PROTIRO
Il termine p. (dal gr. πϱόθυϱον) indica una struttura architettonica anteposta a un portale e dotata di vitalità funzionale autonoma nella copertura e nei sostegni.La forma più usuale del p. è quella costituita da una volta a botte sormontata da un tetto a due spioventi e addossata alla muratura soprastante una lunetta. In genere due colonne forniscono appoggio alla parte emergente. Realizzato in questi termini il p. non è comunque invenzione propria del Medioevo occidentale. L'uso di forme analoghe di sottolineatura degli ingressi ha testimonianze anteriori ed estranee che esulano però dalla ben definita tipologia che il p. acquistò nel Medioevo occidentale.In area transcaucasica, per es., almeno a partire dalla fine del sec. 5° era di uso corrente - basiliche di K῾asał Aparan, Tekor ed Ereruk῾, in Armenia - ornare i portali degli edifici religiosi con archivolti coperti da spioventi che, sovrapponendosi alle lunette, poggiano su semicolonne o su semipilastri. Essendo queste strutture completamente addossate alla parete, definiscono in modo quasi grafico la forma del p. sulla pelle muraria dell'edificio, pur negandone la caratteristica più individua, la spazialità indipendente rispetto all'ingresso. Nella stessa zona si giunse assai presto a tale risultato con l'apparire, sul finire del sec. 6°, dell'uso di un vestibolo coperto da una volta a botte perpendicolare alla fronte dell'ingresso, tetto a spioventi e pesanti spalle murarie nelle quali si aprono tre larghe arcate poggianti su semicolonne addossate, come per es. nella chiesa di Djvari a Mckheta, in Georgia. Si tratta di una soluzione architettonica che avrebbe avuto larga fortuna nei secoli successivi e che impiega, attraverso una particolare interpretazione costruttiva legata alla tecnica edilizia, propria della regione, del conglomerato rivestito con pietra da taglio, gli elementi essenziali che furono caratteristici del p. nell'accezione formale che esso acquisì nel Medioevo occidentale.In questa forma semplice il p. ebbe un'esistenza altomedievale, come testimoniano la basilichetta dei Ss. Martiri a Cimitile (fine sec. 9°-inizi 10°) e alcune chiese romane. In queste ultime - S. Clemente, S. Prassede, S. Cosimato - la struttura, connessa agli ingressi ai quadriportici, pur dovendosi riferire a interventi edilizi dei secc. 11° e 12°, riflette forme più antiche, come quelle testimoniate fin dal sec. 9° al centro della fronte del portico addossato alla facciata di S. Pietro in Vaticano, un tipo di sovrapposizione ripresa agli inizi del sec. 12° anche in S. Maria in Cosmedin.Nel Medioevo europeo è in area padana che il p. acquistò una stabile presenza nella decorazione degli ingressi delle cattedrali e divenne una componente fondamentale nella determinazione architettonica della facciata in età romanica e gotica. Questo non escluse una sua diffusione anche altrove; quando ciò avvenne, come per es. nella cattedrale di Genova, in edifici minori dell'area alpina, provenzale o svizzera - per es. la facciata di Notre-Dame a Sisteron, in Provenza, del sec. 12°; il lato nord di Notre-Dame a Embrun, nel Delfinato, del sec. 13° - oppure in Dalmazia, si verificò in conseguenza della presenza di botteghe o di maestranze la cui formazione risaliva, direttamente o indirettamente, all'ambiente lombardo o più genericamente padano. Si deve registrare la presenza del modulo anche nella chiesa di Béthisy-Saint-Martin nell'Ile-de-France.Allo stato delle risultanze storiche e archeologiche, quello che si è soliti definire come p. lombardo fece la sua comparsa, in un'accezione compiuta e definitiva, cioè caratterizzata dalla presenza di animali stilofori e di due piani uguali e sovrapposti, nella facciata della cattedrale di Modena, iniziata a costruire dal 1099. Rispetto a questo primo esempio, equivalente a un arco trionfale anteposto all'edificio sacro, il p. subì rapidamente una serie di trasformazioni soprattutto sul piano dell'evidenza rappresentativa e per ciò stesso strettamente legate alla sua più spiccata caratteristica funzionale, quella di collegamento con l'ambiente urbano antistante.È a Piacenza, a partire dalla fondazione della cattedrale nel 1122, che si può cogliere l'inizio di questo percorso di mutamento e di amplificazione. Nei p. corrispondenti ai portali laterali di facciata, tutti a due piani come quello centrale, i leoni araldici della prima fase modenese fanno posto a una figurazione più complessa, in cui dei telamoni, alternativamente giovani e vecchi, siedono al di sopra di animali mostruosi. Più in alto, sulla fronte delle prime arcate, si dispongono a sinistra le figure di S. Giovanni Evangelista e di S. Giovanni Battista e a destra quelle dei profeti Enoch ed Elia. Nel p. centrale una serie di formelle con le raffigurazioni dei segni dello Zodiaco, dei Venti e delle Costellazioni, intervallate al centro dalla mano divina benedicente, introducono nella struttura architettonica una dimensione simbolica. In questa trova giustificazione anche la presenza del secondo piano, destinato ad accogliere statue del santo titolare o di altre figure legate alla venerazione locale. Si tratta di una sistemazione che, pur mancando di una versione primitiva integra, appare largamente ripresa più tardi, in particolare nel sec. 14°, e meglio si accorda con la funzione rappresentativa che il p. venne via via acquistando.I successivi sviluppi del tipo si svolsero nell'ambito della bottega di Nicolò (v.), a partire dalla fondazione della cattedrale di Ferrara nel 1135, ma soprattutto nei p. veronesi - cattedrale, S. Zeno Maggiore - eseguiti subito dopo. In quello di S. Zeno Maggiore la novità più consistente è data dalla disposizione dei telamoni non più immediatamente al di sopra delle belve stilofore, come a Ferrara, bensì al di sotto della volta, a formare le mensole terminali dei due architravi che la reggono e sui quali vengono disposte le raffigurazioni dei Mesi. Questa sistemazione, che risale con certezza al primitivo progetto elaborato dall'artista, malgrado i rimaneggiamenti subìti dalla facciata, è di fondamentale importanza soprattutto in vista degli sviluppi che l'idea di associare al p. il ciclo dei Mesi acquistò in ambito antelamico.Il ciclo dei Mesi conservato nel battistero di Parma, quello di Ferrara (Mus. del Duomo), proveniente dal distrutto portale meridionale della cattedrale, e quello reimpiegato sulla fronte del p. tardoduecentesco della facciata della cattedrale di Cremona sono da riconoscere come parti superstiti di decorazioni di protiri. Il fatto è documentato per i frammenti di Ferrara, i quali erano disposti in serie continue e sovrapposte al di sotto della volta del p., ed è probabile che un'analoga disposizione coinvolgesse anche gli altri due cicli. Una precisa testimonianza in questo senso è fornita dal ciclo dei Mesi che decora l'imbotte che precede il portale della pieve di S. Maria ad Arezzo, anch'esso opera di un maestro antelamico, e da quello dipinto proveniente dal p. dell'abbazia ferrarese di S. Bartolo, realizzato nel 1294 (Ferrara, Pinacoteca Naz.). Un tardo ricordo di quella sistemazione è presente nella forma a due piani simmetrici coperti da volte a botte a tutto sesto e nella disposizione del ciclo dei Mesi lungo il margine esterno dell'arcata inferiore nel p. della cattedrale di Parma, realizzato nel 1281 da Giambono da Bissone.È ancora a Modena, tra il 1209 e il 1231, che venne realizzata, nella porta Regia della cattedrale, opera probabile di Ottavio da Campione, la più radicale revisione della tipologia romanica del protiro. L'abbandono di qualsiasi accenno alla presenza di un corredo plastico di tipo simbolico-narrativo si accompagna a una marcata diversificazione tra il piano inferiore e il piano superiore, che appare maggiormente articolato nelle sue scansioni spaziali interne, rispetto alla stesura unitaria della sottostante volta a tutto sesto, grazie alla presenza di due file di sostegni sui quali poggiano due file di arcate trasverse a tutto sesto, di cui la centrale più alta delle laterali, destinate a reggere un tetto in pietra a due spioventi.Sarebbe stato questo uno dei tipi di p. più diffusi nel corso del Duecento e del Trecento in virtù delle possibilità di elaborazione architettonica e decorativa che esso consentiva e alla cui realizzazione avrebbero dato un fondamentale contributo le maestranze campionesi. Lo si trova anzitutto a Cremona, nella facciata della cattedrale, progettato forse dallo stesso Giacomo Porrata che nel 1274 firmò il soprastante rosone. Rispetto ai modi della porta Regia è da riconoscere in questo caso la presenza della volta a botte spezzata nel piano inferiore e in quello superiore di arcate a sesto acuto corrispondenti a tre piccole crociere di copertura che consentono un'assai meno marcata emergenza della struttura nel suo insieme. A Ferrara, agli inizi del Trecento, lo stesso tipo, impiegato nel completamento del p. nicolesco della facciata della cattedrale, rivela in pieno le sue possibilità di sviluppo decorativo, mutando le arcate in bifore traforate e sovrapponendo al secondo piano un cornicione sormontato da una cuspide triangolare affiancata lateralmente da altre due più strette e slanciate. Questa trasformazione in senso ascensionale del modulo duecentesco inventa lo spazio sul quale distendere una grandiosa raffigurazione del Giudizio universale che costituisce uno dei più calibrati accoppiamenti tra la forma architettonica del p. e il decoro plastico di tipo narrativo.Il Duecento vide anche l'uso di una variante semplificata di p. composta da un solo piano e caratterizzata in genere da una certa esilità di forme, creata ora da sostegni sottili ora da ridotte dimensioni della fronte. Già presente alla bottega antelamica che a Fidenza cercò, attraverso la sua triplice ripetizione, di assuefare il tipo ai modi compositivi delle facciate provenzali, esso comparve nella prima metà del secolo nel S. Ciriaco di Ancona e nelle opere realizzate a Trento e a Bolzano dalla bottega di Adamo da Arogno (v.), e ispirò ancora di sé il p. anteposto nel 1288 al braccio settentrionale del transetto della cattedrale di Cremona. È solo nella cattedrale di Lodi, tra il 1282 e il 1284, che esso acquistò una spiccata caratterizzazione in senso gotico attraverso l'uso del cotto, degli archi acuti e della decorazione a intreccio, tanto da divenire, per la zona, un vero e proprio prototipo ripreso ai primi del Trecento nel S. Germano di Varzi (prov. Pavia), ma ancora citato, in pieno Quattrocento, nel S. Francesco della stessa Lodi e nel 1471 nel S. Luca di Cremona.Questo tipo dovette essere ben presente tra altri a Giovanni da Campione (v. Campionesi), che tra il 1351 e il 1363 realizzò i p. meridionale e settentrionale della chiesa di S. Maria Maggiore a Bergamo. Vi rivivono singolari citazioni romaniche nell'uso della volta a botte e dei telamoni alla base dei sostegni, mentre l'alto cornicione del p. meridionale, decorato da figure di santi a bassorilievo entro nicchie e forse dovuto a un più tardo completamento di Andriolo de' Bianchi, rimanda all'analoga soluzione ornamentale ferrarese. Peraltro, nelle parti certamente spettanti a Giovanni da Campione, l'uso del parato bicromo e l'attenta sottolineatura che la decorazione plastica fa del partito architettonico contribuiscono ad annullare ogni sentore di arcaicità in una limpida interpretazione lineare. Nel p. settentrionale, le sculture che segnano il bordo dell'arcata, unitamente alla decorazione a rombi bicromi del sottarco e alla festonatura dell'intradosso, indicano l'aprirsi verso un'interpretazione squisitamente ornamentale della forma architettonica che ebbe la sua più compiuta realizzazione nel p. che il figlio Matteo realizzò, nella seconda metà del Trecento, nel duomo di Monza.Prima del 1378, data di morte di Galeazzo II Visconti, dovette essere ricostruita la facciata di S. Maria Maggiore a Milano, andata distrutta nel corso dei lavori di costruzione del duomo e oggi testimoniata solo graficamente (Romanini, 1964, tav. 132). Il suo p. costituiva una vistosa variante apportata al tradizionale tipo lombardo a due piani da un architetto di cultura veneta. Il piano superiore era formato da tre arcate a tutto sesto, di dimensioni identiche, sormontate da un cornicione ad arco inflesso che accompagnava il coronamento mistilineo della facciata sottolineandone il ritmo ascensionale e dimostrando in concreto nuove possibilità compositive insite nella rottura degli schemi tradizionali.Non indifferente al modello milanese appare la sopraelevazione del p. settentrionale di S. Maria Maggiore a Bergamo, realizzata nel 1396 da Andriolo de' Bianchi sulla linea di una radicale revisione del gusto neoromanico che aveva caratterizzato il piano inferiore di Giovanni da Campione. Alla calibrata stesura unitaria di questo si contrappongono tre arcate trilobe, riprese anche sui fianchi, corrispondenti a volte a crociera concluse esternamente da coperture piane differenziate al fine di consentire a quella centrale, più alta, di dare luogo a un terzo piano, a sua volta sormontato da una copertura piramidale che costituisce la soluzione più spinta che il p. raggiunge nell'elaborazione ascensionale delle sue componenti tradizionali.Dai modi di S. Maria Maggiore di Milano derivava anche il p., distrutto ma testimoniato da dipinti (Romanini, 1964, tav. 139), della cattedrale di Mantova, realizzato in uno con la facciata da Pierpaolo dalle Masegne nel 1400-1401, dopo un primo affidamento dell'incarico al fratello Jacobello (v.), al quale doveva forse risalire il progetto. In questo caso il dato significativo non era tanto la presenza di quattro alti pinnacoli ad accompagnare la copertura piramidale, quanto la dissoluzione della tradizionale tripartizione del piano superiore per dare luogo a un loggiato caratterizzato da cinque arcate trilobe, strette e slanciate, con il fondo segnato da due gallerie trasversali sovrapposte, l'inferiore a bifore trilobate e la superiore ad arcatelle a tutto sesto: una soluzione che nel prezioso ricamo annullava emblematicamente i termini consueti di composizione del tipo architettonico, che in effetti avrebbe avuto, nel corso del Quattrocento, un'esistenza sempre più marginale e periferica. È semmai da rilevare come un chiaro ricordo del tradizionale p. a due piani sia presente nel tipo di portale quattrocentesco caratterizzato da un ordine di statue entro nicchie sovrapposto al cornicione rettilineo che conclude l'arcata esterna dell'ingresso, come quello della chiesa di S. Marco a Milano o quello del duomo di Como, realizzato da Amuzio da Lurago nel 1461.Rispetto alla tipologia sostanzialmente unitaria di questa struttura architettonica esistono delle varianti, quale per es. il tipo di p. pensile su mensole digradanti, presente nella facciata di S. Maria del Casale a Brindisi, del 1320.
Bibl.: G.T. Rivoira, Le origini dell'architettura lombarda e delle sue principali derivazioni nei paesi d'oltr'alpe, Milano 19082, pp. 266-274 (2 voll., Roma 1901-1907); A.K. Porter, Lombard Architecture, I, New Haven-London-Oxford 1917, pp. 385-386; E. Mâle, L'art religieux du XIIe siècle en France, Paris 1922, pp. 39-40; P. Frankl, Der Dom in Modena, JKw 4, 1927, pp. 39-54; R. Bernheimer, Romanische Tierplastik, München 1931, pp. 118-126; C. Baroni, Scultura gotica lombarda, Milano 1944, pp. 44-48; T. Krautheimer Hess, The Original Porta dei Mesi at Ferrara and the Art of Niccolò, ArtB 26, 1944, pp. 152-174; G. de Francovich, Benedetto Antelami architetto e scultore e l'arte del suo tempo, Milano-Firenze 1952, I, pp. 450-463; F. de' Maffei, s.v. Campionesi, in EUA, III, 1958, coll. 81-87; H. Belting, Die Basilica dei SS. Martiri in Cimitile und ihr frühmittelalterlicher Freskenzyklus (Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie, 5), Wiesbaden 1962; A.M. Romanini, L'architettura gotica in Lombardia, Milano 1964, I, pp. 164-171, 294-304; A.C. Quintavalle, La cattedrale di Modena. Problemi di romanico emiliano, Modena 1964-1965, I, pp. 83-84; A.R. Masetti, Il portale dei mesi di Benedetto Antelami, CrArte, n.s., 14, 1967, 86, pp. 13-31; 87, pp. 24-40; A.C. Quintavalle, Questioni medievali, ivi, 15, 1968, 96, pp. 61-76; id., Romanico padano, civiltà d'Occidente, Firenze 1969, pp. 145-164; R. Salvini, Il duomo di Lanfranco, in Studi matildici, "Atti e Memorie del II Convegno di studi matildici, Modena-Reggio Emilia 1970", Modena 1971, pp. 153-175; A.C. Quintavalle, Piacenza Cathedral, Lanfranco and the School of Wiligelmo, ArtB 55, 1973, pp. 40-57; id., La cattedrale di Parma e il Romanico europeo (Il Romanico padano, 1), Parma 1974, pp. 128-130; L. Cochetti Pratesi, Sui protiri della cattedrale di Modena, Commentari 26, 1975, pp. 384-393; F. Gandolfo, Il 'protiro lombardo': una ipotesi di formazione, StArte, 1978, 34, pp. 211-220; A. Peroni, Struttura e valori ottici nei portali romanici di Pavia, in Festschrift für Wilhelm Messerer zum 60. Geburtstag, Köln 1980, pp. 121-135; E. Kain, The Marble Reliefs on the Facade of S. Zeno, Verona, ArtB 63, 1981, pp. 358-374; C. Verzar, Matilda of Canossa, Papal Rome and the Earliest Italian Porch Portals, in Romanico padano, Romanico europeo, "Convegno internazionale di studi, Modena-Parma 1977", a cura di A.C. Quintavalle, Parma 1982, pp. 143-158; F. Gandolfo, Il protiro romanico: nuove prospettive di interpretazione, AM 2, 1984, pp. 67-77; id., La scultura romanica nell'area estense, in L'arte sacra nei ducati estensi, "Atti della III Settimana dei beni storico-artistici della Chiesa nazionale negli antichi ducati estensi, Ferrara 1982", Ferrara 1984, pp. 97-132; id., I programmi decorativi nei protiri di Niccolò, in Nicholaus e l'arte del suo tempo, "Atti del Seminario in memoria di C. Gnudi, Ferrara 1981", a cura di A.M. Romanini, Ferrara 1985, II, pp. 515-559; E. Kain, The Sculpture of Nicholaus and the Development of a North Italian Romanesque Workshop (Dissertationen zur Kunstgeschichte, 24), Wien 1986; F. Gandolfo, Il Romanico a Ferrara e nel territorio: monumenti e aspetti per un essenziale itinerario architettonico e scultoreo, in Storia di Ferrara, V, a cura di A. Vasina, Ferrara 1987, pp. 323-373; T. Gädeke, Die Architektur des Nikolaus. Seine Bauten in Königslutter und in Oberitalien (Studien zur Kunstgeschichte, 49), Hildesheim-Zürich-New York 1988; C. Verzar, Portals and Politics in the Early Italian City-State: the Sculpture of Nicholaus in Context, Parma 1988; F. Gandolfo, La façade romane et ses rapports avec le protiro, l'atrium et le quadriportico, CahCM 34, 1991, pp. 309-319; I Maestri Campionesi, a cura di R. Bossaglia, G.A. Dell'Acqua, Bergamo 1992; G. Valenzano, La basilica di San Zeno in Verona: problemi architettonici, Vicenza 1993.F. Gandolfo