PROVOCAZIONE
. Diritto romano. - Provocatio in senso tecnico designa il trasferimento di una causa davanti all'autorità giudiziaria (Gaio, IV, 16; 93; 95; 165; 166; Dig., XXVIII, 8, de iur. delib., 6).
In origine indica soltanto l'appello che si rivolge al popolo su una condanna penale. L' istituto si trasforma ben presto, in un'arma politica formidabile nella storia della repubblica romana e ha una grande importanza nello sviluppo del diritto penale. All'epoca della repubblica il magistrato giudicante è obbligato ad autorizzare qualsiasi condannato, che ne faccia domanda, a introdurre la provocatio ad populum (Cic., De leg., III, 4, 11; De re p., II, 36, 61). Essa sospende la condanna e l'annulla ove il popolo non l'approvi. È un diritto che spetta a ogni cittadino romano maschio, anche se privo di voto: può essere concesso a titolo personale anche ai Latini.
La provocatio può essere proposta contro qualunque condanna: se questa è capitale, davanti ai comizî centuriati; se pecuniaria, davanti ai comizî tributi. È solo possibile per gli atti di giurisdizione pubblica, di cui sono fissati la nozione e il campo di applicazione: può muoversi contro tutti i magistrati che amministrano la giustizia repressiva pubblica, cioè i duoviri perduellionis, il quaestor, il tribunus plebis, l'aedilis plebis, l'aedilis curulis, il pontifex maximus. In tali casi il magistrato giudicante è obbligato ad autorizzare la provocatio: non è obbligato invece nei riguardi del re, del dittatore e dei magistrati investiti di poteri costitutivi, quali i consoli e il senato nell'esercizio della giustizia marziale. La provocatio è esclusa per le sentenze emanate in materia di diritto privato o nelle quaestiones.
Interposta la provocatio, il magistrato deve interrompere l'esecuzione della condanna, altrimenti viene punito come se l'atto contro il condannato fosse compiuto da un privato. La pena si denunzia al popolo in trinum nundinum, cioè 24 giorni prima della convocazione dei comizî. L'assemblea accetta o rigetta la condanna. È dubbio se si debba procedere, o meno, a un dibattito sulla questione che ha formato oggetto del giudicato. Nel 137 a. C. con la legge di L. Cassio fu introdotto il voto scritto e segreto, tranne per i processi di tradimento; nel 107 a. C. fu esteso anche a questo caso con la legge di C. Celio Caldo.
Il nome di provocatio si usa nel processo militare per indicare la ricusazione del giudice militare: questo istituto mira a sottrarre il cittadino romano alla coercizione capitale del diritto di guerra e a farlo giudicare dai magistrati ordìnarî.
Nell'epoca imperiale l'istituto della provocazione sparisce. Nel sec. II provocatio si usa come sinonimo di appellatio.
Bibl.: Th. Mommsen, Röm. Strafrecht, Lipsia 1901, I, p. 167 segg.