. Davis, 1986¹⁸). Sebbene la componente economica costituisca la caratteristica più significativa della prostituzione, dalla sua definizione resta esclusa una vasta gamma di comportamenti sessuali, come ad esempio sposarsi per interesse, mantenere un'amante o una concubina, avere rapporti sessuali occasionali in cambio di cibo o di regali, ricevere gratificazioni sessuali esclusivamente da stimoli visivi o auditivi (linee telefoniche erotiche, spettacoli a luci rosse, ecc.). Rientra invece nell'ambito della prostituzione la partecipazione coatta a rapporti sessuali a pagamento, ad esempio quando donne e bambine vengono vendute come schiave e costrette a lavorare in una casa di prostituzione o per uno sfruttatore.
Le definizioni della prostituzione sono dipese da significati legati a specifici contesti culturali che nel mondo contemporaneo hanno perduto le loro origini linguistiche. Ad esempio Jacques Rossiaud (v., 1988) mette in rilievo il carattere pubblico della prostituta nella società medievale, ma tale distinzione tra pubblico e privato non è applicabile alle società occidentali contemporanee. Anne M. Butler (v., 1985, p. XVII) ha sottolineato le innumerevoli difficoltà che si incontrano allorché si cerca di definire la prostituzione: "Concezioni sociali contrastanti, divergenze di ordine morale e un'ambiguità terminologica di fondo hanno fatto sì che la definizione della prostituzione continui a essere controversa".
Il termine 'prostituta' deriva dal latino prostituere, che significa esporre pubblicamente, mettere in mostra, ma l'estensione del termine ha assunto una connotazione negativa che evidenzia la svalutazione della professione e di chi la esercita. A proposito della prostituzione nei paesi latini, Aurelio Ferreira (v. Kosovski, 1993, p. 47) mette in rilievo la vita sregolata, dissoluta e spudorata di "mercimonio abituale, professionale, dei venditori di sesso per professione".In molte società alcuni aspetti della prostituzione assumono connotazioni estremamente negative. Richard Symanski (v., 1981), definisce "paesaggio immorale" la prostituzione femminile nelle società occidentali, che comporta lo sfruttamento delle donne, la stigmatizzazione morale, ed è percepita come una minaccia per la salute e la sicurezza pubbliche. Negli Stati Uniti, nella maggior parte delle giurisdizioni la prostituzione è considerata un reato a seconda dello status della donna e del tipo di prostituzione (battere il marciapiede, adescare i clienti in macchina, ecc.).
In Italia la legge Merlin del 1958 ha depenalizzato la prostituzione esercitata in privato tra adulti consenzienti, ma punisce come reati lo sfruttamento e il favoreggiamento (v. Gibson, 1986). Persino in Olanda, dove la prostituzione è stata liberalizzata sull'onda della rivoluzione sessuale degli anni sessanta e viene considerata una professione legale, infuriano le polemiche sul degrado dei quartieri e il disturbo alla quiete pubblica associati alla prostituzione (strade lordate da preservativi usati, donne importunate per strada, prostitute che adescano indiscriminatamente i passanti, e così via).
Nelle società occidentali la pubblica infamia tradizionalmente associata alla prostituzione è circoscritta in misura crescente ai casi di schiavitù sessuale e alla tratta di minori, fenomeni sempre più frequenti nei paesi del Terzo Mondo (v. Sawyer, 1988).In alcune situazioni la prostituzione è considerata in modo positivo, almeno dalle autorità e da quanti ne dirigono il giro d'affari. In Asia, dove l'usanza di vendere le figlie come prostitute ha una lunga tradizione, esistono case pubbliche legalizzate in cui donne e fanciulle giovanissime vengono rinchiuse spesso forzosamente e costrette ad adempiere agli obblighi della casa - il che può significare avere rapporti sessuali con anche venti uomini al giorno (v. UNESCO, The international..., 1993). A volte è lo Stato stesso a incoraggiare queste istituzioni, come accade in Asia (in particolare in Thailandia, in Corea, in Cambogia e nelle Filippine), dove il turismo del sesso è diventato un elemento importante dell'economia nazionale (v. Kristof, 1996).A Nancy Burley e Richard Symanski (v., 1981) si deve un'analisi storica della prostituzione basata su una comparazione interculturale.
Basandosi sugli Human Relations Area Files (HRAF) compilati dagli antropologi, i due autori hanno catalogato un vasto materiale etnografico relativo a trecento società, per la maggior parte non occidentali e non urbane. Ne emerge un quadro i cui elementi salienti possono essere elencati come segue.
1. Tra popolazioni indigene come gli Amerindi o gli Aborigeni australiani, la prostituzione sembra essere stata piuttosto rara prima della comparsa di colonizzatori e commercianti. Le società del Pacifico nordoccidentale offrono un esempio particolarmente drammatico del problema del contatto con il mondo occidentale, in quanto le nozioni di proprietà e di scambio preesistenti poterono facilmente tradursi, dopo il contatto, nella prassi della compravendita delle donne come fonte di status e reddito per gli uomini.
2. Se la prostituzione può essere considerata un meccanismo attraverso cui gli uomini effettuano investimenti 'a basso costo' con un 'surplus di risorse', altre categorie di donne assolvono una funzione analoga, ad esempio schiave, concubine, mantenute, o una delle diverse mogli nelle società poligamiche. La decisione di investire nell'una o nell'altra di queste categorie dipenderà dalle norme sociali e dalle disponibilità economiche dell'uomo. Tra gli Hausa dell'Africa subsahariana, ad esempio, non esistono limiti né religiosi né giuridici al numero delle concubine, o delle mogli non ufficiali che un uomo può avere. Finché egli continua a mantenere le donne e i loro figli, il suo investimento rimane sotto la copertura della struttura familiare.
3. Le donne 'non matrimoniabili' costituiscono un importante incentivo alla prostituzione. Questa condizione può avere molteplici cause: può essere imposta in quanto la donna è rifiutata o considerata un peso, oppure può derivare dalla mancanza o dalla scarsità di opportunità matrimoniali per determinate categorie di donne - come ad esempio vedove, divorziate o donne con un matrimonio fallito alle spalle, fanciulle non più vergini, adultere o donne di dubbia moralità, orfane, malate e paria -, oppure ancora può essere conseguenza della mancanza di mariti adatti e di restrizioni tradizionalmente imposte alle donne, come ad esempio il divieto di contrarre un nuovo matrimonio per le vedove. Il fattore della 'non matrimoniabilità' prevale in 55 società identificate, che vanno dagli Eschimesi ai Beduini del Kuwait.
4. Altri fattori cui è legato il fenomeno della prostituzione includono: a) l'evitazione del matrimonio (ad esempio tra i Navaho e i Papago e nella moderna Taiwan); b) l'elevato status sociale e il benessere economico di cui godono le prostitute (ad esempio nella Cina premoderna e tra gli Amhara); c) il bisogno/sostegno economico (ad esempio tra i Balinesi e i Serbi); d) le opportunità part time per le donne sposate (ad esempio tra gli Aleut e i Boscimani); e) la tratta delle donne, vendute dai padri, dai mariti o dai tutori e costrette a prostituirsi (questa pratica è stata riscontrata in 27 società identificate).
In tutte le società, le prostitute vengono rese riconoscibili attraverso segnali esteriori: un certo tipo di abbigliamento, la collocazione in determinate aree o quartieri, il viso truccato, tatuaggi, i capelli rasati o le orecchie mozzate, e altre stigmate. In generale, la prostituzione è presente nelle società in cui vigono norme di comportamento sessuale nettamente differenziate per i due sessi: mentre per la donna vige l'obbligo di restare fedele, l'uomo gode di una libertà sessuale limitata esclusivamente dalle sue disponibilità finanziarie e dalle sue energie fisiche (v. Symanski, 1981).
Nel mondo antico è assai frequente il fenomeno della cosiddetta prostituzione sacra, come rito religioso occasionale o esercitata permanentemente da una classe di sacerdotesse del tempio. Presso gli antichi babilonesi vigeva l'obbligo religioso per tutte le fanciulle di rendere omaggio alla dea Ishtar offrendo la propria verginità a uno straniero in un tempio, cui veniva devoluto il denaro così ricavato. Lo sviluppo delle società urbane nel mondo antico ebbe un'importanza cruciale per la secolarizzazione della prostituzione. Le prime forme di controllo da parte delle autorità sviluppate in Israele, in Grecia e a Roma - e proseguite sino al XX secolo - prevedevano una serie di regole per le prostitute, tra cui l'obbligo di abbigliarsi in un certo modo, o di risiedere in determinati quartieri (v. Henriques, 1962-1968). Le prostitute erano organizzate in un ordinamento gerarchico in cui la divisione in classi era basata sull'età, la bellezza e l'intelligenza delle donne. Le prostitute d'alto rango, come le etere dell'antica Grecia, erano tenute in notevole considerazione e gravitavano attorno a uomini influenti, mentre quelle di basso rango, che prestavano i loro servizi alla gente comune, erano in genere disprezzate e maltrattate (v. Arthur, 1984).Con il cristianesimo la prostituzione non scompare.
Agostino, uno dei primi Padri della Chiesa le cui concezioni hanno forti valenze antisessuali, afferma che la lussuria inappagata è più pericolosa della fornicazione: "Si elimini la prostituzione dalle faccende umane, e ogni cosa verrà sconvolta a causa della lussuria" (cit. in Rossiaud, 1988, p. 80). Molti secoli dopo, Tommaso d'Aquino, il più importante teologo del Medioevo, sosterrà che la prostituzione è un fatto naturale, paragonando la sua funzione per la società civile a quella delle cloache per le abitazioni. La prostituzione ora viene dunque vista come un 'male necessario', un male minore rispetto alla lussuria o all'adulterio, ma pur sempre condannata e destituita di ogni valore morale (v. Bullough e Bullough, 1978).Nel XIII secolo il nuovo dominio del sacro era stato esteso ai rapporti coniugali senza eliminare la carnalità, in quanto la Chiesa considerava ora il matrimonio come un sacramento. Secondo George Duby (v., 1972) la nuova scuola della teologia naturale, guidata da Tommaso d'Aquino e dai suoi seguaci, si caratterizzava per una maggiore tolleranza verso i peccati della carne. I peccati morali - la mancanza di fede, speranza e carità - sono ora considerati i peccati supremi, mentre si attenua la gravità di quelli qualificati come naturali. La rivalutazione della natura porta a una relativa svalutazione della castità, considerata un'ipocrisia. Alla prostituzione viene riconosciuto un ruolo più importante di quello di mera 'cloaca' della società - di aspetto nascosto della società civile. Le case di prostituzione, spesso finanziate dalle autorità laiche ed ecclesiastiche, diventano un elemento caratteristico di quasi tutte le città medievali in gran parte d'Europa (v. Rossiaud, 1988).
La nuova libertà sessuale concessa agli uomini non sposati ebbe i suoi lati negativi, determinando un aumento della violenza contro donne sospettate di immoralità. Gli atti del tribunale di Digione documentano la frequenza degli stupri collettivi, commessi da bande formate da due sino a quindici giovani che aggredivano le donne per le strade e nelle loro case (ibid.). Spesso la vittima era trascinata fuori dalle mura della città con la complicità della sentinella notturna. Quasi tutti gli stupri erano commessi con estrema brutalità (è documentato il caso di una donna incinta trascinata nella neve), ma gli aggressori uccidevano raramente le loro vittime.
Mentre per i privilegi concessi al loro sesso gli uomini potevano andare in cerca di avventure, esibirsi in pubbliche bravate, molestare fanciulle e organizzare stupri collettivi, la moralità delle donne era sottoposta a una rigorosa sorveglianza. Nelle aree urbane le autorità municipali potevano intervenire contro le donne il cui comportamento era ritenuto scandaloso. A volte ragazze ribelli o prive di protezione venivano trascinate pubblicamente nelle case di tolleranza, dove soffrivano gravemente per la perdita di posizione sociale e per il nuovo status di prostitute. Analogamente, lo stupro marchiava le vittime, distruggendo la posizione sociale di vedove e ragazze da marito. Come osserva Jacques Rossiaud (v., 1988, p. 29) "la vittima [di uno stupro], che quasi sempre perdeva la reputazione, incontrava grosse difficoltà nel riacquistare il suo posto nella società, e persino nella famiglia. Se la donna non era sposata, il suo valore sul mercato matrimoniale si riduceva notevolmente; se era sposata, poteva essere abbandonata dal marito; [essa] restava macchiata indelebilmente da ciò che aveva subito".
La prostituzione nel mondo occidentale non ebbe vita facile. Le polemiche infuriarono incessantemente tra i fautori di una regolamentazione, secondo cui occorreva registrare le prostitute e porre dei limiti alle loro attività, e gli abolizionisti, per i quali la prostituzione andava vietata. Secondo Mary Gibson (v., 1986 e 1993) il sistema di regolamentazione adottato in Italia nel XIX secolo, in base al quale le prostitute venivano registrate e sottoposte regolarmente a controlli e trattamenti sanitari, prendeva a modello le precedenti legislazioni belga e francese in materia, e costituiva un esempio tipico della disciplina legale della prostituzione nel continente europeo. Solo in Inghilterra e nel Nordamerica gli sforzi degli abolizionisti ottocenteschi furono coronati dal successo, e portarono all'abolizione di ogni regolamentazione e all'istituzione di sanzioni penali per le prostitute. L'analisi condotta da Suzanne Hatty (v., 1993) sulla situazione australiana dimostra che verso la fine dell'Ottocento la prostituzione, assai diffusa e in larga misura non soggetta ad alcuna regolamentazione, assumeva i caratteri di una professione autonoma. A quanto pare, l'Australia era troppo distante geograficamente per essere influenzata dalla pruderie vittoriana che dominava in gran parte delle società europee e nelle aree di lingua anglosassone.
Le campagne moralizzatrici contro la prostituzione che ottennero il maggior sostegno e il maggior successo si ebbero forse negli Stati Uniti. L'Inghilterra aprì la strada alla repressione con i Contagious diseases acts del 1864, del 1866 e del 1869, in base ai quali la polizia era autorizzata a trattenere e a sottoporre forzosamente a controlli medici qualunque donna sospettata di essere affetta da malattie veneree. Come spiega Susan M. Edwards (v., 1993, p. 109), "bastava che la polizia riferisse a un magistrato di avere buoni motivi per credere che una prostituta fosse infetta, perché questa fosse tratta in arresto, esaminata con la forza e violentata strumentalmente". In tutti i casi gli uomini erano considerati parti innocenti.Negli Stati Uniti le crociate moralizzatrici erano dirette contro quella che veniva percepita come una crescente immoralità, specialmente tra le 'classi a rischio' delle aree urbane. Vietare la prostituzione, l'omosessualità e la letteratura pornografica divenne l'obiettivo dei riformatori morali.
Nel primo ventennio del Novecento la crescita dell'urbanizzazione, dell'industrializzazione, della commercializzazione e dell'immigrazione creò nella popolazione ansie e paure che alimentarono la campagna contro la prostituzione (v. Hobson, 1987). In diversi Stati essa venne proibita e considerata un reato. Tuttavia la repressione non eliminò la prostituzione, ma ebbe solo l'effetto di trasformarla e di istituzionalizzarla. Come osserva Ruth Rosen (v., 1982, p. 87), "il controllo della prostituzione passò dalle tenutarie dei bordelli e dalle prostitute stesse ai protettori e alle organizzazioni criminali [...]. Oltre a ciò le prostitute si trovarono esposte a una crescente brutalità, non solo da parte della polizia, ma anche da parte dei nuovi 'datori di lavoro"'. La creazione di tribunali speciali, di squadre del buon costume, di operatori sociali e di carceri per risolvere il problema della prostituzione ebbe l'effetto paradossale di istituzionalizzare e di burocratizzare il 'male sociale' (v. Connelly, 1980).Nel XIX secolo la prostituzione e la tratta delle bianche divennero temi accesamente dibattuti in Europa, nel Nordamerica e in Argentina. Secondo Donna Guy (v., 1991), tali discussioni avevano una particolare valenza simbolica e contenevano importanti messaggi per la società in via di modernizzazione. Il pericolo percepito era quello che le fanciulle, una volta sottratte all'autorità dei genitori, cadessero preda di malintenzionati e delle autorità. Più che una realtà verificabile, la tratta delle bianche era la costruzione di "un complesso di discorsi sulla riforma della famiglia, sul ruolo del lavoro femminile nelle società in via di modernizzazione e su una politica strutturata in termini maschilisti" (ibid., p. 35).
L'atteggiamento verso la prostituzione risente tuttora del retaggio dei pregiudizi contro le donne, che vennero espressi per la prima volta dalle culture antiche, furono ripresi nel cristianesimo e si sono conservati sino all'epoca industriale (v. Peradotto e Sullivan, 1984). Sulla prostituzione e sulla figura della prostituta continua a pesare quella concezione dell'amore come potere distruttivo e delle donne come creature sottomesse associate alle "forze distruttive dell'universo" (v. Arthur, 1984, p. 49) che emerge nella letteratura e nella legislazione dell'antica Grecia, nonché dell'Europa medievale e preindustriale.
Il fenomeno della prostituzione in Asia segue due modelli diversi a seconda delle aree geografiche: in Cina, Corea e Taiwan prevale quello della regolamentazione da parte del governo locale, mentre in Vietnam e a Singapore la prostituzione è un portato del colonialismo occidentale. Come ha messo in luce l'analisi di Xin Ren (v., 1993), il caso più complesso è quello della Cina, dove si possono individuare quattro fasi storiche: la prima è caratterizzata dall'esistenza di case di prostituzione gestite dallo Stato; nella seconda si assiste alla commercializzazione della prostituzione; la terza fase è quella del proibizionismo; l'ultima fase, infine, vede lo sviluppo di un mercato del sesso internazionale.Nell'antichità e nell'epoca imperiale la prostituzione in Cina costituiva una forma tradizionale di sessualità, supportata dalle usanze e dalla legislazione. Non solo le relazioni extraconiugali non erano considerate peccaminose o immorali, specialmente per gli uomini, ma la prostituzione era legata all'intrattenimento - musica, canto, danza. I postriboli, o 'case delle donne', vennero istituiti nel 770 a.C. da un signore provinciale per intrattenere i propri soldati. Le donne che venivano inviate nei bordelli erano in genere prigioniere catturate nel corso di guerre feudali. In una di tali case potevano lavorare contemporaneamente 700 donne, che seguivano i soldati nelle varie guerre.
Nel corso della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) accanto alla prostituzione controllata dallo Stato si sviluppò un sistema di sfruttamento commerciale gestito da privati. In un'epoca in cui i servi potevano essere comprati e venduti, le prostitute ridotte in schiavitù cercavano di farsi mettere incinte dal padrone per acquistare lo status di concubine legittime ed essere integrate nella famiglia. La prostituzione come giro d'affari gestito da privati si diffuse soprattutto tra le classi superiori e la piccola nobiltà, presso le quali l'attività di tenutari di case di prostituzione divenne una consuetudine alla moda. Verso il 1271, quando la Cina passò sotto il dominio mongolo, la dinastia Ming non soltanto istituì un dicastero per regolamentare e amministrare la prostituzione, ma da questa ricavava anche introiti fiscali. In quest'epoca le prostitute rimasero un passatempo di lusso di cui fruivano esclusivamente le classi superiori.
Con la rivoluzione del 1911, che pose fine all'antico sistema imperiale durato duemila anni, la prostituzione entrò in una nuova era commerciale. Nel 1918 sotto il governo dei nazionalisti esistevano 406 postriboli registrati ufficialmente, 3.880 prostitute a Pechino e oltre 12.000 a Shangai. Il decreto con cui alla fine i nazionalisti proibirono la prostituzione ebbe un'efficacia limitata, e la maggior parte dei traffici illeciti (prostituzione, spaccio di oppio e di eroina, gioco d'azzardo) continuò a prosperare in forma clandestina.
La presa del potere da parte dei comunisti nel 1949 ebbe come conseguenza la chiusura di tutte le case di prostituzione e l'affermarsi di una nuova ideologia che riconosceva alle donne pari diritti e piena partecipazione sociale (v. Li, 1988). Le autorità proibirono la tratta di donne e minori, vietarono ai genitori e ai mariti di vendere i figli e le mogli, punirono i trafficanti, i mezzani e gli sfruttatori e costrinsero le prostitute a riabilitarsi.Negli anni ottanta e novanta, a seguito del nuovo benessere economico e del consumismo, si è registrata in Cina una rinascita della prostituzione, che è diventata un giro d'affari internazionale. Le opportunità economiche che essa offre spingono a immigrare dalle campagne alle città masse di giovani di entrambi i sessi. La tratta delle donne costituisce attualmente un problema molto grave, e si registrano numerosi casi di donne costrette a prostituirsi con la violenza, la minaccia e l'inganno. Attualmente il traffico della prostituzione in Cina ha assunto dimensioni internazionali, e avviene in due direzioni. Le donne vietnamite vengono vendute in Cina come mogli, concubine o prostitute (v. Agence France Presse, 1991), mentre le donne cinesi, secondo quanto ha riconosciuto il governo thailandese nel 1992, vengono vendute illegalmente alle case di prostituzione e ai centri per massaggi della Thailandia (v. Gooi, 1993).
Una storia assai diversa ha avuto invece la prostituzione nelle società asiatiche che hanno sperimentato la colonizzazione occidentale. Come ha rilevato Ngo Vinh Long (v., 1974 e 1993), la prostituzione in Vietnam è un portato del colonialismo ottocentesco, dell'imperialismo e della guerra. Mentre le leggende che circondano la prostituzione sono mutuate dalla Cina, la pratica è in larga misura una creazione occidentale. Prima dell'arrivo dei Francesi prevaleva il concubinaggio, che costituiva l'ultima risorsa per le donne povere. L'espropriazione delle terre e la distruzione dei mestieri e delle occupazioni femminili sotto il dominio francese determinarono l'immigrazione in massa nei centri urbani della popolazione rurale impoverita. Alla fine degli anni trenta, come ha messo in luce Ngo Vinh Long (v., 1993, p. 330), oltre a essere costrette a prostituirsi le donne subivano sistematicamente ogni sorta di violenze - lavoro eccessivo e mal retribuito, botte e persino torture; tale situazione si aggravò ulteriormente con il massiccio afflusso di contingenti militari americani dopo il 1965.
La Corea costituisce un caso misto, in quanto nella sua storia sono presenti entrambi i modelli: il sistema tradizionale delle case di piacere legalizzate, che scomparve con il crollo della dinastia Yi, e l'esperienza coloniale. Il governo coloniale giapponese (1910-1945) favorì la prostituzione, arruolando le donne coreane come 'confortatrici' al servizio dei soldati. Nel dopoguerra si verificò un vistoso incremento della prostituzione, legato inizialmente alla presenza militare statunitense. Una fase finale, negli anni ottanta, ha visto una crescente diversificazione e intensificazione della mercificazione del sesso (v. Lie, 1991).
Attualmente l'Asia è considerata il principale mercato mondiale della prostituzione, con una scarsa o inefficace regolamentazione da parte dello Stato nella maggioranza dei paesi (fatta eccezione per Singapore). Decine di migliaia di piccoli schiavi affluiscono ogni anno in quelle che sono le piantagioni degli anni novanta: i bordelli della Cambogia, dell'India, della Cina, della Thailandia, delle Filippine, di Taiwan e di altri paesi ancora. Secondo le stime dei governi e degli operatori sociali, il giro della prostituzione in Asia coinvolge più di un milione di minori di entrambi i sessi, spesso al di sotto dei 17 anni (v. Smolenski, 1995). In Giappone la tratta di donne e minori, controllata dall'organizzazione criminale della Yakuza, è considerata una crescente minaccia sociale. Numerose donne filippine e thailandesi sono tenute prigioniere nei bordelli delle città giapponesi, dove possono languire per anni: in quanto immigrate illegali, sono prive di qualunque forma di tutela da parte dello Stato (v. UNESCO, 1995).
Il problema della prostituzione minorile in Asia è aggravato da tre fattori (v. Kristof, 1996): lo sviluppo economico, che inizialmente sembra incrementare la richiesta da parte dei pedofili più velocemente di quanto non riduca l'offerta; l'affermarsi del capitalismo in paesi quali la Cina e l'Indocina, dove si sviluppa un mercato non solo per il riso e i maiali, ma anche per giovani vergini; infine - e questo forse è il fattore più importante - la paura dell'AIDS, che orienta le preferenze dei clienti verso i minori in quanto si ritiene abbiano maggiori probabilità di essere immuni dal virus. Il destino di questi bambini è di lavorare finché i tenutari delle case di prostituzione non considerano estinto il loro debito oppure, più probabilmente, finché non contraggono l'AIDS.
Per spiegare il fenomeno della prostituzione e i fattori che inducono o costringono le donne (o gli uomini) a esercitarla sono stati sviluppati cinque diversi approcci teorici: 1) l'approccio in termini di patologia sociale; 2) l'approccio della scelta, o della decisione razionale; 3) l'analisi marxista-socialista; 4) l'approccio in termini di problema sociale; 5) la critica femminista.
L'approccio in termini di patologia sociale è legato in parte a una visione del mondo di tipo religioso, che divide le donne in due categorie, le 'buone' e le 'malvagie', e in cui le prostitute sono la personificazione di una femminilità distruttiva. Per un altro verso l'attribuzione di caratteri patologici a una determinata categoria di persone è indice di un atteggiamento tipicamente laico, che vede la malattia come radicata nella società stessa, e non solo nell'individuo (v. Davis, 1980²). La vittima è considerata intrinsecamente guasta, e di conseguenza si ritiene che l'unico rimedio consista nell'epurare il corpo sociale dall'organo 'danneggiato'. Nel XIX secolo le campagne contro la prostituzione in Inghilterra e in America si focalizzarono quasi esclusivamente sui suoi 'mali' (v. Hobson, 1987). Si riteneva che una volta liberata la società dalle prostitute, gli uomini non sarebbero più stati indotti al vizio.
L'intolleranza nei confronti della prostituzione caratterizzò la maggior parte dei movimenti riformisti nell'era progressista della politica americana (v. Rosen, 1982). La dottrina cattolica del Medioevo, al confronto, era assai più ambivalente, in quanto riconosceva da un lato quella che i Padri della Chiesa ritenevano fosse l'insopprimibile urgenza della lussuria maschile, che per essere soddisfatta richiedeva la disponibilità di donne libere da vincoli matrimoniali, e stigmatizzava dall'altro lato quelle stesse donne che fornivano prestazioni sessuali (v. Bullough e Bullough, 1978).
L'idea che gli individui siano responsabili delle proprie scelte, ed entrino liberamente in contratti e negozi con altri individui o gruppi è frutto di una concezione che pone alla base del comportamento umano gli stessi meccanismi che regolano il funzionamento del mercato. Secondo il cosiddetto 'argomento dell'uomo razionale', posti di fronte a una gamma di alternative gli individui attuano scelte ponderate. Nella teoria economica si assume che i soggetti economici mirino alla massimizzazione delle 'utilità', vale a dire ad acquistare i beni o servizi migliori al minor prezzo possibile, e questo principio viene esteso anche al comportamento sociale (v. Dye, 1978, p. 28).
Nel caso della prostituzione, ciò implica che un soggetto scelga liberamente di intraprendere questa attività dopo aver vagliato le possibilità occupazionali alternative, calcolando adeguatamente il rapporto tra i benefici attesi e i costi - quali la perdita di status, la stigmatizzazione sociale, l'alto rischio di sanzioni, malattie, violenza e morte. Là dove la prostituzione è considerata un reato, i responsabili dell'ordine pubblico tendono ad assumere che gli individui 'scelgano' di intraprendere questa attività e che di conseguenza debbano pagare per la loro scelta tutt'altro che ottimale.In realtà, come emerge dagli studi sul mondo della prostituzione, nella maggioranza dei casi le possibilità di scelta sono molto limitate; in genere le prostitute (e lo stesso vale per i maschi) sono giovani senza tetto, oppure sedotte da uomini più anziani e costrette a prostituirsi in cambio di una sistemazione e di protezione da parte della polizia (v. Davis, 1979; v. James e altri, 1975). Nei paesi sottosviluppati le ragazze si prostituiscono per povertà, o perché non hanno la possibilità di sposarsi, oppure perché sono vendute ai tenutari dei bordelli dai genitori o dai mariti (v. Nigam, 1994; v. Tasker, 1994).Tuttavia in certe circostanze, e per certe categorie di prostitute, il modello della scelta razionale, con opportune modifiche, appare pertinente. È questo il caso, ad esempio, delle 'ragazze squillo' con un buon livello di istruzione che operano nelle grandi città europee e nordamericane.
Le politiche sociali di tipo permissivo possono creare le condizioni per una decisione razionale da parte delle donne; è quanto avviene ad esempio in Germania e in Olanda, dove i guadagni elevati offerti dall'esercizio della prostituzione e la scarsa stigmatizzazione sociale di cui è oggetto la rendono una effettiva opportunità occupazionale (v. Jolin, 1993; v. Sterk-Elifson e Campbell, 1993). John Lowman (v., 1993), basandosi su dati relativi al Canada, arriva alla conclusione che la prostituzione può dare ai giovani fuggiti dalla famiglia o privi di relazioni sociali un senso di appartenenza e di autonomia, oltreché l'indipendenza economica. Nonostante i rischi che comporta, per i giovani senza tetto la prostituzione costituisce pur sempre un mezzo di sussistenza (v. Davis, Homeless..., 1993).
Marx imputava la degradazione della famiglia nella società industriale, e in particolare delle donne, ai meccanismi spietati del capitalismo. Secondo i critici del XIX secolo il numero eccessivo di ore di lavoro, lo sfruttamento della manodopera minorile, la massa crescente di indigenti e il diffondersi del vizio erano conseguenze di un sistema crudele che trasformava in merci tutti i valori umani e sociali. Nel XX secolo le società comuniste basate su elementi selezionati della teoria marxiana hanno assunto in genere un atteggiamento repressivo nei confronti della prostituzione e di altri reati attinenti al buon costume.In Iugoslavia tutti i bordelli vennero chiusi dopo la rivoluzione socialista, e l'atteggiamento delle autorità e del pubblico divenne estremamente repressivo nei confronti della prostituzione (così come della sessualità in generale). Si riteneva che un'"etica del sacrificio" fosse necessaria per accelerare lo sviluppo industriale, e che l'intera società dovesse conformarsi all'"ascetismo rivoluzionario" (v. Radulovic, 1986). In parte la repressione della prostituzione era anche una conseguenza dell'accresciuta necessità di manodopera femminile per la ricostruzione del paese negli anni del dopoguerra (v. Nikolic-Ristanovic, 1993). Con la raggiunta stabilità economica alla metà degli anni sessanta, e con il brusco aumento della disoccupazione nel decennio successivo, la prostituzione registrò una ripresa, e all'inizio degli anni novanta è diventata un importante giro d'affari. Lo stesso processo si è verificato in Russia, in Cina e nei paesi del blocco orientale, dove l'ideologia comunista ha lasciato il posto alla logica del mercato o è stata notevolmente indebolita dal consumismo (v. Xin Ren, 1993).
L'approccio che focalizza l'attenzione sui problemi sociali della prostituzione analizza sia l'impatto delle norme sociali sul fenomeno sia, viceversa, gli effetti che esso ha sul tessuto sociale. Nei paesi in cui la prostituzione è illegale, la politica repressiva l'ha influenzata in modo significativo, creando una vera e propria industria del crimine. Anziché porre rimedio ai mali sociali cui sono esposte le prostitute, la politica repressiva incentiva sfruttatori e mezzani, scoraggia le misure di igiene sociale, favorisce il diffondersi di malattie veneree tra le prostitute e i loro clienti, e crea le condizioni per il proliferare di altre attività illegali - traffico di stupefacenti, furti e violenze carnali (v. Davis, 1986¹⁸).Il tentativo effettuato in Canada di utilizzare le leggi contro il vagabondaggio per reprimere la prostituzione - vietando l'esercizio di case di tolleranza e perseguendo l'adescamento in luogo pubblico, lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione - fallì completamente lo scopo di porre un freno alla 'delinquenza generale' della crescente massa di disoccupati e indigenti (v. Lowman, 1993), e contribuì invece a rafforzare le discriminazioni di classe esistenti, che penalizzano soprattutto le donne povere e le loro famiglie (v. Backhouse, 1985).
D'altro canto la prostituzione 'visibile' (passeggiatrici, quartieri a luci rosse, ecc.) è stata messa sotto accusa dalle autorità municipali e dall'opinione pubblica in quanto 'danno ecologico', intrinsecamente offensiva e moralmente condannabile. Si è sostenuto che i 'quartieri a luci rosse' attraggono criminali e degenerati, contribuendo altresì al degrado delle zone residenziali, al deprezzamento degli immobili e al deterioramento dei valori morali nei giovani. Come hanno rilevato Miller e altri (v., 1993, p. 318) "ciò che sembra urtare maggiormente l'opinione pubblica è la presenza e l'attività visibile delle prostitute che battono il marciapiede". Si è sostenuto che oltre a essere una forma di sfruttamento delle donne, la prostituzione creerebbe un clima di licenziosità che ha ripercussioni negative sul matrimonio, sui doveri coniugali e sulla vita familiare. Critiche di questo tipo sono state avanzate sia in Occidente che nei paesi orientali (v. Ong, 1993; v. Symanski, 1981).
Di fronte a questi problemi sociali i governi hanno adottato misure diverse: alcuni paesi (Stati Uniti, Portogallo) hanno depenalizzato la prostituzione esercitata in privato; altri (Olanda, Germania) hanno optato per una politica di legalizzazione; mentre altri ancora (Singapore, Vietnam) hanno adottato una legislazione restrittiva (v. Davis, Prostitution..., 1993). Un importante merito di questo approccio alla prostituzione in termini di problemi sociali è stato quello di richiamare l'attenzione sul lavoro, sulle condizioni sanitarie e sui diritti civili delle donne; un'azione politica in questo senso spesso è stata guidata da ex prostitute interessate a una legittimazione del loro mestiere (v. Jenness, 1990).
La critica femminista è scaturita sia dalla criminologia femminista radicale, che focalizza l'attenzione sulle discriminazioni basate sulla classe, sulla razza e sul genere, sia dal problema dello sfruttamento sessuale femminile e minorile, che è stato esacerbato da una "ideologia culturale del sadismo" (v. Barry, 1981). Nonostante la disciplina legale e sociale della prostituzione sia diversa da paese a paese, la povertà, il basso livello di istruzione, la disoccupazione, l'appartenenza a una minoranza etnica e lo sfruttamento sul mercato del lavoro sono ovunque fattori determinanti nell'approdo alla prostituzione (v. Davis, Prefazione, in Prostitution..., 1993).
Lo sfruttamento sessuale è un fenomeno universale nella prostituzione femminile, e secondo le femministe non può più essere considerato un 'crimine senza vittime'. La prostituzione come realtà sociopolitica è intrinsecamente connessa alla violenza quale sistema dominante di controllo sociale sulle donne, nonché a una mercificazione della sessualità femminile che degrada le donne riducendole a oggetti (v. Davis e Stasz, 1990; v. Davis, Prostitution..., 1993). In primo luogo, molte prostitute sono vittime di abusi sessuali nell'infanzia, e la prostituzione non è che una prosecuzione del modello di vittimizzazione.
Spesso le prostitute subiscono rapine, stupri e aggressioni da parte di tenutari di bordelli, sfruttatori e clienti, e sono vittime privilegiate dei serial killers (v. Davis e Hatty, 1992; v. Hatty, 1989). In secondo luogo, le prostitute sono simili a tutte le altre donne nella società e, come afferma Mary Daly (v., 1978), il ruolo femminile standard è legato alla violenza quale sistema dominante di controllo sociale: ne sono esempi la lapidazione delle adultere menzionata nella Bibbia, l'usanza di bruciare vive le vedove in India, la caccia alle streghe nell'Europa medievale, la mutilazione dei genitali nell'Africa contemporanea e la sistematica violenza verso le donne che caratterizza alcune recenti immagini nei media (v. Dworkin, 1990).Un altro tema su cui si incentra l'attenzione delle femministe è la prostituzione minorile, che costituisce senza dubbio la forma più condannabile di sfruttamento sessuale. La tratta di minori non è un fenomeno circoscritto all'Asia, ma interessa anche altri paesi in cui donne e bambini vivono in condizioni di miseria o cercano di sfuggire a condizioni familiari intollerabili (v. Sawyer, 1988). La prostituzione diventa in misura crescente una forma di schiavitù per molte donne nelle aree rurali impoverite (v. Elder, 1986).
Secondo le stime del Centro brasiliano per l'adolescenza e l'infanzia, i giovani che esercitano la prostituzione nel paese sono circa 500.000, e l'età media tende a diminuire. Povertà, tossicodipendenza e problemi familiari risultano essere i principali fattori che spingono verso la prostituzione (v. Dimenstein, 1994). Secondo la World Health Organization (v. WHO, 1993), nelle città di tutto il mondo la prostituzione infantile si sviluppa tra i bambini fuggiti di casa e senza tetto, che attualmente si calcola ammontino a 100 milioni. La maggior parte di questi minori è tossicodipendente o alcolista. Dati recenti relativi all'Australia evidenziano che il rischio di subire violenze o di intraprendere la carriera criminale è assai più alto per le prostitute in età minorile di quanto non sia per le altre (v. Davis, Homeless..., 1993). Inoltre, la prostituzione minorile sia maschile che femminile è diventata un grave problema nei centri urbani del Nordamerica, in quanto è uno dei principali canali attraverso cui i giovani, soprattutto maschi, approdano all'attività criminale (v. Weisberg, 1985). I giovani che battono il marciapiede costituiscono inoltre il gruppo della popolazione più esposto al rischio di contrarre l'AIDS (v. Simon e altri, 1994).
Infine, la critica femminista attira l'attenzione sul fatto che il possesso e la mercificazione della sessualità femminile costituiscono l'elemento chiave del nostro intero sistema di divisione tra i sessi. La prostituta come 'proprietà comune' è la controparte di una categoria di donne la cui sessualità è proprietà 'esclusiva' (v. Schur, 1984), e si colloca al gradino più basso di questo "sistema basato sulla divisione dei ruoli di genere/sesso".
Di fatto, lo status delle prostitute è definito attraverso una serie di privazioni: mancanza di esclusività, di rispetto, di legittimazione e di protezione (v. Rubin, 1984). Le organizzazioni di 'accompagnatrici', le vacanze erotiche, i centri di terapia sessuale, le linee telefoniche erotiche, i servizi di appuntamento e il turismo del sesso sono tra le forme economiche più recenti, e rivelano sia la crescente diversificazione dell'industria dell'intrattenimento, sia i legami della prostituzione con un'ampia gamma di interessi costituiti a livello nazionale e internazionale (v. Truong, 1990).
Il mondo della prostituzione costituisce una sottocultura distintiva, caratterizzata da particolari stili di vita sociali, ma anche da modelli di carriera spesso disgreganti. Soprattutto per i soggetti più giovani, è tipica una 'deriva progressiva' verso la devianza, dove la prostituzione è solo l'esito di fattori situazionali, piuttosto che una scelta occupazionale consapevole (v. Davis, 1979). Altri stili di vita sono caratterizzati dalla frequente presenza di sfruttatori, dalla mobilità e da strategie di sopravvivenza di altro tipo, nonché da sistemi di relazioni sociali che variano a seconda dei vincoli legali e del tipo di organizzazione (ragazze squillo, passeggiatrici, adescatrici nei bar e negli alberghi, case di prostituzione, ecc.).
Entrare nel giro della prostituzione in genere significa integrarsi in una sottocultura dove i non iniziati devono apprendere un nuovo sistema di relazioni interpersonali, nuovi modelli di comportamento, tecniche speciali di adattamento all'ambiente, e una nuova immagine di sé. Spesso ciò richiede una rottura radicale con le relazioni interpersonali e con gli stili di vita precedenti, e determina una dipendenza dalla sottocultura.Il termine 'sottocultura' definisce questo processo di risocializzazione, nella misura in cui le prostitute (e i prostituti) si considerano un gruppo separato dal resto della società, stabiliscono le proprie norme, condividono idee e valori simili, e si esprimono con un proprio linguaggio. La sottocultura si sviluppa nei casi in cui la prostituzione è considerata illegale o stigmatizzata in altri modi. L'isolamento sociale e la punibilità contribuiscono a quanto sembra a creare forti legami di mutua protezione. Tali vincoli possono essere ulteriormente rafforzati dall'identificazione etnica, come accadeva ad esempio a Londra nel XVIII e nel XIX secolo tra le prostitute ebree (v. Bristow, 1983).
Per esercitare la prostituzione sono necessarie specifiche capacità: essere in grado di conservare il distacco psicologico nei confronti dei clienti, riuscire a simulare la passione, saper trattare i clienti difficili, sviluppare un repertorio di tecniche sessuali (v. Bryan, 1965). La neutralità emotiva è considerata la condizione ideale, come avviene anche in altre professioni del settore dei servizi. Il coinvolgimento emotivo e il raggiungimento dell'orgasmo sono considerati deleteri nel sesso a pagamento in quanto, oltre a complicare la transazione, affaticano e logorano. Tutte queste capacità possono essere seriamente compromesse dal logoramento, dalle cattive condizioni di salute, dalla tossicodipendenza e dalle malattie veneree - situazioni sempre più frequenti nel mondo della prostituzione di strada delle aree urbane (v. King, 1991).
Il termine 'carriera' sembra alquanto improprio quando si cerca di definire gli stili di vita di chi esercita la prostituzione. Esso implica infatti una scelta consapevole e una pianificazione razionale di un futuro relativamente a lungo termine, condizioni che nella maggior parte dei casi non esistono nella prostituzione, date le limitazioni che essa impone: caratteristiche relative all'aspetto fisico, barriere d'età, impegno limitato, slittamento verso la carriera criminale, impossibilità di lavorare per malattie, incidenti, condanne a pene detentive o logoramento.In generale, la prostituzione interessa gruppi d'età giovanili. Secondo gli studiosi, l'età tipica va dai 17 ai 25 anni; dopo tale età il declino fisico, la tossicodipendenza o le cattive condizioni di salute costringono i soggetti ad abbandonare i settori più lucrosi del giro d'affari della prostituzione (v. Lemert, 1968; v. Davis, 1986¹⁸).
L'età è un elemento chiave per comprendere non solo i comportamenti delle donne occidentali, che possono iniziare a prostituirsi nell'adolescenza e smettere verso i vent'anni, ma anche di alcune donne dell'Africa subsahariana, che praticano la prostituzione per assicurarsi una dote (v. Sawyer, 1988). In Asia i mezzani cercano nuove leve di età sempre più giovane per soddisfare i nuovi gusti dei loro clienti internazionali, cacciando le prostitute più anziane dalle case di tolleranza relativamente sicure e costringendole a battere il marciapiede o ad adescare i clienti negli alberghi (v. Sherry e altri, 1995).
Le prostitute che fumano il crack o usano altri tipi di droga pesante tendono ad avere scarse capacità di negoziazione, e sono quindi le più esposte a violenze e rifiuti; inoltre, poiché spendono tutto ciò che guadagnano per acquistare la droga, non sono in condizioni di procurarsi vitto e alloggio e di soddisfare altre necessità. Queste donne raggiungono un livello di degradazione 'subumano', e in genere conducono un'esistenza breve e brutalizzante (v. Inciardi e altri, 1993).Le prostitute sono una categoria ad alto rischio per quanto riguarda il contagio da HIV, e ciò per il fatto stesso di avere rapporti con innumerevoli clienti, molti dei quali sono portatori sani. Spesso, inoltre, i clienti si rifiutano di usare il preservativo o altri sistemi di protezione, ritenendo che ciò diminuisca il piacere sessuale.
In Thailandia la prostituzione - in misura crescente minorile - è una delle principali cause della diffusione dell'AIDS, in parte perché i clienti sono convinti che bambini 'vergini' o 'quasi vergini' non possano contrarre la malattia (v. O'Reilly, 1993). Per questa generazione di venditori di sesso poco più che bambini, nonché per i clienti e per le loro famiglie, sono prevedibili alti tassi di mortalità.Là dove la prostituzione è legalizzata, depenalizzata o disciplinata dallo Stato, chi la esercita in teoria è perseguito solo se commette altri reati: spaccio o possesso di droghe, possesso illegale di armi, furti, aggressioni e frodi. L'affiliazione a organizzazioni criminali è assai diffusa nel mondo della prostituzione di strada, in larga misura a causa della prossimità e delle affinità di retroterra, ma anche per la comune esperienza di stigmatizzazione e di emarginazione sociale (v. Davis e Stasz, 1990). Tuttavia i poteri discrezionali della polizia spesso incoraggiano forme di corruzione e di abuso: ad esempio sfruttare le prostitute come informatori, arrestare in modo discriminatorio le donne appartenenti a classi inferiori o a minoranze etniche, costringere le prostitute a pagare tangenti per poter continuare a lavorare, considerare reato l'adescamento in luogo pubblico al fine di 'ripulire' i quartieri residenziali col pretesto di ripristinare l'ordine pubblico, ecc. (v. Hatty, 1993; v. City Club of Portland, 1975).
Per eludere le regolamentazioni restrittive e sfuggire alle sanzioni, le prostitute hanno dovuto elaborare una varietà di strategie di sopravvivenza, quali il ricorso a protettori e mezzani, un grado elevato di mobilità e l'affiliazione a gruppi devianti. In particolare, i rapporti economici e sessuali con i protettori riflettono lo sviluppo della mercificazione del sesso con le sue gerarchie ramificate di dominio maschile, che comprendono protettori, mezzani, tenutari di bordelli, gestori di alberghi e persino la polizia.I protettori sono diventati parte integrante della prostituzione di strada, assolvendo spesso le funzioni di managers delle prostitute e a volte di partners sessuali.
Nelle società in cui domina il sistema dei protettori, questi vivono completamente o in gran parte dei proventi della prostituzione, di cui detengono il controllo pressoché totale (v. Lowman, 1993). L'assenza di una sottocultura incentrata sulla figura del protettore, come in Australia, è legata in genere alla scarsa incidenza della prostituzione di strada e al prevalere di altre forme - bordelli, case di appuntamenti, organizzazioni di 'accompagnatrici', bar o case private, ecc. (v. Hatty, 1993).La reputazione di 'uomo di mondo' dei protettori nasce dal modo in cui questi sfruttano giovani emarginate e senza tetto per procurarsi amicizie e l'approvazione maschile. Spesso ciò comporta l'uso di tattiche coercitive - ad esempio costringere le donne a entrare nel giro della prostituzione e della pornografia (v. Dworkin, 1990). Dai registri della polizia risulta che i protettori presentano caratteristiche assai simili a quelle di altre categorie criminali, in quanto hanno uno scarso livello di istruzione, difficoltà a conservare un lavoro regolare, fanno uso di droghe e svolgono un'attività considerata un reato dalla legge (v. Gibson, 1993; v. Finstad e Hoigard, 1993).
Un'altra strategia per eludere le forze dell'ordine è costituita dalla mobilità. Come osserva Edward Bristow (v., 1983, p. 29), storicamente "la dinamica di fondo del sistema della prostituzione era il movimento costante; lo spostamento da una casa di prostituzione all'altra era un elemento centrale di tale sistema". Secondo alcune stime relative alla Francia del XIX secolo, circa la metà delle case di prostituzione cessava l'attività dopo due mesi o anche meno. La mobilità favoriva il sistema della prostituzione come ambiente chiuso e controllato dalla malavita o dalla polizia per i seguenti motivi: la richiesta di varietà da parte della clientela, l'alta incidenza di malattie veneree e di altro tipo che obbligavano le prostitute a cessare l'attività, una disciplina legale che imponeva loro la segretezza e le metteva nella necessità di sparire rapidamente dalla città o dal villaggio. Nel mondo contemporaneo, in cui la prostituzione è diventata un fenomeno globale, le prostitute continuano a essere una categoria caratterizzata da un'elevata mobilità (v. UNESCO, The international..., 1993, e Europe..., 1993; v. Klausner, 1987; v. "Time", 1993).
L'affiliazione a gruppi devianti offre una strategia di sopravvivenza che lega la prostituzione a determinati quartieri e zone residenziali, dove i clienti possono far riferimento a locali noti, e dove prosperano altre attività illegali. In generale la devianza visibile caratterizza i quartieri in cui la comunità non si oppone a tali attività, e in cui i maschi adulti non sposati costituiscono la maggioranza, mentre le famiglie o le attività commerciali sono in netta minoranza (v. Cohen, 1980). La segregazione territoriale e le gerarchie socioeconomiche sono tipiche della prostituzione urbana, soprattutto in situazioni di repressione da parte delle forze dell'ordine. La prostituzione visibile viene esercitata soprattutto in luoghi come parchi pubblici, vicoli, terreni abbandonati, bar, ecc., particolarmente adatti per i traffici o per la fuga. Nella città di New York la prostituzione tende a essere associata allo spaccio di droga, ma queste due attività illegali tengono a freno altre forme di devianza e di criminalità, come la delinquenza delle bande giovanili, le aggressioni a scopo di rapina e gli omicidi (ibid.).
Le relazioni sociali delle prostitute sono determinate da due fattori principali: il tipo di disciplina legale e le forme di organizzazione della prostituzione.Considerare lo status giuridico della prostituzione in tre prospettive - la criminalizzazione, la legalizzazione e la regolamentazione statale - consente di analizzare in che modo la politica sociale influenzi le forme di relazione sociale proprie del mondo della prostituzione. In primo luogo, in ogni paese esiste una qualche forma di disciplina legale della prostituzione, sicché è improprio definirla un 'libero mercato'. In secondo luogo, può esservi un notevole divario tra teoria e pratica, nel senso che spesso, anche quando la prostituzione è considerata un reato dalla legge, l'applicazione delle norme può essere discriminatoria o flessibile. In terzo luogo, nel regolamentare la prostituzione ci si prefigge non già di abolirla, quanto piuttosto di tutelare l'ordine sociale (prevenzione della criminalità, del diffondersi di malattie veneree, della tossicodipendenza, ecc.). In ogni caso, le prostitute devono sviluppare relazioni adattative per sopravvivere, ad esempio instaurando rapporti personali con gli agenti di polizia per evitare l'arresto e con i protettori perché paghino le tangenti alle forze dell'ordine, e creandosi una clientela regolare per ridurre gli interventi della polizia e per stabilizzare routines di lavoro (v. Davis, 1979 e 1986¹⁸).
Là dove la sessualità è interpretata in termini tradizionali come peccato, malattia, nevrosi, patologia, decadenza, causa di degrado o di declino della società, in generale prevarranno sistemi di disciplina estremamente repressivi. La criminalizzazione della prostituzione accresce in misura notevole i rischi legati al commercio del sesso e contribuisce a rendere le relazioni sociali delle prostitute occasionali, marginali e devianti, oltreché altamente svantaggiose (v. Davis, 1979). Una politica restrittiva determina una serie di cambiamenti ecologici e sociali: distrugge i sistemi di relazione esistenti delle prostitute, basati sulla vicinanza ai congiunti e al luogo d'origine; le costringe a spostarsi costantemente entro l'area urbana o di città in città; le espone maggiormente a violenze e malattie; ne favorisce la dipendenza dalle organizzazioni criminali (v. Rubin, 1984).Passando alla legalizzazione della prostituzione - un fenomeno relativamente raro e spesso temporaneo - il clima sociopolitico riflette un ethos e forme di relazione completamente diversi.
Nei paesi in cui la prostituzione è legalizzata, come ad esempio in Olanda e in Germania, prevalgono le relazioni di tipo economico (v. Davis, Prostitution..., 1993). Le prostitute hanno una maggiore libertà di organizzare la loro attività e di soddisfare le domande della clientela, ed esiste una minore discontinuità tra la loro vita pubblica e la loro vita privata. La politica di legalizzazione dovrebbe comportare in teoria una parificazione dei diritti per le prostitute - ad esempio condizioni di lavoro accettabili e sistemi di previdenza e assistenza medica - ma spesso ciò non si verifica. In Olanda le prostitute pagano le tasse e sono state accettate dal sindacato del settore dei servizi, ma non godono dei diritti standard del cittadino (v. Sterk-Elifson e Campbell, 1993).La disciplina legale della prostituzione è diventata la politica sociale più diffusa a livello internazionale. In essa le prostitute vengono considerate una 'categoria speciale', e vengono poste restrizioni ai loro diritti civili. Lo Stato può stabilire condizioni per l'apertura di case di prostituzione 'legali' vietando quelle 'illegali' (ossia non autorizzate). In teoria, le case di prostituzione legalmente riconosciute dovrebbero avere la funzione di proteggere le prostitute, ma in realtà avvantaggiano principalmente la clientela - tutelandola dai furti e dagli interventi della polizia - e i proprietari e i tenutari - che ne traggono i maggiori benefici economici.
Come emerge dallo studio condotto da Mary Gibson (v., 1986 e 1993) sulle case di tolleranza in Italia (ma il discorso può essere esteso a gran parte dei paesi europei e del Nordamerica) le prostitute non erano soddisfatte delle loro condizioni di vita e di lavoro. Perlopiù confinate in stanze squallide, prive di luce e di aria, con le finestre coperte o sbarrate per garantire la segretezza, non erano libere di uscire, e passavano la maggior parte del tempo nelle loro camere dormendo e mangiando. I tenutari si aspettavano doni dalle prostitute, e i loro managers spesso pretendevano prestazioni sessuali. Le case di prostituzione illegali offrono uno spettacolo ancora più squallido. I 'neo-bordelli', che si rivolgono a una clientela di estrazione medio-bassa, impongono alle prostitute di avere rapporti almeno con venti, e sino a cinquanta clienti al giorno. In questi contesti le relazioni sociali sono improntate essenzialmente allo sfruttamento e all'ineguaglianza: proprietari, tenutari e clienti detengono il potere, laddove le prostitute sono prive o quasi di autonomia e libertà di scelta.
La regolamentazione statale non elimina tutte le forme di prostituzione. Anche in presenza di leggi restrittive, ad esempio, possono esistere estese reti di ragazze squillo che operano in proprio o sono integrate in organizzazioni di 'accompagnatrici' (v. Bryan, 1966). A differenza delle prostitute che battono il marciapiede o lavorano nelle case di tolleranza, le ragazze squillo godono di una maggior sicurezza, hanno guadagni più elevati, possono scegliere attentamente i propri clienti e lavorare a ritmi ridotti. Sull'onda della rivoluzione sessuale si è affermata una nuova figura di prostituta: una donna indipendente che lavora esclusivamente per sé e rifiuta l'etichetta di prostituta, conducendo una doppia vita in cui la rispettabilità nella vita familiare si combina con una occupazione 'deviante' (v. Gibson, 1993). In Australia questo nuovo tipo di prostitute, che dimostrano una notevole indipendenza prestando i loro servizi a una vasta clientela in una varietà di ambienti sociali, tendono a considerarsi professioniste a tempo pieno (v. Perkins, 1991).
Per quanto riguarda il futuro della prostituzione, si possono prefigurare le seguenti tendenze: 1) aumenterà la regolamentazione statale a seguito dell'epidemia di AIDS, della reazione a livello mondiale contro la prostituzione minorile e dell'aumento della violenza e dello sfruttamento nei confronti delle donne; 2) il controllo legale sul comportamento sessuale in quanto tale tenderà a diminuire in misura considerevole, anche se l'esercizio pubblico e 'visibile' della prostituzione continuerà a essere disciplinato e all'occorrenza punito qualora comporti turbative dell'ordine pubblico; 3) la prostituzione continuerà a esistere in forma clandestina nelle società che marginalizzano o stigmatizzano quanti la esercitano, aumentando il rischio di violenze cui sono esposti e la diffusione dell'AIDS; 4) la prostituzione non sarà riconosciuta come occupazione pienamente legittima senza una complessa infrastruttura di leggi antidiscriminatorie in favore delle donne; 5) nelle società occidentali, e in particolare nei paesi più sensibili alla tematica dei diritti civili, le reazioni delle femministe e delle organizzazioni di ex prostitute contro una legislazione repressiva perseguiranno un'agenda dei diritti umani sotto l'egida internazionale (ad esempio delle Nazioni Unite).
Nonostante la tendenza verso la globalizzazione, che conduce a una ipercommercializzazione della prostituzione, e nonostante la tratta delle donne abbia assunto i caratteri di un traffico internazionale, la regolamentazione in questo campo continuerà a esprimere una grande diversità di ideologie e pratiche culturali, sociali e religiose. E' altamente improbabile, ad esempio, che nelle aree rurali vengano emanate norme a tutela delle prostitute. I contesti urbani invece continueranno a sviluppare tecniche di sorveglianza e di controllo per arginare la diffusione dell'AIDS e la tratta delle donne, e a offrire programmi di assistenza per le donne che vogliano abbandonare il mestiere.
(V. anche Sessualità).
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