Prova dichiarativa. Le dichiarazioni rese da persone irreperibili
Le Sezioni Unite, nel quadro di una pronuncia relativa alle dichiarazioni rese da persone residenti all’estero, hanno colto l’occasione per risolvere una annosa questione concernente un asserito contrasto tra l’art. 111, co. 5, Cost. e l’art. 6, § 3, lett. d), della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, così come interpretato dalla relativa Corte. Dall’inizio degli anni Novanta, i Giudici di Strasburgo – in mancanza di un’occasione adeguata e sufficiente nella quale si sia potuto svolgere il confronto con l’accusato – stigmatizzano l’utilizzazione delle dichiarazioni rese unilateralmente come prova unica o determinante della condanna, anche qualora il contraddittorio risulti impossibile per motivi oggettivi. Malgrado né la Costituzione, né il codice prevedano espressamente una disciplina analoga in ipotesi di impossibilità oggettiva, il Collegio esteso – sull’onda di un consolidato indirizzo accolto dalle Sezioni semplici – ha ricavato tale regola da una lettura «convenzionalmente orientata» del sistema probatorio.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza De Francesco, depositata il 14.7.2011(Cass., S.U., 25.11.2010, n. 27918) sono intervenute sulla delicata questione dell’utilizzabilità dibattimentale delle dichiarazioni rese da persone irreperibili. Già oggetto di vivaci discussioni, negli ultimi anni la materia ha trovato rinnovata centralità in ragione di una rilevante divaricazione tra la disciplina ricavabile dall’art. 111 Cost., così come attuato nel sistema codicistico, e l’assetto delineato dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo, nell’interpretazione prospettata dalla Corte di Strasburgo. La necessità di comporre un tale contrasto si è resa sempre più stringente in ragione di due movimenti diversi e convergenti. Da un lato, continuava a profilarsi il rischio concreto di reiterate condanne europee a carico del nostro Paese, come è accaduto anche di recente nel caso Ogaristi c. Italia. Da un altro lato, alla stregua di quanto è avvenuto anche con riferimento ad altre materie, le pronunce con le quali la Consulta dal 2007 ha affermato il peculiare rango sub-costituzionale delle norme convenzionali – colte nell’esegesi della relativa Corte – hanno imposto di valutare fattivamente la percorribilità della strada costituita dall’interpretazione conforme alle predette fonti.
1.1 L’art. 512 c.p.p. nel sistema probatorio
Al fine di cogliere appieno il senso della pronuncia occorre prendere le mosse dalla disciplina delle dichiarazioni di persone irreperibili nel quadro emergente a seguito della revisione costituzionale e della riforma del sistema codicistico effettuata con l. 1.3.2001, n. 63. L’art. 111, co. 5, Cost. considera utilizzabili le prove raccolte senza contraddittorio in presenza di un’accertata impossibilità di natura oggettiva. Corrispondentemente, l’art. 512 c.p.p. – rimasto sostanzialmente immutato rispetto alla versione anteriore alla revisione costituzionale – consente la lettura degli atti delle indagini preliminari in presenza di imprevedibile impossibilità di ripetizione. Al tempo stesso, l’art. 526, co. 1 bis, c.p.p., riproducendo testualmente l’art. 111, co. 4, secondo periodo, Cost., stabilisce che la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto al confronto con l’accusato. Quest’ultima disposizione ha mostrato sin dall’inizio la sua vera natura di norma di chiusura del sistema probatorio, finalizzata a ribadire una garanzia finale a tutela del contraddittorio1. L ’ a m b i t o elettivo di applicazione dell’art. 526, co. 1 bis, c.p.p., infatti, venne da subito identificato proprio nella disciplina delle dichiarazioni acquisite ai sensi dell’art. 512 c.p.p. in presenza di impossibilità di ripetizione, a significare che, qualora tale eventualità fosse dovuta alla scelta volontaria e non coartata di sottrarsi al contraddittorio, le dichiarazioni non avrebbero comunque potuto essere utilizzate come prova della reità2.
1.2 La disciplina convenzionale e la condanna della Corte europea
Come si è accennato, la predetta normativa deve essere posta a confronto con le direttrici ricavabili dalla Convenzione europea. Quest’ultimo testo prevede all’art. 6, § 3, lett. d), che «ogni accusato ha in particolare il diritto di interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’interrogatorio dei testimoni a discarico nelle medesime condizioni dei testimoni a carico». Da tale statuizione di principio i Giudici di Strasburgo hanno ricavato in via interpretativa due regole relative alle dichiarazioni rese fuori dal contraddittorio. Anzitutto, le deposizioni raccolte unilateralmente possono essere utilizzate «soltanto se all’imputato sia concessa un’occasione adeguata e sufficiente di contestare la testimonianza a carico» e cioè di interrogare l’autore della dichiarazione al momento della deposizione o anche successivamente3. Qualora una simile occasione non sia stata concessa, la dichiarazione raccolta in segreto non può valere a fondare in modo esclusivo o determinante la sentenza di condanna. In casi del genere, occorrono altri elementi di prova, i quali compensino la mancata assicurazione del diritto a confrontarsi con l’accusatore4. Ad avviso della Corte europea tale regola ha valore generale ed opera anche qualora il contraddittorio sia divenuto impossibile per irreperibilità, morte o grave infermità del dichiarante5. Ebbene, ove confrontato con un siffatto quadro convenzionale il sistema probatorio italiano determina ictu oculi una situazione di «specialità reciproca» sul piano delle garanzie6. Per un verso, la regola generale del contraddittorio nella formazione della prova, stabilita dall’art. 111, co. 4, primo periodo, Cost., non può dirsi rispettata in presenza di un’occasione adeguata e sufficiente di contraddire, anche in una sede diversa rispetto a quella in cui le dichiarazioni sono state rese. Il nostro ordinamento, così come attuato nel sistema codicistico, richiede la pienezza e la contestualità del contraddittorio e considera di regola inutilizzabili le precedenti dichiarazioni. Per altro verso, le eccezioni previste dall’art. 111, co. 5, Cost., e declinate dal legislatore ordinario, consentono – nelle ipotesi tassativamente previste – di utilizzare le precedenti dichiarazioni anche come prova unica o principale per la condanna. Così, per l’ipotesi che qui interessa, in caso di impossibilità di ripetizione non dovuta a volontaria sottrazione al contraddittorio, le dichiarazioni unilaterali possono essere utilizzate anche come prova esclusiva, o comunque determinante, ai fini della condanna7. Proprio una siffatta lettura, ancorata al tenore letterale delle norme costituzionali (art. 111, co. 4 e 5) e codicistiche (artt. 512 e 526, co. 1 bis, c.p.p.), ha comportato una recente condanna a carico del nostro Paese emessa, nel 2010, nel caso Ogaristi (C. eur. dir. uomo, 18.5.2010, ricorso n. 231/07). In tale occasione la Corte europea si era pronunciata in relazione a dichiarazioni rese da persone irreperibili rilevando come, nel caso di specie, il rigetto della richiesta di incidente probatorio – formulata dalla difesa – avesse comportato la mancanza di un confronto diretto con l’accusato.
È su siffatto sfondo, caratterizzato da una sfaccettata intersezione e sovrapposizione di piani, che deve collocarsi la sentenza De Francesco con la quale le Sezioni Unite – sia pure nel quadro di una tematica più specifica, che concerneva le dichiarazioni rese da persone residenti all’estero – hanno tracciato una soluzione ermeneutica di portata generale volta a conformare la disciplina interna ai più garantisti dettami convenzionali.
2.1 Il contrasto giurisprudenziale
Invero, un siffatto percorso interpretativo era già stato intrapreso dalla giurisprudenza delle Sezioni semplici che, con varietà di modulazioni, avevano prospettato una pluralità di ricostruzioni tutte finalizzate ad imporre l’applicazione della disciplina dei riscontri in presenza di dichiarazioni rese da persona irreperibile per motivi oggettivi, onde pervenire ad una lettura convenzionalmente conforme della disciplina relativa all’impossibilità di ripetizione8. Tuttavia, vi erano state alcune occasioni nelle quali la Cassazione aveva affermato che la strada dell’interpretazione adeguatrice non era praticabile in quanto la disciplina tracciata dal codice costituiva diretta attuazione dell’art. 111, co. 5, Cost. a sua volta contrastante con la normativa convenzionale e su questa prevalente sul piano della gerarchia delle fonti secondo quanto desumibile dalle sentenze C. cost., 24.10.2007, n. 348 e C. cost., 24.10.2007, n. 3499.
2.2 La soluzione della Corte
Proprio al fine di eliminare in radice qualsivoglia contrasto e, soprattutto, di evitare pronunce difformi che possano comportare ulteriori condanne a carico dell’Italia, le Sezioni Unite – esaltando spunti interpretativi già offerti da alcune precedenti decisioni – hanno prospettato un’interessante ricostruzione volta a comporre una volta per tutte la disciplina nazionale con il quadro convenzionale. Ad avviso della Corte di cassazione, il contrasto tra l’art. 111, co. 5, Cost. e la disciplina della Convenzione europea – rilevato dall’orientamento minoritario – può essere agevolmente superato. Anzitutto, il Collegio esteso ha fatto leva sulla natura della norma dettata dall’art. 111, co. 5, Cost., affermando che tale disposizione concerne la formazione e acquisizione della prova mentre la disciplina ricavabile dalla Convenzione, così come interpretata dalla Corte di Strasburgo, pone soltanto un criterio di valutazione della prova dichiarativa regolarmente acquisita. Pertanto, non vi sono problemi di sovrapposizioni, giacché la disciplina convenzionale opera successivamente e non risulta incompatibile con le regole di acquisizione. Dal canto suo, peraltro, anche il nostro ordinamento stabilisce una regola di tal guisa laddove prevede che la colpevolezza non può essere provata sulla base delle dichiarazioni di chi si è sempre volontariamente sottratto al contraddittorio (artt. 111, co. 4, secondo periodo, Cost. e 526, co. 1 bis, c.p.p.). Tale disciplina – apparentemente diversa da quella convenzionale – è, tuttavia, cronologicamente successiva a quest’ultima e dichiaratamente finalizzata a darne attuazione nel nostro ordinamento. Pertanto, secondo le Sezioni Unite, la differenza di formulazione non può essere intesa nel senso di una volontà del legislatore di impedire l’applicazione della regola convenzionale. Per le Sezioni Unite, la diversità di articolazione delle norme interne rispetto alla Convenzione non esclude che esse costituiscano comunque applicazione di un identico o analogo principio generale inteso a porre un rigoroso criterio di valutazione delle dichiarazioni dei soggetti che la difesa non ha mai avuto la possibilità di esaminare e ad eliminare o limitare statuizioni di condanna fondate esclusivamente su tali dichiarazioni. D’altronde, gli artt. 111, co. 4, secondo periodo, Cost. e 526, co. 1 bis, c.p.p. recano una norma regolare, che attua il principio del contraddittorio; pertanto, non impongono l’interpretazione a contrario. Dunque, non devono essere letti come se stabilissero che, quando la sottrazione al confronto è non volontaria ed attribuibile a motivi oggettivi, le dichiarazioni sono utilizzabili tout court. La norma nazionale si limita a porre una determinata tutela per l’imputato, ma non esclude che una protezione più estesa possa essere stabilita o ricavata da norme diverse, in attuazione del principio del contraddittorio che ha, comunque, carattere generale. A chiusura di una siffatta trama ermeneutica, le Sezioni Unite hanno tratto dal sistema probatorio un canone di «prudente valutazione», generalizzabile lungo le direttrici convenzionali e sull’onda del criterio del ragionevole dubbio. Proprio quest’ultima regola impedisce che dichiarazioni unilaterali possano costituire prova unica o determinante ai fini di una sentenza di condanna, giacché l’assenza di controesame abbassa fortemente il grado di attendibilità della prova. In questo quadro – per il Collegio esteso – diventa pienamente condivisibile quell’indirizzo giurisprudenziale che richiede i riscontri al fine di valutare le dichiarazioni rese dalla persona offesa o danneggiata dal reato ed appare senz’altro configurabile un’applicazione analogica dell’art. 192, co. 3, c.p.p. alle dichiarazioni rese da persone irreperibili per motivi oggettivi, giustificata non dalla qualifica del dichiarante, bensì della modalità unilaterale di assunzione della prova.
La sentenza in esame si segnala per la sensibilità al problema della necessaria composizione tra le regole ricavabili dalla Convenzione europea e quelle stabilite nel nostro sistema probatorio. Se il risultato perseguito è quello di un ampliamento delle garanzie previste dall’ordinamento nazionale attraverso l’integrazione con i princìpi stabiliti dalla Corte di Strasburgo in relazione all’art. 6, § 3, lett. d), della Convenzione, il percorso ermeneutico appare sin troppo articolato. In particolare, sul presupposto di un contrasto – sia pure apparente – tra l’art. 111, co. 5, Cost. ed i dettami convenzionali, la composizione si attua lavorando sulla natura di tale norma, da considerarsi una regola di acquisizione, distinta dall’art. 111, co. 4, secondo periodo, Cost., volto a sancire un criterio di valutazione. Al tempo stesso, quest’ultima disposizione viene integrata in via interpretativa, presumendo che – alla stregua di una aberratio ictus del legislatore costituzionale – essa volesse dare attuazione alla Convenzione europea e, dunque, non potesse aver intenzionalmente omesso di riferirsi anche alla regola in base alla quale le dichiarazioni acquisite unilateralmente non possono essere comunque utilizzate come prova unica o determinante. Invero, pare lecito affermare che, anche senza prospettare siffatti articolati rapporti tra le discipline, la strada percorribile – e ben più lineare – in materie del genere era stata già tracciata da C. cost., 4.12.2009, n. 31710. In tale occasione – pronunciandosi in materia di impugnazione del difensore del contumace – la Corte aveva individuato la relazione che intercorre tra i diritti tutelati in Costituzione e quelli riconosciuti dalla Convenzione europea affermando un «principio di massima espansione» delle garanzie. Per la Consulta, le norme convenzionali hanno la funzione di ampliare l’area di protezione che la Costituzione riconosce ai diritti fondamentali. Pertanto, il confronto tra tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve ampliare al massimo le garanzie, «anche attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle norme costituzionali che hanno ad oggetto i medesimi diritti»11. Letto in tale ottica, il tenore letterale dell’art. 111, co. 5 – «la legge regola i casi in cui la prova non si forma in contraddittorio» – non esclude affatto una modulazione normativa del valore probatorio da attribuire alle dichiarazioni, giacché si limita a precisare che, in presenza delle ipotesi eccezionali tassativamente previste, il legislatore deve disciplinare una deroga al contraddittorio. Pertanto, un’interpretazione convenzionalmente conforme degli artt. 512 e 526, co. 1 bis, c.p.p. poteva essere prospettata anche senza passare attraverso ricognizioni, sin troppo complesse, sulla natura delle norme costituzionali. Ancora, la soluzione delle Sezioni Unite presta il fianco ad una delicata obiezione già mossa rispetto all’indirizzo accolto dalle Sezioni semplici. Ritenere che l’imposizione dei riscontri componga tutti i contrasti determinando una piena sovrapponibilità tra il nostro ordinamento e la disciplina convenzionale può risultare fuorviante. Infatti, la Corte di Strasburgo afferma che i relata assunti fuori del contraddittorio non possono costituire prova unica né determinante ai fini della condanna. Ebbene, non sfugge come la presenza di riscontri – oggi richiesta dal Collegio esteso – non valga di per sé ad escludere che la dichiarazione unilaterale costituisca, comunque, la prova decisiva per la condanna12.
1 Così Ferrua, Una garanzia “finale” a tutela del contraddittorio: il nuovo art. 526 comma 1-bis c.p.p., in Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, a cura di Tonini, Padova, 2001, 522.
2 Sulla querelle relativa alla natura di regola di esclusione o di criterio di valutazione da attribuire a tale norma, Silvestri, Teste irreperibile e valutazione delle dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell’art. 512 c.p.p., in Cass. pen., 2011, 284 e ivi riferimenti bibliografici alle note 5 e 6; Valentini, Impossibilità dell’esame dibattimentale del teste: divieto di acquisizione o semplice divieto di valutazione contra reumdelle precedenti dichiarazioni?. in Dir. pen. e processo, 2002, 1123 ss.
3 C. eur. dir. uomo, 27.2.2001, ricorso n. 33354/96, Lucà c. Italia; 13.10.2005, ricorso n. 36822/02, Bracci c. Italia; 19.10.2006, ricorso n. 62094/00, Majadallah c. Italia.
4 C. eur. dir. uomo, 14.12.1999, ricorso n. 37019/97, A.M. c. Italia; 13.10.2005, Bracci, cit.; 19.10.2006, Majadallah c. Italia, cit..
5 C. eur. dir. uomo, 7.8.1996, ricorso n. 48/1995/554/640, Ferrantelli e Santangelo c. Italia; 5.12.2002, ricorso n. 34896/97, Craxi c. Italia.
6 Sul punto, v. anche Silvestri, Teste irreperibile, cit., 284.
7 Sulla disciplina convenzionale, Daniele, Regole di esclusione della prova e giurisprudenza della Corte europea: profili di potenziale conflitto, in Giurisprudenza europea e processo penale italiano, a cura di Balsamo- Kostoris, Torino, 2008, 392 ss.; Ferrua, Il contraddittorio nella formazione della prova a dieci anni dalla sua costituzionalizzazione: il progressivo assestamento della regola e le insidie della giurisprudenza della Corte europea, in Arch. pen., 2008, n. 3, 28 ss.; Ubertis, La Corte di Strasburgo quale garante del giusto processo, in Id., Argomenti di procedura penale, III ed., Milano, 2011, 205.
8 Tra le più risalenti, Cass., sez. II, 18.10.2007, Poltronieri, in Dir. pen. e processo, 2008, 878, con nota di Tonini, Il testimone irreperibile: la Cassazione si adegua a Strasburgo ed estende l’ammissibilità dell’incidente probatorio. Successivamente, Cass., sez. I, 23.9.2009, Marinkovic, in CED Cass., n. 245556, che era pervenuta a tale interpretazione sulla base di una lettura convenzionalmente orientata dell’art. 526, co. 1 bis. V. anche Cass., sez. V, 26.3.2010, T., in CED Cass., n. 247446; Cass., sez. I, 6.5.2010, Mzoughia, in CED Cass., n. 247618; Cass., sez. III, 15.6.2010, R., in CED Cass., n. 248052.
9 Cass., sez. VI, 25.2.2011, Ventaloro e altro, in CED Cass., n. 249594; Cass., sez. V, 16.3.2010, Benea, in CED Cass., n. 247258.
10 In Guida dir., 2010, 2, 73. In dottrina, Bilancia, Con l’obiettivo di assicurare l’effettività degli strumenti di garanzia la Corte costituzionale italiana funzionalizza il «margine di apprezzamento» statale, di cui alla giurisprudenza CEDU, alla garanzia degli stessi diritti fondamentali, in Giur. cost., 2009, 4772; Butturini, La partecipazione paritaria della Costituzione e della norma sovranazionale all’elaborazione del contenuto indefettibile del diritto fondamentale. Osservazioni a margine di Corte cost. n. 317 del 2009, ibid., 2010, 1815; Ubertis, Sistema multilivello dei diritti fondamentali e prospettiva abolizionista del processo contumaciale, ibid., 2009, 4747.
11 Naturalmente, richiamando quanto già affermato nelle sentenze del 2007, la Corte costituzionale aveva rammentato che l’interpretazione “convenzionale” delle garanzie stabilite dalla Carta fondamentale non potesse andare a discapito di altri diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti. Pertanto, in presenza di un conflitto tra differenti garanzie costituzionali, si imponeva la necessità di effettuare un bilanciamento ragionevole.
12 Soltanto nel diverso caso in cui sia stata la dichiarazione unilaterale a fungere da mero riscontro ad altri elementi è forse possibile affermare che si verifichi quanto auspicato dalla Corte europea. E probabilmente anche in tale ipotesi il procedimento di eliminazione mentale smentirebbe l’assunto tutte le volte in cui – secondo un’impostazione puramente logica – eliminata la dichiarazione unilaterale, che funge da riscontro, la sentenza di condanna venisse comunque meno. Sul punto, Tamietti, Il diritto ad esaminare i testimoni a carico: permangono contrasti tra l’ordinamento italiano e l’art 6 § 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2006, 2991; Silvestri, Teste irreperibile, cit., 283.