psichiatria
Successi e limiti della riforma psichiatrica in Italia del 1978
La legge 180 del 13 mag. 1978, (Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori) successivamente confluita nella legge 833 del 23 dic. 1978 che istituiva il Servizio sanitario nazionale, impose la graduale chiusura degli ospedali psichiatrici provinciali attraverso il blocco dei nuovi ricoveri e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), istituendo i servizi territoriali di salute mentale e collocando i servizi psichiatrici per acuti all’interno degli ospedali generali (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, SPDC). La legge fu una vera e propria rivoluzione culturale e medica, basata su nuove concezioni psichiatriche, promosse e sperimentate in Italia da F. Basaglia ed altri. Prima di allora l’assistenza per i malati psichiatrici si fondava sui manicomi che erano luoghi di segregazione e contenimento, con scarse ricadute terapeutiche e nessuna continuità con la società civile. La legge demandò l’attuazione alle Regioni, le quali legiferarono in maniera eterogenea, producendo risultati molto diversificati. Di fatto, solo dopo il 1994, con il primo Progetto di tutela della salute mentale e la razionalizzazione delle strutture di assistenza psichiatrica da attivare a livello nazionale, si completò in Italia la chiusura effettiva dei manicomi.
Nel 1978 solo nel 55% delle province italiane vi era un ospedale psichiatrico pubblico, mentre nel resto del paese ci si avvaleva di strutture private (18%) o di altre province (27%). La popolazione manicomiale si aggirava su 80.000 unità. Oggi, una rete di 211 Dipartimenti di salute mentale (DSM) copre l’intera nazione attraverso programmi di cura sul territorio, in unità di ricovero per acuti, nei centri diurni e nelle strutture residenziali. Circa l’1,1% della popol. italiana è in trattamento presso i servizi di salute mentale; in media, ogni anno, il 27% di questi è rappresentato da nuovi utenti. Ogni paziente ha in media 4 contatti all’anno. In ogni DSM lavorano in media 17 psichiatri e 45 infermieri, più altre figure, per un totale di oltre 35.000 operatori della salute mentale, di cui oltre 5.000 sono medici psichiatri. Nei 266 SPDC sono disponibili 3.500 letti per acuti (degenza mediana 11 giorni), ai quali si aggiungono circa 400 letti nelle cliniche universitarie (18 giorni), oltre a circa 5.000 letti in 54 strutture private (38 giorni).La percentuale di trattamenti sanitari obbligatori (TSO ) negli SPDC è del 13% di tutti i ricoveri. Il fenomeno dei pazienti ‘a porta girevole’ sembra essere particolarmente evidente nelle aree dove non esistono ancora servizi territoriali efficaci e ben organizzati. Vi sono 1.379 strutture residenziali con 17.138 posti e una media di 3 posti residenziali per 10.000 abitanti. I centri di salute mentale sono 707: a questi si aggiungono 309 day-hospital e 612 centri diurni.
La riforma del 1978 ha rappresentato un punto di riferimento per i sistemi sanitari occidentali. In tutto il mondo ormai si tende alla diminuzione dei posti letto in ospedale psichiatrico e allo sviluppo dei servizi di salute mentale territoriali. Dal 1978 il numero totale dei posti letto psichiatrici in Italia è diminuito del 68% e riduzioni simili sono avvenute in Inghilterra e negli USA. Tuttavia, in altri Paesi la riduzione si è accompagnata a fenomeni considerevoli di trans-istituzionalizzazione (come l’aumento dei senza tetto o dei detenuti), mentre in Italia ciò non si è verificato. Lo sviluppo del modello territoriale è stato efficace in molte parti d’Italia e ha reso accessibili le cure a persone con bisogni diversi di salute mentale che in passato non avevano accesso al sistema asilare, per quanto in molte altre aree del paese la qualità delle cure sia bassa e certamente da migliorare. Il processo di superamento del manicomio non ha comportato un aumento dei crimini commessi da persone malate di mente e il numero degli internati nei sei ospedali psichiatrici giudiziari non è cresciuto, anche se non è noto il numero dei detenuti comuni con problemi di salute mentale.
L’esperienza italiana insegna che la transizione da servizi basati sull’ospedale psichiatrico a servizi territoriali non può realizzarsi semplicemente chiudendo gli ospedali: devono essere create appropriate strutture alternative e ciò richiede tempo adeguato per la progettazione e lo sviluppo. Inoltre, questo cambiamento deve prevedere una mutazione profonda della filosofia e della qualità del trattamento e dello stile di lavoro, poiché l’intervento nel territorio è solo un veicolo di servizi e di trattamenti, ma non è il trattamento stesso. In partic., le ricerche sulla qualità dei trattamenti nei nuovi servizi hanno evidenziato che la politerapia è molto diffusa e le modalità prescrittive ignorano spesso le linee guida più recenti. I trattamenti psicosociali basati sull’evidenza sono distribuiti in modo ineguale sul territorio nazionale e non sono sempre disponibili per i bisogni dei pazienti. Inoltre, vi è un alto tasso di drop-out, spec. per i pazienti che non presentano disturbi psicotici: ciò conferma il dato che i servizi territoriali di salute mentale sono focalizzati quasi esclusivamente sui pazienti più gravi. Infine, il carico familiare appare piuttosto elevato. Un altro limite è rappresentato dalla carenza di una forte committenza politica e amministrativa: il trattamento territoriale non è e non sarà mai una soluzione a buon mercato, anche se un sistema fondato sul manicomio è molto più oneroso. Infatti, perché la presa in carico territoriale sia efficace, devono essere fatti investimenti in personale, formazione, luoghi di cura e dell’abitare. Inoltre, sono mancati monitoraggio e valutazione su basi epidemiologiche. Con poche eccezioni, in questo campo poco è stato fatto e comunque molto tempo dopo la realizzazione della riforma. Infine, sulla riforma gravano anche lo scarso coinvolgimento dell’università e il peso delle cliniche private che rappresentano il 54% di tutti i letti per ricoveri a breve termine.