Psicologia del comportamento
di James L. McGaugh
Psicologia del comportamento
sommario: 1. Il behaviorismo in psicologia e in biologia. 2. Le radici del behaviorismo. 3. Lo sviluppo del behaviorismo. 4. Il behaviorismo: metodo e teoria. 5. Questioni concettuali inerenti al behaviorismo. 6. Le radici biologiche del comportamento. 7. Il behaviorismo: eredità e prospettive. □ Bibliografia.
1. Il behaviorismo in psicologia e in biologia
Nella sua accezione più generale il termine ‛behaviorismo' si riferisce allo studio obiettivo del comportamento dell'uomo e degli altri animali. Riuscire a comprendere il comportamento è lo scopo di diverse branche delle scienze sociali e biologiche, incluse la psicologia, l'etologia, l'antropologia, la sociologia e la psichiatria. Attualmente, nella seconda metà del XX secolo, sono pochi gli studiosi di tali discipline che sarebbero disposti a confutare l'affermazione che il comportamento è un legittimo oggetto di studio. Anzi, molti behavioristi sono convinti che sia necessario capire il comportamento, o per lo meno capire come controllarlo, se si vuole che ci sia un XXI secolo.
Il termine behaviorismo ha anche molti significati più specifici, fra i quali: 1) l'uso di metodi obiettivi nello studio del comportamento; 2) l'uso di spiegazioni teoriche del comportamento, espresse in termini comportamentistici obiettivi; 3) l'uso di tecniche behavioristiche per controllare o modificare il comportamento; 4) la concezione teorica specifica del fondatore del Behaviorismo (con la ‛b' maiuscola) americano, J. B. Watson.
Questo articolo fornisce un quadro, necessariamente succinto, dello sviluppo del behaviorismo, quadro basato sul convincimento che l'autore nutre circa i vantaggi offerti da un approccio obiettivo al comportamento e, all'opposto, circa i limiti propri delle teorie mentalistiche; riassume inoltre le varietà di comportamento, i problemi suscitati dalle formulazioni behavioristiche, e discute alcuni dei più importanti sbocchi del behaviorismo contemporaneo.
2. Le radici del behaviorismo
L'aver riconosciuto il comportamento come oggetto idoneo a un'indagine scientifica è senza dubbio un fenomeno del XX secolo. La psicologia come disciplina scientifica nacque nel corso degli ultimi decenni del XIX secolo. Mentre esistevano diversi punti di vista circa gli scopi della psicologia, l'interesse degli scienziati si focalizzò sull'analisi del contenuto della mente e l'introspezione fu accettata come il metodo appropriato per analizzare i contenuti della coscienza. La scuola dello strutturalismo, che fu sviluppata da E. Titchener (allievo di W. Wundt, il fondatore della psicologia sperimentale), considerava la psicologia come lo studio dei contenuti della mente umana ‛generica', normale, adulta (v. Boring, 1950). Anche la scuola americana del funzionalismo si concentrò sull'analisi della coscienza, ma, come lo stesso nome suggerisce, questa scuola mise in rilievo le ‛funzioni' della coscienza piuttosto che il suo ‛contenuto'. I funzionalisti si interessavano del ruolo della coscienza nel contribuire all'adattamento degli organismi ai rispettivi ambienti. Questa prospettiva stimolò l'indagine sia sul comportamento animale, sia su quello umano, allo scopo di utilizzarne i risultati per studiare la natura della coscienza e il ruolo svolto dai processi mentali consci nel favorire l'adattamento comportamentale (Angell).
Il riconoscimento di una coscienza negli animali fu dovuto in larga misura all'influenza di Ch. Darwin. Prima della pubblicazione dei libri di Darwin (v., 1859, 1871 e 1872), la maggior parte degli studiosi condivideva il punto di vista di Cartesio secondo cui gli animali non hanno coscienza. L'accettazione della teoria darwiniana dell'evoluzione richiedeva una prova della continuità fra la mente umana e quella degli animali. Il campo della psicologia comparata fu aperto da G. Romanes proprio per ottenere prove evidenti della continuità nello sviluppo della mente. Gli scritti di Romanes (v., 1895) facevano affidamento in maniera determinante sulle descrizioni popolari del comportamento degli animali. L'uso di aneddoti per valutare il comportamento animale è, ovviamente, discutibile, dato che osservatori inesperti verosimilmente non distinguono i fatti dall'interpretazione. Tali sforzi, se da una parte non procurarono i risultati necessari per dimostrare l'evoluzione della mente, tuttavia promossero lo sviluppo di osservazioni e studi sperimentali sul comportamento animale, sia in biologia che in psicologia.
In reazione agli eccessi delle interpretazioni antropomorfiche del comportamento animale, derivanti dall'uso del metodo aneddotico da parte di Romanes, C. L. Morgan fece appello alla ‛legge della parsimonia' nell'interpretazione del comportamento animale. In quello che è conosciuto come ‛canone di Lloyd Morgan' egli propone che ‟in nessun caso sia lecito interpretare un'azione come manifestazione di una facoltà psichica superiore, se c'è la possibilità di interpretarla come risultato dell'attività di una facoltà posta a un livello inferiore nella scala psicologica" (v. Morgan, 1894). Il ‛canone' non eliminava le interpretazioni mentalistiche del comportamento animale; si limitava semplicemente a sollecitare una certa cautela nella valutazione delle capacità mentali di animali infraumani. Tuttavia, senza alcun dubbio, le argomentazioni di Morgan influenzarono i successivi tentativi di eliminare tutte le interpretazioni mentalistiche del comportamento animale.
La mancanza di una definizione della coscienza rappresentava (e rappresenta tuttora) un serio limite delle teorie mentalistiche. Come si può interpretare il comportamento in termini di coscienza, e come si può affermare o negare l'esistenza di una coscienza animale se non si è in grado di definire la coscienza stessa? Un modo per affrontare il problema è cercare di dare definizioni obiettive della coscienza (un tentativo che si cerca tutt'oggi di realizzare). J. Loeb, per esempio, propose di considerare la memoria associativa come criterio per stabilire la presenza della coscienza (v. Loeb, 1918). Comunque, seguendo Morgan, la necessità di dare interpretazioni mentalistiche del comportamento fu posta seriamente in dubbio. Loeb propose una teoria tropistica del comportamento animale, che dava importanza particolare ai movimenti e si fondava su interpretazioni meccanicistiche del comportamento. Nella teoria di Loeb, la coscienza, comunque definita, non era necessaria per la spiegazione del comportamento. Questa visione obiettiva, meccanicistica del comportamento culminò nello scritto di Beer, Bethe e von Uexktill (v., 1899), in cui questi autori avanzarono l'ipotesi che si potessero sostituire tutti i concetti del mentalismo con termini obiettivi. Il termine ‛ricezione', per esempio, fu adottato al posto di sensazione. Benché altri biologi dell'epoca, come H. S. Jennings, sostenessero che persino il comportamento degli organismi più semplici era troppo complicato per poter essere spiegato col tipo di teoria meccanicistica proposto da Loeb, tuttavia le concezioni obiettive e meccanicistiche del comportamento stavano evidentemente affermandosi (v. Jennings, 1906).
In conclusione, alla fine del XIX secolo fu messa in serio dubbio l'utilità delle indagini sulla coscienza. Il diffondersi della consapevolezza dei limiti insiti nelle teorie mentalistiche e, contemporaneamente, dei vantaggi offerti da un approccio obiettivo al comportamento, portò allo sviluppo del behaviorismo, fra la fine del secolo scorso e gli inizi del secolo attuale.
3. Lo sviluppo del behaviorismo
Il behaviorismo si sviluppò per parecchie ragioni e, di conseguenza, in diverse forme. Gli sviluppi più importanti furono quelli avviati da I. P. Pavlov in Russia e da E. L. Thorndike e J. B. Watson negli Stati Uniti. La maggior parte degli sviluppi successivi della teoria behavioristica prese le mosse direttamente dalle importanti ricerche di questi pionieri. Inoltre, molte, se non la maggior parte, delle più importanti controversie teoriche sorte nell'ambito della psicologia durante questo secolo vertono su questioni sollevate dal behaviorismo nel corso del suo sviluppo. Il primo behaviorismo influenzò profondamente gli sviluppi successivi con i suoi spunti fecondi e stimolanti (v. Krech, 1968). Per valutare il contributo di questi pionieri e capire le dispute suscitate dalle loro opinioni, è necessario riassumere brevemente i punti fondamentali delle loro concezioni.
I. P. Pavlov cominciò i suoi studi sui riflessi condizionati nell'ultimo decennio del XIX secolo. Le prime scoperte furono comunicate nel 1901 e i risultati degli studi condotti nel suo laboratorio furono riassunti nel suo libro Conditioned reflexes, pubblicato in inglese nel 1927. Pavlov fu profondamente influenzato dalle idee del fisiologo sovietico I. M. Sečenov che suggeriva di considerare le attività del cervello come riflessi (v. Sečenov, 1935). Pavlov era anche a conoscenza degli sviluppi del pensiero behaviorista in biologia e in psicologia. Ma fino a quel momento erano stati compiuti pochi tentativi a livello sperimentale per studiare l'attività mentale da un punto di vista obiettivo. Pavlov giunse alla conclusione che i tempi erano maturi per passare all'analisi sperimentale dell'argomento analisi che doveva essere obiettiva quanto quelle effettuate in ogni altra branca delle scienze naturali (v. Pavlov, 1927).
La scoperta più importante di Pavlov fu che, in seguito a un accurato accoppiamento di due diversi stimoli, la risposta normalmente suscitata da uno dei due stimoli può essere suscitata dall'altro. Di conseguenza si possono addestrare dei cani a produrre secrezione salivare quando sentono il rumore prodotto da un metronomo, associando la salivazione, cioè la risposta suscitata dallo stimolo del cibo, al rumore prodotto da un metronomo. Il semplice fatto che i cani potessero essere addestrati non era, ovviamente, nè nuovo nè importante. L'importante era che Pavlov aveva sviluppato un metodo per controllare la formazione di associazioni. Inoltre, l'associazione veniva misurata obiettivamente come risposta comportamentale. Quindi si poterono studiare i riflessi condizionati altrettanto obiettivamente quanto i riflessi incondizionati. A dispetto della prospettiva concettuale, ovvero dell'ideologia, adottata da Pavlov, egli e i suoi allievi furono tentati, in un primo tempo, d'interpretare il condizionamento in termini soggettivi. Nei suoi primi scritti Pavlov, riferendosi all'effetto prodotto dal condizionamento, usò la locuzione ‛secrezione psichica'. Uno dei suoi primi allievi, A. N. Snarski, propose d'interpretare i risultati in termini di pensieri, desideri ed emozioni degli animali usati negli esperimenti. Comunque, Pavlov alla fine rifiutò questo tipo soggettivo d'interpretazione e divenne uno dei più accaniti fautori dell'approccio obiettivo allo studio del comportamento. Per Pavlov il comportamento era importante come mezzo per comprendere l'attività cerebrale precisamente i riflessi cerebrali secondo il punto di vista proposto da Sečenov. Pavlov così si espresse ‟Il riflesso condizionato è un fenomeno comune e assai diffuso. Si tratta, chiaramente, di ciò che noi riconosciamo in noi stessi e negli animali dandogli altri nomi come addestramento, disciplina, educazione, abitudini; tutte queste cose non sono altro che associazioni fatte nel corso dell'esistenza individuale, associazioni fra stimoli esterni definiti e le reazioni relative. Sicché il riflesso condizionato apre al fisiologo la via per studiare una parte considerevole e forse tutta l'attività nervosa" (v. Pavlov, 1957, pp. 147-148).
Pavlov influenzò profondamente lo sviluppo del behaviorismo. I suoi metodi sperimentali fornirono un mezzo per indagare obiettivamente le caratteristiche comportamentali degli animali, che lo sperimentatore poteva finalmente interrogare. Non si può chiedere agli animali se sono in grado di ‛vedere' i colori, ma si può cercare di sapere se essi sono in grado di distinguere i colori usando tecniche di condizionamento. Quindi i procedimenti obiettivi sviluppati da Pavlov hanno avuto un'influenza permanente e benefica sugli studi sperimentali del comportamento animale. Le sue tecniche diedero un sostegno metodologico all'esigenza behavioristica di una psicologia obiettiva, e le sue scoperte influenzarono anche, profondamente, la concezione behavioristica. La risposta condizionata venne a essere considerata ben presto, da alcuni behavioristi, un'unità fondamentale di comportamento. L'influenza di Pavlov verrà discussa in dettaglio nei prossimi capitoli.
E. L. Thorndike cominciò i suoi studi sul problem solving negli animali quando era allievo di W. James a Harvard. Pubblicò i risultati dei suoi primi studi fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. In quelli che forse sono i suoi più noti esperimenti, Thorndike studiò il comportamento di alcuni gattini nell'atto di imparare a scappare da apposite scatole, e giunse alla conclusione che l'apprendimento della risposta corretta si realizzava a mano a mano che le risposte date accidentalmente si riducevano di tentativo in tentativo. In un primo momento egli propose l'ipotesi che l'apprendimento si fondasse su due principî o leggi: la ‛legge dell'esercizio' e la ‛legge dell'effetto'. Secondo la prima legge, tratta dalla teoria dell'associazione diffusa nel XIX secolo, le risposte già date è probabile che continuino a essere date. In seguito Thorndike ridimensionò l'importanza della legge dell'esercizio. La legge dell'effetto divenne la pietra angolare della sua teoria (v. Thorndike, 19112). In sostanza tale legge affermava che le risposte che producono conseguenze soddisfacenti vengono rafforzate. In altre parole, il legame fra uno stimolo e una risposta è rafforzato dal successo. Come Pavlov (ma contrariamente agli altri behavioristi dell'epoca), Thorndike pensava in termini fisiologici piuttosto che mentalistici. La soddisfazione era definita fisiologicamente come un processo che riguardava meccanismi sinaptici che egli considerava alla base dell'apprendimento. Una soddisfazione era definita behavioristicamente come un qualche cosa che l'animale non evita e spesso cerca anzi di ottenere.
Quindi Thorndike propose una teoria dell'apprendimento i cui elementi principali erano gli stimoli, le risposte e una legge che governava la formazione di connessioni. Per Thorndike la mente era un sistema di connessioni che scopriva i legami esistenti fra situazioni e risposte. La concezione connessionistica dell'apprendimento proposta da Thorndike influenzò profondamente gli studi sperimentali sull'apprendimento degli animali e promosse un ulteriore sviluppo delle teorie behavioristiche. Le concezioni di Thorndike finirono per dominare sia la teoria sia il metodo e furono fonte di molte importanti controversie. Il suo metodo di addestramento degli animali, che fu chiamato ‛condizionamento strumentale', dato che il comportamento dell'animale era strumentale al fine di ottenere la ricompensa, fu largamente adottato e condusse allo sviluppo di larga parte dell'attuale tecnica di addestramento degli animali, comprese le procedure di condizionamento operante usate in seguito da B. F. Skinner. Thorndike, quindi, come il suo contemporaneo Pavlov, influenzò sia la metodologia sia la teoria dell'approccio behavioristico in psicologia, allora in via di sviluppo.
J. B. Watson è generalmente considerato il fondatore del behaviorismo. È chiaro tuttavia che le idee behavioristiche si svilupparono come conseguenza di molteplici orientamenti teorici convergenti. Le radici del behaviorismo furono profonde ed estese, e le sue diramazioni assunsero varie forme. Per di più, l'‛orientamento sul rendimento', tipico del funzionalismo americano procurò al behaviorismo un terreno fertile. Le affermazioni di Watson diedero senza dubbio una coerenza e una direttiva allo sviluppo del behaviorismo. Grazie alla chiarezza delle sue concezioni behavioristiche, nonché al fatto che egli propose il behaviorismo molto esplicitamente, sia come metodo, sia come teoria, Watson ne divenne l'esponente più autorevole. Nel 1913 egli scrisse: ‟La psicologia, così come il behaviorista la concepisce, è una branca sperimentale puramente obiettiva delle scienze naturali. Il suo scopo teorico è la predizione e il controllo del comportamento. L'introspezione non costituisce la parte essenziale dei suoi metodi, nè il valore scientifico dei suoi dati dipende dalla prontezza con cui essi si prestano a essere interpretati in termini di coscienza. Il behaviorista, nei suoi tentativi di ottenere uno schema unico per le risposte degli animali, non riconosce una linea di demarcazione fra l'uomo e la bestia. Il comportamento umano, con tutte le sue sottigliezze e complessità, costituisce solo una parte dello schema generale d'indagine del behaviorista" (v. Watson, 1913, p. 158). Evidentemente, questa concezione è in perfetto accordo con quelle dei behavioristi precedenti e contemporanei, compresi Pavlov e Thorndike. Ma l'affermazione di Watson era una sfida esplicita alla psicologia mentalistica del suo tempo: la coscienza non doveva essere il fulcro della ricerca e il comportamento degli animali veniva considerato un legittimo oggetto di studio. Proprio pochi anni prima Watson aveva portato a termine una tesi, sotto la guida del caposcuola funzionalista, J. R. Angell, che trattava del ruolo delle sensazioni cinestetiche nei ratti durante l'esperimento del labirinto. Di conseguenza, l'affermazione fatta nel 1913 rappresentò un chiaro mutamento nelle stesse concezioni di Watson.
In articoli e libri successivi, egli sviluppò più estesamente la sua concezione del behaviorismo (v. Watson, 1925), e propose di considerare il comportamento come un insieme di risposte muscolari associate, attraverso il condizionamento, a determinati stimoli. Egli considerò la risposta condizionata come l'unità di comportamento. Tutti i concetti mentalistici furono ridotti a risposte periferiche; il pensiero, per esempio, venne considerato come un discorso subvocale. Egli propose una forma estrema di ‛ambientalismo' che sottolineava l'importanza dell'apprendimento e minimizzava il ruolo dell'ereditarietà nello sviluppo. In quella che probabilmente è la sua affermazione più frequentemente citata, sosteneva: ‟Datemi una dozzina di neonati in buona salute e di sana costituzione, e datemi la possibilità di allevarli a modo mio, e vi garantisco di poter prendere a caso ognuno di loro e addestrarlo a diventare un qualsiasi tipo di specialista - un medico, un avvocato, un artista, un mercante e persino un mendicante e un ladro, indipendentemente dai suoi talenti, dalle sue inclinazioni, tendenze, capacità, vocazioni e dalla razza dei suoi antenati" (ibid., p. 118).
Il behaviorismo di Watson era quindi associazionistico, elementaristico, periferalistico e ambientalistico. Esso fornì un metodo e una teoria completamente behavioristici e del behaviorismo adottò le mete pratiche e concettuali. Come accennato, Watson era interessato al controllo del comportamento. Si deve sottolineare il fatto che questa è una forma speciale di behaviorismo. Le premesse behavioristiche non danno necessariamente un'importanza speciale alle influenze ambientali, nè richiedono necessariamente concezioni periferalistiche del comportamento. Inoltre, un'analisi obiettiva del comportamento può limitarsi a una descrizione; non è essenziale, per un approccio behavioristico, dare un rilievo speciale al controllo del comportamento. Quindi, per poter valutare il behaviorismo, si deve distinguere fra behaviorismo come approccio obiettivo per comprendere il comportamento e i propositi specifici che costituiscono il behaviorismo di Watson. Ciò nonostante, l'importanza della concezione di Watson non deve essere sottovalutata. La sua concezione del comportamento influenzò profondamente la psicologia, sia a livello teorico sia a livello pratico, per parecchi decenni. Il behaviorismo watsoniano fu ben accolto dalla psicologia americana; inoltre, è doveroso sottolinearlo, esso era compatibile con l'ideologia politica e sociale americana dell'epoca.
4. Il behaviorismo: metodo e teoria
Le concezioni di Pavlov, Thorndike e Watson dominarono il pensiero behaviorista in psicologia per parecchi decenni, e, in forma modificata, sono tuttora molto influenti. Il behaviorismo come metodologia fu anche prontamente accettato dagli studiosi del comportamento animale, sia in campo biologico sia in quello psicologico. Il motivo per il quale s'intrapresero accurati studi a livello descrittivo del comportamento animale era l'intrinseco interesse suscitato dall'osservazione delle caratteristiche di tale comportamento. Non era necessario giustificare la ricerca in funzione del problema dell'evoluzione mentale; vale a dire che la ricerca non procedeva intorno a un fulcro ‛antropocentrico'. Nell'ambito della biologia lo studio obiettivo del comportamento divenne poi noto come etologia. Studi descrittivo-naturalistici e sperimentali sul comportamento animale furono portati avanti con grande impegno soprattutto in Europa e in Inghilterra. Ai primi studi, fatti in base all'osservazione (v. Fabre, 1879-1903), fecero seguito studi più sistematici sul comportamento di varie specie animali, compresi gli Insetti, i Pesci e gli Uccelli, oltre ai Mammiferi. Nel 1973 tre pionieri dell'etologia, K. von Frisch, K. Lorenz e N. Tinbergen sono stati insigniti del premio Nobel per la medicina e la fisiologia per gli approfonditi studi da essi effettuati sul comportamento sociale degli animali. Seguendo le prime osservazioni di Spaulding e di Heinroth, Lorenz ha studiato la natura dell'imprinting, l'emergere di forme di attaccamento sociale in neonati di animali, in particolare uccelli come anatre e oche (v. Lorenz, 1957). Tinbergen ha studiato il comportamento di animali appartenenti a molte specie diverse, ma forse egli è conosciuto soprattutto per i suoi studi sull'attività di corteggiamento di un piccolo pesce chiamato spinarello (v. Tinbergen, 1951). Von Frisch è famoso per i suoi vasti e brillanti studi sulla comunicazione nelle api.
L'etologia è evidentemente una forma di behaviorismo. Tuttavia, in contrasto con il behaviorismo di Watson e con forme successive di behaviorismo, sviluppate negli Stati Uniti, l'etologia è cresciuta al di fuori di un'impostazione naturalistica, e gli etologi hanno preferito interpretazioni del comportamento che dessero importanza preminente a fattori genetici anziché a fattori ambientali. Gli studi sul comportamento ‛istintivo' hanno dominato la ricerca etologica. Ma l'importanza degli studi etologici dipende dall'accuratezza con cui viene descritto il comportamento, generalmente grazie a osservazioni fatte in ambiente naturale o quasi. Benché vi siano stati alcuni sviluppi dell'etologia negli Stati Uniti, tuttavia le influenze behavioristiche sono state preponderanti negli studi di laboratorio sul comportamento animale - soprattutto negli studi sull'apprendimento e sull'esecuzione di compiti (performance) da parte di animali da laboratorio, come ratti, gatti, cani e scimmie. Sono stati fatti studi approfonditi circa gli effetti di diverse condizioni sperimentali sull'apprendimento e sull'esecuzione di risposte già apprese. Molte ricerche sono state condotte in base a problemi non direttamente connessi con posizioni teoriche. L'interesse si è accentrato sull'indagine delle procedure ottimali per ottenere un apprendimento e un insieme di prestazioni validi. Per esempio, i classici studi di Harlow sull'influenza dell'apprendimento sull'apprendimento successivo, o ‛apprendimento ad apprendere', sono nati come sviluppo degli studi precedenti, di carattere descrittivo e ateorico, sull'apprendimento degli animali (v. Harlow, 1949). Altri ricercatori hanno cercato di confrontare le modalità di apprendimento di diverse specie (v. Thorpe, 1963). Sia le procedure di tipo pavloviano sia le procedure ispirate alle concezioni di Thorndike sono state ampiamente usate negli studi sull'apprendimento discriminativo. I metodi behavioristici hanno anche influenzato lo sviluppo d'indagini fisiologiche sul comportamento e le tecniche introdotte dal behaviorismo hanno reso possibile lo studio del cotrollo neurale del comportamento (v. Beach e altri, 1960). Molti ricercatori hanno studiato gli effetti di lesioni cerebrali, droghe, ormoni e altri fattori sull'apprendimento e sulle capacità di esecuzione di compiti (v. Munn, 1950). Questi studi, pur condotti con metodi behavioristici, furono effettuati per comprendere le basi fisiologiche del comportamento. Alcune ricerche fisiologiche erano collegate con questioni teoriche behavioristiche, ma la maggior parte non lo era. Tralasciando ogni considerazione circa la natura e il destino del behaviorismo come teoria, resta il fatto che i metodi behavioristici rappresentano un suo lascito permanente. Gli stessi tipi di procedure behavioristiche vengono usati dai ricercatori di ogni corrente teorica. La differenza sostanziale consiste nell'interpretazione delle osservazioni fatte.
Quindi, da molti punti di vista, il comportamento è stato ampiamente accettato dagli scienziati, sociologi e biologi del XX secolo come legittimo oggetto di studio, e i metodi behavioristici sono stati universalmente adottati. Negli Stati Uniti, in particolare, il behaviorismo fu anche largamente accettato come teoria o ideologia. Le idee e i fatti presentati da Pavlov, Thorndike e Watson diedero luogo a molte importanti teorie ‛neobehavioristiche' del comportamento che ponevano particolarmente l'accento sui principi ambientalistici. Una caratteristica comune a queste teorie neobehavioristiche era l'adesione alle spiegazioni behavioristiche. In generale queste teorie rifiutavano e ignoravano le spiegazioni fisiologiche dando la preferenza a leggi e principi più ‛molari'. Ma le singole teorie proposero principi assai diversi e, di conseguenza, diedero luogo a grosse battaglie, sia a livello empirico sia a livello teorico, che si protrassero per parecchi decenni. E, come altre grandi dispute verificatesi nel XX secolo, la battaglia non terminò con vittorie definitive. Si suol dire spesso che le teorie non vengono scartate, ma soltanto sostituite da teorie migliori. Dato che finora non esiste una teoria generale del comportamento accettata largamente, non deve sorprendere che persino alcuni dei più dubbi principi della teoria di Watson, nonché delle teorie neobehavioristiche, influenzino tuttora la teoria delle scienze del comportamento. Molte delle ricerche condotte dal 1925 al 1960 circa, sono state stimolate dalle teorie neobehavioristiche di E. R. Guthrie, E. Ch. Tolman, C. L. Hull e B. F. Skinner. Per capire e valutare gli orientamenti behavioristici contemporanei, è essenziale esaminare brevemente alcuni dei più importanti principi proposti da questi autorevoli teorici.
Il Guthrie ha proposto quella che probabilmente è la più semplice teoria del comportamento. Per Guthrie l'apprendimento consisteva nell'acquisizione di schemi (patterns) di movimento. Il suo semplice principio sull'apprendimento diceva: ‟Una combinazione di stimoli che ha accompagnato un movimento, tenderà, ripetendosi, a essere seguita da quel movimento" (v. Guthrie, 1935, p. 26). Questo è behaviorismo associazionistico, ambientalistico, periferalistico nella sua forma forse più pura e più semplice. Guthrie sosteneva che tutti i più importanti fenomeni connessi con l'apprendimento, inclusi il condizionamento pavloviano e l'apprendimento per prove ed errori (v. Thorndike, 19112), si sarebbero potuti spiegare facilmente con l'associazione, fatta su un singolo tentativo, di un movimento a uno stimolo. Quindi la contiguità S-R (stimolo-risposta) fu proposta in sostituzione dell'associazione di idee, concetto proprio delle teorie mentalistiche dell'associazione (v. James, 1890). Secondo Guthrie, l'apprendimento si realizza in un singolo tentativo: la ripetizione porta a un miglioramento delle prestazioni semplicemente perché un comportamento adeguato consiste in molti movimenti, ognuno dei quali deve essere associato agli schemi di stimolo (stimulus patterns). Le ricompense influenzano l'apprendimento in quanto conservano le associazioni S-R; esse mutano gli schemi di stimolo e, di conseguenza, garantiscono che l'ultima risposta precedente la ricompensa (che può essere il cibo o la fuga) sarà ridata dall'animale quando si ritroverà di fronte allo stimolo associato a tale risposta.
Guthrie, come molti altri behavioristi, si interessava del controllo del comportamento. Egli sosteneva che il suo principio poteva essere applicato praticamente nel campo dell'educazione - nel mutare gli schemi di comportamento per fronteggiare i disordini del comportamento. Il modo per ottenere un comportamento desiderato consiste nel predisporre la situazione in tal maniera che i segnali ambientali diano luogo al comportamento voluto. Questa opinione di carattere generale è, come vedremo in seguito, simile per alcuni aspetti a quella proposta dallo Skinner: il comportamento viene modellato da circostanze ambientali. Affinché la concezione di Guthrie sia valida è necessario definire accuratamente stimoli e risposte. Il problema della definizione di S e R, proprio di tutte le teorie S-R, sarà discusso dettagliatamente nel prossimo capitolo.
La più importante teoria neobehavioristica fu quella proposta dallo Hull in una serie di articoli e di libri (v. Hull, 1943, 1951 e 1952). Come Outhrie, anche Hull sostenne una teoria espressa in termini di stimolo-risposta. Ma, contrariamente a Guthrie, Hull propose un insieme di principi molto complicati come regole del comportamento. Hull accettò la risposta condizionata di Pavlov come unità o elemento componente di ogni comportamento complesso e accettò la legge dell'effetto di Thorndike come principio fondamentale dell'apprendimento. Quantunque la teoria sia stata sviluppata e sottoposta a modifiche e revisioni, Hull e i suoi allievi si attennero sempre all'opinione che l'apprendimento consistesse nell'acquisizione di abitudini secondo il meccanismo stimolo-risposta e che le conseguenze delle risposte (ricompense o punizioni) fossero essenziali per l'apprendimento. Quindi la concezione di Hull diede luogo a una linea di ricerca centrata su due importanti interrogativi: 1) si può spiegare concettualmente il comportamento, in maniera adeguata, come acquisizione di abitudini S-R? 2) che cosa è un elemento di rinforzo, e, comunque lo si definisca, il rinforzo costituisce una condizione necessaria ovvero sufficiente per l'apprendimento?
Le teorie behavioristiche stimolo-risposta accettarono evidentemente le più importanti affermazioni di Watson. Tali teorie mettevano l'accento sulle spiegazioni behavioristiche in termini di influssi ambientali, ed evitavano l'uso di termini mentalistici. Inoltre, la teoria S-R, in particolare quella di Hull, diede origine a un gran numero di ricerche sperimentali. Essa fu rifinita e ulteriormente sviluppata dai colleghi e dagli allievi di Hull, fra cui, in particolare, N. E. Miller (v., 1959) e K. W. Spence (v., 1937).
Mentre la teoria S-R si stava sviluppando grazie all'opera di Guthrie, Hull e altri, il Tolman proponeva un tipo diverso di teoria del comportamento, una teoria che faceva uso esplicitamente di termini mentalistici. Ma, in accordo con le influenze behavioristiche dell'epoca, i concetti esplicativi mentalistici furono definiti behavioristicamente e operativamente. Tolman rifiutò la ‛reazione muscolare' (muscletwitchism) periferale di Watson e propose ‟una nuova formula per il behaviorismo" (v. Tolman, 1922), che poneva in rilievo gli atti del comportamento piuttosto che la risposta come definita da Watson. In scritti successivi egli sviluppò le definizioni behavioristiche di idea, coscienza, emozione, intenzione e percezione, e nel 1932 compendiò il suo nuovo behaviorismo nel libro Purposive behavior in animals and man. Tolman sosteneva che il comportamento non consistesse in abitudini S-R, ma fosse piuttosto caratterizzato dal fatto di essere ‛finalistico'. L'intenzionalità veniva definita obiettivamente come ‟persistenza e duttilità relativa a certe mete". Quindi il behaviorismo di Tolman metteva a fuoco la variabilità delle risposte e le risposte stesse come realizzazioni piuttosto che come contrazioni muscolari e secrezioni ghiandolari. Mentre Watson e i teorici neobehavioristi che sostenevano la teoria S-R bandirono i termini mentalistici, Tolman deliberatamente reintrodusse variabili mentalistiche come concetti esplicativi. Aspettative e ‛cognizioni' erano le alternative da lui proposte alle abitudini S-R. La sua concezione pose in rilievo fenomeni che era difficile se non impossibile spiegare in termini di condizionamento S-R (v. Deutsch, 1956). Tolman e i suoi allievi condussero una serie di esperimenti che dimostrarono la natura ‛finalistica' dell'apprendimento. In una serie di studi condotti nel laboratorio di Tolman, D. Krech dimostrò che il comportamento del ratto in un caso di problem solving non era costituito da risposte casuali fornite dall'animale. Le risposte erano sistematiche e potevano essere meglio caratterizzate come una verifica di ‛ipotesi' (v. Krechevsky, 1932). Quindi se Tolman era chiaramente un behaviorista, la sua teoria era una teoria ‛cognitiva' del comportamento. Le sue concezioni rappresentarono la sfida più impegnativa alle opinioni dei teorici S-R suoi contemporanei e hanno influenzato le successive teorie cognitive del comportamento. Tolman dimostrò che una teoria behaviorista non doveva necessariamente essere periferalistica o addirittura radicalmente ambientalistica: condusse studi circa le influenze genetiche sulle facoltà di apprendimento e spinse R. C. Tryon a portare avanti studi approfonditi di genetica dell'apprendimento nel ratto (v. Tryon, 1940).
Un'altra forma ancora di behaviorismo fu proposta dallo Skinner in una serie di scritti a partire dal 1930, e in parecchi libri (v. Skinner, 1938, 1957 e 1971). Egli non elaborò una teoria del comportamento, ma piuttosto una proposta relativa al controllo del comportamento. Egli sosteneva che ‟quando si sia riusciti a realizzare un effettivo controllo sull'organismo, le teorie del comportamento perdono la loro importanza. Per rappresentare e maneggiare variabili importanti, un modello concettuale non serve; noi siamo alle prese con il comportamento stesso" (v. Skinner, 1959). Seguendo Thorndike, Skinner suggerisce che il comportamento sia regolato dal rinforzo. Ma contrariamente a Thorndike egli non propone alcun meccanismo, a parte il principio empirico. La potenza di tale principio è dimostrata dall'efficacia delle ricompense nel determinare il comportamento di altri animali, compresi anche gli uomini, oltre ai ratti e ai piccioni. La legge empirica dell'effetto viene proposta come base di ogni tecnica educativa e per il controllo della cultura. Skinner ha posto esplicitamente in rilievo che tale principio può essere applicato all'acquisizione del linguaggio, alla psicoterapia, all'insegnamento, e ad altri aspetti del comportamento umano. Le concezioni di Skinner esercitano ancora un influsso preponderante sulle scienze del comportamento. Benché abbiano sollevato alcune critiche, esse tuttavia sono state ampiamente accettate.
5. Questioni concettuali inerenti al behaviorismo
Il behaviorismo dal punto di vista teorico si occupa delle cause del comportamento nonché della sua descrizione. Da Watson a Skinner i behavioristi hanno sviluppato un particolare interesse per il controllo del comportamento. In alcune teorie la capacità di tale controllo è considerata come un banco di prova delle spiegazioni fornite dalla teoria stessa. Il controllo del comportamento rappresenta addirittura lo scopo specifico di molte teorie behavioristiche. Negli Stati Uniti, in particolare, il behaviorismo ha sottolineato il ruolo delle esperienze passate nel controllo del comportamento attuale. I behavioristi orientati in senso etologico, d'altronde, pongono l'accento sul ruolo dei processi biologici innati. Ma per tutti i behavioristi, indipendentemente dalle diverse tendenze, l'analisi del comportamento richiede la specificazione delle risposte comportamentali che si verificano in particolari condizioni di stimolo. Ciò significa che il behaviorismo richiede una definizione precisa dello stimolo che suscita la risposta, nonché della natura della risposta. Inoltre, a meno che si tratti di behaviorismo puramente descrittivo, si devono specificare i principi che determinano la regolarità stimolo-risposta osservata; ogni teoria deve spiegare in qualche modo perché specifiche risposte vengono date in presenza di una specifica stimolazione. Abbiamo già passato in rassegna i tentativi fatti dalle diverse teorie behavioristiche per affrontare tali questioni. Nessuna soluzione proposta si è rivelata adeguata. Le formulazioni stimolo-risposta hanno tutte avuto difficoltà a caratterizzare lo stimolo, la risposta e gli influssi delle esperienze passate. Il problema fondamentale è che la complessità dei processi sensorio-percettivi e del comportamento non si presta facilmente a spiegazioni semplicistiche.
Problemi inerenti alle formulazioni S-R del comportamento. - A livello di buon senso tutti sappiamo che cosa significa stimolo. E tutti possiamo capire che cosa s'intende dire con l'asserzione che un quadrato nero o il suono di un metronomo possono essere usati come stimoli condizionati in un esperimento di condizionamento pavloviano. Ma per effettuare un controllo del comportamento con la necessaria accuratezza, o per capire il comportamento, è necessaria una definizione più precisa dello stimolo. Che cosa intendeva dire Watson con le parole: ‟in un sistema psicologico completamente elaborato, data la risposta, dev'essere possibile risalire agli stimoli [...]"? (v. Watson, 1913, p. 167). Per un behaviorista periferale, lo stimolo dev'essere l'eccitazione dei recettori sensoriali. Ma gli stimoli si presentano in forma di schemi (patterns), oggetti ed eventi. I fatti fondamentali della costanza percettiva precludono la possibilità di accettare una definizione periferalista dello stimolo. Come mai un oggetto come un quadrato nero suscita una risposta come se fosse uno stimolo costante (o percepito come tale, se è consentito l'uso di una terminologia mentalistica), anche se vengono modificate le condizioni di illuminazione e se lo schema di eccitazione della retina è trapezoidale anziché quadrato? E come mai si risponde al quadrato come se fosse lo stesso stimolo, quando viene presentato a distanze diverse, anche se la dimensione sulla retina varia con la distanza? Come ha fatto notare E. Brunswik, la validità dei segnali prossimali (recettore) per giudicare dimensione e distanza è lungi dall'essere perfetta. La dimensione di un oggetto, come viene proiettato sulla retina, è, per esempio, scarsamente correlata con la dimensione reale, dato che la dimensione sulla retina è determinata anche dalla distanza. Eppure noi siamo capaci di giudicare le dimensioni e le distanze degli oggetti con notevole precisione. In qualche modo noi siamo capaci di utilizzare un'informazione prossimale inattendibile (sensoria periferale) per formare validi giudizi circa le dimensioni e le posizioni degli oggetti che ci circondano. Secondo Brunswik noi elaboriamo attivamente le stimolazioni in modo da ottenere un'accurata rappresentazione dell'ambiente. Dato che ogni segnale periferale usato (come la dimensione sulla retina, la quota nel campo visivo, ecc.) è alquanto inattendibile, Brunswik ha immaginato tale processo di elaborazione come una forma di funzionalismo probabilistico. Lo stimolo è qualcosa in più della stimolazione di un recettore; l'elaborazione di uno ‛stimolo' organizzato sembra coinvolgere un processo d'informazione molto complesso (v. Brunswik, 1955).
L'importanza dei fattori relazionali nella percezione fu sottolineata da C. von Ehrenfels nel XIX secolo e posta in massima evidenza dagli psicologi della forma. Noi riconosciamo immediatamente il motivo di una canzone anche se viene suonata o cantata in chiavi diverse; vale a dire, anche se gli specifici elementi sensori eccitati sono completamente differenti, il motivo viene riconosciuto sino a quando le relazioni fra gli elementi si mantengono costanti entro certi limiti.
Questi fatti hanno messo in imbarazzo le teorie del comportamento basate sul meccanismo periferale S-R. È difficile capire come l'apprendimento possa consistere in una connessione fra uno stimolo e una risposta, se uno stimolo è un oggetto, un evento, o una relazione fra oggetti ed eventi, piuttosto che un'eccitazione di uno specifico recettore. In ultima analisi sembrerebbe che la teoria S-R debba essere meno periferale e debba accettare una definizione di stimolo in termini di sistema nervoso centrale. Gli esperimenti sugli animali indicano chiaramente che la relazione fra stimoli (la dimensione o la luminosità relativa) può essere uno ‛stimolo' efficace (v. Köhler, 1929). Tentativi di spiegare sia la capacità di rispondere a relazioni, sia la trasposizione di relazioni, in termini di principi di condizionamento e generalizzazione behavioristici (v. Spence, 1937), non sono stati suffragati da scoperte sperimentali (v. Lawrence, 1963; v. Riley, 1958). È chiaro che le teorie dell'apprendimento devono tener conto di questi fatti riguardanti la percezione (v. Leeper, 1963). Un altro problema ancora è il fatto che noi rispondiamo selettivamente agli stimoli che ci colpiscono. La presentazione di uno stimolo o l'eccitazione dei recettori sensoriali non garantiscono che lo stimolo regolerà il comportamento. Come mai noi siamo in grado di ascoltare selettivamente una voce in mezzo a molte altre voci? Il problema dell'attenzione selettiva ha procurato serie difficoltà alle teorie S-R del comportamento (v. Weinberger, 1971). Inferire lo stimolo dalla risposta e viceversa si è dimostrato un compito assai più difficile di quanto Watson presumesse.
Definire la risposta nell'ambito della formulazione S-R del comportamento si è dimostrato un compito altrettanto arduo. Per Watson le risposte erano contrazioni muscolari e secrezioni ghiandolari. Mentre è vero che le risposte coinvolgono muscoli e ghiandole, un'analisi del comportamento che non vada al di là dei dettagli delle risposte muscolari e ghiandolari dà luogo a una concezione incompleta e superficiale. È strano che le teorie behavioristiche abbiano in pratica ignorato, a eccezione di quella di Guthrie, i particolari delle risposte comportamentali. Negli studi sull'apprendimento fatti su animali da laboratorio, il progresso viene in genere misurato in termini di frequenza, velocità o energia con cui l'animale adatta il proprio comportamento alla realizzazione di attività quali scappare da una gabbia, entrare in un viale bianco, premere una sbarra o correre esclusivamente sul percorso giusto di un labirinto. Sicché le teorie del comportamento hanno posto l'accento sulle realizzazioni piuttosto che sui dettagli delle risposte di un animale. Gli animali possono ottenere, e in effetti così fanno, la stessa conseguenza rispondendo in diversi modi. Dal punto di vista dell'animale, la risposta non è un modello stereotipato di risposte muscolari, ma piuttosto ciò che deve essere fatto per ottenere un certo risultato. Watson suggeriva che l'abilità dei ratti nel percorrere il labirinto fosse basata sullo sviluppo di una catena di riflessi motori appresi. Gli esperimenti di K. Lashley (v. Beach e altri, 1960) hanno dimostrato l'inadeguatezza di questo tipo di teoria. I ratti potrebbero eseguire la risposta ‛corretta' in un labirinto anche se fossero stati sottoposti a un trattamento chirurgico, in conseguenza del quale non fossero in grado di eseguire risposte motorie precise (cioè un intervento chirurgico sul cervello). Il Tolman e i suoi allievi hanno condotto una serie di esperimenti che hanno mostrato che i ratti possono dare la stessa risposta generale in molti modi diversi. Per esempio, i ratti addestrati a camminare attraverso un labirinto nuotano immediatamente lungo il percorso corretto se il labirinto viene allagato. Questi fatti non possono essere spiegati nell'ambito di teorie S-R periferali come quelle proposte da Watson e Guthrie. La natura ‛finalistica' dell'apprendimento e dell'esecuzione (performing), messa in evidenza da Tolman, fu la ragione principale dello sviluppo delle concezioni neobehavioristiche di Tolman e Hull e del behaviorismo descrittivo di Skinner. Questi primi esprimenti indicarono chiaramente che una risposta dev'essere considerata come qualcosa di più complesso che non una specifica contrazione muscolare. Ma che cosa viene appreso se la stessa realizzazione può essere ottenuta in modi del tutto diversi - usando diversi muscoli e diversi schemi motori? Le teorie behavioristiche furono costrette ad accettare processi ‛centrali' più complessi come causa del comportamento o a diventare meno analitiche nello specificare la natura della risposta. Hull e i suoi allievi giunsero ad ammettere una distinzione (già proposta precedentemente da Tolman) fra apprendimento ed esecuzione (performance) e, pur mantenendo la terminologia behavioristica, proposero che il comportamento potesse essere spiegato tramite variabili intermedie supposte ma non osservate. La teoria S-R divenne la teoria S-O (organismo)-R. La teoria neobehavioristica s'impegnò in gran parte nello specificare i tipi di variabili intermedie che sembravano necessarie per spiegare un comportamento complesso (v. Osgood, 1953). Mentre Tolman e i suoi allievi proponevano variabili intermedie di tipo cognitivo espresse in termini mentalistici (ma definiti behavioristicamente), come ‛aspettativa', Hull e i suoi allievi sostenevano spiegazioni che davano importanza primaria alla risposta condizionata considerata come unità fondamentale. Ma, come abbiamo visto, il condizionamento di risposte implicite, come le ‛risposte finalistiche anticipatorie frazionate', chiaramente toglie importanza alla ‛R' delle teorie behavioristiche S-R. Questi abbellimenti hanno cambiato drammaticamente la teoria del comportamento. Verso la fine degli anni cinquanta, le teorie ‛barocche' del neobehaviorismo erano behavioristiche solo in quanto restavano legate a osservazioni del comportamento, a livello di metodo, e all'uso di termini definiti behavioristicamente, nelle loro spiegazioni teoriche. Vale forse la pena di osservare a questo proposito che, poiché a quell'epoca era già possibile parlare di comportamento ‛intenzionale' di servomeccanismi come i termostati e persino i missili guidati, non vi sarebbe stata alcuna ragione per non usare tali termini nella descrizione del comportamento degli animali o addirittura dell'uomo.
Le teorie behavioristiche, come abbiamo osservato sopra, hanno accentuato il ruolo dell'apprendimento nel controllo del comportamento. Quindi, il compito più importante di tali teorie è consistito nel cercare di spiegare come le esperienze passate influenzino il comportamento presente. Le teorie periferalistiche hanno dato una risposta semplice e suggestiva: un comportamento appreso consiste nell'effettuare un collegamento fra stimoli e risposte attraverso il condizionamento. La risposta condizionata divenne l'unità di comportamento. Purtroppo le teorie periferalistiche, benché attraenti, non erano capaci di spiegare alcuni dei fatti fondamentali del comportamento. Ma se noi assumiamo una più ampia nozione di stimolo e di risposta, come sembra sia necessario, quali principi governano le associazioni? Come già osservato, Hull accettò la legge dell'effetto di Thorndike come principio governante l'apprendimento. Ma molti teorici, incluso Tolman, misero in dubbio l'assunto che i rinforzi fossero essenziali per l'apprendimento. La questione è: i rinforzi influenzano direttamente l'apprendimento, o agiscono influenzando l'esecuzione di risposte apprese?
Il risultato di molti tipi di esperimenti (v. Blodgett, 1929; v. Tolman e Honzik, 1930; v. Thistlethwaite, 1951; v. Thorpe, 1963) indica inequivocabilmente che è necessario distinguere fra l'apprendimento di una risposta (o l'acquisizione di un'informazione) e l'esecuzione di una risposta. Numerosi studi sull'apprendimento ‛latente' hanno dimostrato, per esempio, che gli animali possono apprendere risposte che non sono ricompensate. L'apprendimento viene dimostrato con un'esecuzione coronata da successo quando, in un secondo momento, viene introdotta una ricompensa. Studi sul ‛precondizionamento sensorio' (v. Brogden, 1939; v. Thompson, 1972) indicano che gli animali imparano prontamente ad associare due stimoli presentati insieme, nello spazio di poche prove: se uno dei due stimoli viene successivamente usato come stimolo condizionato in un esperimento di condizionamento, anche l'altro stimolo sarà capace di suscitare la risposta condizionata. E come sappiamo anche dall'osservazione di esseri umani (in particolare bambini), nonché da numerosi studi sperimentali, gli animali sono in grado di imparare a eseguire risposte semplicemente osservando altri che stanno apprendendole o eseguendole (v. Herbert e Harsh, 1944).
Questi tipi di osservazioni sono difficili da interpretare in termini di legge dell'effetto intesa come principio generale del comportamento. Nello stesso tempo essi suggeriscono inequivocabilmente che un rinforzo non è condizione né necessaria né sufficiente per l'apprendimento. La legge dell'effetto sembra essere eventualmente più accettabile come legge relativa all'esecuzione. Per le teorie che insistono sul controllo del comportamento piuttosto che su principi esplicativi, la distinzione non ha importanza: se l'esecuzione è completamente controllata dalle conseguenze delle esecuzioni passate, allora capire le cause di tale influsso non è essenziale. Il problema che nasce da questa concezione è che vi sono molte condizioni sotto cui la legge dell'effetto, come legge di esecuzione, viene violata. Uomini e bestie non sempre fanno ciò per cui in passato hanno ricevuto una ricompensa. Capire come vengono fatte le scelte è una questione alquanto più complessa.
Un altro problema ancora, collegato tuttavia ai precedenti, è il fatto che l'apprendimento può portare all'‛emergenza' di nuove risposte. Per esempio, si possono addestrare delle scimmie a scegliere un oggetto che differisce da altri due oggetti anche se tutti sono stati ugualmente ricompensati in passato (v. Moon e Harlow, 1955). Il linguaggio è una delle attività specializzate (skills) più complesse che si conoscano. Sapere che un bambino è in grado d'imparare a emettere un suono specifico alla vista di un oggetto non implica la possibilità di presumere che il bambino sarà capace di usare il suono nel contesto di una lingua e saprà le regole fondamentali secondo cui i suoni vanno messi insieme, prima che abbia raggiunto l'età scolare. Skinner (v., 1957) ha proposto, e mirabilmente difeso, la concezione secondo cui il linguaggio viene appreso attraverso il rinforzo delle risposte emesse dal bambino. Cioè egli sostiene che i principi di acquisizione del linguaggio sono quegli stessi principi in base ai quali i ratti premono una leva e i piccioni colpiscono un bersaglio con il becco. Concezioni alternative sull'acquisizione del linguaggio (v. Chomsky, 1959) insistono nel considerare l'apprendimento del linguaggio come l'acquisizione di regole o programmi per generare proposizioni, unita all'acquisizione di parole. È difficile capire come un bambino di quattro anni apprenda le regole del linguaggio, eppure è proprio quello che fa. Un bambino inglese non impara a dire ‟I eated the apple" (‟ho mangiato la mela") attraverso un rinforzo di risposte emesse o per imitazione degli adulti. In qualche modo il bambino impara che la forma regolare del tempo passato si realizza aggiungendo ed alla forma presente del verbo (eat). Sembra che i principi dell'apprendimento e le teorie del comportamento resteranno a uno stadio primitivo finché non saranno capaci di spiegare alcuni di questi semplici ma importanti fatti del comportamento umano.
6. Le radici biologiche del comportamento
In un certo senso è strano che il behaviorismo abbia scelto di porre in primo piano gli influssi ambientali sul comportamento, fin quasi a escludere gli influssi biologici. Dopo tutto è stato Darwin che ha evidenziato la continuità esistente fra l'uomo e gli altri animali, e di conseguenza ha reso accettabile, se non essenziale, lo studio del comportamento animale (v. Petrinovich, 1972). Prima di Darwin, l'uomo veniva considerato diverso dalla bestia sia fisicamente, sia psicologicamente. Dopo il 1900, le teorie behavioristiche trattarono nella stessa maniera ratto e uomo. I behavioristi svilupparono le loro teorie senza preoccuparsi troppo delle differenze fra specie o persino fra individui della stessa specie. Si ricordi il manifesto behavioristico di Watson. The behavior of organisms di Skinner si fonda in primo luogo sugli studi condotti su ratti addestrati a premere una leva. È ovvio che si intendeva applicare i principi di tutte le teorie behavioristiche all'uomo non meno che al ratto. Persino Tolman deduceva i bisogni dell'uomo dalle abitudini dei ratti. Da un punto di vista comportamentale c'era un vantaggio a lavorare con gli animali per ricavare leggi generali. I soggetti umani usano termini mentalistici per descrivere le cause del loro comportamento. Non disponendo di linguaggio verbale, animali come i ratti offrono al behaviorista una minor tentazione di fare inferenze non behavioristiche. L'uso di scoperte basate sugli studi sui ratti offrì un antisettico teorico per le teorie del comportamento in fase di sviluppo.
Prima di sviluppare le sue concezioni behavioristiche, anche Watson si era occupato degli influssi biologici sul comportamento. Prima del 1913 egli studiò il comportamento degli Uccelli alle Tortuga e scrisse: ‟Per comprendere più esaurientemente la relazione fra abitudine ed ereditarietà in queste risposte, ho preso uccelli neonati e li ho allevati. In tal modo potevo studiare l'ordine di comparsa degli adattamenti ereditari e la loro complessità, e in un secondo momento l'inizio della formazione di abitudini" (v. Watson, 1913, p. 167). Questo è, naturalmente, proprio l'approccio adottato dagli etologi, che ha portato alla comprensione dell'imprinting e delle modalità di sviluppo delle capacità canore degli Uccelli. Il comportamento si sviluppa come conseguenza di una complessa interazione di influssi biologici e ambientali. Il ruolo di un influsso ambientale sullo sviluppo del comportamento dipende dalla particolare specie cui appartiene l'animale e dallo stadio di sviluppo da esso raggiunto. Ovvero, visto da un'altra prospettiva, lo sviluppo di un comportamento tipico di specie ‛geneticamente influenzate' dipende dalla stimolazione ambientale specifica durante le fasi critiche dello sviluppo.
Un ulteriore progresso nello studio del comportamento degli esseri umani e degli animali richiederà una fusione del pensiero etologico e di quello behavioristico. I ‛teorici dell'apprendimento' vanno rendendosi conto con sempre maggiore consapevolezza del fatto che esistono limitazioni biologiche che restringono la generalità di leggi o principi di comportamento. Incoraggiati dal successo ottenuto da Skinner nell'addestrare i ratti, K. e M. Breland si misero a usare i principi di Skinner per insegnare agli animali a eseguire esercizi da parco dei divertimenti. In uno scritto intitolato The misbehavior of organisms, essi riferirono che il successo ottenuto nell'addestramento di animali come galline, maiali e procioni richiedeva una comprensione del tipo di risposte che gli animali erano o non erano preparati a dare (v. Breland e Breland, 1961). Per esempio, potrebbe darsi il caso che sia impossibile insegnare a un maiale affamato, mediante procedure di condizionamento operante, a dare una risposta che competa con la risposta ‛grufolante' data di solito da un maiale affamato.
Seligman ha riassunto elegantemente gran parte delle prove che dimostrano l'importanza delle differenze individuali e di specie nelle capacità di apprendimento (v. Seligman, 1970). I ratti, per esempio, imparano presto ad associare determinati sapori con un successivo mal di stomaco, anche se questo sopraggiunge dopo un lungo lasso di tempo, e di conseguenza imparano a evitare i cibi tossici. Invece, hanno grande difficoltà ad associare un sapore con un calcio dato per punizione (v. Garcia e Koelling, 1966). I gabbiani reali imparano rapidamente a riconoscere i propri piccoli ma non riconoscono le proprie uova. Quando tali fatti vengono accuratamente indagati, diventa chiaro che vi sono numerose prove che l'animale non è una tabula rasa. Le teorie del comportamento dovranno tener conto di questi fatti riguardanti il comportamento stesso. Come ha sottolineato Seligman, ‟gli animali, incluso l'uomo, imparano alcune cose facilmente, altre a prezzo di grande applicazione, e altre ancora non le imparano affatto. Alcune specie imparano particolari cose meglio di altre cose e meglio di altre specie. Nell'ambito di una specie, alcuni individui sono in grado di imparare particolari cose meglio in un certo stadio di sviluppo che in un altro. Alcune di queste differenze sono determinate da fattori ambientali, altre da fattori evolutivi. È difficile negare tali differenze, ma è facile trascurarle" (v. Seligman e Hager, 1972, p. 463).
7. Il behaviorismo: eredità e prospettive
Il behaviorismo ha influenzato la psicologia a livello teorico e pratico, e altre scienze comportamentali e sociali, per quasi tre quarti di secolo. Alcuni dei suoi influssi sono stati superati, altri ci accompagnano sotto forma di ideologia diffusa e sottile, altri infine sono tuttora da sviluppare. Benché probabilmente non sia ancora il momento giusto per valutare pienamente il contributo del behaviorismo, alcune conclusioni generali sembrano legittime.
Il movimento behaviorista, iniziato fra la fine del secolo scorso e i primi anni del secolo attuale, ha determinato molti influssi positivi. In primo luogo, ed è forse la cosa più importante, il behaviorismo ha aiutato a rendere lo studio del comportamento una legittima impresa scientifica. Il significato, tanto a livello teorico quanto a livello pratico, di tale contributo, difficilmente può essere sopravvalutato. In secondo luogo, nel legittimare lo studio del comportamento, il behaviorismo ha aiutato a liberare psicologia e biologia dal metodo e dalla teoria mentalistici del XIX secolo. Altre correnti contemporanee, incluse la psicologia della forma e la psicanalisi, sono state determinanti in tal senso, ma gli assalti behavioristici erano espliciti e nello stesso tempo vigorosi. In terzo luogo, le teorie behavioristiche hanno stimolato vivamente lo sviluppo di teorie alternative sul comportamento. In quarto luogo, nel sottolineare l'importanza del controllo come obiettivo della scienza, e nello sviluppare metodi oggettivi d'indagine, il behaviorismo ha avuto un'influenza enorme in ambiti scientifici interessati al controllo del comportamento. Le opere dei behavioristi, in particolare di Pavlov, Thorndike e Skinner, hanno portato allo sviluppo di pratiche specifiche nel campo dell'educazione, della riabilitazione e della psicoterapia. Le tecniche di modificazione del comportamento attualmente in voga derivano direttamente dai metodi sviluppati dai primi behavioristi. La dimostrazione di Watson (v. Watson e Raynor, 1920) che a un bambino si potrebbe insegnare, mediante l'uso di procedure di condizionamento, ad aver paura di oggetti indistinti, aprì la via al trattamento di paure, in particolare di fobie, mediante metodi behavioristici come la desensibilizzazione e il condizionamento opposto. La teoria e i metodi attuali della ‛modificazione del comportamento' contrastano vivamente con quelli di concezioni orientate più dinamicamente, come la psicanalisi (v. Breger e McGaugh, 1965).
Comunque le speranze espresse da Watson nel 1913 non si sono realizzate in pieno. Il behaviorismo non è stato capace di liberarsi completamente dalle spiegazioni del comportamento espresse in termini mentalistici. La teoria cognitiva ha registrato incessanti sviluppi e gli scienziati del comportamento continuano a studiare processi come la percezione, la memoria e il pensiero. La maggior parte degli psicologi non è convinta che sia possibile comprendere o controllare il comportamento senza un'indagine sui processi cognitivi centrali. Comunque, è doveroso sottolineare il fatto che il behaviorismo ha imposto un approccio obiettivo allo studio delle attività cognitive e continua a insistere sulla necessità di adeguarsi al principio di parsimonia in sede teorica. Il behaviorismo ha tuttavia mancato di sviluppare una teoria adeguata. Le prime teorie periferalistiche erano condannate fin dall'inizio poiché erano troppo semplicistiche. Gli ulteriori sviluppi non presentarono vantaggi rispetto ad altre teorie, nè in quanto a capacità di previsione, nè dal punto di vista del principio di parsimonia. Mentre è un fatto assodato che il comportamento è modellato dall'ambiente, le spiegazioni di come ciò avvenga, in termini di stimoli, risposta e rinforzo, si sono dimostrate inadeguate. I principi meccanicistici proposti erano semplicemente incapaci di spiegare la complessità del comportamento (v. Deutsch, 1956).
Il behaviorismo non ha ancora portato alla comprensione dei principî generali del comportamento, né ci ha fornito la tecnologia per un suo efficace controllo. Sembra probabile che si avranno progressi tecnologici nel controllo del comportamento solo quando, come è già accaduto in altri settori della tecnologia, come l'agricoltura e la medicina, avremo raggiunto una maggiore comprensione delle basi biologiche e della natura dei fenomeni in questione. Probabilmente saremo in grado di rendere l'uomo capace di realizzare il suo potenziale soltanto quando ne sapremo di più su ciò che l'uomo è capace di fare. Avremo una tecnologia efficace soltanto quando le opportunità ambientali saranno accuratamente sintonizzate con le capacità potenziali umane. Abbiamo a disposizione alcuni indizi. Sappiamo che le prime esperienze sono particolarmente importanti nello sviluppo del comportamento sociale. Come ha mostrato il lavoro di Piaget, alcune abilità specifiche (skills) vengono acquisite rapidamente durante specifici periodi dello sviluppo. E noi troviamo facile apprendere alcune abilità specifiche, come il linguaggio, e difficile impararne altre. Si tratta di incapacità di apprendere e di insegnare dovute a deficienze tecniche o a carenza di sintonia fra le tecniche e le disponibilità biologiche?
Se il behaviorismo deve continuare a perseguire lo scopo di realizzare un efficace controllo del comportamento, queste questioni dovranno essere affrontate onestamente. Ma per ottenere ciò, il behaviorismo dovrà continuare a evolversi, sia come teoria sia come metodo. Resta da vedere se il tipo di behaviorismo che ne risulterà, cercando di conciliare i complessi fenomeni biologici e psicologici, sarà vitale
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