Protocolli per la giustizia civile
Negli ultimi anni si sono diffusi, in moltissimi uffici giudiziari sull’intero territorio nazionale, oltre un centinaio di “protocolli”, redatti di comune intesa da magistrati, avvocati, dirigenti amministrativi, per lo più riuniti in stabili tavoli di confronto intercategoriale denominati “Osservatori sulla giustizia civile”. I protocolli contengono regole di buona condotta e censiscono prassi virtuose che, proprio per la loro condivisione fra i diversi protagonisti del processo civile, possono creare le condizioni per una organizzazione e fruizione più efficace del servizio-giustizia, nel rispetto dell’impianto normativo. Lo scritto esamina le quattro diverse fasi, dalla genesi storica alle prospettive di sviluppo, che hanno caratterizzato e nelle quali potrà ulteriormente svilupparsi l’attività di protocollazione.
Nel 1993 – giusto venti anni fa – veniva costituito, a Milano, il primo Osservatorio sulla giustizia civile. L’anno dopo, seguiva la costituzione dell’Osservatorio di Bologna, con la fortunata stagione degli incontri di “Prassi comune”, nei quali avvocati e magistrati – fra i quali va ricordato, per lo straordinario impegno e la visione anticipatrice, Carlo Maria Verardi, prematuramente scomparso – inaugurarono una modalità di confronto sulle tematiche di ordine interpretativo e organizzativo, allora poste con urgenza dalla “novella” del processo civile, l. 26.11.1990, n. 353. Questa legge, la cui entrata in vigore fu poi distillata fra il 1990 e il 1995, sarebbe divenuta, allora ancora inconsapevolmente, il seme per la nascita dei tanti “Osservatori sulla giustizia civile” che oggi sono distribuiti sull’intero territorio nazionale1 e per la proliferazione dei protocolli.
Natura e caratteristica distintiva degli Osservatori2 è quella di essere centri di aggregazione spontanea di avvocati, magistrati, docenti universitari e personale amministrativo – con diversi gradi di coinvolgimento delle istituzioni e delle associazioni operative su base locale – che si riuniscono insieme nella determinazione di voler essere, superando le carenze strutturali e le sterili contrapposizioni di categoria, una sede di elaborazione, pratica e concreta, di comuni «regole di buona condotta» utili a una migliore organizzazione e quindi a una fruizione più efficace del servizio-giustizia.
È proprio nelle sedi degli Osservatori che si è diffusa la prassi di concordare, sottoscrivere e diffondere protocolli per la gestione delle udienze civili e, in generale, per la organizzazione e la fruizione dei servizi di giustizia3.
I protocolli si sono rivelati strumenti preziosi per il recupero di efficienza mediante la condivisione di scelte organizzative e di soluzioni pratiche elaborate d’intesa fra tutti i soggetti tipicamente protagonisti della giurisdizione: magistrati, avvocati, dirigenti di cancelleria; e in alcuni casi anche con coinvolgimento di altri interlocutori qualificati e interessati, quali docenti universitari, ufficiali giudiziari, medici legali, commercialisti, servizi sociali territoriali.
I protocolli, oltre a costituire l’occasione dell’istituzione di un tavolo di confronto permanente fra i diversi attori del processo, hanno avuto e hanno il merito di censire molte delle prassi virtuose ovvero cd. best practices che l’impegno e l’estro di alcuni operatori di giustizia hanno, in molte parti d’Italia, imposto all’attenzione dei pratici e dei commentatori.
Essi, inoltre, si sono rivelati uno straordinario strumento di conoscenza, approfondimento e – nei limiti del possibile – risoluzione di tanti problemi, piccoli e grandi, che ostacolano il corso del processo, limitandone l’efficacia di attuazione o che anche, più semplicemente, rendono più gravoso l’esercizio, per i magistrati, della giurisdizione e, per gli avvocati, delle attività di difesa.
Le regole protocollari – è stato più volte sottolineato – non sono norme tecnicamente cogenti e non intendono sostituirsi al dato normativo, ma semmai affiancarlo con una serie di accorgimenti pratici condivisi, la cui forza risiede esclusivamente nella loro capacità, e in quella dei soggetti ed enti coinvolti, di porsi e di imporle quali regole di buon senso e di utilità comune, come tali riconosciute dalla comunità di operatori che le ha adottate.
Proprio perché i protocolli sono strumenti flessibili che si adattano alle specificità locali, essi non sono inscindibilmente legati alla presenza, su base locale, di un Osservatorio sulla giustizia civile: non sono rari i casi di protocolli adottati in sedi di tribunale (ma anche presso uffici del giudice di pace o di corte d’appello) dove, pur non essendo costituito un Osservatorio, sono stati comunque raggiunti accordi fra magistratura e avvocatura coltivati nell’ambito dei rapporti di collaborazione istituzionale fra i vertici degli uffici giudiziari e i consigli dell’ordine forense territoriali.
I protocolli costituiscono un materiale molto ampio e di grande interesse, nel quale si fondono le esigenze comuni a tutti gli Osservatori, o comunque a tutte le sedi di uffici giudiziari che li hanno elaborati, e le particolarità che inevitabilmente caratterizzano ciascuna realtà locale.
La dimensione del fenomeno e il numero dei protocolli a tutt’oggi già varati rende impossibile anche la loro semplice elencazione in questa sede: a tutt’oggi, sono stati censiti oltre un centinaio di protocolli4.
In quella che potremmo definire la prima fase della “stagione dei protocolli”, il contenuto degli stessi ha avuto, di norma, l’enucleazione di regole condivise per le udienze civili di tribunale e per le varie attività di complemento, che riguardano il generale comportamento di leale collaborazione fra difensori, e fra questi e il giudice, nonché accorgimenti pratici finalizzati a una migliore organizzazione e fruizione dei servizi di cancelleria5.
In una seconda fase – che ancora prosegue – ai protocolli generali per le udienze civili si sono affiancati protocolli di contenuto più specifico, aventi a oggetto particolari procedimenti civili o attività: è il caso dei protocolli di Genova, Milano, Monza, Termini Imerese e Verona (quest’ultimo il primo a inaugurare, nel 2006, questa seconda fase) per i procedimenti innanzi al giudice di pace; di Arezzo, Bologna, Cagliari, Grosseto, Milano, Roma, Venezia e Verona per i procedimenti di diritto del lavoro; di Bassano del Grappa, Bologna, Campobasso, Catania, Firenze, Milano, Pistoia, Pordenone, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Roma, Salerno, Venezia e Verona per i procedimenti di diritto di famiglia6; di Venezia per i procedimenti di rito societario; di Torino e Verona sul rito locatizio; di Genova per la liquidazione delle spese legali nei vari procedimenti civili; di Bologna, Reggio Emilia, Roma, Torino e Verona sul procedimento sommario di cognizione; di Pescara sulle esecuzioni mobiliari; di Verona sulle esecuzioni immobiliari; di Verona sulle procedure concorsuali; di Verona sull’applicazione degli artt. 91, 96 e 614 bis c.p.c.7; di Firenze sulla conciliazione delegata; di Pordenone sui procedimenti ex artt. 696 e 696 bis c.p.c; di Reggio Calabria sui procedimenti di accertamento tecnico preventivo in materia previdenziale; di Reggio Calabria sulle operazioni peritali nelle controversie in materia di invalidità civile; di Milano e Reggio Emilia sugli atti processuali.
Esaurita (almeno, si spera) l’onda d’urto dello tsunami normativo degli ultimi anni, che ha prodotto una tanto sciagurata quanto inutile – se non dannosa – proliferazione di riti nel processo civile, l’attività protocollare è oggi inevitabilmente indirizzata verso la regolamentazione delle numerose prassi che, dovendosi necessariamente adattare alle diverse disponibilità e attitudini dei vari uffici giudiziari territoriali, sono e sempre più saranno, nei prossimi mesi e anni, imposte dalla diffusione del processo civile telematico. In molte sedi di Osservatorio e di tribunale si stanno predisponendo aggiornamenti degli originari protocolli per il processo civile, ovvero varando nuovi protocolli che detteranno le regole di fruizione delle moderne dinamiche processuali, in tema di depositi telematici, consultazione on-line dei fascicoli e, in prospettiva, redazione direttamente sulla “consolle” informatica dei magistrati e degli avvocati degli atti processuali e dei provvedimenti8.
Sul punto, va segnalato l’importante lavoro già abbozzato dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Firenze che, all’ultima Assemblea nazionale degli Osservatori di Reggio Emilia (31 maggio-2 giugno 2013), ha presentato e offerto alla discussione comune il primo progetto di Protocollo PCT - Proposta di regole di interpretazione delle norme del processo civile telematico e di prassi di tenuta di udienza.
L’attività di protocollazione di regole e prassi condivise fra tutti gli operatori di giustizia – primariamente magistrati, avvocati e personale amministrativo – costituisce in tutta evidenza, insieme, un traguardo e un punto di partenza di assoluto rilievo. È certamente un traguardo, perché mai prima, su così larga scala e su base totalmente spontanea, una tale moltitudine di uffici giudiziari a ogni livello (giudice di pace, tribunale, corte d’appello) si era mai data, d’intesa con l’avvocatura, regole condivise per l’amministrazione e la fruizione della giustizia; ma è soprattutto un punto di partenza, e non solo verso la regolamentazione pattizia – sempre e rigorosamente nel rispetto delle prerogative che spettano a chi ha la responsabilità istituzionale di dirigere gli uffici giudiziari – di quello che concretamente diverrà, nei prossimi anni, il processo civile telematico, approdo inevitabile dell’ultima riforma possibile per cercare di evitare il definitivo naufragio del sistema-giustizia italiano.
E se l’adattamento delle già esistenti regole protocollari alle nuove esigenze del processo telematico, anche in vista dell’obbligatorietà dei depositi telematici fissata al 30 giugno 2014 dalla l. di stabilità 24.12.2012, n. 228, costituisce il presente e l’immediato futuro dei protocolli, in quella che possiamo definire la loro terza fase dopo le prime due di cui abbiamo detto, l’esperienza oramai ventennale del confronto intercategoriale, finalizzato non esclusivamente alla produzione di protocolli, unita alla maturità del reciproco riconoscimento fra magistratura e avvocatura quali, entrambi, soggetti non solo fisiologicamente compartecipi ma anche responsabilmente impegnati nella costruzione di prassi comuni, organizzative e interpretative, impone che la preziosa esperienza dei protocolli trovi un ulteriore e, ritengo, necessario obiettivo: quello di creare e coltivare una deontologia comune di magistratura e avvocatura.
Come ha osservato Massimo Franzoni9, «è sempre più diffusa l’opinione secondo la quale la regola di comportamento più efficace è quella autonomamente data dai protagonisti e non quella dettata dal legislatore». L’osservazione non è sociologica ma strettamente tecnica, in quanto proveniente da uno studioso del contratto, ordinario di diritto civile, e prende le mosse dalla riflessione sul ruolo che proprio il contratto – e non la norma di legge – svolge nella regolamentazione di numerosi settori dell’organizzazione della giustizia, come ad esempio avviene con il regolamento negoziale del Giurì di autodisciplina pubblicitaria, oppure con le linee guida per gli esercenti le professioni sanitarie (come espressamente richiamate dal d.l. 13.9.2012, n. 158 sulla responsabilità medica) ovvero ancora, nell’ambito della giustizia domestica dell’avvocatura, con il codice deontologico forense.
Una volta, ricorda Franzoni, l’efficacia di regole siffatte veniva liquidata (esattamente come avviene ora con quelle dei protocolli, aggiungo) come priva di alcuna cogenza e confinata nella sfera dell’etica. Ma, con il tempo, tale efficacia (meramente) contrattuale è progredita verso riconoscimenti positivi di vincolatività generale.
È avvenuto ad esempio nella materia della responsabilità disciplinare degli avvocati, a opera della Corte di cassazione, la quale ha riconosciuto che «le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative del precetto legislativo che attribuisce al Consiglio Nazionale Forense il potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente all’ordinamento generale dello Stato, e come tali sono interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità»10. È avvenuto – aggiungo – anche con alcune regole protocollari degli Osservatori, ancora a opera della Corte di cassazione (con la sentenza 7.6.2011, n. 12408), che ha riconosciuto e richiamato l’applicabilità su base generale delle più note regole protocollari varate da un Osservatorio sulla giustizia civile italiano, vale a dire le tabelle per la liquidazione dei danni alla persona in uso al Tribunale di Milano, come varate e annualmente aggiornate dal locale Osservatorio sulla giustizia civile11 e, da qui, propalate per relationem nella maggior parte dei Tribunali italiani.
O, ancora, è avvenuto che alcune regole nate come protocollari siano state in seguito assorbite e fatte proprie dal legislatore, e divenute esse stesse norma di legge: è accaduto, ad esempio, con la riforma della disciplina delle esecuzioni immobiliari, dichiaratamente ispirata alle prassi adottate dai Tribunali di Bologna e Monza, oppure con l’introduzione della calendarizzazione del processo (destinata a essere ancora più incisiva, in forza di quanto recentemente stabilito dalla Corte costituzionale, con la sentenza 18.7.2013, n. 216) o con la regolamentazione del contraddittorio endoperitale nelle c.t.u.: riforme che hanno recepito prassi e accorgimenti già contenuti in alcuni protocolli degli Osservatori sulla giustizia civile.
Dunque, alcune prassi negoziali e regole protocollari sono state capaci di guadagnarsi sul campo non solo l’attenzione degli operatori e dei commentatori, ma anche un espresso riconoscimento che ne ha elevato la vincolatività dal terreno meramente negoziale e strettamente etico a quello di positiva e diretta cogenza, entrando a pieno diritto nel sistema delle fonti12.
Allo stesso modo, le linee guida delle professioni mediche (quali “protocolli diagnostico-terapeutici”) e i canoni deontologici della professione forense (quali protocolli di regole nate nella prassi e accreditate per via giurisprudenziale) sono state in grado di evolversi, maturando un progressivo e oramai unanime riconoscimento, da semplici prassi a regole – ancorchè non siano tecnicamente vere e proprie norme di diritto positivo – comunque dotate di indubbia precettività.
È su questo terreno di “normazione secondaria” ovvero, per usare una terminologia appartenente ad altri ordinamenti, di soft law, che deve tracciarsi l’obiettivo finale – la quarta fase – dell’attività protocollare, nella quale oramai grande parte degli operatori della giustizia, sia istituzionali che appartenenti al mondo associativo, è da tempo impegnata: ed è così, tracciando insieme le “linee guida” degli obblighi deontologici comuni che avvocatura e magistratura potranno veramente condividere la responsabilità, solidale e sociale13, del buon funzionamento della giustizia, nell’esercizio di una giurisdizione dialogica e compartecipata che assuma un valore di condivisione sostanziale e non meramente formale.
1 Attualmente, gli Osservatori sono presenti in circa una trentina di sedi di Tribunale. Fra gli Osservatori oggi più attivi si segnalano, oltre ai primigeni Milano e Bologna, quelli di Catania, Firenze, Genova, Reggio Emilia, Reggio Calabria, Torino e Verona. Ogni anno, a partire dal 1997, gli Osservatori confrontano le proprie attività in sedi di elaborazione comune: incontri, poi definiti dal 2006 “Assemblee nazionali”, che si sono tenuti a Bari nel 1997, a Bologna nel 1998, a Bari nel 1999, a Salerno nel 2001, a Reggio Calabria nel 2002, a Milano nel 2003, a Genova nel 2005, a Firenze nel 2006, a Verona nel 2007, a Salerno nel 2008, a Reggio Calabria nel 2009, a Bologna nel 2010, a Torino nel 2011, a Catania nel 2012 e a Reggio Emilia nel 2013.
2 Per una disamina sistematica della genesi, dell’attività e degli obiettivi degli Osservatori, si vedano Gilardi, G., Processo e organizzazione. Le “riforme” possibili per la giustizia civile, Milano, 2004; Verzelloni, L., Dietro alla cattedra del giudice. Pratiche, prassi e occasioni di apprendimento, Bologna, 2009, 215 ss.; Berti Arnoaldi Veli, G., Gli Osservatori sulla giustizia civile e i protocolli d’udienza, Bologna, 2011; Gilardi, G., Organizzazione e osservatori, in Il Libro dell’anno del diritto 2012, Roma, 2012, 653.
3 L’idea di predisporre protocolli per le udienze del processo civile non nasce comunque con gli Osservatori, anche se con essi si è sicuramente imposta e diffusa: un “Modello di prassi per il processo civile di cognizione”, elaborato da un “gruppo di studio” milanese presieduto dal Presidente della Corte d’Appello di Milano Piero Pajardi e composto di magistrati, professori di diritto processuale civile (Giuseppe Tarzia e Vittorio Colesanti) e avvocati, è pubblicato in Foro pad., fasc. n. 4, ottobre-dicembre 1987. Nella sua introduzione si legge: «Il ‘modello’ che qui si presenta vuole indicare la possibilità di attuare una nuova prassi processuale, che non richieda modifiche normative, ma sia tale da ottenere, nella situazione di diritto e di fatto attuale, uno svolgimento più proficuo del processo civile ordinario».
4 Per la disamina dei protocolli, raccolti in ordine cronologico e territoriale, si rimanda alla consultazione del sito www.osservatorigiustiziacivile.it, curato dalla Fondazione Carlo Maria Verardi, che offre una panoramica, ancorché non aggiornata, assai significativa delle dimensioni del fenomeno. Nel sito è inoltre pubblicata una rassegna sistematica, curata da Berti Arnoaldi Veli, G. per la Fondazione Verardi e presentata all’Assemblea Nazionale degli Osservatori di Verona del 2007, dei numerosi protocolli sino ad allora già adottati sul territorio nazionale, con indicizzazione dei contenuti secondo uno schema che ripercorre con una visione d’insieme i vari passaggi processuali, così come affrontati nei singoli protocolli: in ogni sezione le regole protocollari sono state riportate seguendo l’ordine cronologico di loro elaborazione, dal protocollo più antico a quello più recente, con accorpamento di quelle regole che, originariamente emanate da un Osservatorio, sono state in seguito fatte testualmente proprie anche da altri Osservatori.
5 I primi protocolli “generali” sono stati quelli di Salerno (il primo protocollo in assoluto) nel 2002, Roma nel 2003, Firenze e Reggio Calabria nel 2004, Napoli, Udine, Verona e Trieste nel 2005. Sono seguiti a tutt’oggi, secondo il nostro censimento, altri 47 protocolli generali per le udienze civili, nelle sedi più disparate.
6 Nell’ambito del diritto di famiglia, si segnalano alcuni protocolli dedicati a materie specifiche: quelli di Campobasso, Milano, Reggio Calabria e Roma per l’ascolto del minore, di Milano per i procedimenti ex artt. 250 e 269 c.c., di Milano, Salerno e Venezia per i procedimenti ex artt. 155-317 bis c.c., di Ferrara, Pinerolo, Pordenone e Verona per i trasferimenti immobiliari nei procedimenti di separazione e divorzio, di Venezia per i procedimenti di adottabilità e per quelli de potestate innanzi al tribunale per i minorenni.
7 Alla genesi e all’applicazione di questo protocollo è dedicato: Dalla Massara, T.-Vaccari, M., Economia processuale e comportamento delle parti nel processo civile. Prime applicazioni del Protocollo “Valore Prassi” sugli artt. 91, 96 e 614 bis c.p.c., Napoli, 2012.
8 Quella del raccordo fra atti difensivi e provvedimenti è tematica particolarmente cara ad alcune sedi di Osservatorio (Milano, Reggio Emilia, Torino, Verona). Su questa materia è in corso un confronto sinergico fra il circuito degli Osservatori e il Consiglio Nazionale Forense, tramite la Scuola Superiore dell’Avvocatura.
9 Franzoni, M., Violazione del codice deontologico e responsabilità civile, in Danno e resp., 2013, 121 ss.
10 Cass., S.U., 20.12.2007, n. 26810.
11 Sulle tabelle predisposte dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano si veda Spera, D., Tabelle milanesi 2013 e danno non patrimoniale, Milano, 2013.
12 Al quale, secondo Caponi, R., L’attività degli Osservatori sulla giustizia civile nel sistema delle fonti di diritto, in Foro it., 2007, V, 7 ss., le regole protocollari, in quanto prassi, appartengono comunque di pieno diritto.
13 Sulla necessità di una formazione deontologica comune di avvocati e magistrati, si vedano: Gilardi, G., Osservatori sulla giustizia civile e deontologia comune di magistrati e avvocati, in Questione giust., 2008, fasc. n. 5, 39 ss.; Mariani Marini, A., Agli antipodi dell’azzeccagarbugli. Cultura ed etica dell’avvocato, Napoli, 2009, 187 ss.; Riva Crugnola, E., Professionalità e formazione comune di magistrati e avvocati, in Questione giust., 2007, 892 ss.