PSICODIAGNOSTICA
. Il bisogno di conoscenze dei caratteri personali, propri o altrui, per eventualmente parteciparle ad altri, costituisce, dalla preistoria, una condizione rilevante in ogni momento della vita umana. Per soddisfare a tale bisogno l'umanità ha escogitato un'ampia gamma di procedimenti, conformi allo sviluppo civile e scientifico degli operatori, dapprima rivolta ai problemi più macroscopici (per es. distinzione fra casi normali e patologici; nosografia di questi), poi a conoscenze più ardue e sottili (per es. nell'ambito di casi "normali"). Adattando un'espressione consueta nelle scienze mediche, tramite la psichiatria, si è acquisito in psicologia clinica e applicata il termine di p. introdotto da H. Rorschach (1884-1922) per presentare (1921) la sua tecnica d'esame psicologico (Formdeutungsversuch, "ricerca dell'interpretazione della forma").
Non più vincolata a contesti psicopatologici, per p. oggi comprensivamente s'intende quella parte delle scienze psicologiche intesa a fornire criteri per formulare descrizioni o, più tecnicamente e sinteticamente, diagnosi globali o di aspetti particolari della personalità. Le espressioni psicodiagnostiche (una sola parola, dati numerici, profili grafici, ampie verbalizzazioni, secondo i casi), possono anche riguardare collettività, esseri non umani (per es. una famiglia serena; un animale mansueto); riportare non solo dati di fatto ma anche implicazioni genetiche o prognostiche (per es. un ipodotato cerebroleso; un delinquente recuperabile), riferendosi di norma ai valori della società circostante (per es. quando esprime giudizi di normalità o patologia, o ricorre ai prefissi iper-, ipo- e simili). La seguente trattazione si riferisce soprattutto alla p. espressa verbalmente su singole persone.
I procedimenti adottati nella p. fin dall'antichità e tuttora sussistenti - talvolta senza avallo scientifico - sono riconducibili a tre criteri interpretativi: uno che, deduttivamente, riconosce nell'individuo determinate caratteristiche impresse da forze esterne e incontrollabili; altri due che inducono le caratteristiche psicologiche della persona dallo studio o di alcune sue strutture somatiche, o di alcune sue modalità comportamentali.
Il primo dei detti criteri postula un determinato bagaglio di caratteristiche dell'individuo e un suo particolare destino, come effetto di influenze ultraterrene, per es. divine o astrali; queste ultime particolarmente operanti al momento della sua nascita. Anche se tale criterio esorbita dalla corrente p. scientifica, ad esso indulgono socioculture inclini al pensiero magico, per es. ricorrendo a oroscopi.
Lo studio di condizioni ambientali fisiche o socio-economiche influenti sul corredo psicologico dell'individuo è certamente più fondato, anche se tale criterio è verificabile soltanto sul piano statistico, essendo arduo stabilire quale sia stato l'effettivo impatto quantitativo e qualitativo esercitato obiettivamente dall'ambiente e vissuto da un dato soggetto.
Il secondo criterio, pur esso non esente, specie nei tempi antichi, da contaminazioni irrazionali, magiche o estetiche (per es. lettura della mano; paralleli fra sembianze umane e di determinate specie animali), poi riferito soprattutto alla fisiognomica (J. K. Lavater, 1772-78) e alla frenologia (F. J. Gall, 1796 segg.) ha cercato verifiche, durante il sec. 19°, nell'anatomia umana e comparata, per es. nei rapporti fra dimensioni cerebrali e caratteristiche mentali. I contributi successivi - in nome di una "morfologia" definita da W. Goethe come la scienza interessata alle concordanze tra forme corporee, emozioni e tendenze - si sono avute non tanto con la "morfopsicologia" fisiognomica del francese L. Corman (accolta con molte riserve), quanto con ricerche clinico-statistiche approdate in tipologie correlazionali somato-psichiche, dello psichiatra tedesco E. Kretschmer (1921) e dell'americano W. H. Sheldon (1940). Le misure e proporzioni corporee dell'individuo segnalate da questi autori, suggeriscono, con probabilità ben più che casuale, diagnosi di comprensive qualità del temperamento. Un approccio approssimativo era stato proposto dall'endocrinologia italiana (Pende, 1923).
Per la p. oggi esercitata ex professo principalmente da psicologi e psichiatri, il criterio più diffuso adotta la rilevazione del comportamento svolta con tecniche particolari. Proprio queste qualificano una p. scientifica, rispetto al più antico e naturale procedimento di osservare e interpretare il modo di agire di una persona. Pur senza escludere a priori questo procedimento molto condizionato dal caso e dall'intuizione dell'operatore, le tecniche più evolute considerano il massimo numero delle seguenti caratteristiche bipolari del comportamento: in atto/remoto, ricostruibile tramite sue tracce o effetti; palese/occulto, rilevato con speciali tecniche; spontaneo/indotto da opportune situazioni-stimolo artificiali.
Lo studio del comportamento a fini psicodiagnostici oggi si vale non solo del ricco dottrinale acquisito dalla psicologia teorica, ma anche, e sempre più, di evolute e complesse attrezzature tecniche (per es. di tipo grafico, biochimico, biofisico, di calcolo statistico). In particolare, il rilievo del comportamento in atto può essere prolungato e agevolato grazie alla sua registrazione automatica (un'evoluzione del principio introdotto dalla grafologia) e alla riproduzione dei suoi aspetti statici e dinamici più pertinenti, con immagini istantanee multidimensionali, sincroniche o in sequenza. In tal modo l'analisi del comportamento si affranca dalla sua labilità e, relativamente, dalla sua irripetibilità.
L'esame di comportamenti occasionali, che al momento non si sono potuti osservare o registrare ex professo, può fortunosamente rivolgersi a documenti, testimonianze introspettive del soggetto, registrazioni non affidate soltanto alla memoria umana, interpretabili con accorgimenti atti a farne emergere gli aspetti più significativi. In questo ambito può collocarsi la p. fondata sugli effetti d'influenze altrui sull'individuo. Tale è il caso o di tracce impresse (da genitori, ascendenti) con mediatori bio-ereditari o, più di frequente, tramite sistematici processi di educazione, acculturazione, interazione sociale (per es. da insegnanti, compagni, pubbliche autorità) o in modo incidentale e momentaneo (per es. da agenti delle esperienze traumatizzanti considerate dalla psicoanalisi).
I comportamenti utili ai fini psicodiagnostici possono essere quelli percepibili a occhio nudo da osservatori più o meno scaltriti a rilevarli: effetto di contrazioni di muscoli scheletrici (per es. mimici) e di secrezioni ghiandolari (per es. lacrimali, surrenali). Questi comportamenti, se hanno qualche margine di controllo da parte del soggetto, possono venire artefatti o nascosti a suo arbitrio, fornendo informazioni non sempre attendibili. Perciò riscuote maggior fiducia lo studio, con tecniche mutuate dalla fisiologia, di comportamenti occulti, come certe reazioni biochimiche o biofisiche e perfino soltanto potenziali. Per es. la diagnosi, cruciale per molti casi giudiziari, dell'individuo che mente o è sincero riguardo a certi eventi, può essere perseguita - senza interferenze dello stato emotivo generale - sia registrando alcune sue incontrollabili reazioni fisiologiche (componenti dell'atto respiratorio, pressione arteriosa, resistenza elettrica della cute, ecc.), sia rilevando alcune sue impercettibili attività motorie automatiche, o soltanto i potenziali bioelettrici precedenti la contrazione muscolare.
Una terza prospettiva utilizza ai fini psicodiagnostici non solo l'esame del comportamento spontaneo dell'individuo in situazioni consuete o eccezionali della vita corrente, ma anche del comportamento reattivo a particolari situazioni-stimolo standardizzate, artificialmente predisposte dallo psicologo. Sono evidenti, accanto ai rispettivi pregi, i limiti tecnici ed etici di queste due fonti informative: la prima, subordinata al casuale presentarsi di situazioni ambientali pertinenti a quello che necessita conoscere e alla compresenza di un osservatore legittimato, obiettivo e non interferente; la seconda, condizionata dalla possibilità di motivare il soggetto a reagire secondo certe linee a determinate situazioni-stimolo artificiali, non lesive della sua integrità fisica e sociale. Quest'ultimo procedimento costituisce la tipica situazione di test o reattivo psicologico.
Il tipo di stimolo, le istruzioni date al soggetto, il modo di rilevarne e interpretarne le reazioni, mirano a due distinti obiettivi psicodiagnostici: modalità tipiche dello stile di vita in genere o in determinate funzioni e ruoli, oppure massimo livello di prestazione raggiungibile dal soggetto. Questi due tipi complementari d'informazioni sono perseguiti rispettivamente dalle due categorie di test: di personalità (per es. caratterologici, di atteggiamenti, di adattamento sociale) e di livello (o di efficienza; per es. attitudinali, d'intelligenza, di profitto scolastico). La situazione-stimolo e le consegne date al soggetto, nel primo caso lo inducono a reagire a suo piacere e senza rischio di errore, per es. interpretando o strutturando stimoli complessi e ambigui, come nei test proiettivi. Nel secondo caso, di fronte a una data situazione problematica che coinvolge il soggetto, egli deve risolverla impegnando le sue risorse entro regole prefissate dall'esaminatore.
La prassi della p. si svolge dunque in tre fasi, più o meno estese ed equilibrate, secondo gli operatori, i soggetti, gli obiettivi. Una prima fase, analitica, comprende: rilevazione, registrazione, ordinamento, misurazione, valutazione comparativa di dati singoli o raccolti in categorie omogenee. Una seconda fase, di sintesi, interpreta e storicizza i singoli dati e il complessivo caso individuale, collocandoli in un contesto di luogo e di tempo obiettivamente reali o soggettivamente vissuti in un dato modo. Una terza fase controlla la diagnosi: o tramite l'immediato confronto con altre informazioni attendibili ma indipendenti da quelle già considerate (validazione concorrente mediante un criterio esterno) oppure accerta, alla luce dei fatti nei tempi lunghi, l'evoluzione anche solo implicita nella diagnosi (validazione predittiva). Un così articolato procedimento non è sempre possibile né compatibile con l'opera nei vari settori della psicologia applicata, per es. nel campo dell'educazione, del lavoro, nella pratica psicoterapeutica, criminologica, giudiziaria.
Oltre a difficoltà pratiche, l'attuazione di una severa p. scientifica può incontrare obiezioni di principio sia dei soggetti e/o dell'opinione pubblica - talvolta giustificate da applicazioni tecnicamente o eticamente scorrette -, sia perfino dagli stessi operatori non abbastanza qualificati o troppo inclini all'approccio intuitivo. È indiscutibile che operazioni concettuali ed empiriche finalizzate a una p. impongono sempre una combinazione di dati obiettivi ed elaborazioni di tipo intuitivo. Ancor più che per il momento descrittivo del proprio oggetto di studio, affrontato da altre scienze empiriche, si riscontra, riguardo ai problemi della p., un processo storico con fasi alterne o la compresenza di scuole scientifiche tendenti a privilegiare una di queste componenti, a intenderla in senso particolare, a combinarla con l'altra in vario modo.
Il processo psicodiagnostico, perfino se riferito a una stessa persona, può giungere a formulazioni diverse anche difficilmente confrontabili, ma ugualmente valide secondo le particolari esigenze che portano a studiare il singolo caso. A titolo di campionario citiamo tre molto differenti strategie della psicodiagnostica.
Muovendo da lontane fonti filosofiche, dall'inizio del sec. 20° si è sviluppata la scuola tedesca di "psicologia della comprensione" (Verstehende Psychologie) che, dopo il pioniere W. Dilthey (1883-1911), ha influenzato filosofi come E. Husserl (1859-1938), sociologi come M. Weber (1864-1920) e M. Scheler (1874-1928), pedagogisti come E. Spranger (1882-1963), filosofi-psichiatri come K. Jaspers (1883-1969). Iniziata accogliendo la classica contrapposizione filosofica - spiegazione dei fenomeni naturali, comprensione di quelli psichici -, tale scuola ha poi riesaminato criticamente (R. Heiss, 1956) l'intuizione dei motivi del comportamento e la tipologia delle visioni del mondo, per chiedere la verifica di diagnosi fondate solo su un soggettivo carattere di evidenza.
Concettualmente ed empiricamente si può contrapporre alla precedente la strategia, fiorita soprattutto in scuole anglofone a partire dalla mental chemistry di J. Stuart Mill. La p. si realizza in base a una preordinata e tendenzialmente universale lista di dimensioni della personalità, ciascuna presente a un dato livello nel singolo caso, che perciò viene rappresentato in un profilo individuale. Il numero e il tipo di queste dimensioni passò da meno di dieci funzioni attinenti all'efficienza mentale (C. Spearman, 1904; G. Rossolimo, 1911; L. L. Thurstone, 1941) a numeri anche molto superiori di componenti di tipo cognitivo (mentale) ed emotivo (caratterologico) identificate da autori più recenti (per es. R. B. Cattell, 1950; H. G. Gough, 1952; L. Gordon, 1953; J.P. Guilford, 1956) e in continua revisione. Dopo il 1940 tali dimensioni vengono quasi sempre identificate con l'elaborazione statistica (analisi fattoriale) di centinaia di dati ricavati da comportamenti spontanei e/o sintomi psichiatrici, introspezione, risultati di test di efficienza (rispettivamente indicati da R. B. Cattell come dati L, Q, T dalle iniziali di Life, Questionnaire e Test) di ciascun componente di larghi campioni statistici della popolazione.
Ancora contrapponibile e complementare alle due precedenti è la strategia proposta da G. A. Kelly (1955), fondata sulla sua teoria dei "costrutti personali" che opera con la tecnica della "scheda di repertorio" (1961). In campo psicologico Kelly riconosce a ogni uomo la valenza di scienziato e di oggetto di studio; in tale duplice veste forma e rielabora continuamente i costrutti mentali e gli atteggiamenti grazie ai quali percepisce l'universo, prevede gli eventi, anticipa le sue reazioni. Per conoscere i suoi "costrutti" più rilevanti si presenta a un individuo una lunga lista di contenuti (per es. nomi di persone note, concetti astratti, oggetti), se ne estraggono tre a caso e si fanno ripartire così che due abbiano un attributo comune che li distingue dal terzo; si chiede poi al soggetto di suddividere anche i restanti con lo stesso criterio. Registrata la ripartizione, si ripete il procedimento più volte con altre terzine casuali. Analizzando il significato dei contenuti che l'esaminato considera omogenei o contrapposti, si può formare un repertorio dei suoi costrutti personali e dei collegamenti fra questi. L'espressione p. risulta dunque in forma quantificata, entro un ragionevole numero di dimensioni (20-30), ciascuna rilevante per il singolo individuo perché da lui concepita, immediatamente comprensibile anche al profano.
Bibl.: W. H. Sheldon, S. S. Stevens, The varieties of temperament, New York 1942; H. J. Eysenck, Dimensions of personality, Londra 1947; E. Kretschmer, Körperbau und Charakter, Berlino 195222; W. Stephenson, The study of behavior, Chicago 1953; G. A. Kelly, The psychology of personal constructs, New York 1955; M. Reuchlin, Les méthodes quantitatives en psychologie, Parigi 1962; J. E. Horrocks, Assessment of behavior, Columbus (Ohio) 1964; Ph. E. Vernon, Personality assessment: A critical survey, Londra 1964; G. W. Allport, Pattern and growth in personality, New York 1965 (trad. it., Zurigo 1969); Personality assessment, a cura di B. Semeonoff, Baltimora 1966 (ed. it., Torino 1977); A. Anastasi, Psychological testing, New York 19683 (trad. it., Milano 1967); Advances in psychological assessment, a cura di P. McReynolds, Palo Alto (Calif.), 1968; J. N. Butcher, Objective personality assessment: changing perspectives, Londra-New York 1972; M. Novaga, A. Pedon, Contributo allo studio della personalità, Firenze 1977; R. B. Cattell, P. Kline, The scientific analysis of personality and motivation, Londra-New York 1977.