prudenza
Con p., sulla scorta della tradizione filosofica e cristiana, D. indica una delle più importanti virtù necessarie al conseguimento della vita morale.
La prudenza in Dante. - La p. personale. Per D. la p. è anzitutto un'espressione del buon senso. Per alcuni filosofi è una virtù morale, mentre per Aristotele essa è una virtù intellettuale e ha il compito di guidare le virtù morali, rendendole padrone di sé stesse. Senza la p. esse non potrebbero assolvere al loro ruolo (Cv IV XVII 8, XXVII 9). Se l'uomo vuol agire in modo conveniente, cioè virtuosamente e onestamente, deve agire con p., con temperanza, con fortezza e con giustizia; senza di ciò non giungerà mai al fine da conseguire e i suoi sforzi rimarranno vani (XXII 11; cfr. XXVII 13 per i rapporti p.-larghezza). Per poterci dischiudere, dar piena misura di noi stessi ed esercitare l'influenza di cui siamo capaci, occorre che siamo prudenti, cioè sapienti; in tal modo conserveremo buon ricordo delle cose passate, buona conoscenza delle presenti e buona previsione delle future (XXVII 5-6). In ciò è avvertibile l'influenza del De Inventione e della Rhetorica di Cicerone. In Rime LXXXVI 4 p. fa parte della ‛ compagnia ' di Virtù.
P. politica. Le azioni pubbliche devono esser rette dalla p. politica: questa forma di sapienza le regolerà in modo tale che tutto ciò che dev'esser compiuto, lo sarà secondo l'illuminazione della nostra ragione (Mn I III 10). Riprendendo l'affermazione di Aristotele (Pol. I 1, 4) D. ricorda come la p. sia la regola della sapienza: intellectu... vigentes aliis naturaliter principari.
In questo senso è possibile paragonare - come fa Platone nella Repubblica - l'uomo e la città: in ambedue è la p. a garantire la pace e l'ordine. È opera divina quella che consente di applicare all'uomo il versetto 6 del salmo 8, utilizzato da s. Paolo soprattutto a proposito di Cristo (Haebr. 2, 7; cfr. Mn I IV 2).
La p. e le altre virtù. Riprendendo la tesi di Aristotele per il quale la p. è guida delle virtù morali, D. decanta l'importanza della p. quando descrive lo splendore del carro, ornato delle virtù cardinali, alla cui guida è la p. fornita di tre occhi. Il terzo occhio non si vede, perché nascosto dietro il capo a raffigurare la memoria delle cose passate necessaria a tutti coloro che vogliono essere prudenti (Pg XXIX 130-132). Anche nell'iconografia medievale è presente quest'occhio posteriore e spesso la p. è rappresentata con due facce: una, giovanile, è rivolta davanti; l'altra, più vecchia, guarda all'indietro.
Se tuttavia l'oblio, la negligenza o la colpa impediscono all'uomo di compiere il proprio dovere, egli potrà comunque riscattarsi. Purificato dal bagno nel Lete godrà nuovamente della protezione delle virtù cardinali. Lavato dal ricordo dei propri errori e condotto dalla p. egli potrà nuovamente agire in conformità al proprio destino. In tal modo D. conduce l'uomo, pieno di p. e di sapienza - attraverso lo specchio degli occhi di Beatrice, brillanti come smeraldi (e nota che lo smeraldo spesso è la pietra che rappresenta Cristo) - alla contemplazione di una realtà immutabile (Pg XXXI 103-117).
Se poi c'è bisogno di un esempio di p., questo è Salomone, re sapientissimo in cui più che la potenza è giustamente lodata la sapienza. Salomone, infatti, volle dirigere tutta la propria vita e volle manifestare tutte le proprie azioni sotto l'ispirazione della p. (Pd XIII 88-104). Ma modello primo di sapienza e p. è Dio, che ha ordinato e guida tutto con la sua provvidenza.
La prudenza nella storia della religione Cristiana e della filosofia. - Tradizione greca. Tra i filosofi greci la p. o sapienza compare sin dalla prima enumerazione delle virtù fatta da Platone (Republ. IV 427d ss.). Essa è data in sorte ai governanti della città, in contrapposto al coraggio dei soldati e alla temperanza degli artigiani. Nell'uomo la p. rappresenta la virtù della ragione e ha la propria sede nel capo.
Aristotele toglierà la p. dal numero delle virtù morali, facendone la prima delle virtù intellettuali. Abelardo, nel Medioevo, sarà pressoché l'unico ad adottare in pieno questo punto di vista; generalmente, infatti, i filosofi e i teologi cristiani cercheranno di ricondurre la p. nell'orbita della morale. Anche se intellettuale, affermano costoro, la p. ha anzitutto il compito di dirigere la vita morale dell'uomo. A partire dal sec. XIII la filosofia cristiana troverà in questa concezione della p. una formula anticipatrice del trattato sulla coscienza. Quest'ultimo nascerà infatti nel XV e XVI secolo, in autori persuasi, più che i medievali, del carattere personale dell'impegno etico.
Vecchio e Nuovo Testamento. Se i libri sacri del cristianesimo impiegheranno solo tardivamente la nozione di p., per contro faranno assai presto ricorso a una parte del suo contenuto, cioè il discernimento morale.
Dio, afferma Ecli. 15, 14, ha lasciato l'uomo nelle mani del proprio consiglio: egli ha di fronte a sé l'acqua e il fuoco, l'obbedienza ai comandamenti o la rivolta. Già allora, nei libri sapienziali, compare l'idea che essere prudenti e sapienti significa osservare la legge e la volontà di Dio. La p. consisterà in un'abilità, in un savoir-faire morale fondato sul " timor Domini " (Prov. 1, 7).
Il Nuovo Testamento riprende, in materia di p., le idee del Vecchio ma in qualche modo perfezionandole: la vera p. consiste nell'abbandonare tutto per seguire Gesù (così Matt. 7, 24-27; 19, 16; 35, 14-30; Luc. 14, 28-32). Quando si tratta di p. cristiana tornano spesso due ammonimenti: diffidare del denaro (Luc. 12, 16-21, 33; 16, 1-9; Matt. 6, 33) e rimanere vigili (Matt. 25; I Tim. 3, 4; Tit. 2, 4; Ephes. 5, 15; Rom. 13, 11; Petr. I Epist. 5, 8; Apoc. 3, 3). La liturgia latina, fino a tempi recenti, ha molto ripreso testi che parlano della p. nella comunione dei santi. Le vergini cristiane, ad esempio, sono prudenti perché seguirono il richiamo di Cristo.
Bibl. - O. Lottin, Les débuts du traité de la p. au moyen âge, in " Recherches de Théologie Ancienne et Médiévale " IV (1932) 270-293; J. Leclercq, La vie en ordre, Bruxelles 1938, 207-214; A. Raulin, P., in Initiation théologique, fasc. 3, Parigi 1952, 680-722 (con bibl.); P. Delhaye, La conscience morale du chrétien, Parigi 1964; P. Palazzini, Dictionarium morale et canonicum, III, Roma 1966, 893-897.