PRUSSIA (ted. Preussen; dal nome dei Borussi o Prussi, che abitavano quella regione che è detta ora Prussia Orientale e appartenevano alla famiglia baltica; il nome è stato poi assunto dai nuovi abitanti della Prussia ed esteso con loro a tutto lo stato; A. T., 51-52)
È di gran lunga il più importante tra i "paesi" (Länder) dello stato germanico, posto in prevalenza nella parte centrale e settentrionale dello stato, in territorî molto diversi per caratteristiche fisiche, fertilità e aspetto, che si estendono dai Monti della Germania centrale (Deutsche Mittelgebirge) al Mare del Nord e al Baltico, dal Reno al Memel. Data la sua posizione nel centro d'Europa, la Prussia confina con molti stati e regioni partendo da NO. verso S.: Olanda, Belgio, Lussemburgo, Francia, Distretto della Saar, Palatinato Renano, Assia meridionale, Baviera, Turingia, Sassonia, Cecoslovacchia, Polonia, Lituania, quindi Mar Baltico; Danimarca, Mare del Nord. Fanno inoltre parte della Prussia, fuori di questi confini, il Hohenzollern, percorso dal Danubio, isolato nella Germania meridionale, tra il Württemberg e il Baden, i distretti di Schmalcalda-Suhl e di Ziegenrück, compresi nella Turingia, e altri minori. In tutto i territorî staccati sono 65, di cui 15 nel Brunswick, 14 in Turingia, 10 nel Baden, 7 nel Württemberg e nello stato d'Amburgo. Invece la Prussia comprende dentro di sé l'Anhalt, il Brunswick, Amburgo, l'Alta Assia, il Lippe, parte dell'Oldemburgo (Birkenfeld), lo Schaumburg-Lippe, parte della Turingia (Sondershausen). Per la massima parte contornati da territorî prussiani sono pure lo stato di Brema, il Meclemburgo, la parte maggiore dell'Oldemburgo e dello stato di Lubecca.
Sviluppo territoriale della Prussia. - Lo stato, che dal 1701 si chiamò regno di Prussia, si venne costituendo a poco a poco con gl'ingrandimenti successivi della Marca di Brandeburgo. Nucleo iniziale dello stato è l'Altmarkt, regione di circa 4500 kmq., bagnata dall'Elba, la quale costituisce ora la parte settentrionale della provincia di Sassonia. Alberto l'Orso venne investito di essa nel 1134 e riuscì a poco a poco a estendere la sua sovranità. Per lungo tempo lo stato rimase piccolo e povero, confinato in una regione interna, bassa e paludosa, finché ebbe inizio quella espansione prodigiosa che per l'opera di fattori molteplici, volontà, orgoglio, spirito di conquista, ordine, metodo, condusse lo stato a dominare su tutta la Germania. Nel suo sviluppo esso ha avuto la tendenza ad acquistare uno sbocco al mare e ad appoggiarsi su delle alture, in modo che pur senza venir a coincidere con una regione naturale, è venuto acquistando zone di tutte le diverse regioni naturali della Germania, esclusa quella alpina. Sotto il principe elettore Federico I, con cui si apre la serie dei Hohenzollern, s'aggiunsero ai possessi originarî l'Uckermark (parte settentrionale del Brandeburgo attuale: territorio pianeggiante con molti boschi e alcuni laghi, fertile e ben coltivato) e il Prignitz (parte nord-occidentale del Brandeburgo a destra dell'Elba, pianeggiante e collinoso, adatto alla coltura della segala). Sotto Federico II (1440-70) lo stato s'ingrandì della Neumark (Brandeburgo nord-orientale, percorsa dal fiume Warthe, territorio alquanto boscoso), tolta all'Ordine Teutonico, e più tardi (sotto Johann Cicero) Berlino, piccola borgata scelta in posizione opportuna, divenne la capitale dello stato e la sede del principe. Per oltre un secolo i possessi rimasero immutati, ma si accrebbero poi di molto sotto Giovanni Sigismondo con l'acquisto di Kleve (Renania nord-occidentale, sulla sinistra del Reno, presso il confine olandese), con Mark e Ravensberg e ancor più quattro anni dopo con l'occupazione della Vecchia Prussia (Altpreussen, corrispondente in parte all'odierna Prussia Orientale), quest'ultima in una zona in parte colonizzata da Slavi, sentinella avanzata dello stato verso oriente, mentre i tre primi possessi servirono a far sentire l'influenza del Brandeburgo verso occidente. Con il grande elettore Federico Guglielmo viene acquistata la Pomerania orientale (pace di Vestfalia, 1648) e con essa un facile accesso al Baltico; inoltre lo stato s'accresce dei vescovati di Halberstadt e Minden (presso la Porta Vestfalica) e ottiene la prevalenza in quello di Magdeburgo, in modo da aumentare la sua estensione e la sua influenza verso occidente e verso sud. Alla morte di Federico Guglielmo, il Brandeburgo ha già un'estensione di 112.500 kmq. Con Federico I lo stato diventa un regno, avendo egli cinto nel 1701 la corona di Prussia. Federico Guglielmo I acquista (1720) la Pomerania occidentale fino al fiume Peene, in modo d'avere sul Baltico un nuovo, più agevole accesso (Stettino). Federico il Grande ottiene (1742) la Slesia, s'apre una porta sul Mare del Nord con l'acquisto della Frisia orientale e soprattutto riesce a congiungere il Brandeburgo alla Prussia Orientale con il possesso della Prussia Occidentale (1772). Solo per poco appartennero alla Prussia Ansbach e Bayreuth (1791) e lo stesso si dica di altri territorî meridionali. Con la pace di Vienna (1815) la Prussia si accrebbe invece notevolmente, avendo acquistato la parte settentrionale della Sassonia, la parte restante della Pomerania (con l'isola di Rügen, la più grande della Germania), la Posnania e soprattutto la Renania, che divenne uno dei fulcri industriali del paese. L'ultimo ingrandimento è quello avvenuto con Guglielmo I (1866), sotto il quale vennero a far parte della Prussia Schleswig-Holstein, Hannover, Assia Elettorale, Nassau e Francoforte, importante testa di ponte sul Meno. Nei limiti d'anteguerra la Prussia occupava una superficie di 348.780 kmq. e contava una popolazione di circa 40 milioni d'abitanti (1910). In seguito alla guerra mondiale ha perduto: 1. gran parte della Prussia Occidentale. (15.864 kmq. e 965 mila abitanti) passata alla Polonia, e Danzica (1914 kmq. e 331 mila ab.), diventata stato indipendente. È restata alla Germania della Prussia Occidentale (Westpreussen) una striscia di territorio che confina con la Pomerania (parte occidentale della Pomerellia e territorio presso Deutsch-Krone), Elbing e dintorni, la zona di Marienburg e di Marienwerder (che vennero assoggettate a plebiscito, il quale ebbe esito favorevole alla Germania col 92,9% dei voti). Questi ultimi territorî furono riuniti in modo da formare un distretto che venne a far parte della Prussia Orientale (distretto di Marienwerder o di Westpreussen; 2927 kmq. di superficie, 277 mila ab.), mentre la parte rimasta alla Germania a occidente della Vistola venne unita a quanto è restato alla Germania della Posnania (26.042 kmq. e quasi due milioni di ab., passati alla Polonia), in modo da formare una Marca di confine (provincia della Grenzmark Posen-Westpreussen; superfcie 7700 kmq., 300 mila ab., capoluogo Schneidemühl); 2. la Prussia Orientale ha perduto il Territorio di Memel (2657 kmq. e 141 mila ab.), che fa ora parte della Lituania, e il circolo di Soldau (501 kmq. e 25 mila ab.) passato alla Polonia; 3. la Slesia è stata suddivisa nel 1919 in due provincie, Bassa e Alta Slesia. Di quest'ultima dovettero essere ceduti alla Polonia, nel 1921, 3221 kmq. con 893.o00 ab. (distretto minerario e industriale) e 316 kmq. con 48.500 ab. alla Cecoslovacchia. Alla Polonia furono inoltre ceduti 512 kmq. (con 26.200 ab.) della Bassa Slesia; 4. la Prussia Renana ha perduto i circoli di Eupen e Malmédy (1036 kmq., 60 mila ab.) a S. di Aquisgrana, ceduti al Belgio, e ha visto temporaneamente (1919-1935) sottratto alla sua sovranità il Territorio della Saar; 5. una parte dello Schleswig-Holstein (la cosiddetta prima zona, tra Königsau e il golfo di Flensburg) venne ceduta alla Danimarca, in seguito a plebiscito a questa favorevole (3993 kmq. e 165 mila ab.). La Prussia ha quindi perduto complessivamente 56.056 kmq. e 4.603.000 abitanti e, mentre prima poteva considerarsi uno stato unitario, è ora suddivisa in due parti, data l'esistenza del cosiddetto corridoio polacco.
La Prussia consta delle seguenti parti:
Le 14 provincie sono poi suddivise in 34 distretti (Regierungsbezirke), che alla loro volta constano di 351 circoli (Kreise) e 119 città (Stadtkreise), 1087 comuni urbani e 29.519 comuni rurali. È inoltre da aggiungere la parte prussiana del Territorio della Saar (14.86 kmq. e 670 mila ab.), riacquistata col plebiscito del 13 gennaio 1935. La Prussia comprende entro questi limiti il 61,2% della popolazione e il 62,5% della superficie della Germania.
L'aspetto fisico del paese (v. germania) è pianeggiante nei tratti prossimi alla costa (zone periferiche delle estese pianure dell'Europa orientale), poi verso l'interno dapprima mollemente ondulato, quindi collinoso e boscoso, per appoggiarsi infine con la Bassa Slesia sui Monti dei Giganti (m. 1603, punto più alto della Prussia). Appartengono alla Prussia anche una parte del Harz (col Brocken, m. 1140) e dei Monti Scistosi Renani (Hunsrück, Eifel, Taunus, Westerwald e la maggior parte del Sauerland; v. renania) e inoltre buona parte dei Monti dell'Assia e del Weser. Il Hohenzollern s'appoggia sul Giura Svevo (Kornbühl, m. 886). La parte maggiore è però quella che si estende sul bassopiano della Germania settentrionale, limitato verso l'interno dal Dosso Baltico (m. 150-300, colline moreniche) e da una serie di bassi rilievi (südliche Landrücke), che dalla piattaforma dell'Alta Slesia e dal Chelm (presso il confine polacco) continuano fino alla Landa di Luneburgo. La pianura è spesso solcata dalle antiche valli glaciali, in parte ricalcate dai principali corsi d'acqua, che mandano le acque sia al Baltico, sia al Mare del Nord. Numerosi i laghi, soprattutto nella Prussia Orientale (Laghi Masuri). Grande importanza hanno i quattro grandi golfi della pianura che si spingono verso S., limitati da zone montuose, Slesia, bacino di Lipsia, di Münster e di Colonia. Asse idrografico principale della Prussia è l'Elba, che con una diagonale da SE. a NO. percorre gran parte del paese. Le coste sono generalmente basse e sabbiose; fanno eccezione le ripe del Samland e dell'isola di Rügen e i Föhrden (valli plasmate dai ghiacciai e poi affondate) dello Schleswig, come pure le zone arginate. Le isole principali del Mare del Nord sono le Frisone, quelle del Baltico Fehmarn, Rügen, Usedom e Wollin. La pesca viene esercitata tanto nel Mare del Nord quanto nel Baltico: principali basi sono Wesermünde, Emden, Leer, Wilhelmshafen, Kiel, Stralsund, Stettino, Swinemünde, Pillau. Abbondanti le ricchezze minerarie: carbone (Ruhr, Alta Slesia, Saar, Vestfalia, Hannover; produzione media 159 milioni di tonn. ogni anno), lignite (Sassonia, Renania, Assia, Bassa Slesia, Brandeburgo; produzione 148 milioni tonn.); sali potassici (Stassfurt; 1,6 milioni tonn.), petrolio (Hannover), ferro (Siegerland in Vestfalia, bacino di Aquisgrana, distretto di Dill nell'Assia; 4,3 milioni tonn.), rame (Sassonia; 1 milione tonn.), argento (Harz), zinco e piombo (Alta Slesia e bacino di Aquisgrana), ambra (Prussia Orientale). I terreni sono dal punto di vista agrario molto diversi da zona a zona, spesso sabbiosi e torbosi (questi ultimi specialmente nel Hannover e nella Prussia Orientale), umidi nelle antiche valli glaciali, talora coperti da magri pinastri o da lande poco fertili. I migliori sono quelli dei dintorni di Magdeburgo (Börde), la zona sottostante ai Sudeti, le valli della Saale e dell'Unstrutt, il Goldene Aue, il Taunus, le valli del Hunsrück, il Westerwald. Il clima è nel complesso favorevole, data la mancanza di eccessivi contrasti migliori condizioni presentano le regioni occidentali (il Rheingau, il medio Reno, il Hannover meridionale hanno una posizione privilegiata essendo poco battute dai venti), mentre invece la Prussia Orientale soffre d'inverni troppo lunghi, che lasciano poco tempo alle colture. In genere la parte occidentale gode ancora degl'influssi oceanici, quella orientale risente gli eccessi del clima continentale. Il manto forestale è più o meno diffuso a seconda delle condizioni climatiche e dello sviluppo economico. Le maggiori superficie boschive si trovano nell'Assia-Nassau (36,6% del territorio) e nel Brandeburgo (34,6), le minori nello Schleswig (7,8%). A occidente (specie nei Monti Scistosi Renani) prevalgono le latifoglie (querce), nei Mittelgebirge e a oriente le aghifoglie. Il 46% della superficie della Prussia è occupato da campi, il 16,3 da prati e pascoli, il 25,4 da boschi, l'1,3 da frutteti e vigneti, il 6,4 da strade, piazze, ecc., il 4,6 da terreni improduttivi. La segala è coltivata su 3,3 milioni di ha. (produzione 4,9 milioni di tonn.), il fieno e l'erba medica su 2,7 milioni di ha. (prod. 11,8 milioni di tonn.), l'avena su 2,2 milioni di ha. (prod. 4,2 milioni di tonn.), le patate su 1,8 milioni di ha. (prod. 29,6 milioni di tonn.). Seguono il frumento, l'orzo, le barbabietole. La vite trova le condizioni più favorevoli nella valle della Mosella (prod. 450 mila hl. di vino su 670 mila prodotti in media nella Prussia). Ingente è anche l'allevamento; la Prussia possiede infatti 10,7 milioni di bovini, 16,2 milioni di maiali, 2,3 milioni di cavalli, 2,3 milioni di pecore e 1,4 di capre. Le provincie dove l'allevamento è più progredito sono lo Schleswig, la Prussia Orientale, il Hannover, la Pomerania. La proprietà è più suddivisa a occidente, mentre a oriente è ancora diffuso il latifondo. In genere la parte che era stata colonizzata dai Romani ha tuttora tratti che la differenziano da quella colonizzata dagli Slavi.
Da 16,9 milioni di ab. nel 1852, la Prussia è aumentata a 24,7 nel 1871, a 34,5 milioni nel 1900, a 41,9 nel 1913. La percentuale annua d'aumento è stata di 1,11 nel decennio 1871-80, 0,93 nel 1880-90, 1,40 nel 1890-1900 e 1,5 nell'ultimo decennio prebellico. L'aumento si è poi andato attenuando, sia in conseguenza della guerra mondiale, sia perché l'incremento annuo (differenza attiva tra nati e morti) da 14,6 per mille nel 1910 è sceso a 5,3 nel 1929. Nel 1925 sono stati contati nella Prussia oltre mezzo milione di stranieri (pari all'1,48% della popolazione; in maggioranza Polacchi, 32%, poi Cecoslovacchi, 16%, Austriaci, 11%). Minoranze nazionali polacche si trovano nella Prussia Orientale, presso il confine della Pomerania, nella Marca di confine, nella Bassa Slesia; Slavi sono anche i Lusaziani viventi nella regione della Sprea. Molto minore importanza hanno i Danesi dello Schleswig, i Lituani della Prussia Orientale, i Cèchi della Slesia e le maestranze industriali polacche della Renania. Come confessione prevalgono i protestanti (65%). Una maggioranza di cattolici si ha nell'Alta Slesia (88,5), nell'Ermeland (Prussia Orientale), nell'antico granducato di Glatz (Bassa Slesia), nella Renania (salvo nella valle del Wupper), nel Hohenzollern. La densità è soprattutto alta in Renania e Vestfalia (con un massimo di 741 ab. per kmq. nel distretto di Düsseldorf, valore che è superato solo dai 4795 della Grande Berlino), mentre raggiunge valori minimi nella Marca di confine (43,8), nella Prussia Orientale (63,1) e nel Hohenzollern (63,9). Le città con oltre 100 mila abitanti sono 35. Le occupazioni principali sono l'industria (41,3), quindi l'agricoltura (22) e il commercio e traffico (17,5). L'industria presenta valori notevolmente superiori alla media in Renania (50%), Vestfalia (54,8) e Berlino (51,2); l'agricoltura nella Marca di confine (60,9); Hohenzollern (62,2) Prussia Orientale (55,7), Pomerania (50,7); il commercio e traffico a Berlino (29,8), nello Schleswig (20,4) e nella Renania (18,6).
L'industria, molto sviluppata in tutti i rami, è soprattutto importante per quanto riguarda la lavorazione del ferro e dell'acciaio e la fabbrica di macchine (3532 imprese con 790 mila addetti; centri principali: Essen, Düsseldorf, Dortmund, Gelsenkirchen, Bochum, Duisburg, Solingen), le industrie chimiche (624. imprese e 174 mila addetti; centri principali: Berlino, Halle-Leuna-Bitterfeld, Francoforte sul Meno, Düsseldorf, Colonia), le industrie tessili (1914 imprese e 450 mila addetti; centri principali: Wuppertal, Bielefeld, Aquisgrana, Krefeld), l'industria elettrotecnica, la meccanica di precisione e l'ottica (630 imprese e 242 mila addetti).
Le comunicazioni sono tra le migliori d'Europa, sia perché la rete ferroviaria è a maglie molto strette (31.714 km. di ferrovie statali e 2600 linee private, pari a 117 km. ogni 1000 kmq. e 86,7 ogni 100 mila ab.), sia perché i maggiori fiumi sono congiunti tra loro nel corso inferiore da importanti canali navigabili (rete di 1412 km.). Per altre notizie v. germania e le voci relative alle diverse provincie.
Storia.
Attualmente, col nome di Prussia e di Prussiani, s'intendono innanzitutto la regione e gli abitanti dell'antica marca di Brandeburgo, fra l'Elba e l'Oder, la Havel e la Sprea. Il nome, in questa accezione, è relativamente recente e cominciò a entrare nell'uso dacché, nel 1701, il margravio elettore di Brandeburgo assunse il titolo di re di Prussia, derivandolo dalla regione lontana lungo il Baltico (una parte dell'odierna Prussia Orientale) che da meno di un secolo (dal 1618) era stata unita ai suoi possessi brandeburghesi e alla quale soltanto spettava, fino allora, il nome di Prussia. Questo fatto, che altrove non sarebbe andato oltre al suo stretto significato araldico e diplomatico - anche i duchi di Savoia, circa il medesimo tempo, assumevano il titolo di re di Sardegna, ma non perciò i loro sudditi di Piemonte o di Savoia mai si dissero o sentirono sardi - portò invece alla conseguenza che, da allora in poi, il nome e il concetto di Prussia e Prussiani venne spostandosi verso la vecchia marca di Brandeburgo (v.), dove la famiglia dei Hohenzollern (v.) dal 1415 reggeva il paese e godeva della dignità elettorale, e dove la stessa famiglia, insignita del titolo reale, continuò a risiedere. In questo fatto si manifesta quello che è lo spirito della storia prussiana: creazione di una dinastia, nella quale la popolazione identificò e confuse i propri destini, sentendosi nazione solo attraverso i legami e le tradizioni della casa regnante.
Le più remote notizie storiche sulla regione che dapprima ebbe il nome di Prussia risalgono ai secoli VIII-X. Era allora abitata dalla popolazione di stirpe baltica dei Prussi (Pruteni, Borussi), che i Danesi chiamavano anche Sami (o Sambi). Popolazione di agricoltori, di pescatori, di allevatori di bestiame, di cacciatori; gran bevitori di latte di giumenta e d'idromele; militarmente e politicamente disorganizzati; barbari e pagani, ma di pacifici costumi. Praticavano una religione naturalistica; in cima al loro Olimpo era il dio della folgore, Perkunas; capo religioso veneratissimo il Kriwe, che dimorava in un bosco sacro a Romowe (nell'odierno Samland). Generalmente diffusa la poligamia; tenuti in alto conto i doveri dell'ospitalità. Fino al sec. X i rapporti con i popoli vicini - anche con quelli già passati al cristianesimo - non sembrano aver dato luogo a gravi contrasti. Il primo, vano, tentativo di portare fra essi il vangelo fu compiuto da S. Adalberto vescovo di Praga, che morì (997) alle foci della Vistola, con l'aureola del martirio; né maggior fortuna ebbe il secondo tentativo, di Bruno di Querfurt (1009). Per altri due secoli i Prussiani rimanevano nell'isolamento del paganesimo, mentre tutt'attorno i popoli finitimi, ad eccezione dei Lituani, abbracciavano il cristianesimo ed entravano per esso nella comunità della civiltà europea. Al principio del sec. XIII l'evangelizzazione dei Prussi fu ripresa, e precisamente dal monastero cisterciense di Oliva (presso l'odierna Danzica), fondato da un principe di Pomerania. Il monaco Cristiano ebbe confermato dal pontefice (1215) il titolo di vescovo di Prussia, ma di fatto la sua piccola diocesi non comprendeva che poca parte della regione di Kulm, concessagli dal duca polacco di Masovia, il quale, come i suoi predecessori fin da Mieszko fondatore dello stato polacco, annetteva particolare interesse ad assicurare all'influenza polacca, attraverso il cristianesimo, il basso corso e le foci della Vistola. Finché l'opera di evangelizzazione era lasciata alle sole forze dei monaci di Oliva, poco poteva progredire, se non l'accompagnava la forza delle armi. Propagazione della fede attraverso la conquista militare era nello spirito delle crociate; e infatti i duchi di Polonia già compivano, ma solo saltuariamente, delle spedizioni militari a questo fine contro i Prussi come contro i Lituani, loro affini. Per procedere sistematicamente, Corrado duca di Masovia ricorse prima a quei cavalieri dell'Ordine dei Portaspada insediatisi a Dobrzyń sulla Vistola (detto l'ordine di Dobrzyń); ma non avendo essi né volontà né forza per intraprendere la conquista e l'evangelizzazione della terra dei Prussi, egli rivolse la stessa offerta ai cavalieri dell'Ordine Teutonico. Fu accettata. Il gran maestro Hermann von Salza e i cavalieri videro con piacere assegnata al loro ordine quella missione che, per varie ragioni, diveniva sempre più difficile e quasi ineseguibile in Terrasanta; ma vollero impegni precisi tanto dall'offerente quanto - in virtù dei suoi poteri universali - dall'imperatore Federico II, col quale, del resto, il gran maestro era in ottimi rapporti. Così, nel 1226, l'Ordine Teutonico ebbe in donazione dal duca Corrado una parte della regione di Kulm corrispondente press'a poco alla diocesi del monaco Cristiano, prigioniero dei Prussi in questo tempo, e dall'imperatore tutto quanto avrebbero conquistato in seguito in partibus Prussiae. Sotto la guida di Corrado di Landsberg, fratello del gran maestro, e di Hermann Balke, nominato maestro provinciale dell'ordine per la Prussia, la conquista-evangelizzazione fu intrapresa con grande energia. Dai punti di base stabiliti a Vogelsang e a Nessau (Nieszawa; presso l'odierna Toruń, in tedesco Thorn) sulla riva sinistra della Vistola, i cavalieri, rafforzati occasionalmente da truppe crociate condotte o fornite da principi tedeschi, polacchi, boemi, ecc., penetrarono nel paese ponendo a segno e a consolidamento della conquista dei fortilizî, che diedero poi origine a città: così Kulm, Thorn, Marienwerder (1233), Elbing (1237), Balga (1239) sulla laguna detta il Frisches Haff. La conquista riuscì relativamente più facile nella zona rivierasca della Vistola e poi verso oriente, lungo il mare; ma nelle parti più interne i Prussi si difendevano strenuamente, protetti da tutto un intrico di laghi, stagni, foreste impenetrabili. In questi primi decennî i cavalieri erano pochi; alcune centinaia appena, ai quali si devono aggiungere il seguito di scudieri, di uomini d'arme e i coloni che da tutte le parti della Germania, specialmente settentrionale, venivano a mettere a coltura la terra conquistata, a diboscare e a bonificare. Spesso i coloni dovevano dare di piglio alle armi, difendere la terra appena arata o vederla devastata dalle scorrerie dei Prussi e rifugiarsi nelle roccheforti per ricominciare da capo il duro lavoro. Fra il 1242 e il 1253 tutta l'opera di conquista parve messa a repentaglio: i Prussi insorsero in massa, aiutati dall'impetuoso duca di Pomerellia, Swentopolk. Non era giovato all'Ordine Teutonico che ad esso si fosse fuso, nel 1235, l'ordine di Dobrzyń e nell'anno seguente quello dei Cavalieri Portaspada; ciò gl'impose il compito enorme di tenere a bada tutte le popolazioni pagane in una regione che si estendeva dalla Vistola fino quasi al golfo di Finlandia. Tuttavia, i cavalieri vennero a capo delle difficoltà con metodi radicali, che spesso significavano lo sterminio dei Prussi; anche il duca di Pomerellia dovette piegare alla fine e cedere, provvisoriamente, Danzica, la sua capitale (1253). La conquista riprese lungo la costa; all'estremità del Kurisches Haff i cavalieri fondarono Memel (1252), estesero e completarono il possesso della Sambia (Samland, 1254-55) aiutati da un esercito crociato condotto da Ottocaro re di Boemia, il quale pose alla foce della Pregel le fondamenta di una piazzaforte per i cavalieri: Königsberg. Verso il 1260 tutta la Prussia, ad eccezione delle parti più interne verso i Laghi Masuri, era in potere dei cavalieri; ma proprio in quest'anno i Prussi, solo superficialmente sottomessi e cristianizzati, trattati da schiavi, spogliati delle loro terre a benefizio dei cavalieri e dei coloni tedeschi, tentarono l'estrema ribellione; e fu la più grave e sanguinosa. Avevano ora imparato un poco l'arte di guerra dei conquistatori; osarono perfino misurarsi con i cavalieri in aperta campagna e anche li vinsero talvolta e presero alcune delle fortezze (Heilsberg, Marienwerder); ma nulla poterono contro Balga e Königsberg, che resistettero a tutti i loro sforzi (1265). Passato il momento critico, la rivolta a poco a poco si spense (1282); un ultimo tentativo, nel 1295, fu stroncato sul nascere. Al principio del sec. XIV tutta la Prussia si poteva considerare pacificata, cristianizzata, profondamente intrisa di germanesimo per l'opera indubbiamente civilizzatrice dei cavalieri e coloni tedeschi. Lo stesso gran maestro dell'Ordine, scacciato dagli ultimi possessi di Terrasanta, venne a stabilirsi nella Prussia (1309); Marienburg, città e fortezza sulla destra della Nogat, ne fu la residenza e capitale. Nel 1308-10 anche la Pomerellia, con Danzica, venne dapprima provvisoriamente, poi (trattato di Kalisz, 1343) definitivamente unita ai possessi dell'Ordine e considerata, da allora in poi, parte integrante della Prussia. Tutti questi fatti (conquista e colonizzazione tedesca della Prussia, annessione della Pomerellia con le foci della Vistola) ebbero capitale importanza nella storia dei rapporti fra Polonia e Germania e le conseguenze ne sono visibilissime tuttora: per un secolo e mezzo la Polonia non ebbe uno sbocco sul Mar Baltico; e anche quando l'ottenne (1466), tutta la zona costiera era oramai irreparabilmente germanizzata, specialmente nelle città, e quasi gettato il ponte fra i Tedeschi, dapprima isolati, della Prussia e i Tedeschi della Germania. L'offerta di Corrado di Masovia fu fatale alla Polonia; e i cavalieri dell'Ordine seppero abilmente approfittare delle condizioni di debolezza interna in cui la Polonia, divisa fra gl'innumerevoli ducati dei Piasti e minacciata dal pericolo tataro, visse nel sec. XIII.
Il sec. XIV fu il gran secolo per l'Ordine Teutonico e per la Prussia: tempo di riordinamento interno, di sviluppo economico e civile. L'ordine aveva trapiantato nel paese il suo ordinamento cavalleresco-monastico e vi agiva come un'oligarchia che, anche nei momenti di maggiore splendore per l'Ordine, non contò mai più di un migliaio di cavalieri. Tenuti ai doveri monacali di povertà, castità e obbedienza, non furono - se non per eccezione - poveri, casti, obbedienti; l'Ordine stesso, eludendo, con varî espedienti, la regola, agì praticamente come una potente casa di commercio; coi pingui redditi i cavalieri costruirono, bonificarono anche (p. es., la zona fra la Vistola e la Nogat), assoldarono mercenarî, allietarono la vita; sotto il gran maestro Winrich von Kniprode (1351-82), che rappresentò il periodo di maggior fiore dell'Ordine, coltivarono un poco - ma fu un'eccezione anche questa - gli studî di diritto nella scuola di Kulm. E se non furono casti, almeno non ebbero una legittima discendenza e il loro possesso mantenne il carattere di usufrutto personale, escludendo qualsiasi pretesa di successione ereditaria. Con la conquista della Prussia era esaurita la loro missione evangelizzatrice; ma restava contermine la Lituania, tenacemente pagana. E infatti i cavalieri vi organizzavano di tanto in tanto delle "crociate" o piuttosto spedizioni punitive molto singolari, alle quali, come a una partita di caccia, invitavano, per mantenersi in esercizio, cavalieri stranieri, tedeschi, danesi, perfino francesi. Ma i Lituani restavano pagani; e talora reagivano con rappresaglie ed era allora la Prussia che pagava le spese; così, nel 1370, i Lituani penetrarono devastando fino al Kurisches Haff e al Samland e solo al ritorno furono schiacciati presso Rudau. Almeno fino poco oltre la metà del sec. XIV l'Ordine non fece pesare troppo il suo dominio sul paese: la nobiltà di antica stirpe prussiana era quasi scomparsa, sterminata dalle guerre e dalle insurrezioni o assorbita o sostituita dall'elemento tedesco, nobili e coloni e liberi proprietarî; la sopravvissuta popolazione prussiana rurale era ridotta alla servitù della gleba. Le città, prettamente germaniche, godevano di larghissime autonomie: fin dall'origine erano state dotate di diritti speciali ricalcati sugli statuti di Magdeburgo o di Lubecca o di diritti ancora più estesi quali quelli ottenuti (1233) da Kulm (la cosiddetta Kulmische Handfeste) che furono estesi a Danzica, a Elbing, a Thorn, a Königsberg e rappresentarono il massimo delle libertà comunali in Prussia. Tutte queste città avevano una vita economica molto intensa, erano affiliate alla Hansa, facevano una propria politica commerciale nel 1361-1370, mentre l'Ordine rimaneva neutrale, andavano in guerra con la Hansa contro i Danesi, per ragioni di commerci e di pesca. A Kulm si coniava una moneta unica, che aveva corso in tutte le terre dell'Ordine dalla Vistola al golfo di Finlandia. Il commercio di transito dalla Polonia e dalla Russia era intensissimo; ed altro era alimentato dai prodotti locali: cereali, legname, bestiame, pellicce, ambra (regalia riservata all'Ordine). Il possesso del clero secolare vi era molto ridotto in confronto a quelle che erano le condizioni in tutta l'Europa del tempo. Nel 1243 il legato papale Guglielmo vescovo di Modena aveva diviso la Prussia in quattro vescovati: di Kulm, di Pomesania (con sede a Marienwerder), di Samland (con sede a Fischhausen), di Varmia o Ermland (con sede a Heilsberg). I cavalieri-monaci ne furono gelosi e non trascurarono nulla per osteggiare anche la normale attività pastorale dei vescovi, per impedire che acquistassero poteri temporali. Roma dovette intervenire più volte, sia in difesa dei vescovi, sia dei pochi conventi che erano riusciti a metter piede nelle terre dell'Ordine. Ma di fatto, solo il vescovo di Ermland poté sottrarsi completamente alla soggezione dell'Ordine; quelli di Pomesania e di Samland furono ben presto creature devote dell'Ordine.
Nella seconda metà del sec. XIV i rapporti fra l'Ordine e i suoi soggetti si vennero profondamente mutando. Da un lato, nella nobiltà, nella borghesia cittadina si manifesta il desiderio di affrancarsi da un dominio semiecclesiastico di parassiti che avevano esaurita la loro funzione storica e che, per giunta, erano sentiti come stranieri, perché l'Ordine era divenuto il rifugio dei nobili spiantati e dei cadetti di Germania, mentre restava chiuso alla nobiltà di Prussia; dall'altro, l'Ordine s'irrigidisce nella difesa intransigente dei suoi vetusti e spesso esosi privilegi. Tuttavia, negli ultimi anni del sec. XIV, l'Ordine deve patteggiare con le assemblee dei varî ceti della popolazione che vogliono decidere direttamente della loro sorte. Nel 1397, nel Kulmerland la nobiltà si strinse in una lega di resistenza detta "delle lucertole" dall'insegna che misero in campo; fatto più grave, anche gli stati vicini si rafforzavano; nel 1386 i Lituani passavano al cristianesimo e il loro re cingeva anche la corona di Polonia col nome di Vladislao Jagellone (1401). A poco giovava l'acquisto della Neumark, che l'Ordine faceva nel 1402; era un ponte di unione col Brandeburgo, ma, per il momento, senza alcuna utilità politica o militare; al contrario, trascinava l'Ordine in mille querele anche con la Polonia. Sarebbe stato utile coltivare l'amicizia della Polonia, verso la quale visibilmente si volgevano le simpatie della nobiltà e della borghesia prussiana; invece, dopo varî tentativi di accomodamento, la guerra scoppiò nel 1410 anche per l'impulsività del gran maestro. La battaglia decisiva si ebbe il 15 luglio a Tannenberg e Grunwald, fra boschi e paludi; la Lega delle lucertole defezionò durante il combattimento e la vittoria rimase ai Polacco-Lituani. Lo stesso gran maestro Ulrich von Jungingen rimase sul campo con 600 e più dei suoi cavalieri (non le diecine di migliaia di una leggenda troppo accreditata). Tutti i soggetti dell'Ordine, i vescovi, i nobili, le città si affrettarono a prestare omaggio al re vincitore. Solo la capitale Marienburg resistette e i vincitori si ritirarono nell'autunno dalla Prussia. Il nuovo gran maestro Heinrich von Plauen, con la (prima) pace di Thorn (1° febbraio 1411), uscì abbastanza a buon mercato; dovette pagare una forte indennità di guerra, cedere provvisoriamente alcune terre, ma la Prussia rimase all'Ordine. Il quale, tuttavia, non si riebbe più da quel colpo. L'energia del nuovo gran maestro, non disgiunta da un certo senso della necessità di rendersi benevoli i sudditi con la concessione di qualche libertà e col riconoscimento dei loro organi rappresentativi, sollevò un forte malumore nello stesso Ordine; il gran maestro fu deposto (1413). Negli anni successivi la Polonia rose tutt'attorno, brandello per brandello le terre marginali dell'Ordine, sanzionando le usurpazioni con i trattati di Melnofen (1423) e di Brzezie (1435). La tensione fra l'Ordine e i suoi soggetti si faceva sempre più acuta; il riconoscimento, nel 1416 e 1430, di un Landrat degli stati prussiani non placò il malcontento, tanto meno poi in quanto i membri ne erano nominati dal gran maestro. A difesa e a rivendicazione dei proprî diritti, nobili e città si unirono nella Lega di Marienwerder (1440); i cavalieri la contrastarono recisamente e costrinsero a dimettersi il gran maestro Paul von Russdorf che l'aveva riconosciuta. Di più, nel 1453, l'imperatore Federico III, abilmente circuito e persuaso dall'Ordine, dichiarò illegale la lega e comminò le più gravi pene contro i capi. I Prussiani - ormai la fusione fra le varie stirpi era un fatto compiuto, in buona parte - si diedero in braccio alla Polonia, dalla quale avevano speranze e promesse di ampie libertà, simili a quelle godute dalle città e dai nobili polacchi. Il 9 marzo 1454 il re Casimiro IV nominava il nobile prussiano Hans von Baisen, uno dei capi della lega, suo governatore per la Prussia e poco dopo dichiarava la guerra all'Ordine. La guerra durò 13 anni ed ebbe molte alternative di fortuna. A nulla giovò all'Ordine di aver ceduto all'elettore di Brandeburgo la Neumark (1455); n'ebbe solo promesse; a nulla il fare ricorso a soldati mercenarî, i quali anzi, dopo che si era strenuamente difesa, cedettero, per denaro, ai Polacchi la capitale Marienburg. La (seconda) pace di Thorn (1466) spezzò la Prussia in due: la Prussia Occidentale con Marienburg, Elbing, Danzica, Thorn venne in possesso diretto della Polonia; la Prussia Orientale - diminuita però del vescovado di Ermland (Varmia), che pure cadeva sotto il dominio polacco - restava con la nuova capitale, Königsberg, all'Ordine, ma soggetta all'alta sovranità del re di Polonia, del quale il gran maestro diveniva nulla più che un dignitario. Così l'errore di Corrado di Masovia era, per quanto possibile, riparato: la Polonia acquistava lo sbocco al mare, ma la germanizzazione di queste terre era oramai divenuta un fatto non eliminabile. Per più di tre secoli, fino al 1772, le due Prussie ebbero una storia distinta: quella occidentale seguì le sorti della Polonia e dovette sentire, naturalmente, le conseguenze della penetrazione polacca specialmente fra il clero, per quanto i Polacchi né sistematicamente si proponessero né, di fatto, riuscissero a ricacciare molto addietro il germanesimo dalle posizioni raggiunte. La Prussia Orientale rimase, isolotto tedesco, sotto l'Ordine, ridotto senza importanza, vassalla della Polonia. Questo fatto del vassallaggio bruciava ai cavalieri più delle terre perdute e non mancavano un'occasione per fare affermazione d'indipendenza. Nel 1498 il nuovo gran maestro Federico di Sassonia si rifiutò di prestare il giuramento al re di Polonia; il dissidio rimase aperto fino alla sua morte (1510) ed oltre, poiché il nuovo gran maestro Alberto di Hohenzollern, figlio del margravio di Ansbach e pertanto appartenente alla stessa famiglia, benché a diverso ramo, che dal 1415 deteneva la dignità elettorale di Brandeburgo, fu scelto appunto perché l'Ordine sperava che egli, attraverso le sue vaste parentele anche con la casa reale di Polonia, potesse sottrarre la Prussia al vassallaggio polacco. Il calcolo si dimostrò vano. Anche una vasta combinazione di alleanze contro la Polonia non andò oltre un primo abbozzo. Intanto la tensione fra il gran maestro e il re di Polonia per il giuramento sempre ritardato degenerò in guerra (1519), o piuttosto in un seguito di razzie e atti di brigantaggio. Le due Prussie furono devastate, finché nel 1521 fu segnato un armistizio per quattr'anni. In questo spazio di tempo, Alberto, poco o punto sostenuto dallo stesso Ordine, trovò un altro modo per venire a capo della questione, fin qui insolubile, dei rapporti con la Polonia: attraverso cioè la soppressione dell'Ordine stesso e la trasformazione della Prussia in un ducato laico ereditario, vassallo della Polonia. Il piano sarebbe stato, in altro momento, irrealizzabile; ma ora, nel movimento degli spiriti suscitato dalla riforma luterana in particolare contro gli ordini religiosi, poteva essere abbordato con probabilità di successo. Le idee luterane avevano cominciato ad aprirsi una strada in Prussia nel 1523; la diffusione fu rapidissima, aiutata dal favore che le idee luterane circa la vita monacale dovevano incontrare in un paese retto da monaci-cavalieri. Alberto era, personalmente, ben disposto verso le nuove idee; ma da buon politico non si scopriva; più deciso di lui a favore del luteranesimo era Georg von Polenz, vescovo del Samland, che Alberto aveva lasciato come suo luogotenente in Prussia durante la sua assenza (1522-1525). Anni decisivi: i predicatori della Riforma ebbero in Prussia campo libero; i conventi furono chiusi d'autorità, il verbo luterano predicato con instancabile zelo a Königsberg dall'ex-francescano Giovanni Briessmann, che meritò da Lutero il nome di evangelista Prutenorum; da Giovanni Amandus, che presto, sconfinando nel radicalismo sociale, dovette sloggiare; da Giovanni Spratus, tutti favoriti non solo dal vescovo del Samland, ma anche da quello di Pomesania, Erhard von Queiss; mentre nella Prussia soggetta direttamente alla Polonia e in particolare nel vescovado di Ermland, per l'opposizione del vescovo, la riforma non faceva che meschini progressi. Il fenomeno era ristretto principalmente alle città; la popolazione agricola era apatica in fatto di religione e qua e là ancora impregnata di spiriti pagani. Così stando le cose, l'abolizione dell'Ordine e la trasformazione della Prussia in un ducato laico ereditario non doveva incontrare difficoltà da parte degli stati di Prussia. Ma diverso poteva essere il punto di vista di Sigismondo re di Polonia, cattolico. Spinto anche dalle sollecitazioni dello stesso Lutero, Alberto tastò il terreno; vide che lo zio Sigismondo avrebbe visto di buon occhio il mutamento, pur di ottenere il giuramento di fedeltà. Col trattato dell'8 aprile 1525 fra Alberto e Sigismondo, l'Ordine Teutonico veniva soppresso e la Prussia era trasformata in un ducato ereditario, sotto la sovranità polacca, per cui Alberto otteneva il titolo di princeps ex Prussia. In caso di estinzione della linea maschile di Alberto e dei suoi tre fratelli della linea dei Hohenzollern di Ansbach, la Prussia doveva tornare alla libera disposizione della corona polacca. Si veniva così ad ignorare l'esistenza anche di una linea dei Hohenzollern nel Brandeburgo, che al momento opportuno avrebbe potuto elevare pretese di eredità; ma questa evenienza sembrava lontana. Il mutamento fu accettato senza riserve dagli stati di Prussia e da quasi tutti i cavalieri; e soltanto ora Alberto faceva aperta adesione alla Riforma. La soppressione dell'Ordine comportò tutta una riorganizzazione amministrativa della Prussia. Il nuovo duca (1525-1568), ben disposto dapprima verso le classi agricole, ma impressionato poi per gli eccessi di una rivolta religioso-sociale nel 1525 presto repressa, lasciò mano libera alla nobiltà. A capo dell'amministrazione centrale pose 4 consiglieri e alla nobiltà affidò l'amministrazione provinciale, ricalcata sulla divisione amministrativa dell'Ordine. Il Landtag, composto dei rappresentanti della nobiltà e della borghesia cittadina, fu ammesso e convocato soprattutto per le questioni tributarie; e poiché la corte ducale formicolante di favoriti era molto dispendiosa, il duca, per ottenere nuovi gravami, dovette cedere su altri punti davanti alla nobiltà e alle città. Le questioni religiose travagliarono per qualche decennio la vita prussiana, divisa fra questa e quella tendenza protestante. Ne fu centro l'università di Königsberg, che il duca volle istituire nel 1544. Anche la Prussia polacca (Prussia Occidentale) non fu risparmiata dalle lotte religiose; ma qui il cattolicismo trovò l'appoggio dei re polacchi, i quali pur tollerando il luteranesimo in alcune città - come a Thorn, 1558 - tuttavia promossero la Controriforma, la venuta dei gesuiti, e la polonizzazione del paese, insediando, dalla metà del sec. XVI, sistematicamente, solo vescovi polacchi nelle diocesi soggette di Kulm e di Ermland. Al contrario nella Prussia ducale il luteranesimo aveva partita vinta; a partire dagli ultimi decennî-del secolo, le diocesi non furono più rette da vescovi, ma da un concistoro. Negli ultimi anni l'amministrazione centrale del ducato era venuta nelle mani rapaci di favoriti stranieri, in contrasto con un privilegio ducale del 1542 che garantiva tutti i massimi uffici alla nobiltà prussiana. Onde grave malcontento: nel 1563 nobili e cittadini richiesero l'intervento del re di Polonia, il quale fece compiere una rigorosa inchiesta, tolse di mezzo gli abusi e quasi ridusse a nulla i poteri del duca in confronto di quelli attribuiti ai più grandi ufficiali della corte. Anche il problema della successione si mostrava molto delicato: Alberto lasciava un figlio quindicenne, Alberto Federico (1568-1618), irrimediabilmente malato di mente. Perciò Alberto aveva provveduto a stringere i legami col ramo dei Hohenzollern ascesi all'elettorato di Brandeburgo e a secondare gli sforzi dell'elettore Gioacchino II, diretti ad accaparrare per il ramo elettorale i diritti sulla Prussia, nel caso di estinzione della linea prussiana della casa. Ma bisognava assicurarsi il consenso polacco. Gioacchino II, attraverso la moglie Edvige, era imparentato con la casa di Polonia e ciò facilitava le trattative laboriosissime, che si conclusero nel 1563, con la promessa che la linea di Brandeburgo avrebbe avuto l'investitura del ducato di Prussia, ma dopo la linea francone della stessa casa (v. hohenzollern) e ferma restando la sovranità polacca. L'infelice matrimonio di Alberto Federico con Maria Eleonora di Kleve fu fecondo di figli, ma solo le femmine sopravvissero. I consiglieri e la duchessa si disputavano il governo del ducato; il disordine era al colmo. Fu necessario che il re di Polonia mettesse il duca sotto la tutela di Giorgio Federico di Hohenzollern margravio di Bayreuth e di Ansbach, col quale, dopo un periodo di energica reggenza (1577-1603), anche la linea francone si estinse. I Hohenzollern di Brandeburgo attendevano la loro ora e per maggior precauzione l'elettore Giovanni Sigismondo (1608-1619) sposava una figlia dell'infelice duca e un'altra ne faceva sposare al proprio figlio. Tutto era preparato così bene che quando, nel 1618, Alberto Federico morì, l'elettore poté, senza ostacoli, ereditare il ducato di Prussia divenendo, per questo nuovo acquisto, vassallo del regno di Polonia. Il nuovo signore, benché calvinista, non era per dispiacere nemmeno ai Prussiani luterani, i quali, cadendo invece nell'immediata soggezione di un cattolico intollerante come il re Sigismondo II, avrebbero avuto tutto da temere.
L'unione Brandeburgo-Prussia rimase, per un certo tempo, senza visibile influenza sulla sorte dell'uno o dell'altro troncone - che nemmeno si toccavano - del nuovo stato; unione puramente personale; ché le due parti continuarono a mantenere per molto tempo ancora i loro distinti ordinamenti e istituzioni. Nel travagliatissimo periodo della guerra dei Trent'anni, il nuovo elettore Giorgio Guglielmo (1619-1640) non seppe, per la debolezza del carattere, prendere alcun atteggiamento deciso; e se, in definitiva, Brandeburgo-Prussia n'ebbe, dopo la sua morte, un notevole accrescimento territoriale, non pare che ciò si debba all'avvedutezza della sua politica, bensì piuttosto al caso, per cui durante il suo governo si resero vacanti due dei dominî sui quali, da tempo, i suoi predecessori si erano assicurati diritti di successione. Male sostenuto dagli stati (Stände) della Marca, che gli rifiutavano ogni risorsa finanziaria per l'arruolamento di truppe, avversato, anche perché calvinista, dalla nobiltà di Prussia, che sotto gli ultimi duchi aveva preso l'abitudine di considerarsi arbitra del paese e di amministrarlo attraverso i quattro ufficiali di corte, considerati come i rappresentanti della nobiltà locale, salvo ad appellarsi per ogni contrasto al re di Polonia, Giorgio Guglielmo rimase, in sostanza, spettatore quasi inerme; e dovette vedere la Marca diventare teatro di guerra fra imperiali e Danesi prima, fra imperiali e Svedesi poi. Incline dapprima (1627-31) agl'imperiali, fu poi costretto a legarsi con Gustavo Adolfo e gli Svedesi (1631-37), nulla ricavando né dagli uni né dagli altri, mentre la Marca veniva orribilmente devastata; in qualche momento il dominio effettivo del principe elettore si limitava a qualche fortezza e niente più. Nel 1637, essendosi estinta la linea ducale di Pomerania, Giorgio Guglielmo credette di poter sostenere i suoi diritti alla successione contro gli Svedesi, che di fatto occupavano la Pomerania, solo riaccostandosi alla corte di Vienna. Ma morì (1640) prima di aver potuto trarre alcun vantaggio dal nuovo orientamento. Il figlio ventenne che gli successe, Federico Guglielmo (1640-88) il Grande Elettore, volle battere subito altta strada: ritornò all'amicizia con gli Svedesi, cercò ed ottenne appoggi nella Francia. Certo, la nuova politica non gli portò tutta la Pomerania come pur aveva sperato, ma solo la Pomerania orientale col vescovato di Kammin (pace di Vestfalia, 1648), mentre il resto con le foci dell'Oder restava in mano degli Svedesi; ma era pur un sintomo della volontà di portare Brandeburgo-Prussia a svolgere un'azione su di una più ampia scena, per trarne tutti i possibili vantaggi. Lo stesso sparpagliamento dei possessi, senza alcuna continuità territoriale (Prussia e Brandeburgo come nuclei maggiori, e poi l'ex-vescovato di Minden e la contea di Ravensberg, fra l'Ems e il Weser, la contea della Mark nella regione della Ruhr e il ducato di Kleve sul basso Reno), se rappresentava uno sminuzzamento di forze, era d'altra parte il motivo per cui il principe elettore poteva farsi valere in quasi ogni punto della Germania media e settentrionale e, in particolare, in un punto allora di così grande importanza come il basso Reno. Ciò naturalmente a patto di possedere un'adeguata forza militare, su cui appoggiare le proprie pretese. Federico Guglielmo aveva, giovanissimo, sentita tutta l'umiliazione di essere inerme, sia durante il governo paterno, sia quando, assunto il potere, si trovò a possedere, in Brandeburgo, non più di un centinaio di cavalieri e duemila fanti. Tutti i suoi quasi 50 anni di governo si compendiano nello sforzo sistematico di dare alla sua politica il sostegno di una corrispondente forza militare stabile. Tutte le riforme da lui introdotte nella variopinta composizione delle sue terre discende da questo primario interesse militare; il "militarismo prussiano" ha in lui il suo creatore primo, nello spirito e negli organi; e in questo senso si può ben affermare che il militarismo ha formato lo stato prussiano. Forse questo volle riconoscere il suo pronipote Federico II quando, nel 1750, indicando la tomba dell'avo, disse al suo seguito nel suo curioso linguaggio franco-tedesco: "Messieurs, der hat viel getan". Un esercito permanente richiedeva, innanzitutto, una regolare disponibilità finanziaria, che gli Stati nel Brandeburgo e in Prussia mai avevano voluto accordare al loro signore o solo patteggiando compensi che, per altra via, venivano a diminuirne i poteri. Federico Guglielmo seppe piegare le resistenze, valendosi del consiglio di uomini come Otto von Schwerin e il conte Giorgio Federico di Waldeck, chiamati, nell'organo centrale di governo, il Consiglio segreto (1651); col riordinamento dell'amministrazione dei beni demaniali, con l'introduzione di un nuovo sistema d'imposte indirette (le cosiddette Akzisen) poté assicurarsi i mezzi per mantenere un sia pur modesto esercito stabile; fu costituito il nucleo di uno scelto corpo di ufficiali, eliminando i troppi ufficiali avventurieri che offrivano come un mercato sé e le proprie bande al miglior offerente; si venne stabilendo una specie di codice d'onore del soldato. La Marca si adattò abbastanza presto alle nuove esigenze; anche il Landtag venne convocato sempre più raramente, o soltanto deputazioni di esso; invece, in qualche città, come in Magdeburgo, e nelle terre di più recente acquisto (Kleve e Prussia) la resistenza fu tale che il principe dovette ricorrere a dimostrazioni militari e in Prussia, di fronte alla resistenza del Landtag negli anni 1669-71, dovette imbastire processi per alto tradimento e procedere con estremo rigore. Per elevare la capacità tributaria del paese diede sviluppo alle industrie; e non solo per simpatie di correligionario diede asilo, a varie riprese, a circa quarantamila ugonotti emigrati dalla Francia, specialmente dopo la revoca dell'editto di Nantes (1685). Proseguì la colonizzazione oltre l'Oder; fece scavare il canale che unisce l'Elba all'Oder attraverso la Havel e la Sprea; pose le basi di una prima flotta mercantile e da guerra, sotto la direzione di un olandese; ebbe perfino velleità coloniali in Africa (Costa d'Oro) e fondò una compagnia per il commercio africano (1682). Alla sua morte i redditi dello stato erano sette volte maggiori che al momento del suo avvento al potere; ciò che gli permetteva di mantenere un esercito stabile di 30.000 uomini. Potente strumento, che soltanto i suoi successori potranno impiegare con pieno profitto, poiché Federico Guglielmo non poté realizzare la sua massima aspirazione: l'annessione di tutta la Pomerania. La guerra fra Polonia e Svezia (1654-60) lo colse quando la riorganizzazione militare era appena agl'inizî; eppure, data la particolare posizione della Prussia, gli fu necessario prendere una posizione netta. Parteggiò dapprima per la Svezia con la speranza di sottrarsi alla sovranità polacca per la Prussia; abbandonato dagli Svedesi (1657), passò ai Polacchi ed ebbe bei successi militari contro gli Svedesi. Ma la Francia non voleva che la Svezia uscisse troppo indebolita dalla guerra; la pace di Oliva (1660) non portò all'elettore la Pomerania occidentale, come aveva sperato, ma riconobbe sciolto per sempre il vincolo di soggezione della Prussia alla Polonia. Era un riconoscimento morale di grande importanza, che veniva a conferire al principe una distinta posizione a cospetto degli altri principi tedeschi. La politica prussiana-brandeburghese nel decennio successivo fu legata principalmente agl'interessi sul basso Reno; Federico Guglielmo vedeva con sospetto le trame di Luigi XIV contro i Paesi Bassi; nel 1672 egli si trovò, dapprima da solo, al fianco dell'Olanda minacciata; e anche quando ebbe l'aiuto di truppe imperiali col Montecuccoli, di poco migliorò la sua situazione; sicché l'anno successivo accettò le profferte francesi e uscì da quella pericolosa situazione, mettendosi sul piede di pace; ma nel 1674 rientrò in lizza e si trovò in una situazione ancor più pericolosa, perché anche la Svezia scese in guerra e invase la Marca minacciandolo su due fronti, dalla Pomerania e dal Hannover. La giornata di Fehrbellin (28 giugno 1675) capovolse la situazione e rivelò all'Europa la potenza militare prussiana: 7000 Brandeburghesi costrinsero alla ritirata 12.000 Svedesi. La conquista della Pomerania occidentale sembrava certa; infatti, nel corso del 1676-78, fu tutta occupata compresa l'isola di Rügen, e gli Svedesi furono respinti anche dalla Prussia, nel pieno di un rigidissimo inverno, fino a Riga. Ma la pace di Saint-Germain-en-Laye (1679) non corrispose a questi brillanti successi militari; abbandonato dai suoi alleati, Federico Guglielmo non poteva presumere di tener testa alla Francia, che voleva salvi tutti i possessi della Svezia; e però l'elettore non ebbe che insignificanti concessioni doganali sulle foci dell'Öder. L'agognata Pomerania era un'altra volta sfuggita. Durante sei anni (1679-85) Federico Guglielmo cercò una soluzione favorevole, legandosi alla politica francese, accettando da Luigi XIV cospicui sussidî annui per il mantenimento dell'armata; ma non procedette d'un passo verso l'acquisto della Pomerania, per cui, negli ultimi anni, tornò a una politica filoasburgica, che il suo successore, Federico III (come re, Federico I), proseguì anche con maggior impegno.
Il Grande Elettore pose le basi materiali e morali dello stato dei Hohenzollern di Brandeburgo-Prussia; lasciò ai suoi successori uno strumento potente, l'esercito, per svilupparle e costruire su di esse. Ma un fatto sorprende in questo sviluppo della Prussia, fino all'alba del sec. XIX: la popolazione è rimasta materia inerte, che i principi hanno potuto plasmare a loro beneplacito, senza incontrare né resistenza - nemmeno da parte della nobiltà e delle cittadinanze - né intima partecipazione. La storia della Prussia è, fino all'età napoleonica, né più né meno, quella dei suoi principi e re, degli organi sempre più complessi della sua amministrazione. Nell'età dell'assolutismo questo è fenomeno più o meno generale; ma in nessun altro paese d'Europa raggiunge la classica totalitarietà che ha in Prussia. La stessa vita intellettuale e artistica, che pur comincia a evolversi in questo tempo, sembra essere non uno sviluppo dal seno della nazione, bensì un'efflorescenza esotica, nata o trasportata per capriccio dei regnanti. E in Prussia è molto modesta anche questa: significativo, ad esempio, che non vi abbia preso radici alcuna delle principali Sprachgesellschaften o, in sostanza, accademie che pullulavano un po' dappertutto in Germania in quel tempo. Solo nel periodo di Federico III (1688-1713) si mostra una certa propensione per le scienze e le arti; ciò che fu dovuto, in massima parte, alla principessa e poi regina Sofia Carlotta; in questo tempo sorse appunto anche la Società (poi Accademia) delle scienze in Berlino (1700), ed ebbero uffici a corte storici come S. Pufendorf, teologi e pedagogisti come A. H. Francke, filosofi come Ch. Thomasius, un architetto e scultore come A. Schlüter. Le riforme nell'amministrazione proseguirono secondo lo spirito del Grande Elettore e, convien aggiungere, dei tempi, mirando a un maggior accentramento e uguagliamento dell'amministrazione: ma ora non più per provvedere al rafforzamento militare dello stato, che pur non fu trascurato (l'esercito fu portato a 40.000 uomini), bensì, principalmente, per sopperire alle maggiori spese di fastosità della corte. Ne derivò qualche spiacevole inconveniente: disordine amministrativo, specie nel tempo che fu direttore del demanio il conte Wittgenstein, non sempre abile e non sempre onesto. La partecipazione dei ceti (Stände) alla pubblica amministrazione si ridusse a quasi nulla; solo ebbero ancora qualche loro uomo di fiducia in alcune commissioni permanenti provinciali, le quali tuttavia sempre più si vennero confondendo con analoghi uffici di nomina del sovrano. Nell'amministrazione giudiziaria l'accentramento è già compiuto: tutte le corti superiori di appello per tutte le provincie sono a Berlino. Le tendenze particolaristiche più vive si erano manifestate nella Prussia Orientale; ma nel 1706 il collegio degli Oberräte di Königsberg fu fuso col Geheimer Rat in un unico organo centrale, l'Etatsministerium.
Data l'indole dell'uomo, la politica personale di Federico III fu la politica dei suoi consiglieri: fino al 1700 fu suo braccio destro il suo ex-maestro Eberhard von Dankelmann, un borghese di Vestfalia; poi, fin quasi alla morte del sovrano, il conte von Wartenberg, il quale, per mezzo di varî emissarî e perfino di gesuiti, che non erano malvisti alla corte di Berlino, seppe soddisfare il più alto desiderio di Federico: la sua elevazione alla dignità reale. L'imperatore, Leopoldo I, per un bel po' si oppose o tergiversò; poi, per guadagnarsi l'elettore nella preveduta prossima contesa per la successione di Spagna, diede il suo consenso; il papa elevò solenne protesta. Federico prese il titolo di re di Prussia (Federico I), dalla terra che possedeva fuori dell'Impero, e si fece incoronare solennemente con la moglie a Königsberg il 18 gennaio 1701. Ma, a parte questo successo non puramente formale, poiché elevava indubbiamente la posizione morale di Brandeburgo-Prussia agli occhi dei contemporanei, la politica estera di Federico I non fu eccessivamente splendida: la Prussia ebbe parte secondaria, come alleata degli Asburgo e di Guglielmo III d'Orange (re d'Inghilterra), contro Luigi XIV (1688-97) e nella guerra contro i Turchi (1683-99) e non trasse alcun profitto; né più ne ebbe dall'entrare nella "grande alleanza" (1701) contro la Francia nella guerra di successione spagnola (v.) e dal partecipare alle battaglie decisive. La posizione della Prussia era, più o meno, quella di stipendiata; quando venivano a mancare i sussidî, non poteva agire. E però non ebbe, per un pezzo, alcuna parte nel conflitto che più le sarebbe dovuto interessare per la possibilità di ottenere la Pomerania: nella guerra nordica (1700-21). Solo il successore, Federico Guglielmo I (1713-40), liquidata l'improduttiva partecipazione alla guerra per la successione spagnola, che portò solo insignificanti acquisti sparpagliati a Mörs e nella Gheldria (bassa Mosa), a Lingen (sull'Ems), a Neuchâtel (Svizzera), poté essere ancora in tempo per intervenire nella guerra nordica. Veramente, ancora per due anni egli trattò con le due parti per garantirsi l'acquisto della Pomerania. Sperava di fare l'acquisto a buon prezzo - tirchio com'era - senza impegnare le sue costosissime truppe. Ma un colpo di mano di Carlo XII lo costrinse a uscire da quel calcolato giuoco d'altalena e la pace di Stoccolma (1720) gli diede almeno una parte della Pomerania (fino alla Peene) con Stettino. Nei vent'anni che seguirono, Federico Guglielmo I, soddisfatto nelle sue ambizioni baltiche, pose con tenacia più che con intelligenza e fortuna ogni sforzo nel procacciarsi qualche cosa nelle provincie renane. Si prevedeva prossima l'estinzione del ramo maschile dei Wittelsbach-Neuburg, signori, fra l'altro, dei ducati di Jülich e Berg che serravano Colonia a cavallo del Reno ed erano contermini alle terre prussiane di Kleve e della Mark. Per vent'anni la politica della Prussia fu imperniata su questa eventualità. Contro gli altri aspiranti alla successione sperò nell'aiuto degli Asburgo (Carlo VI), verso i quali s'impegnò al riconoscimento della prammatica sanzione (1728). Nel lungo complicatissimo giuoco diplomatico, l'onesta ma poco duttile figura del re di Prussia non poté certamente avere il sopravvento. A nulla gli giovò d'impegnare contingenti prussiani nella guerra di successione polacca (1733-38) a favore di Carlo VI; l'imperatore, via via che trovava nuovi riconoscimenti alla prammatica sanzione, sempre meno si prestava ad appoggiare le pretese prussiane sui due ducati renani. Anche la Francia, l'Inghilterra, l'Olanda non vedevano di buon occhio un ingrandimento della Prussia sul Reno; nel 1738-39 Federico Guglielmo dovette constatare che la sua politica di appoggio all'Austria era fallita. Ne fu amareggiato; suo figlio, il futuro Federico II, vi trovò la conferma delle sue tendenze antiasburgiche. Non nella politica estera, ma nell'organizzazione interna Federico Guglielmo I lasciò tracce durature. Sue creature predilette furono l'esercito e la burocrazia civile. Aveva ricevuto dal padre un esercito di 40 mila uomini; lo lasciò al figlio raddoppiato, ma con molti dei difetti tradizionali: nonostante una vasta riforma per l'arruolamento territoriale, l'esercito era costituito ancora per tre quarti di stranieri; nel corpo degli ufficiali, però, la nobiltà indigena venne via via affluendo sempre più numerosa, formandosi quell'insieme di sentimenti che rappresentarono e ancora, in parte, rappresentano l'essenza del patriottismo prussiano: fedeltà alla dinastia, disciplina, sentimento dell'onore, spirito di casta. Ma, come al tempo del Grande Elettore, si ripresentò il problema finanziario per il sostentamento di questo costoso apparato militare. Federico Guglielmo I non riuscì a risolverlo: alla sua morte la bilancia commerciale era ancora passiva, benché egli facesse generosi sforzi per elevare la potenzialità economica dei suoi stati: proseguì la colonizzazione del paese, offrì ospitalità (1732) a circa 20.000 evangelici espulsi dall'arcivescovo di Salisburgo, artigiani e operai; istituì fattorie modello, tentò l'impianto di manifatture di stato, allentò i poteri delle corporazioni d'arti. Tutto ciò era nello spirito dei tempi; ma, contro di esso, si oppose a ogni impresa coloniale e abbandonò quelle iniziate dai suoi predecessori.
Riuscì, fino dal primo anno di regno, a riportare il bilancio in pareggio e ciò mediante un rigoroso inasprimento delle tasse, che tolse molti degli abusi delle oligarchie patrizie nelle città e non risparmiò nemmeno la nobiltà terriera; quando, nel 1717, impose la trasformazione dei feudi in allodî passibili di tassazione, le proteste furono altissime e giunsero fino alla dieta dell'Impero. Solo mercé la rete amministrativa distesa uniformemente (tranne che nelle terre renane e nella Prussia Orientale) su tutto il paese riuscì a imporre questa vasta riforma tributaria. La burocrazia civile, che egli si formò a sua immagine e somiglianza, fu, con l'esercito, uno dei capisaldi dello stato prussiano; burocrazia male pagata (onde il motto: travailler pour le roi de Prusse), eppure, nell'insieme, scrupolosa e onesta, anche nella magistratura, che il re onorava della sua particolare antipatia; considerava gli avvocati dei "dumme Teufel" e i letterati e filosofi (come Ch. Wolff) dei puri perdigiorno. Tuttavia, già sotto di lui il ministro della Giustizia Samuel von Cocceji iniziò (1737) un'estesa riforma nei codici, nella procedura, nella magistratura, e fin dal 1717 il re volle che l'istruzione fosse obbligatoria. La pertinacia e l'onestà degl'intendimenti compensarono quell'angustia di sentimenti e d'idee che non si può non rilevare in Federico Guglielmo I; senza di lui, senza lo strumento da lui potenziato, non sarebbero stati possibili gli ardimenti e quasi le follie del suo geniale successore. Cinque mesi dopo l'assunzione del potere, Federico II (1740-86) si vide posto davanti al problema da lungo atteso della successione austriaca. Egli chiese a Maria Teresa la Slesia come pegno per le aspirazioni prussiane riuscite vane, fino a questo punto, su Berg e nella Frisia orientale e di fronte al rifiuto austriaco aprì le ostilità. Alleato di Spagna, Francia, Baviera, Federico - come da solo aveva aperto le ostilità - così da solo le interruppe, quando le convenzioni di Klein-Schnellendorf (9 ottobre 1741) gli assicurarono la Bassa Slesia (con Breslavia) fino alla Neisse. Ma non era uomo da dormire tranquillo sui trattati: due altre volte scese in campo quando gli parvero minacciati: fra il dicembre 1741 e il luglio 1742, quando la pace di Berlino - mediatrice l'Inghilterra - gli diede Bassa e Alta Slesia; e un'altra volta nell'agosto 1744, avendo ora contro di sé anche gl'Inglesi (Hannover) e i Sassoni-Polacchi; ma si sostenne contro tutti, per un anno e mezzo, in Boemia, in Slesia, in Sassonia, finché la pace di Dresda gli riconobbe il possesso della Slesia. L'estensione territoriale del regno di Prussia era ormai considerevole: senza contare le provincie occidentali, alle quali si era unita, per estinzione della dinastia principesca (1744), la Frisia orientale, il regno allungava dal ceppo di Brandeburgo due tentacoli, l'uno verso il Baltico (Pomerania e Prussia Orientale), l'altro verso il sud, nel bacino dell'Oder (Slesia). Negli undici anni di pace (1745-56) seguiti alle guerre slesiane, furono promosse riforme interne, intese a perfezionare l'attrezzamento burocratico e militare della Prussia. Tuttavia Federico si mostrò più del padre disposto a concedere qualche libertà ai ceti (Stände), a consentire una moderata autonomia amministrativa nell'ambito dei circoli (Kreise), nei quali Federico Guglielmo I aveva suddiviso gran parte dei suoi stati. La stessa e anche maggiore libertà concesse alle varie confessioni religiose, privandole però dei loro privilegi giurisdizionali e tutte sottoponendole ai tribunali civili. Fu favorita l'agricoltura (introduzione della coltura della patata, colonizzazione del basso Oder), ma più l'industria e il commercio; nel 1753 la bilancia commerciale era sensibilmente a favore della Prussia. Nel frattempo si era radicalmente mutata la situazione politica internazionale. Nel caso di un conflitto fra la Francia e l'Inghilterra, che scoppiò infatti nel 1756, la situazione era nettamente sfavorevole alla Prussia, che poteva contare solo sull'Inghilterra (Hannover), mentre era esposta rispetto alla Sassonia-Polonia e all'Austria. Perciò Federico decise di prevenire la minaccia e di rompere il blocco aggredendo improvvisamente la Sassonia (agosto 1756; v. sette anni, guerra dei). Schiacciò i Sassoni, ma ebbe contro di sé tutta la coalizione (Austria, Russia, Polonia, Svezia, Francia, Impero); con sé solo qualche staterello minore stipendiato e gl'Inglesi che davano soldi, ma non soldati: 150.000 Prussiani contro 300.000 alleati. Federico era stretto da tutte le parti; egli stesso, ma più i corpi distaccati in Pomerania, in Prussia Orientale, in Hannover avevano subito sconfitte; Berlino era stata in parte incendiata. Ma egli si rifece a Rossbach (novembre 1757), battendovi Francesi e imperiali. La vittoria lo rese popolarissimo in Germania e gli suscitò ammiratori anche nei paesi nemici. Ma questa e la vittoria di Leuthen erano solo dei momenti di respiro nella stretta; l'anno successivo i Russi occupavano tutta la Prussia Orientale, l'annettevano e si avanzavano fino all'Oder. Furono respinti oltre la Vistola, e i Francesi oltre il Reno; ma la situazione era sempre oltremodo critica; le finanze in sfacelo; per giunta, i Russi e gli Austriaci si erano uniti e gl'infliggevano a Kunersdorf (12 agosto 1759) la più grave sconfitta. Questo e l'anno successivo furono i più critici per Federico; Berlino stessa cadde per qualche tempo nelle mani dei Russi; ed egli poté sostenersi solo per la deficiente cooperazione fra gli alleati, per la fedeltà dell'esercito e dell'amministrazione e per lo stoicismo con cui la popolazione sopportava tante prove. Ma nell'autunno del 1761 la sua situazione era disperata; il nuovo gabinetto inglese di lord Bute lo consigliò a cedere e gli tagliò i sussidî. Fortuna volle che salisse al trono russo lo zar Pietro III suo ammiratore (1763), il quale si ritirò dalla coalizione; la zarina Caterina II, dopo la congiura di palazzo, persistette in questa nuova linea d'azione. La stanchezza della guerra era generale; dimostrata l'impossibilità di sommergere la Prussia, si venne alla pace di Hubertusburg (15 febbraio 1763), che prese atto di questa constatazione e lasciò a Federico l'integrità dei suoi possessi. Era stata per il regno di Prussia la prova del fuoco, il suo avvento al rango di grande potenza europea. La Prussia, enormemente debilitata per la lunga guerra, si riebbe rapidissimamente; risanata la moneta, avviato alla meno peggio il commercio, nonostante la crisi generale imperversante in quegli anni in tutta Europa; proseguiti la colonizzazione e i grandi lavori pubblici (il Bromberg-Kanal); incoraggiata l'industria siderurgica e mineraria in Slesia e in Vestfalia. Certamente il fiscalismo non ebbe troppi riguardi per riassestare il bilancio; particolarmente gravose furono alcune imposte indirette (tabacco, caffè, ecc.) in parte affidate per la riscossione a Francesi; ma il pareggio fu raggiunto; anzi, alla morte del re ci fu un cospicuo avanzo, benché le spese militari fossero pure molto aumentate, essendo salito l'esercito permanente a 225.000 uomini. Furono in sostanza, fino alla morte del re, anni di pace solo turbati da qualche nuvolaglia. Infatti, pochi mesi dopo Hubertusburg, per la morte di Augusto III di Sassonia-Polonia, Federico concepì speranze d'ingrandimenti anche da quella parte. Nel contrasto d'interessi tra la Russia e Prussia da un lato e l'Austria dall'altro (v. polonia: Storia), si venne, su proposta della Russia, a un accordo a tre (17 febbraio 1772) che tagliò nel vivo delle carni della Polonia: la Prussia ebbe la cosiddetta Prussia occidentale con l'Ermland e il distretto della Netze, non però le due città di Danzica e di Thorn. Ad ogni modo, acquisto importantissimo, perché saldava tra loro i territorî della Vecchia Marca con quelli della Prussia Orientale fino allora disgiunti da questa specie di corridoio polacco; ma accresceva anche l'immistione slava e cattolica nel regno. Negli anni successivi la pace fu minacciata due volte per il replicato tentativo dell'imperatore Giuseppe II di assicurarsi la Baviera; ma egli sempre incontrò sulla sua strada la Prussia, la quale la prima volta (1778-79) anche scese in campo per una pacifica guerra (Kartoffelkrieg) e la seconda oppose il blocco di molti principi tedeschi (Fürstenbund, 1785). La grande fama, più grande allora all'estero che in Germania, di Federico II, è dovuta non solo alla sua azione politica e militare di re, ma a tutta la sua complessa figura d'uomo rappresentativo di un'epoca; essa perciò trascende la storia della Prussia, che, in genere, assai inferiore al suo re, ebbe tuttavia il merito di seguirlo docilmente, a volte, forse, anche senza capirlo. Fatalmente la figura del successore perde al confronto. Non che Federico Guglielmo II (1786-97) non abbia saputo anche lui realizzare acquisti territoriali: nel 1791, per eredità, i principati di Ansbach e di Bayreuth; nel 1793 (seconda spartizione della Polonia; v. polonia: Storia) tutto il territorio comprendente Posen (Poznań), Gnesen (Gniezno), Kalisz, e inoltre Danzica e Thorn (Toruń); nel 1795 (terza spartizione della Polonia) la Masovia con Varsavia e Białystok e la parte di Lituania ad occidente e a sud del Niemen. Ma a questi acquisti, che minacciavano di dare alla Prussia un'impronta schiettamente slava, facevano riscontro le perdite di terre prettamente tedesche sulla riva sinistra del Reno: nella pace di Basilea (1795) la Prussia ottenne il territorio vescovile di Münster, ma dovette cedere ai Francesi quanto possedeva sulla riva sinistra del Reno. E, a parte i non svalutabili acquisti territoriali, la posizione morale della Prussia era decaduta; la figura del nuovo re, incline al misticismo, legato ai circoli teosofici e massonici dei Rosacroce, debole di carattere, soggetto alle inframmettenze di favorite politicanti (la contessa Lichtenau, la contessa Ingenheim), troppo contrastava con quella, imperiosa e geniale, del suo grande predecessore. Tuttavia, la politica estera fu abile; affidata prima a E. F. v. Hertzberg (fino al 1791), poi a J. R. v. Bischoffswerder (1791-93), infine a Chr. v. Haugwitz, segna i tre periodi dell'atteggiamento prussiano: antiaustriaco dapprima, fino al punto di favorire gl'insorti belgi contro l'Austria, e antirusso d'intesa con la Turchia; poi filoaustriaco, sia per non abbandonare alla Russia tutta l'eredità polacca, sia per opporsi alla rivoluzione giacobina; infine russofilo per escludere l'Austria dalla seconda spartizione polacca, e incline al riconoscimento della Francia rivoluzionaria. La gelosia e la diffidenza reciproche si erano ripercosse sull'esito della guerra che Austria e Prussia combattevano insieme, dal 1792, contro la Francia rivoluzionaria; l'esercito che era stato di Federico II, pur con qualche parziale successo, non venne a capo di nulla; si manifestarono, anzi, segni d'indisciplina negli alti comandi militari; il regno s'indebitò e in questi anni di generale convulsione si trovò scosso nella sua compagine per gli stessi recenti acquisti polacchi non bene amalgamati col resto.
Era una pesante eredità per il giovane successore Federico Guglielmo III (1797-1840), che non era nemmeno lui una tempra d'acciaio, ma ostinato sì, una volta che avesse superato le troppo frequenti titubanze. Nei primi otto anni di regno riparò a molti dei guai verificatisi sotto il suo predecessore: sanò le finanze, restaurò le condizioni materiali dell'esercito, avviò qualche vaga riforma sociale a favore delle classi agricole più basse. Ma si ostinò nella neutralità più stretta, mentre il pericolo francese più urgeva da vicino. Tutti, Francesi, Inglesi, Russi, Austriaci premevano sulla Prussia per averla alleata. Ma la neutralità assoluta sembrava avere i suoi vantaggi: in seguito alla secolarizzazione dei dominî ecclesiastici voluta dal Bonaparte, la Prussia ebbe (Reichsdeputationshauptschluss del 1803) molti dei territorî che formavano quasi il ponte fra il vecchio Brandeburgo e la Renania prussiana: Paderborn, Hildesheim, Erfurt, Essen, Werden, Herford, Quedlinburg, Goslar, Nordhausen, ecc. Solo il Hannover s'interponeva, impedendo una più solida unione fra la Renania e la Marca. E appunto il Hannover Napoleone offriva per tirare la Prussia dalla sua parte.
Verso la fine del 1805, la Prussia sembrò preoccuparsi della situazione e abbandonare il principio della neutralità assoluta, avvicinandosi alla coalizione antifrancese. Ma Austerlitz (2 dicembre 1805) la espose quando già si era spinta troppo avanti; dovette piegarsi agli accordi di Schönbrunn e di Parigi (15 febbraio 1806), che toglievano alla Prussia Arisbach per darlo alla Baviera, e le facevano il dubbio dono del Hannover. Era porre l'inimicizia fra la Prussia e l'Inghilterra. Il re era combattuto fra le opposte tendenze che agivano attorno a lui: i ministri Haugwitz e J. W. Lombard, l'italiano G. Lucchesini, suo ambasciatore a Parigi, consigliavano un atteggiamento francofilo; altri statisti, che entrati al servizio della Prussia se ne erano resi benemeriti, come K. A. Hardenberg e il barone von Stein, propugnavano decisamente di affiancarsi alla Russia, anche a costo di rinunziare al Hannover. La disinvoltura con cui Napoleone dava e prendeva terre alla Prussia per costituire il granducato di Berg per il cognato Murat, decise il re a favore della Russia (9 ottobre 1806). Ma la breve campagna fu un disastro: dopo Jena, quasi non ci fu più un esercito prussiano, distrutto, disperso, costretto alla resa. Il re riparò a Memel, nell'estremo nord-est del regno, fidando almeno nella resistenza dei Russi e rifiutando, per consiglio di Hardenberg, la pace separata con Napoleone. Ma Napoleone e lo zar s'intesero a Tilsit e furono essi che dettarono la pace alla Prussia (9 luglio 1807); pace disastrosa, che distruggeva l'opera di Federico II, cancellando la Prussia dal novero delle grandi potenze europee, ridotta, com'era, a cedere tutti i possessi a ovest dell'Elba e molta parte degli acquisti polacchi, a riconoscere Danzica città libera, a pagare una fortissima indennità di guerra e, fino al pagamento, a sostenere l'occupazione militare francese. Tuttavia gli uomini più eminenti non disperarono del risorgimento della Prussia; e accanto agli uomini fu animatrice la regina Luisa, nata principessa di Meclemburgo-Strelitz. Per quasi sei anni la Prussia rimase immobilizzata sotto le pressioni e le estorsioni francesi; ma non inoperosa internamente. Tutta una serie di riforme mirò ad accogliere, con misura, le tendenze dei tempi nuovi, a svecchiare l'ordinamento assolutistico-militare che dopo Federico II aveva fatto il suo tempo. O bene o male, fra gli stati tedeschi - eccezion fatta dell'Austria, che non poteva dirsi, a rigore di termine, uno stato tedesco - la Prussia era stata l'unico che avesse opposta un'aperta, anche se sfortunata, resistenza ai Francesi. Perciò verso la Prussia, purché avesse scosse le sopravvivenze feudali, andavano le simpatie della borghesia liberale e nazionale tedesca. La Prussia corrispose in molta parte a questa aspettativa: mostrò di non rassegnarsi alla sconfitta, di sapersi rinnovare; fu il rifugio donde alti spiriti poterono parlare alla nazione: Fichte, Schleiermacher, G. von Humboldt, che fu ministro dell'istruzione e fondò l'università di Berlino (1809). Hardenberg e Stein, per quanto profondamente diversi per mentalità, temperamento e programmi, contribuirono moltissimo a svecchiare la Prussia: Stein per poco più di un anno (1807-08), perché presto dovette cedere all'odio di Napoleone; Hardenberg dal 1810 alla sua morte (1822), con la nuova carica di Staatskanzler, cui furono sottoposti tutti i ministri. Allo Stein risalgono la riforma amministrativa municipale, in senso moderatamente rappresentativo, e l'abrogazione della servitù ereditaria della gleba. Anche la borghesia e le classi agricole poterono acquistare le terre nobiliari e i contadini riscattarsi dai loro oneri secolari. Nel fatto, queste riforme presentarono inconvenienti sotto l'aspetto economico: i contadini divennero liberi, ma furono anche più poveri e rimasero indifesi di fronte alla maggiore forza economica dei nobili agrarî; molta parte del contadiname si riversò in città a ingrossare le file del proletariato urbano e le forze lavorative vennero a mancare nelle campagne, a tutto profitto dell'elemento polacco, che si accontentava di salarî minori. La stessa libertà fu estesa nel 1810 alle arti e alle industrie, con l'abolizione delle corporazioni. Ci furono, naturalmente, resistenze da parte degli antichi privilegiati, sia per queste innovazioni agrarie, sia per l'abolizione delle esenzioni tributarie. Questi malumori si fecero sentire durante quell'esperimento (1812-15) di organo rappresentativo di notabili, che fu ideato come sostegno, non controllo, del governo. Animatori nell'esercito furono Scharnhorst, Gneisenau, Boyen, Clausewitz. Il corpo degli ufficiali fu aperto, o quasi, anche ai non nobili e furono soppresse anche nell'esercito le esenzioni dal servizio (1813). All'obbligo imposto da Napoleone di non tenere sotto le armi più di 42.000 uomini fu ovviato col cosiddetto Krümpersystem di Scharnhorst, per cui via via si avvicendavano sotto le armi, per l'istruzione, nuovi contingenti, pur non oltrepassando il totale d'obbligo. Costretta a partecipare con 20.000 uomini alla spedizione di Russia, la Prussia se ne svincolò - dopo che l'esito disastroso dell'impresa si fece manifesto -, con il colpo di testa del generale York (30 dicembre 1812), il quale di sua iniziativa, si obbligò col suo contingente a tenersi in disparte neutrale. Fu sconfessato dapprima; ma il 16 marzo 1813 il re, finalmente deciso, raccogliendo i voti della nazione, e specialmente della gioventù nobile e borghese che accorreva in folla ad arruolarsi, dichiarò guerra alla Francia. Nelle operazioni successive fino a Waterloo la Prussia con i generali G. L. v. Blücher e F. W. v. Bülow ebbe una parte di primissimo ordine. Al Congresso di Vienna la Prussia fu favorita nelle sue pretese dalla Russia, osteggiata dall'Inghilterra, dalla Francia e specialmente dall'Austria, che ne voleva impedire un eccessivo aumento di potenza territoriale oltre che morale. Il Congresso riconobbe infine alla Prussia press'a poco quello che possedeva avanti il 1792; in meno, perché ceduta alla Russia, la parte avuta nella terza spartizione della Polonia; in più, buona parte della Sassonia, il resto della Pomerania rimasto fino allora svedese; arrotondò inoltre la Vestfalia con nuovi possessi sulla riva sinistra del Reno. I due blocchi però, il maggiore a est, il minore a ovest, rimasero tuttora disgiunti da qualche leggiero diaframma. Ma, in conclusione, la Prussia sgravata del pondo polacco e ingrossata in cambio di terre tedesche, assumeva una fisionomia più netta di stato tedesco; nel Deutscher Bund (v.) tuttavia non essa, ma l'Austria ebbe la parte preminente. Dopo le guerre di liberazione, gravi problemi la attendevano: territorî nuovi da fondere nell'amministrazione civile e giudiziaria, nella vita economica; usi francesi già radicati nella Renania; il Codice Napoleone vigente; aumentato il numero dei cattolici; un debito enorme da sanare. Gli uomini di governo della Prussia furono, più del re, all'altezza della situazione; non solo Hardenberg, ma anche i suoi collaboratori e successori, fra i quali appaiono nomi come Savigny, Niebuhr, Bunsen, Autenstein, ecc. Non tutto si riuscì a uniformare nell'amministrazione e meno ancora nelle coscienze, fra il 1837 e il 1840 ci fu un aspro conflitto fra il governo e i cattolici e Roma per la questione dei figli nati da matrimonî misti; fra i religiosi imprigionati, furono l'arcivescovo di Colonia, Cl. A. v. Droste zu Vischering, e quello di Posen, M. v. Dunin. La vita economica ebbe un forte impulso; il ferro il carbone assumevano una sempre maggiore importanza economica in tutti i paesi; e la Prussia, unico fra gli stati tedeschi, aveva in abbondanza l'uno e l'altro, nella Vestfalia e nella Slesia. Inoltre, le nuove vie di navigazione interna, le ferrovie bandite dall'economista F. List e lo Zollverein che dopo l'abolizione dei dazî interni e gli accordi doganali con stati vicini, veniva in vita nel 1834, nonostante gl'impedimenti e i gruppi concorrenti contrapposti dall'Austria, favorivano sempre più la vita economica. La Prussia aveva dunque una posizione di primo piano nella Germania; ma non godeva le simpatie della nuova Germania per le tendenze antiliberali, che, dopo la fiammata, le speranze e le promesse anche, dal tempo delle guerre di liberazione, sempre più vi prevalevano. Una costituzione era stata promessa nel 1810 e nel 1815; nel 1817 si era insediata all'uopo una commissione, ma nulla ne era venuto fuori. Anzi, i movimenti liberali che in varie parti della Germania si erano manifestati fra il 1815 e il '20, avevano irrigidito, come gli altri governi, anche quello prussiano che sempre più si lasciava rimorchiare nella scia reazionaria della Santa Alleanza. Humboldt e H. v. Boyen uscirono dal governo (1819) per diversità di pareri, anche su questo punto, con Hardenberg. I circoli conservatori aristocratici si stringevano attorno al Kronprinz che sognava - al modo dei romantici - una mistica sovranità secondo modelli medievali. Seppellita l'idea di una costituzione, la legge del 1823 mise in vita solo organi rappresentativi provinciali (Provinzialstände), in cui la grande proprietà fondiaria aveva una schiacciante maggioranza. Salito al trono Federico Guglielmo IV (1840-61), presto caddero, dopo qualche atto liberale, le illusioni che, per un momento, poterono concepire su di lui perfino dei radicali come F. Freiligrath e G. Herwegh. Il nuovo sovrano sempre più si accostò alle idee reazionarie del cosiddetto "Club della Wilhelmstrasse" dei fratelli Gerlach, suoi intimi, del cattolico J. von Radowitz. Le difficoltà maggiori gli venivano da due parti: dai Polacchi, che sotto la guida di L. Mierosławski mal sopportavano il dominio prussiano; e dalla borghesia, specialmente delle provincie renane, e, un po', della Prussia Orientale, più evoluta economicamente e spiritualmente, insofferente del regime che troppo era l'espressione degli interessi agrarî della nobiltà. Sempre più alta si faceva la richiesta di una rappresentanza non di caste, ma individuale, di tutta la nazione. Qualche maggiore importanza acquistarono le rappresentanze provinciali e il re entrò perfino nell'idea di convocare un Landtag unico per tutta la Prussia, sia pure con funzioni ristrette, che fu infatti convocato al prìncipio del 1847; ma che deluse i liberali. L'atmosfera politica era dunque già mossa, quando la rivoluzione parigina ed europea del febbraio 1848 la portò alla massima agitazione. Il 15 marzo furono alzate a Berlino le prime barricate; il re e il governo, messi alle strette, cominciarono a fare le prime concessioni, a dare ordini contraddittorî, causando equivoci che provocarono scontri sanguinosi. Nell'aprile i varî Landtage riuniti in unica assemblea elaborarono la legge per l'istituzione di una Assemblea nazionale prussiana eletta per suffragio diretto e universale, che infatti si riunì il 22 maggio. Vi prevalevano gli elementi borghesi (insegnanti, ecclesiastici, professionisti), ideologi i più e radicali molti; comunque, soggetti alle pressioni della piazza e inetti a venire a capo di una costituzione (si voleva prendere a modello quella belga del 1831). La minoranza conservatrice, composta di nobili e dell'alta burocrazia, si stringeva con i Gerlach, con il giovane Bismarck, nel proprio club, il cosiddetto Junkerparlament, e attorno all'organo conservatore recentemente fondato, la Kreuzzeitung. Il governo assunto nel novembre dal conte Brandenburg, figlio naturale di Federico Guglielmo II, appoggiandosi sull'esercito rimasto immune dal rivoluzionarismo, aveva a poco a poco ragione dei moti della piazza. Il 5 dicembre l'assemblea fu sciolta e il re emanò di sua iniziativa una costituzione che prevedeva due camere, l'una eletta dalle rappresentanze delle circoscrizioni amministrative, l'altra per suffragio diretto e universale. Parallelamente a questi fatti si svolgevano le discussioni al parlamento pangermanico di Francoforte (v. germania: Storia) nel quale era in giuoco il prestigio della Prussia rispetto agli altri stati tedeschi. Le simpatie per la Prussia erano molte, ma non generali; anche l'Austria aveva numerosi adepti. Tuttavia, a lieve maggioranza, fu deciso (27 marzo 1849) di offrire la corona ereditaria del nuovo impero tedesco a Federico Guglielmo IV. Ma non fu che un gesto significativo; perché il re, per i suoi principî contrario a riconoscere la sovranità popolare e per considerazioni di politica estera (dietro all'Austria stava la Russia), rifiutò. Del resto, lo slancio rivoluzionario in Prussia era già superato; l'estremo appello del parlamento di Francoforte ai popoli tedeschi (4 maggio 1849) fu raccolto altrove (Sassonia, Baden, ecc.), ma cadde nel vuoto; tranne poche eccezioni, in Prussia. Anzi, le truppe prussiane erano ora pronte a farsi strumento della reazione, a soffocare i moti rivoluzionarî anche fuori di Prussia. E infatti così fecero nel Baden. A togliere, tuttavia, un poco tra i patrioti liberali la penosa impressione di questo procedere della Prussia; concorse l'aiuto militare che la Prussia, atteggiandosi a tutelatrice del patriottismo tedesco, prestò ai Tedeschi dei due ducati del Holstein e dello Schleswig, minacciati di unione alla Danimarca. Breve vita ebbe la costituzione del 5 dicembre 1848; il 31 gennaio 1850, il re emanò una nuova costituzione, meno liberale, rimasta poi sostanzialmente in vigore fino al 1918, che creò due camere, il Herrenhaus (composto di membri di diritto - principi di casa reale, latifondisti, rappresentanti di certe città e università - e membri di nomina regia) e l'Abgeordnetenhaus (composto di membri eletti secondo il sistema censitario delle tre classi, che garantiva la maggioranza agl'interessi delle classi agrarie conservatrici). Restava da ricostituire una qualche unione fra gli stati tedeschi, dato che il Deutscher Bund era tramontato col parlamento di Francoforte. Il programma prussiano - l'Unione sotto la presidenza della Prussia - abbozzato dal ministro Radowitz, si scontrò col programma austriaco. Ma questi fatti acquistano la loro vera luce solo nel quadro di una storia della Germania (v. germania: Storia). Il contrasto si acuì al punto che un conflitto sembrava imminente: truppe prussiane da un lato, bavaresi (ossia austriache) dall'altro erano già venute a contatti non incruenti nell'Assia elettorale. Ma la Prussia si trovò mal sostenuta e, accettando la mediazione russa, si piegò all'umiliazione di Olmütz (29 novembre 1850): dovette cedere su tutti i punti, rinunziare all'Unione e alle speranze dei patrioti sui due ducati elbani; riconoscere la Confederazione germanica come era stata ricostituita su programma austriaco. Negli anni successivi i rapporti con l'Austria non poterono essere molto cordiali. Pur non illudendosi di vedere aprirsi in Prussia un'era liberale finché fosse sul trono Federico Guglielmo IV, tuttavia verso la Prussia tornavano a volgersi gli sguardi dei patrioti liberali tedeschi. Certamente, il re, consigliato dalla camarilla di corte, avrebbe voluto abrogare la costituzione e realizzare il suo sogno di stato paternalistico; ma lo stesso primo ministro O. Th. v. Manteuffel, che pur passava per reazionario, credette di doversi opporre a questa tendenza. E nel campo delle libertà economiche e sociali la Prussia segnò in questo tempo qualche notevole progresso: furono soppressi alcuni esosi privilegi, estesa la redenzione economica delle classi agricole. Una "nuova era" s'inaugurò solo nel 1858, allorché, per la malattia del re, suo fratello Guglielmo I assunse la reggenza e poi, dopo la morte del re, il governo (1861-88). Ostile dapprima alla costituzione, l'aveva poi francamente accettata come una necessità; il ritiro di Manteuffel fu considerato come un segno di tempi nuovi. Ma tutte le cure del nuovo governo furono dapprima dirette all'esercito, di cui - nella mobilitazione del 1859, che tanto influì sull'azione di Napoleone III in Italia - si erano riscontrate alcune manchevolezze. Ciò diede motivo a una grande battaglia parlamentare che si prolungò dal dicembre 1859 all'agosto 1866. Infatti, l'Abgeordnetenhaus non ne voleva sapere di approvare i crediti militari che il nuovo ministro della guerra, A. v. Roon, chiedeva insistentemente. I liberali - favorevoli a un sistema di nazione armata con esercito stanziato a quadri ridotti - vedevano nel richiesto aumento dell'esercito permanente un rafforzamento dell'aristocrazia militare e perciò della reazione. Nelle tre elezioni fatte fra il 1861 e il'62, l'opposizione fiberale (la Fortschrittspartei) si era fatta sempre più forte. A questo punto critico entrò in scena Ottone von Bismarck, fino allora impiegato in funzioni diplomatiche. L'8 ottobre 1862 egli assunse quella presidenza dei ministri che, con varî nomi e con sempre maggior campo d'azione, tenne fino al 20 marzo 1890: quasi un trentennio. Egli lasciò che l'Abgeordnetenhaus tempestasse; sicuro del Herrenhaus, sicuro specialmente delle colonne dello stato - esercito e burocrazia - attuò la riforma dell'esercito, anche contro il volere della Camera bassa e governò senza la regolare approvazione dei bilanci. Le peggiorate relazioni con l'Austria richiedevano tutta la sua attenzione. La lotta per il predominio in Germania si faceva serrata: progetti e controprogetti da una parte e dall'altra; a sottolineare il dissidio, il re di Prussia nemmeno intervenne al convegno dei principi tedeschi a Francoforte (1863), promosso dall'Austria. La spinosa questione dei ducati nell'anno seguente, diede l'apparenza di una unità d'azione di Austria e Prussia, ma, se nella breve guerra contro i Danesi (febbraio-luglio 1864) marciarono assieme, fu solo per reciproco sospetto; tant'è vero che la pace piuttosto aggravò la questione, lasciando indivisa fra Austria e Prussia l'amministrazione dei due ducati. I varî parziali accomodamenti non portarono a nessun chiarimento della situazione. Bismarck ebbe l'accortezza di non distruggere in Napoleone III le speranze di eventuali compensi alla Francia e di allearsi con l'Italia. Nell'aprile 1866, la proposta prussiana di convocare un parlamento pantedesco a suffragio universale e diretto inasprì la situazione: la brevissima guerra (15 giugno-26 luglio 1866; v. austro-prussiana, guerra) tagliò il nodo. La pace di Praga dava alla Prussia il predominio assoluto in Germania: non solo i contesi ducati, ma il Hannover, l'Assia-Cassel, Nassau, la città di Francoforte scomparivano dal novero degli stati tedeschi e venivano assorbiti dalla Prussia. Scompariva il Deutscher Bund, nasceva sotto l'egida, e quasi sotto il dominio prussiano, la Confederazione della Germania del Nord, cui anche gli stati meridionali non confederati dovevano poi aggregarsi con convenzioni militari. I grandi successi militari, dando ragione alla politica autoritaria di Bismarck, appianarono anche l'annoso conflitto nella Camera prussiana; il partito liberale di opposizione uscì malconcio dalle elezioni, si scisse, e il governo ebbe causa vinta, ottenendo la sanatoria. Così tramontò definitivamente il tentativo d'introdurre nella Prussia un sistema o una pratica di governo parlamentare. Cominciò invece a spuntare un'opposizione cattolica e una legittimista (dei principi spodestati, specie nel Hannover). Il resto è storia della Prussia solo in quanto essa è lo stato dominante che trascina con sé tutta la Germania (v. germania: Storia). Se non di diritto, in parte almeno di fatto è già sorta la figura di una Germania unita, che avrà la sua consacrazione con la guerra del 1870-71. A Versailles, alle porte della capitale nemica prossima alla resa, Guglielmo I era acclamato, il 18 gennaio 1871, imperatore tedesco. Il regno di Prussia aveva creato il Deutsches Reich; ma non si annullava in esso; anzi, ne rimaneva ben distinto, col suo re-imperatore, con la sua amministrazione, con le sue due camere. Ma per il modo come l'impero era nato, per la parte che la Prussia vi aveva, con la sua potenzialità demografica ed economica, è difficile distinguere, nella storia successiva della Germania, quello che è peculiarmente prussiano da quanto è senz'altro tedesco. Alla Germania la Prussia ha dato il buono e il meno buono: il senso dell'ordine, della disciplina, della fedeltà e onestà, dell'organizzazione, il suo attrezzamento burocratico, la saldezza del suo esercito; ma ha dato anche la pesantezza, a volte arrogante, della sua casta militare, l'angustia politica della sua aristocrazia latifondista. Il contrasto fra Prussia e Germania rimase, fino al 1918, simbolizzato nel contrasto fra il Reichstag tedesco e il Landtag prussiano; l'uno non certo radicale, ma aperto alle tendenze della vita moderna; l'altro roccaforte inespugnabile e invano attaccata degl'interessi gretti dell'aristocrazia agraria-militare.
Bibl.: Storie generali: C. F. Pauli, Allgemeine preussische Geschichte, voll. 8, Halle 1760-69; G. A. H. Stenzel, Gesch. d. preuss. Staates, voll. 5, Amburgo 1830-54; L. v. Ranke, Zwölf Bücher preuss. Gesch., voll. 5, Lipsia 1874 (Werke, XXV-XXVII); J. G. Droysen, Gesch. d. preuss. Politik, 2ª ed., voll. 4, Berlino 1868-72; W. Pierson, Preuss. Gesch., Berlino 1865 (poi replicatamente ristampata); E. Berner, Gesch. d. preuss. Staates, 2ª ed., Bonn 1896; H. Prutz, Preuss. Gesch., voll. 4, Stoccarda 1899-1902; A. Waddington, Histoire de Prusse (fino al 1740), voll. 2, Parigi 1911-22; R. Koser, Gesch. d. brand.-preuss Politik (fino al 1648), Stoccarda 1915; O. Hintze, Die Hohenzollern und ihr Werk. 500 Jahre vaterländischer Gesch., Berlino 1915; I. A. Marriott e C. G. Robertson, The evolution of P., the making of an empire, New York 1916. La maggior parte delle storie generali della Prussia trascurano la storia della Prussia vera e propria, anteriormente all'unione col Brandeburgo (1618) o ne dànno solo cenni sommarissimi, mentre si estendono sulla storia del Brandeburgo. Per quest'ultimo vedi s. v. Per la Prussia vera e propria, v.: K. Lohmeyer, Gesch. von Ost- und Westpreussen (il solo I vol.), 3ª ed., Gotha 1908; A. Hofmeister, Der Kampf and der Ostsee vom 9-12 Jahrh., Greifswald 1931; W. L. Osswald, Wie Alt-Preussen bekehrt und Ordensland wurde, Monaco 1934; J. Vota, Der Untergang des Ordenstaates Preussen und die Entstehung der preuss. Königswürde, Magonza 1911; Deutsche Staatbildung und deutsche Kultur im Preussenlande, Königsberg 1931; v. inoltre teutonico, ordine.
Fra le riviste più importanti: Forschungen zur brandenburgischen und preussischen Gesch. (dal 1888); Hohenzollern-Jahrbuch (dal 1897 al 1916).
Per l'amministrazione, l'esercito, ecc., v. S. Isaacsohn, Gesch. d. preuss. Beamtentums vom Anfang des 15. Jahrh. bis auf d. Gegenwart, voll. 3, Berlino 1874-84; C. Bornhak, Gesch. d. preuss. Verwaltungsrechts, voll. 3, ivi 1884-1892; A. Stölzel, Brand.-Preussens Rechtsverwaltung und Rechtsverfassung, volumi 2, ivi 1888; C. Bornhak, Preuss. Staats- u. Rechtsgesch., ivi 1903; O. v. d. Osten-Sacken, Preussens Heer von seinen Anfängen bis z. Gegenwart, voll. 3, ivi 1910-14.
In particolare, per la storia dal 1618 alle guerre napoleoniche, v., oltre che sotto i nomi dei singoli principi e re, Preussen und die katholische Kirche seit 1640, di M. Lehmann (voll. I-VII) e di H. Granier (voll. VIII e IX), Lipsia 1878-1902; S. Friedrich, Die Erwerbung d. Herzogtums Preussen und ihre Konsequenzen, Berlino 1896; G. Küntzel, Die drei grossen Hohenzollern und der Aufstieg Preussens im 17. und 18. Jahrh., Stoccarda 1922; R. Koser, Brand.-Preussen in dem Kampfe zwischen Imperialismus und reichsständischer Libertät, in Histor. Zeitschr., 96-97; A. Waddington, L'acquisition de la couronne royale de Prusse par les Hohenzollern, Parigi 1888; Acta Borussica, pubblicati dalla Königl. Akademie der Wissenschaften; Denkmäler der preuss. Staatsverwaltung im 18. Jahrh., Berlino dal 1892; A. Berney, König Friedrich I. und das Haus Habsburg 1701-07, Monaco 1907; L. v. Ranke, Zur Gesch. v. Österreich u. Preussen zwischen den Friedensschlüssen v. Aachen und Hubertusburg, Lipsia 1875 (Werke, XXX); R. Stadelmann, Preussens Kriege in ihrer Tätigkeit f. d. Landeskultur, Lipsia 1878-87; Corpus iuris Fridericianum, voll. 2, Halle 1749-51.
Per l'epoca delle guerre napoleoniche alla creazione dell'impero: Preussen und Frankreich v. 1795-1807, Diplomatische Korrespondenzen, pubbl. da P. Bailleu, voll. 2, Lipsia 1881-87; C. v. Clausewitz, Nachrichten über Preussen in seiner Katastrophe, Berlino 1888 oltre alle storie generali su periodo delle guerre napoleoniche del Sybel, dell'Oncken, del Sorel, del Wahl, del Häusser, del Heigel, del Meinecke, del Philippson, ecc. (v. germania: Storia), v. Tomuschat, Preussen und Napoleon Ein Jahrzehnt preuss. Gesch., voll. 2, Berlino 1911; H. Ulmann, Russisch-preuss. Politik unter Alexander I. und Friedrich Wilhelm III. bis 1806, Lipsia 1899; P. Hassel, Gesch. d. preuss. Politik 1807-15, ivi 1881; E. Eberty, Gesch. d. preuss. Staates seit 1815, volumi 7, Breslavia 1867-73; F. Meinecke, Weltbürgertum und Nationalstaat, 3ª ediz., Monaco 1915 (traduz. italiana, Perugia-Venezia 1930); G. Cavaignac, La formation de la Prusse contemporaine, volumi 2, Parigi 1891-1898; G. S. Ford, Stein and the era of reform in Prussia, Princeton 1922 ;F. Neubauer, Preussens Fall und Erhebung, Berlino 1907; E. v. Meier, Französische Einflüsse auf d. Staats- und Rechtsentwicklung Preussens im 19. Jahrh,. volumi 2, Lipsia 1907-08; W. Maurenbrecher, Die preuss. Kirchenpolitik und der Kölner Kirchenstreit, Stoccarda 1881; H. Mähl, Überleitung Preussen in d. konstitutionellen System, Monaco 1909; H. Friedjung, Der Kampf um die Vorherrschaft in Deutschland, voll. 2, 9ª edizione, Stoccarda 1912.