Prova scientifica e prova «tecnica»
Il perimetro normativo delle indagini preliminari mostra una tradizionale e comprensibile (almeno rispetto alla intelaiatura originaria del 1988) insofferenza verso il tema della prova scientifica. A ben guardare v’è nelle disposizioni codicistiche una naturale tendenza a trasferire verso il giudice, e l’agone dibattimentale, temi particolarmente complessi nell’acquisizione della prova (si veda l’art. 392 c.p.p. per l’incidente probatorio o le disposizioni che contraggono l’attività del consulente tecnico del pubblico ministero ai sensi degli artt. 359 e 360 c.p.p.). D’altronde è lo stesso art. 220, co. 1, c.p.p. che, nel fissare l’oggetto della perizia, affida ad essa il compito di integrare il patrimonio conoscitivo e valutativo del giudice per i casi in cui «occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche»1. Altrimenti detto: in genere, la prova scientifica, per la complessità delle determinazioni richieste esige il concorso di tutte le parti del processo e tende a sottrarsi, per sua natura, a proposizioni unilaterali. In questo senso, per giunta, si orienta il testo dell’art. 233, co. 1, c.p.p. secondo cui: «Quando non è stata disposta perizia, ciascuna parte può nominare, in numero non superiore a due, propri consulenti tecnici. Questi possono esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie a norma dell’articolo 121»2. Il progresso scientifico esercita, com’è ovvio, una naturale attrattiva per il processo penale poiché consegna l’illusione del risultato incontrovertibile e della precisione autottica3. Tuttavia, non può negarsi che l’aggiornamento delle tecniche scientifiche e il miglioramento progressivo dei coefficienti di affidabilità degli accertamenti peritali siano in grado, non solo di riattivare le investigazioni su casi archiviati (i famosi cold case), ma addirittura di porre in discussione – attraverso il rimedio della revisione – pronunce passate in cosa giudicata4. È un dibattito, quello afferente l’impatto del progresso scientifico e tecnologico sul processo penale, che resta ancora da esplorare in tutte le sue direzioni e rispetto al quale la giurisprudenza di legittimità si aggira cercando di adeguare le regole processuali che governano l’ammissione, l’acquisizione e la valutazione della prova ad una trama difficile da riannodare secondo i consueti canoni ermeneutici5. Entrano, così, in ambiti di contiguità e di antagonismo regolativo congegni probatori in apparenza destinati a funzioni diverse, ma in concreto capaci di convergere verso l’area generica della cd. prova scientifica: «in tema di prova testimoniale, il divieto di esprimere apprezzamenti personali, posto in via generale dall’art. 194, co. 3, c.p.p., non vale qualora il testimone sia una persona particolarmente qualificata, che riferisca su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e particolare attività, giacché in tal caso l’apprezzamento diventa inscindibile dal fatto»6. Le questioni tendono, inevitabilmente, ad assumere coefficienti da maggiore complicazione nel caso in cui la prova scientifica costituisca il portato di metodologie d’indagine e di tecniche ricognitive non univocamente ammesse in ambito scientifico. Convenuto, dopo innumerevoli controversie, che la ricorrenza di 17 sequenze determina l’identificazione dell’impronta digitale e la sua esclusiva riconducibilità ad un unico soggetto fisico, il dibattito scientifico in ambito processuale è andato flettendo verso la disamina comparativa delle diverse metodologie di formazione dell’evidenza probatoria. E’ quanto accade, ad esempio, nel settore della tecnica di individuazione vocale, caratterizzata da una contrapposizione tra i metodi spettrografico e parametrico; o, ancora, nell’ambito della genetica forense, attesa la varietà di protocolli applicativi che disciplinano l’estrazione del profilo del Dna (quali, a titolo esemplificativo, l’elettroforesi, la sequenziazione del Dna, la spettrometria di massa, il southern blotting); o, infine, nel settore della computer forensic, ove basta riflettere ai differenti tools volti all’estrazione del dato informatico dall’elaboratore (hashing, freezing ecc.). In questo caso compete pur sempre al giudice il compito di validare il metodo di accertamento meno controverso o controvertibile e trascegliere come certi i risultati di quella tecnica, per poi esplicitarli attraverso il proprio argomentato convincimento7.
Nella tematica delle intercettazioni la progressiva riduzione delle problematiche connesse alla localizzazione extra moenia degli impianti di registrazione, per effetto dell’instradamento delle conversazioni captate dai congegni allocati presso gli uffici di procura in direzione, per il solo ascolto, delle sale a disposizione della polizia giudiziaria, sta focalizzando le controversie sul punto riguardante i protocolli di controllo a distanza attuati con dispositivi tecnologici. La sorveglianza elettronica del soggetto, attraverso tecniche più o meno di tracciamento, sembra costituire la soglia avanzata della tutela che compete all’ordinamento approntare in favore delle libertà individuali, onde evitare che l’applicazione di metodologie di controllo solo apparentemente meno invasive delle captazioni, costruiscano il perimetro di costrizioni invisibili. Sul versante dell’inutilizzabilità, deve registrarsi il consolidarsi ormai irreversibile di un orientamento dei giudici di legittimità secondo cui in tema di prova, non sussiste l’inutilizzabilità derivata qualora siano disposte intercettazioni all’esito di intercettazioni inutilizzabili, in quanto ciascun decreto autorizzativo è dotato di autonomia e può ricevere impulso da qualsiasi notizia di reato, ancorché desunta da precedenti intercettazioni inutilizzabili. Secondo questa interpretazione ne consegue che il vizio di cui sia affetto l’originario decreto intercettativo non si comunica automaticamente a quelli successivi, correttamente adottati e che, pertanto, non è inutilizzabile la prova che non sarebbe stata scoperta senza l’utilizzazione della prova inutilizzabile8.
1 Per tutti cfr. Gasparini, Perizia, consulenza tecnica ed altri mezzi di ausilio tecnico-scientifico, in Giur. sist. dir. proc. pen. Chiavario-Marzaduri, Torino, 1999, 131; Conte-Loforti, Gli accertamenti tecnici nel processo penale, Milano, 2006, passim.
2 Cfr. comunque Trib. Lecce, 3.1.1992, in Foro it., 1992, II, 463: «Il giudice del dibattimento è tenuto, a norma dell’art. 508 c. p. p., a disporre perizia non già in ogni caso in cui vi sia stata consulenza tecnica di parte che ciò abbia fatto ritenere necessario, ma solo allorché, escusso il consulente di parte ed acquisito d’ufficio il suo elaborato, i dati e le valutazioni tecnico-scientifiche fornite non appaiano attendibili, o in sé, in quanto intrinsecamente illogici e contraddittori, o a seguito delle domande delle parti in sede di esame e di controesame»; in dottrina, tra gli altri, Focardi, La consulenza tecnica extraperitale delle parti private, Padova, 2003.
3 Cfr. Tribe, Processo e matematica: precisione e rituale nel procedimento giudiziario, in AA. VV., I saperi del giudice. La causalità e il ragionevole dubbio, a cura di Stella, Milano, 2004, 185.
4 Cfr. Cass., sez. I, 8.3.2011, n. 15139, in CED Cass. 249864: «Nella valutazione di una richiesta di revisione spetta al giudice stabilire se il nuovo metodo scientifico posto a base della richiesta, scoperto e sperimentato successivamente a quello applicato nel processo ormai definito, sia in concreto produttivo di effetti diversi rispetto a quelli già ottenuti e se i risultati così conseguiti, da soli o insieme con le prove già valutate, possano determinare una diversa decisione rispetto a quella, già intervenuta, di condanna »; nonché Cass., sez. II, 25.1.2010, n. 3031, ivi, 246257: «L’accertamento peritale, che può rendere ammissibile la richiesta di revisione, deve porsi, ove abbia comportato il ricorso a nuove tecniche e a nuove conoscenze, come il risultato di protocolli di indagine riconosciuti dalla comunità scientifica. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto che i requisiti di credibilità non fossero soddisfatti dal tipo di perizia psicobiografica)».
5 Cfr. Cass., sez. I, 25.1.2008, n. 31456, in Guida dir., 2008, 33, 97 con nota di Beltrani: «La “Blood Pattern Analysis“ (B.P.A.) non può considerarsi una prova atipica, bensì una tecnica d’indagine riconducibile al «genus » della perizia, e pertanto non è necessario che la sua ammissione sia preceduta dall’audizione delle parti ex art. 189, ult. parte, cod. proc. pen. (In motivazione, la Corte ha spiegato che la B.P.A. non si basa su leggi scientifiche nuove od autonome, bensì sull’applicazione di quelle, ampiamente collaudate da risalente esperienza, proprie d’altre scienze - matematica, geometria, fisica, biologia e chimica - che, in quanto universalmente riconosciute, non richiedono specifici vagli d’affidabilità)».
6 Così Cass., sez. V, 12.6.2008, n. 38221, in CED Cass. 241312; Cass., sez. II, 16.1.2007, n. 12942, ivi, 236384; cfr. in dottrina Dondi, Problemi di utilizzazione delle “conoscenze esperte” come expert fitness testimony nell’ordinamento statunitense, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2001, 1191; più in generale il fondamentale contributo di Dominioni, La prova penale scientifica. Gli strumenti scientifico-tecnici nuovi o controversi e di elevata specializzazione, Milano, 2005; nonché Canzio, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice penale, in Dir. pen. e processo, 2003, 1193; Id., Prova scientifica, ricerca della “verità” e decisione giudiziaria nel processo penale, in AA.VV., Decisione giudiziaria e verità scientifica; Milano, 2005, 55. Sul punto, si veda anche Brusco, La valutazione della prova scientifica, in Dir. pen e processo, 2008, Dossier: La prova scientifica nel processo penale, 23.
7 Cfr. Jasanoff, La scienza davanti ai giudici. La regolazione giuridica della scienza in America, Milano, 2001, passim che, scrutando le aree di intersezione tra scienza e diritto, pone una linea di confine tra i due profili che delineano la relazione tra science e policy, distinguendo, da un lato, la cd. science in policy, che riguarda l’utilizzo delle tecniche scientifiche nel processo, e dall’altro lato, la cd. policy for science, attinente alle situazioni in cui il diritto interviene a colmare le lacune formate dall’incertezza scientifica.
8 Cass., sez. V, 10.2.2010, n. 4951, in CED Cass. 249240.