provo
Un solo esempio, nella locuzione ‛ a p. ', che " era voce dell'uso, anche prosastico, di probabile provenienza lombardo-settentrionale " (Mattalia, come già altri); ma il Parodi faceva notare che ne ha " due esempî il Manuzzi, e non c'è quindi bisogno di ricorrere all'Alta Italia, ov'è sempre vivissimo, o al provenzale " (Lingua 262).
Più tardi tuttavia (nel 1921; le parole prima citate comparvero in " Bull. " III [1895-96] 134) lo studioso modificò tale sua opinione: " Certo non ha l'aria di vocabolo originario toscano apruovo... Il suo v, in luogo del p che in toscano dovrebbe conservarsi, attesta che è venuto dal settentrione... Potrebbe però aver avuto cittadinanza in Toscana fin da tempo assai remoto... ma è più probabile che Dante o i suoi contemporanei lo abbiano preso direttamente dal francese (apruef - prov. aprop, aprob - , per es., ‛ aprof ' o ‛ apruef le chevalier ', " dopo, dietro ") " (Lingua 290; cfr. anche p. 289).
La locuzione ricorre in If XII 93 danne un de' tuoi [centauri], a cui noi siamo a provo, / e che ne mostri là dove si guada; p. viene ricondotto al latino prope, di cui conserva il significato di " presso " (o più esattamente " dietro ", come si è visto nel Parodi), accolto quasi unanimemente nell'esegesi antica e moderna; se ne discosta il Buti, che spiega: " cioè a probazione; cioè che ci abbia cari sì, che ci faccia buona compagnia: o vero alla guida del quale noi siamo a provare et avere esperienzia di quel ch'è in questa fossa ". Anche questa interpretazione ha avuto qualche seguito: il Landino l'accoglie quasi integralmente; il Venturi, accanto ad " appresso ", ipotizza un " ‛ noi siamo a prova di sua fedeltà '; ovvero, ‛ con cui facciam prova di andare per tutto '; ovvero, a cui siamo come buona compagnia approvati ' ". Il Cesari dichiara: " Io non mi vi so acconciare [al valore di " presso " ]: e piuttosto confesso di non saperne il significato... L'ha il Boccaccio per ‛ far prova ': latinamente ‛ periculum facere ' ".