Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La psicanalisi, disciplina creata da Sigmund Freud per affrontare patologie psichiche, ha profondamente segnato la cultura novecentesca, modificando il modo con cui l’uomo percepisce se stesso e le proprie opere. Freud tematizza per primo l’esistenza di un inconscio attivo, negando la coincidenza tra ciò che è psichico e ciò che è consapevole. La dimensione nascosta è il vero motore della vita affettiva e interferisce in continuazione con la vita cosciente delle persone. Freud afferma inoltre che la pulsione vitale dell’uomo è una forza di natura sessuale: l’uomo è mosso dalla ricerca del piacere, e ciò è constatabile già nella vita dei bambini. Le dinamiche infantili di ricerca del piacere sono alla base della strutturazione della personalità adulta. Freud applica il modello psicanalitico anche alla comprensione di fenomeni storici quali la religione, la morale, la civiltà nel suo complesso. Già vivente Freud, si verificano i primi dissidi teorici con allievi che scelgono percorsi alternativi. Tra i principali dissidenti, va ricordato Carl Gustav Jung, che da vita alla cosiddetta “psicologia analitica”; tra coloro che hanno radicalizzato in maniera originale talune intuizioni freudiane, lo strutturalista francese Jacques Lacan. Le correnti della psicanalisi odierna trovano un denominatore comune nel riferimento alle teorie freudiane, e dunque nel riconoscimento dell’importanza della dimensione inconscia e dei primi anni di vita nella strutturazione della personalità adulta.
Sigmund Freud
Super-Io, Io, Es
Il Super-io impone all’Io inerme, che è in sua balía, criteri morali rigorosissimi; è in generale il rappresentante delle esigenze della moralità, e d’un tratto ci rendiamo conto che il nostro senso morale di colpa esprime la tensione fra l’Io e il Super-io. [...]
Noi non disconosciamo affatto la parte di verità psicologica che è contenuta nell’affermazione che la coscienza morale è di origine divina, ma la tesi ha bisogno di un’interpretazione. Se pure tale coscienza è qualcosa “in noi”, non lo è fin dall’inizio. Essa si pone in diretto contrasto con la vita sessuale, la quale esiste realmente fin dall’inizio della vita e non sopravviene solo piú tardi. Per contro il bambino piccolo è notoriamente amorale, non ha alcuna inibizione interiore contro i propri impulsi che anelano al piacere. La funzione che più tardi assume il Super-io viene dapprima svolta da un potere esterno, dall’autorità dei genitori. I genitori esercitano il loro influsso e governano il bambino mediante la concessione di prove d’amore e la minaccia di castighi; questi ultimi dimostrano al bambino la perdita dell’amore e sono quindi temuti per sé stessi. [...]
Il Super-io, che in tal modo assume il potere, la funzione e persino i metodi dell’istanza parentale, non ne è però soltanto il successore legale, ma realmente il legittimo erede naturale. Il Super-io deriva direttamente dall’istanza parentale, e apprenderemo presto attraverso quale processo. [...]
Fondamento di tale processo è la cosiddetta “identificazione”, cioè l’assimilazione di un Io a un Io estraneo, in conseguenza della quale il primo Io si comporta sotto determinati riguardi come l’altro, lo imita, lo accoglie in certo qual modo in sé. [...] Questa neocreazione di un’istanza superiore nell’Io è strettamente vincolata alla sorte del complesso edipico, talché il Super-io appare come l’erede di questo legame emotivo così importante per l’infanzia.
[...] Super-io, Io ed Es sono dunque i tre regni, territori, province, in cui noi scomponiamo l’apparato psichico della persona, e delle cui reciproche relazioni ci occuperemo in quanto segue.
[...] [L’Es] è la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità; il poco che ne sappiamo, l’abbiamo appreso dallo studio del lavoro onirico e della formazione dei sintomi nevrotici; di questo poco, la maggior parte ha carattere negativo, si lascia descrivere solo per contrapposizione all’Io. All’Es ci avviciniamo con paragoni: lo chiamiamo un caos, un crogiuolo di eccitamenti ribollenti. Ce lo rappresentiamo come aperto all’estremità verso il somatico, da cui accoglie i bisogni pulsionali, i quali trovano dunque nell’Es la loro espressione psichica, non sappiamo però in quale substrato. Attingendo alle pulsioni, l’Es si riempie di energia, ma non possiede un’organizzazione, non esprime una volontà unitaria, ma solo lo sforzo di ottenere soddisfacimento per i bisogni pulsionali nell’osservanza del principio di piacere. Le leggi del pensiero logico non valgono per i processi dell’Es, soprattutto non vale il principio di contraddizione.
S. Freud, Opere, a cura di C.L. Musatti, Torino, Bollati Boringhieri, 1989
Il sé
Poiché in pratica esistono fenomeni della coscienza e dell’inconscio, il Sé, in quanto totalità psichica, possiede tanto un aspetto cosciente quanto un aspetto inconscio. Empiricamente il Sé appare nei sogni, nei miti e nelle favole in una immagine di “personalità di grado superiore”, come re, eroe, profeta, salvatore ecc.; oppure di un simbolo della totalità, come il cerchio, il quadrato, la quadratura del circolo, la croce ecc. Rappresentando una complexio oppositorum una sintesi degli opposti, esso può apparire anche come diade unificata, quale è per esempio il Tao, fusione della forza yang e della forza yin, come coppia di fratelli oppure sotto l’aspetto dell’eroe e del suo antagonista (drago, fratello nemico, nemico mortale, Faust e Mefistofele ecc.). Ciò vuol dire che sul terreno empirico il Sé appare come un giuoco di luce e di ombra, quantunque concettualmente esso venga inteso come un tutto organico e quindi come un’unità nella quale gli opposti trovano la loro sintesi. Poiché un concetto del genere si sottrae a ogni rappresentazione - tertium non datur: esso è anche, per questa stessa ragione, trascendente.
C.G. Jung, Tipi psicologici, Torino, Bollati Boringhieri, 1968
Destino e linguaggio
I simboli avvolgono infatti la vita dell’uomo con una rete così totale da congiungere prima ancora della sua nascita coloro che lo genereranno “in carne ed ossa”, da apportare alla sua nascita insieme ai doni degli astri, se non ai doni delle fate, il disegno del suo destino, da dare le parole che lo faranno fedele o rinnegato, la legge degli atti che lo seguiranno persino là dove non è ancora e persino al di là della sua stessa morte, e da far sì che per mezzo loro la sua fine trovi il suo senso nel giudizio finale in cui il verbo assolve il suo essere o lo condanna.
J. Lacan, La Cosa freudiana, e altri scritti. Psicoanalisi e linguaggio , Torino, Einaudi, 1979
“Psicanalisi è il nome: 1) di un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere; 2) di un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il trattamento di disturbi nevrotici; 3) di una serie di conoscenze acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina” (Psicanalisi, 1922). È questa una tra le tante definizioni con la quale Sigmund Freud delinea i caratteri della sua “creazione”. In effetti, per quanto sia possibile indicare molteplici fonti di Freud sia in campo medico sia in ambito filosofico (Nietzsche e Schopenhauer, per esempio), è indubbio che la psicanalisi nasca con Freud e grazie alle sue geniali intuizioni. La straordinaria risonanza delle scoperte di Freud non si manifesta soltanto in specifiche discipline come la psicologia o la psichiatria. Come sintetizza Thomas Mann nel 1936, in un saggio steso per celebrare gli ottant’anni del medico viennese: “le vedute della psicanalisi trasformano il mondo”. Le scienze umane nel loro complesso ne vengono profondamente condizionate, essendo divenuto ormai impossibile considerare l’uomo, le sue azioni, le sue produzioni culturali alte e popolari, la sua vita sociale e privata senza tener conto della prospettiva psicanalitica. Non solo, ma poche scoperte scientifiche e culturali hanno avuto, come la psicanalisi, una risonanza anche nel modo con cui le persone comuni percepiscono se stesse: anche l’uomo della strada, dopo Freud, sa di avere un inconscio.
La vita di Freud coincide in gran parte con l’esistenza dei primi decenni del movimento psicoanalitico. Nato in Moravia in una famiglia di origine ebraica spostatasi poi a Vienna, divenuto medico si perfeziona a Parigi con il celebre neuropatologo Jean-Martin Charcot e si dedica allo studio di malattie nervose, in particolare dell’isteria. La consuetudine con questa costellazione di malesseri, inizialmente trattati da Freud mediante ipnosi, lo porta a prendere coscienza della rimozione, un meccanismo psichico che si dimostrerà fondamentale nelle teorie psicanalitiche per intendere i fenomeni nevrotici e le patologie psichiche. Si tratta di un procedimento inconsapevole con il quale il soggetto spinge e mantiene nell’inconscio ricordi e rappresentazioni non tollerabili per la coscienza. Questa operazione è attiva, perché comporta un dispendio di energia psichica, e rivela l’esistenza di una dimensione che non è un semplice ammasso di ricordi dimenticati e inerti, ma è una istanza fuori dal tempo che continua a premere sulla coscienza, a sollecitarla e condizionarla.
Freud giunge a strutturare la psiche umana in tre provincie: conscio, preconscio (composto di materiale latente che può facilmente essere riportato in superficie) e inconscio (impulsi irrazionali e selvaggi, desideri rimossi, pulsioni inconsapevoli). Viene a cadere la millenaria coincidenza tra mente e consapevolezza. Anzi, la dimensione nascosta è il vero motore della vita affettiva, si rivela caratterizzata da un’assidua dinamicità e interferisce in continuazione con la vita cosciente delle persone. Ciò avviene nei sogni in primo luogo, soddisfazione per via allucinatoria di desideri rimossi che riaffiorano (seppur censurati) e che sono riconoscibili nelle solo superficialmente sconnesse trame oniriche (L’interpretazione dei sogni , 1899). La personalità cosiddetta “normale” non è dunque esente da manifestazioni riconducibili all’inconscio: così anche nei lapsus, nello smarrimento di oggetti, nei gesti involontari e apparentemente senza senso che caratterizzano la vita di qualsiasi individuo (Psicopatologia della vita quotidiana, 1901). Soprattutto, la dimensione del rimosso si rivela per vie contorte nei sintomi delle psiconevrosi.
Freud afferma inoltre che la pulsione vitale dell’uomo non deve essere considerata una generica energia, ma una forza di natura specificatamente sessuale (libido), indirizzata alla ricerca del piacere. Questa estensione della sessualità consente di fare riferimento a una sola matrice energetica. Ciò permette di rompere consuete barriere intellettuali, come quella che pone una soluzione di continuità tra normalità e devianza, comportamenti sani e atti perversi; oppure ancora quella che non riconosce la sessualità infantile. Scandalizzando l’ambiente nel quale scriveva e rompendo con una tradizione secolare che vedeva nel fanciullo una figura innocente perché asessuata, Freud afferma che il bambino è mosso dalla ricerca del piacere. “La vita sessuale non ha inizio soltanto con la pubertà, ma si instaura con manifestazioni evidenti poco dopo la nascita” (Compendio di psicanalisi, 1938). Il bambino impara presto a riconoscere zone erogene del proprio corpo (la bocca, l’ano, i genitali) che presentano richieste libidiche, e dunque a compiere atti volti alla ricerca del piacere, atti perversi in quanto espressione di una sessualità che non è volta alla procreazione. Dapprima spinto a soddisfare il proprio desiderio di piacere in forme autoerotiche, il bambino oltrepassa i confini del proprio corpo guardando alle figure dei genitori, sviluppando un sentimento di amore per il genitore di sesso opposto e un atteggiamento di rivalità per quello dello stesso sesso (complesso di Edipo, dinamica che secondo Freud condiziona sensibilmente l’articolarsi della personalità adulta).
Freud si impegna durante tutta la sua esistenza a una revisione costante della dottrina psicanalitica, cercando di chiarirla attraverso la formulazione di sempre nuovi modelli e rivedendo le proprie teorie anche in maniera significativa, pur nella presenza di punti fermi (la preminenza della pulsione sessuale, il complesso edipico). Sulla topica psichica conscio-preconscio-inconscio, Freud struttura la psiche umana in tre “provincie o istanze psichiche”. La più antica tra esse è denominata Es, ed esprime la pulsionalità e l’istintualità dell’inconscio, le richieste del corpo alla vita psichica. L’Es è mosso essenzialmente dalla ricerca di piacere. Spetta all’Io, la coscienza che intrattiene i rapporti con il mondo esterno, di strutturarsi in modo da proteggersi dai pericoli e da autoconservarsi. Per fare questo, l’Io è in continuazione costretto a trovare dei compromessi, cercando la soddisfazione dei desideri e al tempo stesso tenendo conto dei pericoli e delle costrizioni incontrati nel mondo esterno. La terza istanza ipotizzata da Freud è denominata Super Io, che è l’interiorizzazione dei divieti dell’autorità parentale e che rende l’uomo predisposto a recepire e far propri i modi di vita proposti dalla società attraverso insegnanti, guide, tradizioni, influenze ambientali, modelli ideali: la dinamica dei rapporti tra Io e Super-io è sostanzialmente un prolungamento dell’influenza dei genitori sull’Io. Si delinea una dimensione interiore scissa e strutturalmente conflittuale, all’interno della quale l’Io, lungi dal tenere in mano le briglie della situazione, si trova in continuazione a doversi barcamenare con alibi e infingimenti vari tra le esigenze selvagge dell’Es e le aspettative del Super-io: “L’Io cede solo troppo spesso alla tentazione di diventare servile, opportunista e bugiardo, un po’ come un uomo di stato che, pur essendo consapevole di come stanno effettivamente le cose, intende comunque conservarsi il favore della pubblica opinione” (L’Io e l’Es, 1922).
Nel corso degli anni, Freud corregge il suo modello, accostando all’istinto vitale indirizzato alla ricerca del piacere e al soddisfacimento delle pulsioni libidiche (denominato Eros) una tendenza di segno opposto, autodistruttiva (Thanatos, istinto di morte), che, spostandosi su oggetti esterni, sarebbe alla radice degli atteggiamenti aggressivi. Questa correzione del modello psicanalitico è sollecitata in Freud dagli accadimenti drammatici dei suoi tempi (la prima guerra mondiale, più tardi l’avvento del nazismo), che lo spingono ad ampliare l’applicazione dei principi psicanalitici fino a delineare una vera e propria teoria sociale. “Gli eventi della storia, gli influssi reciproci fra natura umana, evoluzione culturale e quei sedimenti di avvenimenti preistorici di cui la religione è il massimo rappresentante, altro non sono che il riflesso dei conflitti dinamici fra Io, Es e Super-io, studiati dalla psicanalisi: sono gli stessi processi ripresi su uno scenario più ampio” (Autobiografia, 1935). Già nel 1912 Freud aveva dedicato uno studio (Totem e tabù) all’applicazione in campo etnoantropologico del modello psicanalitico, spiegando il sorgere dell’etica e della religione alla luce del complesso edipico. Più avanti, Freud accentuerà la critica alla religione, ricondotta a un illusorio espediente per poter sopportare le angosce della vita, in cui la figura di Dio non fa altro che replicare quella del genitore che soccorre e rassicura il bambino: dietro ogni “figura di divinità” si nasconde dunque un “nucleo paterno” (Avvenire di un’illusione, 1927). L’ateismo disincantato e pessimistico di Freud si rivela anche nella sua analisi del vivere sociale, dove la tensione dell’individuo verso il piacere e la felicità viene ad essere frustrata dalle privazione e dai sacrifici che il vivere sociale immancabilmente esige (Il disagio della civiltà, 1929).
Costretto a fuggire da Vienna, la città della sua vita, nel 1938 (in seguito all’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista) Freud riparerà a Londra, dove morirà un anno più tardi.
La psicanalisi viene accolta con diffidenza quando non con aperta ostilità, e Freud – un medico che si occupa di sogni, che cura le persone facendole parlare in libertà sdraiate su un lettino e che smonta la morale e la religione riconducendole a dinamiche nevrotiche – è a lungo considerato alla stregua di un ciarlatano negli ambienti medici istituzionali. La difesa della nuova disciplina e la ricerca di riconoscimento spingono Freud a dare a essa una veste istituzionale, per esempio attraverso la creazione, nel 1910, della Società psicanalitica internazionale.Tra i primi allievi si distinguono Sándor Ferenczi (1873-1933) e Karl Abraham (1877-1925), che diffondono la psicanalisi in Ungheria e in Germania. Sorgono però i primi dissidi teorici, le prime divergenze da Freud e le prime “rivolte” contro questa figura paterna. Apostati e dissidenti non mancano nella storia del movimento, e fin dai primi passi di esso: figure sovente rilevanti nella cultura novecentesca, che dopo aver condiviso con il maestro le iniziali difficoltà per una disciplina rivoluzionaria, se ne allontanano spesso al prezzo di lacerazioni ideali e personali. Tra i primi a staccarsi da Freud è Alfred Adler (1879-1937), che interpreta la psicologia degli individui non più alla luce della ricerca del piacere, ma ponendo alla radice delle azioni degli individui un desiderio di supremazia per spiegare il quale ricorre al concetto di “volontà di potenza” ripreso da Nietzsche. La scissione di maggior rilievo è quella che coinvolge lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, designato inizialmente dallo stesso Freud quale suo “delfino” ai vertici del movimento psicanalitico. Jung ridimensiona drasticamente la sessualità dei bambini (e con essa il complesso di Edipo) e più in generale non riconosce che tutti i problemi psichici siano riconducibili alla pulsione sessuale. Inoltre, la “psicologia analitica” di Jung afferma l’esistenza, accanto all’inconscio personale, di un sostrato psichico comune agli uomini ed ereditario (“inconscio collettivo”), percorso da tendenze innate (“archetipi”) che sono rintracciabili nei miti, nelle leggende e nelle tradizioni religiose dell’umanità. Legato personalmente a Freud è anche Wilhelm Reich, che si distaccherà dal maestro alla luce di intuizioni derivate dalla filosofia marxista, che lo portano a interpretare l’istinto di morte come derivato dalla repressione sociale della civiltà capitalistica. Lasciata l’Europa per sfuggire alle persecuzioni antisemite naziste, Reich muore in prigione negli Stati Uniti, recluso a causa delle sue teorie socio-sessuali. Il contrasto tra sessualità e civiltà delineato da Freud è anche alla base delle riflessioni di Herbert Marcuse, che – marginalizzando l’idea della morte e l’elemento “aggressivo” dell’esistenza che animava il pessimismo freudiano – rilegge in chiave sociologico-politica le categorie della psicanalisi in funzione di un’utopistica trasformazione della realtà (Eros e civiltà, 1955).
Nell’ambito legato alla psicologia dei bambini si distinguono le figure di Anna Freud (1895-1982) e Melanie Klein, protagoniste di un pluriennale e duro contrasto teorico. Continuatrice dell’opera paterna, la Freud concentra la sua attenzione sui meccanismi che portano alla formazione dell’io e delle sue funzioni di adattamento alla realtà; la Klein si concentra specificamente sull’osservazione diretta dei bambini e delle loro attività (principalmente il gioco, che di fatto rimpiazza la tecnica delle libere associazioni). Anna Freud viene considerata punto di riferimento della cosiddetta “psicologia dell’Io”: si tratta di una corrente diffusa soprattutto negli Stati Uniti che opera uno scarto rispetto a Freud, nel senso che focalizza la propria attenzione non tanto sull’aspetto “oscuro” della “psicologia del profondo”, quanto sull’Io e l’adeguata strutturazione della personalità, e intende la terapia principalmente come un porre rimedio ai danni subiti dal bambino nel processo educativo e un liberare l’Io dai conflitti. In una direzione alternativa rispetto a quella tutto sommato “rassicurante” degli psicologi dell’Io si muove invece la psicanalisi di Jacques Lacan, uno degli esponenti principali dello strutturalismo francese, che radicalizza la rottura con la tradizione cartesiana operata da Freud, rigettando il soggettivismo in tutte le sue forme: l’io e la coscienza sono un mascheramento di strutture profonde che tutto determinano. Influenzato altresì dalla svolta linguistica della filosofia nel Novecento, Lacan vede l’inconscio strutturato come un linguaggio, e dunque come un ambito strettamente legato alla comunicazione e al mondo sociale.
Il riferimento a Freud – e dunque il riferimento a una dimensione inconscia che incide nell’esistenza degli individui e l’importanza riconosciuta ai primi anni di vita del bambino anche nello sviluppo successivo –, è tra gli aspetti che contribuiscono ancora oggi a dare al concetto di psicanalisi una certa unità. Questo anche se, da tempo, non si può parlare di un movimento unico e omogeneo, ma di scuole e indirizzi molteplici. “Ciò che attualmente viene denominato psicanalisi è la coesistenza a volte pacifica, a volte bellicosa, di differenti teorie e scuole di pensiero […]. La psicanalisi parla attualmente un gran numero di lingue” (Wolfgang Mertens, La psicanalisi. Storia e metodi, 1997).