PROVERBÎ (ebr. Mišle; gr. Παροιμίαι; lat. Proverbia e similmente in tutte le moderne lingue europee; in tedesco però anche Sprüche)
Così si chiama il primo e più illustre dei libri didattici della Bibbia; appartiene più specialmente alla poesia gnomica, e dalla γνώμη o detto sentenzioso (in ebr. mašal, plurale costrutto mišle) prende anche il nome.
Nei codici e nelle stampe il libro dei Proverbî è posto quasi sempre subito dopo i Salmi, canzoniere lirico in massima parte, e col libro dei Salmi ha comune anche la proprietà di risultare composto di collezioni minori di varî autori. I fili convergenti di un quadruplice indizio (l'argomento, la forma del parallelismo poetico, la struttura strofica e l'autore indicato il più delle volte nel testo medesimo), ne fanno nettamente rilevare nove parti, le quali (nuovo argomento di composizione miscellanea) dalla quarta in poi nell'antichissima versione greca (LXX) si succedono in ordine diverso dal testo ebraico tradizionale. Le esamineremo ciascuna a parte per ordine di antichità, certa o probabile, e poi rifletteremo sopra la composizione del tutto.
Per lunghezza e arcaismo di fondo e di forma vengono in primo luogo due collezioni di sentenze (capi X-XXII, 16, e XXV-XXIX), attribuite a Salomone, al quale perciò suole comunemente intitolarsi tutto il libro. In ambedue spicca il mašal nella sua più semplice e primitiva forma poetica: consiste in un solo distico, i cui membri, o stichi, si rispondono sia come i due termini di un paragone (es.: "Qual è l'uccello fuggito dal nido, Tal è l'uomo profugo dalla patria", XXVII, 8; "Stillicidio incessante in un giorno piovoso E donna rissosa fanno il paio", XXVII, 15; "Al cavallo la sferza, all'asino il freno, E al dorso degli stolti lo scudiscio", XXVI, 3), sia come una variazione del medesimo tema (parallelismo sinonimo, assai gustato in Oriente; es.: "Per un uomo è senno usar tolleranza E un onore passar sopra l'offesa", XIX, 11; "La lingua bugiarda fa molte rovine E bocca lusinghiera cagiona cadute", XXVI, 28; "Ti lodi un altro, non la tua bocca; Un estraneo, non le tue labbra". XXVII, 2), sia come contrasto (le due facce della medaglia; es.: "Un figlio savio è la gioia del padre; Un figlio stolto contrista la madre", X, 1; "L'inesperto crede ad ogni parola; Ma l'avveduto bada ai suoi passi", XIV, 15; "Una risposta pacata acqueta l'ira; Una parola pungente fa montare la stizza", XV,1). Le brevi sentenze si succedono così staccate, senz'ordine, e sono desunte per lo più dall'esperienza della vita. E difatti tutta la vita sociale, ma d'una società ancora poco organizzata, è analizzata, sotto l'aspetto morale, in queste due collezioni salomoniche. Di questo genere doveva appunto essere quella sapienza, che il libro dei Re vanta in Salomone, "superiore alla sapienza di tutti gli Orientali e a tutta la sapienza degli Egiziani" (I Re, V, 10; Volg., IV, 30); era l'arte di conoscere gli uomini (cfr. il famoso giudizio di Salomone", ivi, III, 16-28) e di sapere esprimere un'osservazione psicologica, una massima di vita, un avvertimento morale, in un'arguta sentenza, ben equilibrata nei suoi elementi formali. E giusto l'Egitto ci ha conservato antichissimi modelli di questo genere di letteratura (vedi vol. XIII, p. 559). Date le strette relazioni della corte di Salomone con quella del Faraone (I Re, III, 1; IX, 16; XI, 14-22), è naturale che la letteratura sapienziale egiziana trovasse in Giudea imitatori ed emuli fin da allora. Il tono delle nostre due collezioni risponde bene ai tempi tranquilli e felici del re pacifico; la monarchia vi gode un prestigio insuperabile: "Un oracolo sono le labbra del re; In giudizio la sua bocca non falla" (XVI, 10). I criterî interni sono dunque favorevoli alla dichiarazione del testo (X,1; XXV, 1), che le sentenze qui raccolte risalgano a Salomone, verosimilmente una piccola parte (sono in tutto circa 500) dei tremila proverbî, che il libro dei Re (l. cit., V, 12; Volg., IV, 32) afferma usciti dalle labbra di Salomone. Tramandati dapprima a voce, una parte (la 2ª collezione XXV-XXIX) furono raccolti in libretto "dagli uomini di Ezechia" (XXV, 1); l'altra, più grande, parte doveva già prima circolare in scritto. Ma non è escluso che nella lunga trasmissione le parole del re saggio abbiano subito modificazioni formali e qualche aggiunta; il paragone delle sentenze ripetute due e fin tre volte (es., X, 1 e XV, 20; XII, 11 e XXVIII, 19; XXI, 9 e XXV, 24) ne è una prova positiva.
In mezzo alle dette collezioni salomoniche il testo ebraico frammette due altre collezioncine disuguali (XXII, 17-XXIV, 22 e XXIV, 23-34) di "parole dei sapienti" o detti dei savî, come sono chiamate così in genere nel testo (XXII, 17 e XXIV, 23). La forma è qui più evoluta; ogni mašal si estende a due versi o quattro stichi; l'argomento invece si restringe quasi solo ai doveri verso il prossimo, alle convenienze sociali, con qualche ripetuto cenno alla temperanza; lo stile è quello dell'esortazione, tutto a imperativi, mentre nelle sezioni salomoniche domina l'affermazione oggettiva del fatto psicologico o morale. I "sapienti", autori di queste sentenze, sono di tutt'altra scuola e d'altra età senza dubbio. Eppure precisamente in questa parte dei Proverbî abbiamo il più lampante esempio di stretto legame con la letteratura egiziana. Di recente (1924) furono pubblicati "Gli insegnamenti di Amenemope" (vedi vol. XIII, p. 559), che hanno con Prov., XXII, 24 segg. due generi di contatti: 1. per il complesso generale del libretto, tanto l'egiziano quanto l'ebraico annunzia una serie di trenta ammaestramenti; 2. alcuni particolari ammaestramenti nell'uno e nell'altro sono identici non solo nel concetto ma sovente anche nell'espressione; per es., Prov., XXIII, 4, 5: "Non t'affannare per arricchire, cessa da tale pensiero; appena vi getti gli occhi già non è più; perché mette ali come aquila e vola in aria". Amenemope, capo VII (ed. H. O. Lange, Copenaghen 1925, p. 54): "Non t'affannare in cerca del superfluo, quando il necessario ti è assicurato. Se le ricchezze ti arrivano per furto, non passano la notte presso di te; al far del giorno non sono più in casa tua... hanno messo le ali come uccelli e sono volate per aria". Non si scrive così due volte senza qualche dipendenza, o dell'uno scritto dall'altro o di ambedue da una fonte comune. Nel caso nostro la questione fu subito posta e risoluta per lo più in favore dell'egiziano; i savî ebrei lo avrebbero conosciuto e imitato. Nulla si opporrebbe in linea di principio. Ma di fatto il libretto ebraico ha più del primitivo e regolare. Non soltanto è più conciso, mentre Amenemope è assai più sviluppato, ma realmente non contiene più di trenta ammaestramenti, com'è annunziato nel titolo, e tutti di eguale lunghezza, in quartine; in Amenemope invece i trenta capitoli sono di lunghezza assai disuguale e ciascuno comprende parecchi insegnamenti distinti; il numero di trenta, schietto e naturale nel libro ebraico, sa d'artificiale nell'egiziano. I due scritti devono dipendere da una fonte comune, alla quale l'ebraico è più fedele, che l'egiziano; bell'esempio di scambî internazionali nell'antica letteratura sapienziale, che già ci facevano intravvedere le citate parole del I Re.
Hanno importanza, nel medesimo ordine di idee, anche due piccoli gruppi di sentenze posti nel testo ebraico dopo la seconda collezione salomonica cioè, i "detti di Agur" (XXX,1-10) e i "detti di Lamuele" (XXXI, 1-9), personaggi mai nominati altrove, se, giusta una probabile interpretazione del testo, l'uno e l'altro fiorivano (Lamuele regnava) nella regione di Massa nella Transgiordania, abitata primitivamente da Ismaeliti (Genesi, XXV, 14). Comunque sia, Agur celebra in Dio la sublimità inarrivabile e nell'uomo la moderazione; i "detti di Lamuele" sono elementari avvertimenti per un principe.
In mezzo a questi due gruppi esotici stanno sentenze anonime di un genere assai gustato in Oriente, a numero ascendente. Citiamone a illustrazione la più celebre: "Tre cose mi fanno stupire, anzi quattro non le capisco: il cammino dell'aquila per l'aria, il cammino della serpe sulla pietra, il cammino della nave in mezzo al mare e il cammino dell'uomo in una donzella" (XXX, 18-19).
In fine del libro (XXXI, 10-31) sta il noto carme della donna forte, canto alfabetico di genere lirico in lode della buona massaia madre di famiglia. L'artificio e la finitezza della forma assegnano a questo canto finale l'ultimo luogo anche di tempo.
Possono essere però più o meno ad esso contemporanei i primi nove capi, che formano come l'introduzione a tutto il libro. Infatti contengono inviti generali allo studio della sapienza, cioè della vita virtuosa, inviti rivolti specialmente ai giovani, e che perciò scendono più volte dalle generali soltanto a quei vizî o pericoli che nella gioventù sono più frequenti, alla fuga dalle male femmine. La forma poetica ha un'andatura più ampia; procede quasi per strofe di circa dieci versi ognuna, a parallelismo sinonomo. Elevandosi via via lo stile, termina questa prima sezione anonima, in due capi (VIII e IX) che contano fra le più sublimi pagine dell'Antico Testamento. Ci si presenta la Sapienza in persona (VIII) a cantare la sua salutare efficacia nella società umana e le sue origini celesti, quando, prodotta da Dio prima d'ogni tempo, assisteva il Creatore nella formazione dell'universo e nella grande opera si allietava (VIII, 22-31). Il capo IX ci offre due quadri opposti: da una parte la Sapienza personificata, che imbandisce una mistica mensa alla quale invita ognuno; dall'altra la Follia, parimente persomficata, che cerca di trarre ai suoi turpi piaceri: "Le acque furtive sono più dolci, e il pane di nascosto è più saporito" (IX, 17), sussurra all'orecchio.
Quella inscenatura della Sapienza ha del drammatico; nelle sue parlate il tono lirico si sposa bellamente al didascalico. In altre parti troviamo vivaci pitture di caratteri (VI, 6-15; VII, 6-23; XXIII, 29-35; XXIV, 30-34). Ma già nelle sentenze di Salomone è una pittura: "La porta gira sull'arpione e il pigro sul suo letto. Dice il pigro: C'è una belva sulla strada, un leone va per le piazze. Il pigro tuffa la mano nel piatto e stenta a recarsela alla bocca" (XXVI, 13-16).
Come si vede, il libro dei Proverbî offre bella varietà di argomenti e di forme. È anche ricco di lingua come pochi libri dell'Antico Testamento. La sua dottrina morale, sebbene d'un livello ordinariamente non dei più elevati, abbonda di valori universali, eterni; in alcuni punti, come abbiamo visto, si eleva quasi alle altezze del cristianesimo. Perciò questo libro fu sempre avuto fra le perle dell'antica letteratura ebraica.
La riunione delle varie parti in questo libro avvenne per gradi, che è impossibile ora definire e datare con qualche certezza. Ai due nuclei delle collezioni salomoniche andarono aggiungendosi i gruppi minori; il primo, almeno, dei sapienti (XXII, 17- XXIV, 22) alla prima salomonica prima dell'esilio; gli altri alla seconda dopo l'esilio, in vario modo, come mostra il confronto dei LXX col testo ebraico. La prima parte (I-IX), meglio che alla sola prima collezione salomonica con la sua appendice (X-XXIV), come pensano altri (Driver), si crede sia stata premessa a tutto il libro quando i due corpi salomonici con i loro annessi furono riuniti in uno. Ma in parecchi codici greci e in alcune versioni antiche la seconda collezione salomonica (XXV-XXIX), con o senza il carme della donna forte (XXXI, 10 segg.), viene trattata come un libro distinto, con titolo diverso, dal resto precedente. A ciò diede occasione la versione dei LXX, che la medesima voce ebraica mišle traduce in I, 1 con παροιμίαν; in XXV, 1 con παιδείαι = istruzioni.
Del testo ebraico, assai difettoso, ed. crit. di A. Müller ed E. Kautzsch (Lipsia 1901), in Sacred Books of the O. T. di P. Haupt; buono studio di A. J. Baumgartner, Étude critique sur l'état du texte du livre des Pr. (ivi 1890); trad. ital. di G. B. De-Rossi (Parma 1815); G. Mezzacasa (Torino 1921); A. Vaccari, in Libri poetici della Bibbia (Roma 1925).
Bibl.: Sulla versione greca ancora utile P. de Lagarde, Anmerkungen zur griech. Übers. der Pr., Lipsia 1863; G. Mezzacasa, Il libro dei Pr. di Salomone, Roma 1913. Per il confronto con altre letterature, S. C. Malan, Original Notes on the Book of Pr., voll. 3, Londra 1889-93; con l'Egitto in particolare W. O. E. Oesterley, The Wisdom of Egypt and the Old Test, Londra 1927; P. Humbert, Recherches sur les sources égyptiennes de la littérature sapientiale d'Israël, Neuchatel 1929. Per le dottrine, R. Pfeiffer, Die relig.-sittl. Weltanschauung des Buches d. Sprüche, Monaco 1897; A. Hudal, Die religiösen u. sittl. Ideen des Spruchbuches, Roma 1914. Commenti in ogni collezione di comm. all'Antico Testamento; notevoli specialmente W. Frankenberg, Gottinga 1898; C. H. Toy, Edimburgo 1899; Oesterley, Londra 1928.