Psicologia della forma
di Wolfgang Metzger
Psicologia della forma
sommario: 1. Introduzione. 2. La situazione di partenza. 3. Il significato dell'elementarismo (atomismo) e del connessionismo in psicologia. 4. Qualità gestaltiche e forma. 5. Indirizzi della psicologia della forma. a) Teoria della produzione (Graz). b) Psicologia della totalità (Lipsia). c) Teoria della forma (Berlino). 6. Osservazioni incidentali sull'importanza relativa dei fattori soggettivi. 7. Il destino del principio di conduzione. 8. I fondamenti dell'ordine degli eventi. 9. Teoria della forma. 10. Applicazioni. 11. Mondo fisico e mondo eidetico. 12. Forme fisiche. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Per la psicologia nel suo insieme, oltre che per la psicologia della forma, il sec. XX comincia alquanto prima del suo inizio ‛ufficiale', e precisamente nel 1890, anno in cui Chr. von Ehrenfels pubblicò il suo saggio sulle ‛qualità gestaltiche'. Negli anni novanta E. L. Thorndike conduce le sue prime ricerche estensive sull'apprendimento ‛per prova ed errore', dalle quali doveva derivare la teoria americana odierna dell'apprendimento, cioè la teoria del condizionamento operante o strumentale. Gli esperimenti di I. P. Pavlov sul riflesso condizionato o sulla formazione dei segnali - che, nella loro sfera, hanno una portata analoga - hanno inizio solo con la svolta del secolo o poco dopo.
Tutti e tre i nuovi orientamenti esordiscono con la pretesa ‛laica' di ricostruire dalle fondamenta, ex novo, l'edificio della psicologia. Ad essi se ne aggiunge a partire dal 1895 un quarto, che ha un punto di partenza affatto diverso ma la medesima pretesa, quella cioè di dare nuove basi alla teoria dell'uomo: la psicanalisi di Sigmund Freud.
2. La situazione di partenza
Alla fine dell'Ottocento, la psicologia scientifica presenta due caratteristiche, che suscitano per reazione la svolta verso i summenzionati nuovi orientamenti: 1) a onta di numerose ricerche sperimentali condotte su reazioni semplici, la psicologia resta una teoria della coscienza; 2) essa è sostanzialmente atomistica e connessionistica.
Gli autori russi e americani più recenti sono guidati dal proposito di fornire alla psicologia ‛un fondamento più sicuro', dato che i fenomeni della coscienza, in quanto puramente soggettivi, non consentono né una simultanea osservazione intersoggettiva né una registrazione immediata: non soddisfano cioè quelle esigenze di rigore che nelle scienze più vecchie erano date per scontate. Questi autori tentano quindi di emulare il rigore delle scienze naturali: i behavioristi americani, più radicali, ammettono esclusivamente dati oggettivi e, almeno nell'intenzione, rinunciano alla coscienza in quanto oggetto di ricerca scientifica; mentre gli autori russi, più moderati, accanto ai più impellenti problemi del comportamento, lasciano sopravvivere i problemi della coscienza sotto l'etichetta di ‛attività nervosa superiore'.
Per altre ragioni, Freud considera una psicologia che si limiti all'indagine dei fenomeni della coscienza un'impresa vana. Infatti, ciò che veramente importa per la vita psichica dell'uomo, ciò che determina il suo comportamento è almeno altrettanto spesso celato che rivelato dalla coscienza.
Dalla riflessologia e dal behaviorismo l'impostazione atomistico-connessionistica viene mantenuta senz'essere sottoposta a discussione. L'associazione tra rappresentazioni viene sostituita dalla connessione stimolo-reazione. E sebbene la psicanalisi introduca, per spiegare il nesso tra disturbi patologici e motivazioni recondite, un'impostazione teorica essenzialmente nuova, nella teoria del comportamento sociale e della sua formazione l'impostazione atomistica rimane immutata.
3. Il significato dell'elementarismo (atomismo) e del connessionismo in psicologia
Il principio del connessionismo è una conseguenza immediata dell'impostazione elementaristica o atomistica e dev'essere quindi trattato insieme con questa. I due principî, connessionistico e atomistico, suonano come segue: 1) gli ‛elementi' costituiscono l'effettiva realtà psichica; 2) tutte le configurazioni, o formazioni, più vaste sono aggregati o ‛somme' di stati elementari.
È questa ‛l'ipotesi di addizionalità', che consiste a sua volta in due tesi, delle quali l'una si riferisce agli elementi, e l'altra agli aggregati: a) gli ‛elementi' - non modificabili - sono contenuti negli aggregati; sono ‛reciprocamente ciechi' e non esercitano alcun influsso gli uni sugli altri nè su quanto è presente, o accade, accanto a loro. Essi non presentano alcuna caratteristica che non presentino parimenti al di fuori dell'aggregato o in un altro punto dell'aggregato o all'interno di un altro aggregato; b) gli ‛aggregati' non presentano caratteristiche o modalità di comportamento diverse da quelle delle proprie parti costitutive o elementi. (Nella teoria della coscienza le ‛qualità miste' sono interpretate come ‛apparenza', come effetto di una carenza di attenzione).
Il principio del connessionismo si riferisce al sorgere di configurazioni più complesse. Esso dice: gli stati psichici complessi nascono senza eccezione da una connessione posteriore (associazione, combinazione, coordinazione, integrazione, sintesi, composizione, contatto).
Dall'impostazione atomistico-connessionistica viene tratta la seguente conseguenza metodica: ‟il primo compito della psicologia consiste nello ‛scomporre i più ingarbugliati fenomeni mentali in fenomeni più semplici, e questi ultimi in fenomeni ancora più semplici", al fine di raggiungere, per questa via, ‟gli elementi psichici qualitativi ultimi, gli atomi psichici" (Münsterberg, 1900). Nella psicologia in quanto ‛teoria della coscienza' l'elemento ultimo è la ‛sensazione semplice', il ‛qualcosa' più piccolo e più semplice, non ulteriormente suddivisibile, analizzabile e differenziabile, cioè, in termini spazio-temporali, il punto (o il segno locale) - per esempio nel caso della vista e dell'udito, la qualità sensoriale prodotta da un'unica frequenza, da un'oscillazione sinusoidale pura - e l'attimo. Nel passaggio alla psicologia come teoria del comportamento, sono considerati come elementi, in luogo delle sensazioni, i riflessi semplici, ovvero i loro componenti, separabili gli uni dagli altri, afferenti ed efferenti, e si ritiene che dalla loro connessione, dal loro collegamento o concatenamento abbiano origine tutte le modalità di comportamento più complesse o ‛superiori'. A rigore, nel behaviorismo americano si fa riferimento, anziché ai processi afferenti, alle loro cause, agli stimoli o situazioni che determinano il comportamento, e, anziché ai processi efferenti, alle loro conseguenze, cioè alle modalità di comportamento o alle retroazioni sull'ambiente visibili esternamente.
È in verità chiaro che gli ‛elementi' prediletti della vecchia psicologia associazionistica - le rappresentazioni o ‛idee' - non erano elementi ‛ultimi', bensì formazioni già alquanto complesse. Lo stesso può dirsi degli ‛elementi' delle situazioni o delle reazioni, introdotti dalle nuove teorie del comportamento.
Una psicologia atomistica implica di necessità il principio di conduzione e l'ipotesi di costanza. Il principio di conduzione afferma che ogni ordine dei processi nel sistema nervoso viene garantito da un sistema di conduzioni stabili e isolate, e quindi da dispositivi anatomici vincolanti. A titolo di esempio menzioniamo la supposizione che la ripartizione dell'eccitamento della retina venga mantenuta dal fatto che da ogni cellula visiva della retina si diparte verso il campo visivo una fibra nervosa isolata, per mezzo della quale viene esclusa ogni deviazione o distorsione del processo di eccitamento.
La portata dell'ipotesi di costanza è considerevolmente maggiore. Essa afferma, tra l'altro, anche che la correlazione tra le caratteristiche dello stimolo (per es. la frequenza) e le ‛qualità' della sensazione non può essere modificata da processi vicini e simultanei. Afferma la costanza del significato dei vissuti onirici, cioè la loro indipendenza dalle mutevoli condizioni di vita del sognatore, o anche l'identità delle basi istintuali, nel bambino come nell'adulto, di modalità di comportamento affini (mordere per errore il seno della madre è ‛cannibalismo', e insinuarsi nel suo letto significa il desiderio del coito). Afferma inoltre che, a parità di condizioni, il mondo appare al bambino esattamente come all'adulto, e al nevrotico esattamente come al sano, e che le loro, spesso diversissime, reazioni al mondo dipendono unicamente da differenti ‛interpretazioni' del percepito. Afferma infine che i processi nel preparato neuromuscolare sul tavolo da esperimento sono gli stessi che hanno luogo, nella medesima connessione neuromuscolare, al loro posto nell'organismo vivente.
4. Qualità gestaltiche e forma
Il primo, e decisivo, impulso a dubitare della validità delle impostazioni atomistiche ai fini di una teoria della vita psichica venne dalla scoperta, dovuta a Chr. von Ehrenfels (v., 1890), delle ‛qualità gestaltiche'. Un esempio semplice è dato dall'accordo di terza, nel quale - oltre ai tre toni, che si possono considerare i suoi ‛elementi' - intervengono tre qualità di intervallo (quinta, terza maggiore, terza minore) e, cosa ancor più sorprendente, la qualità di modo maggiore o minore. Ciò significa che il tutto è più della somma dei suoi elementi. I ‛tutti' psicologici sono non-sommativi. Questo è il primo criterio ehrenfelsiano della forma. L'esempio preferito da von Ehrenfels è quello della melodia, che rimane la stessa in ogni tonalità (cioè anche quando tutti i singoli toni o ‛elementi' vengono sostituiti da altri), mentre la modificazione di uno solo o di pochi toni, rimanendo immutati i rimanenti, la rende irriconoscibile. La trasponibilità, o indipendenza dal materiale, è il secondo criterio ehrenfelsiano della forma. La portata di questo criterio, sebbene sorprendentemente vasta (per es. la trasponibilità dal visibile all'udibile) non è tuttavia illimitata. I limiti della sfera della trasponibilità non sono stati ancora indagati.
Secondo von Ehrenfels, le ‛qualità gestaltiche' sono ‟contenuti positivi della percezione, i quali sono associati nella coscienza a ‛complessi' percettivi, che consistono a loro volta di elementi separabili gli uni dagli altri". Non è possibile mettere insieme queste qualità partendo da caratteristiche affini degli ‛elementi', delle parti o delle posizioni rinvenibili nel ‛tutto' o nel ‛complesso'. Nè esse sono identiche alla somma delle relazioni tra i loro elementi: il carattere ‛maggiore' o ‛minore' dell'accordo di terza può essere colto anche da chi non colga l'esatta struttura - i rapporti di intervallo - dell'accordo stesso.
I fenomeni forniti di qualità gestaltiche, chiamati da von Ehrenfels, in accordo con il generale uso linguistico tedesco, Gestalten, debbono essere, come abbiamo detto, complessi spazialmente, temporalmente o spaziotemporalmente sovrapuntuali. Dev'esser possibile distinguere in essi differenti ‛posizioni', ma non necessariamente differenti ‛parti'. Le differenti posizioni debbono possedere qualità elementari riconoscibili, che non debbono però essere necessariamente differenti (per es. dischi circolari di egual colore). È nondimeno indispensabile una certa differenza qualitativa tra un certo numero di posizioni del campo in questione e l'ambiente circostante (tra figura e sfondo, melodia e silenzio), cosicché il campo possa ‛distaccarsi' e dar luogo a una forma.
Tra le più generali proprietà della forma figura la reciproca ‛appartenenza' delle sue posizioni o parti e la ‛non appartenza' rispetto a posizioni o parti dell'ambiente circostante. La qualità di un campo di essere qualitativamente continuo, e quindi di essere un ‛tutto' nel quale sia possibile distinguere soltanto ‛posizioni' stabili, ovvero la qualità di essere discontinuo, di essere cioé un ‛gruppo' con ‛membri' o ‛elementi', figurano anch'esse tra le proprietà gestaltiche più generali.
Per il resto si possono distinguere le seguenti tre classi di proprietà gestaltiche: 1) la distribuzione, la disposizione, la struttura geometrica, ritmica, melodica (per es.: angolocurva; moto costante-moto non costante); 2) la ‛qualità' gestaltica ‛di sentimento' in senso proprio (indissolubile dalle prime, ma non identica a queste), che è quella cui von Ehrenfels anzitutto pensava e per la quale W. Köhler ha perciò proposto il nome di ‛qualità-Ehrenfels'. Ma specialmente nell'ambito anglosassone, in omaggio all'antica distinzione tra qualità primarie e secondarie, si parla a questo proposito di ‛qualità terziarie' (esempio: aguzzo-rotondo, tranquillo-violento, ostile-amichevole, modo maggiore-modo minore). Anche lo ‛stile' e l'‛abitudine' rientrano in questa categoria; 3) proprietà concrete condizionate dalla distribuzione dello stimolo e quindi non elementari (esempi: ruvido-liscio, trasparente-non trasparente, lucido-opaco, e in generale la ‛tessitura').
Prima di discutere ulteriormente il concetto di forma, ci sia concesso un breve cenno sui diversi indirizzi della psicologia, che si sono occupati in modo approfondito delle scoperte di von Ehrenfels.
5. Indirizzi della psicologia della forma
Il principio ehrenfelsiano della ‛non sommatività' del tutto psichico è diventato determinante per la ‛teoria della produzione', per la ‛psicologia della totalità' e per la ‛teoria della forma'.
a) Teoria della produzione (Graz)
La cosiddetta ‛teoria della produzione', o anche ‛teoria dei contenuti fondati' o delle ‛rappresentazioni di provenienza extrasensoriale', è rappresentata dalla ‛scuola di Graz', cui appartennero tra gli altri A. Meinong, che tentò di rifondare la teoria della percezione come ‛teoria dell'oggetto', St. Witasek e A. Höfler, e il cui più eminente sperimentatore è stato V. Benussi. Nella teoria della produzione - sulla base del principio di conduzione e dell'ipotesi di costanza - si ipotizza che il processo della percezione si svolga in due stadi. In un primo tempo (per es. nella percezione visiva) la molteplicità degli elementi (sensazioni) corrispondente alla distribuzione dello stimolo viene raffigurata come una vicinanza o successione non strutturate nel campo percettivo. In un secondo stadio il soggetto della percezione interviene in tale molteplicità. Egli pone ‛relazioni di realtà' e ‛produce' così le forme con le loro qualità gestaltiche. La teoria della produzione rimane ancora chiaramente sul terreno del connessionismo. L'impostazione della teoria della produzione è inoltre strutturalmente affine a due impostazioni che non appartengono alla teoria della forma: quella della ‛teoria del giudizio' (H. von Helmholtz) e quella delle teorie dell'attenzione (G. E. Müller e B. Petermann). In entrambi gli indirizzi, al campo percettivo immediato osservabile vien fatto precedere un ipotetico - e non osservabile - campo della sensazione, per il quale deve valere l'ipotesi di una correlazione biunivoca tra stimolo e ‛sensazione'. In Helmholtz viene inoltre ipotizzato, accanto a ogni processo percettivo, un ‛atto di giudizio' (rapidissimo e non osservato) mediante il quale il ‛campo della sensazione', rigorosamente conforme agli stimoli ma non osservabile, viene trasformato nel corrispondente campo percettivo, osservabile ma non più corrispondente punto per punto alla molteplicità degli stimoli. Quelle che, nella vita quotidiana, consideriamo percezioni immediate sono, a rigore, secondo Helmholtz, pensieri, per es. conclusioni di ragionamenti analogici. La teoria dei complessi di G. E. Müllier e l'affine teoria dell'osservazione di B. Petermann ipotizzano, in luogo dei processi di giudizio o di interpretazione miranti a spiegare le formazioni unitarie o marginali della percezione, una diversa distribuzione dell' ‛attenzione collettiva' o dell' ‛osservazione', più vicine alle attività ‛di produzione' ipotizzate dalla scuola di Graz.
b) Psicologia della totalità (Lipsia)
La ‛scuola di Lipsia' ha il suo fondatore in F. Krueger e i suoi più eminenti fautori in F. Sander, H. Volkelt, O. Klemm, J. Rudert e A. Wellek. Questa scuola si denomina talora più volentieri come ‛psicologia della totalità'. Oltre che a von Ehrenfels, il cui rinvio alle qualità gestaltiche ‛di sentimento' li ha stimolati a ragguardevoli riflessioni sulle relazioni tra qualità gestaltiche e sentimenti ‛veri e propri' (correlati all'Io fenomenico), questi autori si richiamano anche a W. James e H. Cornelius, dai quali hanno tratto incitamento per il loro più importante contributo alla teoria generale dei fatti psichici: il deciso distacco dal principio del connessionismo. Il distacco si è espresso nella tesi di fondo che lo sviluppo psichico spontaneo - a ogni livello - non consiste in una successione di connessioni di stati elementari originariamente isolati, bensì, all'opposto, nella dapprima grezza e sommaria, e quindi sempre più sottile articolazione e differenziazione di un materiale di partenza rappresentato da una condizione globale della coscienza; alla fine dello sviluppo della coscienza, si rintracciano soltanto gli ‛elementi' riscontrati nel materiale di partenza. In questo quadro rientrano anche le numerose ricerche della scuola di Lipsia sulla ‛genesi attuale', ricerche in cui, con adeguate procedure, si è creduto di stabilire una successione di ‛stadi' - di ‛preforme' dei diversi livelli di sviluppo - dei quali però nulla è possibile osservare nella percezione ingenua quotidiana. Nel consolidamento e nella larga applicazione di questo indirizzo, ha seguito le orme della scuola di Lipsia soprattutto H. Werner con la sua ‛psicologia dello sviluppo'.
Il merito di questo sforzo non è sminuito dal fatto che il semplice ‛rovesciamento' del principio di connessione si è rivelato impossibile e che i dati esigono il ricorso a tutti i tipi di sviluppo logicamente possibili. Si parte quindi dalla giustapposizione, nel bambino piccolo, di unità scarsamente strutturate e di dimensioni maneggevoli. Queste unità, ‛per un verso', si strutturano sempre più finemente e, ‛per un altro verso', vengono combinate in unità più complesse e più comprensive, che inizialmente non erano afferrabili (esempi: lo sviluppo della percezione di gruppi, dal semplice gruppo ‛Io-Tu' alla famiglia sino alle maggiori e più complicate strutture sociali; oppure il passaggio dal vissuto di una ‛successione di posizioni buone' alla reale percezione di una sinfonia nella sua composizione). È peraltro evidente che il riconoscimento che i processi di sviluppo si svolgono in direzioni parzialmente contrapposte non significa affatto un ritorno all'atomismo.
La scuola di Lipsia si è occupata a fondo delle tendenze alla ‛buona forma', tendenze evidenti nelle ‛preforme'. Su questa base ha elaborato una teoria ‛platonica' della percezione, secondo la quale idonee distribuzioni degli stimoli suscitano certi tipi ideali (presenti nella ‛struttura' durevole della personalità), i quali tanto più predominano nel percepito quanto minore è la nettezza e la determinatezza delle configurazioni di stimolo. Col tempo, la struttura durevole della personalità si insediò sempre più al centro della riflessione. In questo processo si riscontra un innegabile avvicinamento agli sforzi geisteswissenschaftliche, di ispirazione diltheyana, compiuti da E. Spranger per elaborare una teoria della personalità, che palesa la sua natura già nel tentativo di limitare il significato del termine struttura - specialmente nel composto Strukturpsychologie - all'edificazione della ‛personalità'.
c) Teoria della forma (Berlino)
La ‛teoria della forma' della ‛scuola di Berlino' (M. Wertheimer, W. Köhler, K. Koffka, E. M. von Hornbostel, K. Lewin nella prima generazione e, tra i seguaci, R. Arnheim, W. Metzger, E. Rausch, W. Witte; G. Katona, M. Henle, S. Asch, R. S. Crutchfield, A. Luchins, G. Kanizsa, F. Metelli, R. Canestrari e numerosi altri nella seconda e terza generazione) presenta le seguenti caratteristiche: a) supera definitivamente l'impostazione ancora quasi elementaristica di von Ehrenfels, secondo cui una forma consiste degli elementi E1 + E2 + ... + En + la qualità gestaltica: la forma dev'essere cioè caratterizzata da un elemento ‛addizionale'; b) sostituisce il concetto di ‛elemento' nella percezione con i concetti di luogo e di qualità elementare; c) estende la scoperta di von Ehrenfels mediante la dimostrazione che non soltanto ciascun tutto presenta proprietà non riscontrabili nelle sue parti costitutive isolate, ma anche che ciascun singolo contenuto acquista, perde o modifica certe proprietà quando diventa parte di un tutto, si distacca da un tutto, cambia il suo luogo in un tutto, passa da un tutto in un altro tutto, e infine anche quando ‛altre' parti del tutto si modificano, vengono meno, si aggiungono o mutano il loro luogo. La parte di un tutto, dunque, non è un elemento immutabile nel senso della psicologia elementaristica. Le proprietà che un dato in quanto parte di un tutto acquista in virtù della sua collocazione sono la sua ‛funzione strutturale' o il suo ‛ruolo' nel tutto. La parte, dunque, non è un elemento immutabile nel senso della psicologia atomistica; d) infine, prende in considerazione anche la possibilità che, in luogo di elementi di sensazione corrispondenti a elementi di stimolo con l'aggiunta di una qualità gestaltica, come accade nell'ascolto di due toni (in questo caso si aggiunge la qualità di intervallo), compaia ‛qualcosa di affatto diverso': per es. nel movimento stroboscopico, ‛invece' del punto luminoso A nel luogo a e del punto luminoso B nel luogo b si vede un unico punto luminoso in movimento da a a b, o, come caso limite, non si vede alcun punto luminoso, ma soltanto il mero movimento a-b.
L'ipotesi di un duplice stadio del processo percettivo viene definitivamente abbandonata a favore dell'ipotesi secondo cui il campo percettivo si struttura di attimo in attimo in ‛un' processo, nel quale le molteplicità degli stimoli (o piuttosto la loro successione) interagiscono con le condizioni dell'apparato percettivo, nel quale rientrano, oltre all'adattamento generale e locale, anche elementi come la direzione dell'osservazione e la distribuzione dell'attenzione, le esperienze, le attese, gli atteggiamenti, e anche e soprattutto i bisogni, gli interessi e le aspirazioni predominanti in quel dato momento, nonché certe attività del soggetto di sostegno alla percezione e le interazioni dirette all'interno del campo percettivo.
6. Osservazioni incidentali sull'importanza relativa dei fattori soggettivi
Quale significato e quale peso abbiano i diversi fattori soggettivi, è una mera questione empirica, che può essere decisa soltanto dalle risultanze sperimentali. Ma giacché alcuni di essi hanno acquisito l'immeritato onore di essere innalzati a concetti fondamentali della nuova psicologia, si rendono necessarie alcune osservazioni chiarificatrici. Si tratta, essenzialmente, dei quattro fattori seguenti: 1) l'esperienza e la familiarità individuale; 2) gli ‛atti' soggettivi; 3) la situazione di bisogno; 4) le attività del soggetto relative alla percezione.
1. Che l'esperienza e la familiarità siano il fattore decisivo nel determinare la natura di ciò che viene attualmente percepito è cosa ovvia per tutti coloro che sono cresciuti nella tradizione empiristica - cioè per la schiacciante maggioranza degli psicologi, specialmente di formazione anglosassone -, tanto che quasi non abbisogna di verifica. Sennonché, l'unico dato che militi chiaramente a favore di un'efficacia dell'esperienza nella percezione è rappresentato dall'assimilazione delle forme di certi contorni, tracciati a memoria, alla forma di un oggetto (di cui si mostra una raffigurazione imprecisa) quale risulta nota al soggetto dell'esperimento in virtù di passate esperienze. Al contrario, prescrivendo compiti ad hoc 'in condizioni neutre' non si riscontra che una modestissima efficacia di questo fattore. La cosa non desta meraviglia: le esperienze possono aver luogo soltanto in un universo percettivo già strutturato. Già da questo consegue che debbono esistere fattori preempirici di organizzazione del campo percettivo.
2. È alla luce della tradizione della psicologia tedesca, più idealistica e influenzata anche dalla ‛psicologia degli atti' di Brentano, che bisogna intendere l'inclinazione a cercare il fondamento decisivo della struttura della percezione in attività del soggetto. Che atti soggettivi, accessibili all'autosservazione, come l'intento di comprendere e la distribuzione dell'attenzione, possano intervenire, con efficacia modificante, nella struttura già costituita della percezione è un fatto che non abbisogna di verifica. Ma per la problematica attuale ha un'importanza ancora maggiore la circostanza, anch'essa facilmente verificabile, che l'efficacia di tali atti è straordinariamente ristretta: è cioè limitata, a parte le strutture discontinue, a strutture assai semplici. È evidente come non si possa attribuire ad atti di questa sorta, quando siano inconsci - cioè, a dirla francamente, non accertabili -, un'efficacia maggiore di quella che hanno là dove costituiscono un fatto osservabile.
3. Che la ‛situazione di bisogno', inclusi gli interessi, le aspirazioni predominanti e l'appartenenza di gruppo possano influenzare fortemente le strutture percettive è cosa nota almeno dal 1912, quando Adler introdusse il concetto di ‛appercezione tendenziosa' per esplicitare il fatto che il nevrotico non soltanto ‛interpreta' ma anche ‛percepisce' in modo diverso dall'individuo normale il suo ambiente e i processi che in esso si svolgono. Un esempio analizzato a fondo con criteri fenomenologici è addotto da K. Lewin nella sua prima pubblicazione (v. Lewin, 1917). Non si offriva con ciò alcun pretesto per fare della social perception la base di una psicologia, soprattutto perché la pressione a conformarsi risulta vistosa soltanto sotto stimoli estremamente labili; per il resto negli esperimenti non sono osservabili influssi sulla ‛struttura della percezione', ma soltanto modeste modificazioni quantitative.
4. All'importanza delle attività del soggetto ‛relative alla percezione' si è fatto appello quasi contemporaneamente da varie parti - Piaget, Weizsäcker, transazionalisti americani, autori sovietici: tutti legati all'ideologia dell'uomo come ‛creatore del suo mondo' - secondo un modello risalente all'ultimo decennio dello scorso secolo: la teoria wundtiana della percezione figurale. Insieme con quella di Wundt, anche la teoria di Piaget, che - in quanto teoria del ‛seguire il contorno' (tracing) - coincide strutturalmente con essa, è stata confutata già nel 1902 da O. Stratton e, per quanto riguarda il tatto, da K. Bürklen nel 1917.
Da un'analisi più precisa delle attività, di cui si occupano von Weizsäcker e i transazionalisti, risulta che in nessun caso esse partecipano direttamente alla costruzione dell'universo percettivo, bensì hanno esclusivamente la funzione di ‛migliorare le condizioni di ricezione degli organi di senso'.
Dalla prospettiva degli autori russi, fondata sull'ideologia marxista del lavoro, è derivata una serie di meritorie ricerche, nelle quali la strutturazione primaria del percepito è però sempre presupposta come scontata e le attività controllate servono solo a un'ulteriore chiarificazione dei fenomeni percepiti; per es.: il passaggio da una percezione confusa a una percezione precisa della grandezza di una serie mediante l'attività del contare. L'argomento decisivo contro la teoria della percezione fondata sul ‛lavoro' è il medesimo avanzato contro la teoria dell'esperienza: il ‛lavoro' è possibile solo e soltanto in un universo percettivo già strutturato.
7. Il destino del principio di conduzione
Come abbiamo osservato sopra, l'ipotesi di un duplice stadio nel processo della percezione era la conseguenza diretta del principio di conduzione. Tutti i dubbi riguardanti il duplice stadio sono anche dubbi riguardanti la validità di questo principio. Considerazioni a questo proposito sono rintracciabili anche nella letteratura estranea alla teoria della forma, per es. in Driesch e von Weizsäcker. I loro tentativi di soluzioni rimangono però insoddisfacenti, dato che la loro immagine fisica del mondo, quando si trattava di spiegare perché un ‛qualunque' evento si svolgesse ‛in modo ordinato', non prevedeva possibilità diverse dalla costrizione esterna, e quindi, in questo caso, dalla conduzione isolata. Che in un siffatto sistema di conduzioni fisse siano nondimeno possibili anche decorsi variabili è cosa che Driesch tenta di rendere comprensibile con l'ipotesi di entità extrafisiche che, a ogni biforcazione delle conduzioni, operino a mo' di vigile urbano o di addetto agli scambi o del guardiano di una chiusa, entità che, reinterpretando un concetto aristotelico, chiama ‛entelechie'. Ma con la postulazione di tali potenze mistiche il problema non è risolto, ma solo trasposto in termini metaforici.
Ancor più sorprendente è la proposta di soluzione di von Weizsäcker. Egli è convinto dell'indispensabilità del principio di conduzione per spiegare le funzioni dell'organismo indagate in modo obiettivo dalla fisiologia. All'evidente contraddizione tra questo principio e l'immediato vissuto umano egli cerca di sfuggire mediante uno dei divieti metodologici così cari alla teoria recente della ricerca psicologica: secondo il suo decreto, seriamente presentato, si deve rinunciare a teorie fisiologiche del vissuto immediato e bisogna contentarsi della sua chiarificazione fenomenologica dal punto di vista del soggetto percipiente.
Dinanzi alle risultanze sopra illustrate, riguardanti le qualità gestaltiche, le funzioni di parti, la strutturazione spontanea del campo e i fenomeni stroboscopici, il principio di conduzione non è più sostenibile. Tutti questi fenomeni impongono l'ipotesi che sulla base del ‛mosaico' degli stimoli si formino ‛strutture' di eccitamento in sè coerenti, le quali presuppongono un'interazione di eccitazioni parziali vicine. A ciò vanno ricondotti gl'infiniti casi di ‛reali' deviazioni, di reale variabilità delle relazioni tra posizioni periferiche e centrali (e tra conformazione dello stimolo e qualità sensoriali), le ‛illusioni ottiche', il contrasto, l'assimilazione ecc.: tutti fenomeni che, a un'accurata verifica, si rivelano talmente universali che sembra naturale elaborare una teoria che non serva anzitutto allo scopo di eliminarli ‛spiegandoli', ma che presupponga un apparato percettivo cosiffatto da consentire tali ‛aberrazioni'.
Come abbiamo detto, ciò comporta la radicale rinuncia al principio di conduzione e in generale all'ipotesi di costanza. Con essi perde significato un altro concetto, che nella psicologia internazionale ha svolto sinora un ruolo immeritato: il concetto di cue, di segno o indizio che, nel supposto secondo stadio del processo percettivo, fornisce al soggetto le ‛indicazioni' necessarie per la sua attività di produzione e di interpretazione. Dato che un tale secondo stadio, con la correlata attività del soggetto, non esiste, il concetto di cue o indizio dev'essere sostituito da quello di un ‛fattore' che operi senza passare per il soggetto. Questo riconoscimento non ha però ancora incontrato larga diffusione, specialmente tra gli studiosi americani della percezione.
Che cos'hanno da dire l'anatomia e la neurofisiologia circa una rete di conduzioni, che non presenta correlazioni punto per punto e presenta invece la possibilità di influsso reciproco tra processi vicini?
1. Nel sistema nervoso sono associate aree bianche che, secondo le nostre attuali conoscenze, sono costituite da tratti di conduzioni isolate, e aree grige senza isolamento e con fitto intreccio delle fibre, nelle quali sono pensabili processi che si influenzino reciprocamente.
2. Quando nel 1912 Wertheimer, per la comprensione dei fenomeni stroboscopici (cinematografici) postulava le ‛funzioni trasversali', cercando di chiarirle con l'immagine provvisoria, da non prendere troppo alla lettera, dei ‛corticircuiti fisiologici', non suscitò tra i fisiologi altro che perplessità. Oggi la lateral interaction, che è esattamente la stessa cosa della funzione trasversale, figura tra le conoscenze consolidate della neurofisiologia. E per la variabilità entro certi limiti, postulata da Köhler nel 1913, delle correlazioni tra posizioni nella retina e posizioni nel campo visivo, il necessario sostegno fisiologico è stato anche qui fornito in seguito con il riconoscimento che la connessione tra superficie di stimolo e campo centrale non è assicurato da conduzioni singole parallele, bensì da una rete di fasci di conduzioni sia convergenti che divergenti, che hanno preso il nome di ‛campo ricettivo'.
Che in quanto abbiamo detto non debba vedersi una peculiarità dell'apparato percettivo, bensì una caratteristica della funzione del sistema nervoso anche nei suoi apparati efferenti o motori, è tesi a sostegno della quale specialmente A. Bethe e M. H. Fischer hanno raccolto una massa di dati, riuniti sotto l'etichetta di ‛plasticità del sistema nervoso'.
8. I fondamenti dell'ordine degli eventi
Dopo la rinuncia al principio di conduzione, cioè al principio secondo cui l'ordine è assicurato da apparati vincolanti estrinseci, rimane la questione decisiva: come è possibile, in tali condizioni, che gli eventi nel sistema percettivo si svolgano ‛in modo ordinato'. I fautori del principio di conduzione riterrebbero la cosa senz'altro impossibile; secondo loro, in tali condizioni non potrebbero darsi che eventi caotici. Questa è appunto la ragione che li ha indotti a ricorrere alla scappatoia delle ‛predeterminazioni' - da parte dell'esperienza - o agli interventi ordinatori inconsci del soggetto. Ma i fatti indicano un'altra direzione. Come sappiamo, la ‛tendenza alla buona forma' o la ‛tendenza alla pregnanza', che abbiamo già incontrato discutendo delle ‛preforme', ha una portata di gran lunga maggiore.
Lungi dall'essere unicamente una sorgente produttrice di illusioni in condizioni di stimolo sfavorevoli e poco nette, la tendenza alla pregnanza si manifesta come fattore di correzione anche in configurazioni chiare e nette, per es. nel parallelogramma obliquo (nella nota illusione descritta da Sànder e Ipsen), anche se attualmente non tutte le illusioni ottico-tattili (dette sinora, infelicemente, illusioni ottico-geometriche) si lasciano ricondurre a essa direttamente e senza il ricorso a ipotesi addizionali.
Un altro importante campo di applicazione si è aperto con il tentativo di chiarire la questione, lasciata da von Ehrenfels senza risposta, del modo onde le formazioni percettive, da lui chiamate ‛forme' (in quanto portatrici delle qualità gestaltiche) si distaccano dal campo circostante, si contrappongono le une alle altre e acquisiscono la propria unità interna. Riallacciandosi a precedenti risultati di G. E. Müller, nei quali questi credeva però di aver trovato solo gli indizi-guida dell'attenzione dell'osservatore, Wertheimer poté mostrare che il distacco e la costituzione in unità, che danno luogo alle formazioni o eventi percettivi, obbediscono a certe regolarità, da lui denominate ‛leggi della forma'. Egli distingue le leggi seguenti: la legge ‛della vicinanza' (o della massima compattezza del tutto e insieme della massima contrapposizione rispetto alle formazioni vicine); la legge ‛dell'eguaglianza o somiglianza', in breve dell'omogeneità, e insieme della maggior contrapposizione qualitativa rispetto alle formazioni vicine, legge che si concreta anzitutto nel fatto di preferire (sebbene non esclusivamente) ‛confini' che corrono lungo salti qualitativi; la legge ‛della chiusura'; la legge ‛della curva continua'; la legge del ‛destino comune', cioè della massima costanza nel flusso del tempo; la legge dell'essere contenuto pienamente', secondo la quale le strutture percepite in cui l'intero' materiale è ordinato secondo un principio unitario sono preferite rispetto a quelle in cui il principio di ordinamento non comprende l'intero materiale. Si aggiungono inoltre leggi della simmetria, della semplicità, della regolarità, della unitarietà del principio ordinatore. Tutte queste leggi particolari possono essere intese come ‛casi speciali' della summenzionata tendenza alla pregnanza, la quale si dimostra un fattore decisivo per l'organizzazione del campo visivo e, come l'attento lettore avrà capito sin dall'inizio, anche per l'organizzazione del campo tattile e di quello sonoro (con le sue due dimensioni dell'altezza e della frequenza).
Tra le altre importanti funzioni della tendenza alla preguanza menzioniamo: il completamento spontaneo di costellazioni o decorsi che si presentino incompleti, l'identità di percorso di oggetti che muovano l'uno incontro all'altro e infine la visione in profondità dell'occhio singolo come anche dei due occhi sottoposti a identico stimolo, che si verifica quando si guarda, per esempio, uno spettacolo cinematografico od oggetti assai lontani. Come si può vedere, la tendenza alla pregnanza non è affatto un ‛fattore d'illusione'; essa dà invece un contributo diretto e decisivo alla percezione adeguata dell'ambiente.
Ci sia concessa un'osservazione incidentale sul valore esplicativo delle leggi della pregnanza. Si sente talvolta affermare che le leggi della forma ‛non spiegano nulla', che sono unicamente ‛descrizioni' di quanto accade nel campo percettivo. Questa critica presuppone un concetto angusto di legge, secondo il quale una legge ha valore esplicativo soltanto quando riconduce l'osservabile a qualcosa di non osservabile. Ma questo postulato non è soddisfatto neppure da tutte le leggi naturali. Accanto a leggi, per es. sulla connessione tra il calore e i moti molecolari, che soddisfano il postulato, ce ne sono altre, per es. la legge della leva, in cui si tratta unicamente di relazioni tra dati direttamente osservabili: la lunghezza del braccio della leva e il peso applicatovi sopra. Le cose stanno in modo analogo, per es., riguardo alla connessione tra l'essere vicini' e l'essere riuniti'. Come dimostra la possibilità che gli ‛insiemi riuniti' hanno di esercitare un influsso, non si tratta affatto di due facce della stessa medaglia, ma di due stati, separabili l'uno dall'altro, dei quali l'uno si comporta come variabile indipendente e l'altro come variabile dipendente, e circa la cui connessione è possibile formulare proposizioni ‛se-allora' nonché proposizioni (per così dire quantificatrici) ‛tanto-quanto', le quali soddisfano a tutte le condizioni richieste alle leggi naturali e anzitutto a quella di render possibili predizioni. E infatti, se si è provvisti di una conoscenza sufficiente delle leggi della forma, si possono fare predizioni affidabilissime su quanto, in determinate condizioni, accadrà nel campo percettivo.
Naturalmente, le regolarità di pregnanza possono essere espresse soltanto in un linguaggio finalistico. Per esempio la strutturazione del campo (nel caso che l'osservatore non intervenga e, di norma, anche se tenta di intervenire) avviene in ogni circostanza ‛in modo tale che' la massima pregnanza compare nell'ambito fissato dalla data momentanea configurazione di stimoli; in certi casi caratteristici il percepito si presenta come ‛ancora più regolare' di quanto ci si aspetterebbe, attesa la configurazione degli stimoli.
Abbiamo così acquisito la conoscenza che almeno in un sistema, il sistema percettivo dell'uomo, gli eventi si svolgono ‛in modo ordinato' (sebbene tale ordine non sia assicurato esternamente contro possibili aberrazioni) e che l'ordine in questione è instaurato e mantenuto proprio dalle forze operanti ‛tra' i processi svolgentisi simultaneamente. L'ordine può infine essere migliorato anche al di là di quanto ci si potrebbe aspettare, data la configurazione degli stimoli: ciò vuol dire che nell'accadere è attivo un orientamento verso ‛condizioni ottime'.
9. Teoria della forma
È denominata ‛teoria della forma' una psicologia che parta dalla supposizione che le verità, acquisite inizialmente riguardo alla percezione, abbiano una validità estensibile all'intero territorio della psicologia. Si ipotizza quindi che ‛in generale', come conseguenza del più o meno stretto nesso dinamico tra tutte le posizioni di un tutto, ogni azione locale si trasmetta in linea di principio attraverso il tutto e che il tutto reagisca sempre sino a riorganizzarsi, anche completamente, a seconda della natura, del luogo e dell'estensione delle interferenze (quando non siano di entità assolutamente modesta). In una forma, l'evento locale è perciò, in linea di principio, sempre determinato anche da fattori extralocali, come d'altra parte contribuisce a determinare gli eventi nelle sue vicinanze. L'accadere tende così, ‛in generale', a realizzare ‛condizioni ottime' nel tutto interessato, anche se tali condizioni, naturalmente, non possono presentare in tutti i campi psichici - come nella vista - una regolarità ‛geometrica'; esse sono comunque sempre contrassegnate da un'interna ‛concordanza', nella quale tutti gli stati parziali distinguibili ‛si richiamano l'un l'altro' così come ‛sono richiamati' dal tutto. E devono essere così come sono, giacché altrimenti il tutto sarebbe un tutto ‛discorde', ‛disturbato', distorto e difettoso, o magari ‛sovraccarico': sarebbe, in termini generali, un tutto in sé ‛illogico', contraddittorio e dissonante.
La vita psichica costituisce nel suo complesso una gerarchia, fornita di vari livelli, di siffatti tutti - in parte contenuti l'uno nell'altro - i quali presentano a ogni livello loro proprie tendenze alla pregnanza. La rapidità con cui opera l'interazione reciproca dinamica e viene raggiunto lo stato finale ottimo varia straordinariamente a seconda dei casi. Nell'organizzazione del campo percettivo sulla base della distribuzione dello stimolo e dello stato del soggetto l'interazione reciproca raggiunge lo stato ottimo istantaneamente; si parla in questi casi di forme ‛forti'. Ma ci sono anche processi che si svolgono assai lentamente. Gli eventi produttivi (indagati a fondo per la prima volta da M. Wertheimer) in gioco nella soluzione di problemi scientifici, tecnici, organizzativi e sociali o nel dispiegarsi di un'idea artistica possono durare giorni, mesi e anni. Anche in queste forme ‛deboli' la sostanza non muta; anche qui la direzione dell'accadere è stabilita non da un sistema di conduzione di prescrizioni, regole, istruzioni di lavoro, indicazioni operative, ma bensì - in seguito alla mera comparsa di un nuovo problema o di una nuova idea - viene determinata nelle sue fasi essenziali unicamente ‛dai vettori', che spingono verso la meta, ancora ignota, della soluzione: gli stessi vettori che hanno innescato il processo e lo mantengono in vita. (Questa è la ragione per cui le soluzioni trovate per questa via, diversamente da quelle fissate in anticipo da prescrizioni e istruzioni, sono senz'altro trasponibili a problemi affini più o meno remoti).
Dove, nel sistema gerarchico globale della vita psichica, corrano i confini ‛all'interno' dei quali hanno luogo energiche e subitanee interazioni, propagantisi dall'interno all'esterno (e viceversa), con un effetto più o meno intenso ma mai interamente evitabile, è cosa che, di nuovo, è determinata dalle leggi della forma. Ciò vale anche per i confini che separano l'Io', così enormente differenziato, dal non meno differenziato ‛ambiente', senza però che tale separazione impedisca le più durevoli ripercussioni degli eventi dell'ambiente sullo stato dell'Io, e d'altra parte le ripercussioni dello stato dell'Io sulla percezione dei fenomeni.
10. Applicazioni
È apparso conveniente indagare i principi della composizione dei tutti e le relazioni tra di loro e tra le loro parti anzitutto in configurazioni poco appariscenti (come un disegno a tratteggio o una successione semplice di toni), e solo in un secondo tempo tentare di applicare i risultati così conseguiti a configurazioni più complesse, per il cui ordinamento - come si può affermare con sicurezza - non è previsto nell'organismo alcun dispositivo vincolante.
L'applicazione ha già avuto luogo con successo riguardo al fenomeno dei sistemi di riferimento, alla costanza dell'oggetto, alla distinzione tra colori inerenti all'oggetto e colori inerenti all'illuminazione, e a parer mio soltanto per caso non si è ancora tentata l'applicazione riguardo alla coordinazione del campo visivo ‛globale' con l'insieme degli altri campi sensoriali, per esempio quello della percezione della situazione, della pressione e del tatto.
Le tendenze riscontrate nella percezione si ritrovano ‛rafforzate' nella ‛memoria' (v. anche i contributi di Koffka e Sorge).
Nel caso della nascita di nuovi tutti, è per la teoria della forma di scarsa importanza in qual modo ciò si verifichi: se attraverso la fusione di tutti, prima isolati, di minore estensione, o attraverso la dissoluzione di un tutto più comprensivo o attraverso la trasformazione (ristrutturazione) di un tutto prima eterogeneo. Decisiva è soltanto la concordanza interna del nuovo tutto e la natura di tale concordanza. (Esistono due tipi di ‛adattamento reciproco': 1) l'uno stato completa l'altro e viceversa; 2) l'uno stato raffigura l'altro, coincide in qualche modo con esso).
Nell'apprendimento sistematico, la connessione di elementi prima isolati svolge, com'è noto, un ruolo così rilevante da far dimenticare facilmente le altre possibilità. In quelle configurazioni parziali che, come significanti e come significati, il caso o la scelta raccolgono in un vocabolario, entrambe le dimensioni ‛concrete', o più esattamente le loro relazioni, hanno, riguardo alla facilità o difficoltà con cui ha luogo la loro fusione e riguardo alla solidità o fragilità della loro connessione, un'importanza maggiore che non la frequenza della loro combinazione o tutti i bonbons con cui viene ‛ricompensata' o ‛rinforzata' la riproduzione corretta nel nesso in questione (v. Park, 1966). Mutatis mutandis, per la fusione di strutture più complesse il discorso è il medesimo. Esse vengono tanto più rapidamente apprese e tanto più a lungo mantenute quanto più chiaramente è in esse riconoscibile un principio unitario di composizione, e si percepisce nel contempo se i ‛membri' che compaiono nelle differenti posizioni ‛si adattino' oppure no (v. Katona, 1940). È sorprendente come di tutto ciò, sinora, si sia tenuto scarso conto nella letteratura teorica sull'apprendimento.
Ancor più cospicuo è il contributo, già ricordato, della teoria della forma alla questione del lavoro ‛produttivo' - o, come oggi si usa dire, ‛creativo' - di soluzione dei problemi, cioè alla ‛scoperta' di nessi prima ignoti e all'invenzione' di procedure nuove per il conseguimento di un dato scopo: il contributo insomma - in termini generalissimi - dato alla facoltà di cavarsela in situazioni sconosciute, alla capacità di mobilità e di riorganizzazione mentale. Ad onta di tutte le dichiarazioni in contrario, la teoria dell'apprendimento non ha da offrire, a questo proposito, altro che il ‛caso', che in occasione di un dato comportamento fa comparire un risultato desiderato, e la presenza di spirito con cui il soggetto mette questo sorprendente avvenimento in relazione con il suo comportamento precedente. Secondo le accurate analisi (soprattutto di M. Wertheimer) può considerarsi come accertato che, con il compenetrarsi nella situazione, si sviluppano i vettori capaci di spingere intelligentemente verso il risultato, di modo che il numero e la natura dei tentativi di soluzione rimangono sempre al di sotto della ‛soglia del caso'. La procedura che conduce infine allo scopo viene stabilita non già perché la sua connessione con lo scopo viene ‛rinforzata' dal conseguimento dello scopo come lo sarebbe da un bonbon, ma perché per il ricercatore è ormai direttamente evidente ‛che e perché', e ‛in conseguenza di quali proprietà' proprio ‛questo' comportamento conduce a ‛questo' risultato. Anche qui, parlare di ‛rinforzo' o di ‛ricompensa sarebbe dar prova di un formalismo che offuscherebbe anziché rischiarare ciò che veramente importa. In realtà non succede qui che un ‛determinato' comportamento venga ‛rinforzato'; succede invece che vengano afferrati i valori funzionali delle proprie azioni parziali (e degli strumenti usati). Su questa base è possibile, senza nuove ‛prove', mettere in atto, in condizioni divergenti, ‛divergenti' modalità di comportamento: donde la trasponibilità, spesso ammirata, delle soluzioni di problemi raggiunte per questa via.
Di fronte all'educazione ‛liberatrice' oggi propugnata a gran voce, un'educazione cioè all'‛autonomia mentale', bisogna sottolineare come l'impostazione gestaltistica, sopra delineata, di una teoria del pensiero produttivo sia sinora l'unica a rendere possibile una tale educazione (e si tratta di un'impostazione già messa alla prova sul piano pratico), mentre la teoria dell'apprendimento, per la sua stessa natura, non può condurre ad altro che a nuove proposte circa il modo in cui si stabiliscono le connessioni mentali.
I geniali tentativi fatti da K. Lewin per rifondare ex novo la psicologia della volontà e la teoria delle motivazioni possono essere qui soltanto menzionati.
È cosa ovvia che anche una teoria gestaltistica della personalità non può essere sommativa. Se anche la personalità è costruita come le più modeste configurazioni riscontrabili nell'ambiente, allora neppure essa può essere una ‛somma di abitudini' che possano essere inculcate e coltivate singolarmente.
Dato che, per il teorico della forma, il corpo e la mente debbono essere considerati come un tutto in sé coerente, le interazioni che vanno sotto il nome di ‛psicosomatica' non costituiscono per lui nulla di sorprendente.
Quando concepisce i disturbi, i sogni e i lapsus dei nevrotici non come dovuti al caso ma neanche come conseguenze di difetti locali, bensì come ‛sintomi' di alterazioni della personalità, Freud è interamente sul terreno dell'impostazione gestaltistica. Ma quando tenta poi di concepire la personalità come un complesso di pulsioni parziali organiche più o meno autonome e reciprocamente cieche, e avanza l'opinione che un comportamento ordinato possa essere prodotto forzosamente soltanto dalle prescrizioni dei genitori e del Super-Io, il suo pensiero si muove secondo un modello pregestaltistico.
Diversamente dalla concezione freudiana, due punti centrali della cosiddetta psicologia individuale di A. Adler possono passare immutati nell'impostazione gestaltistica.
1. La supposizione che ogni persona sia un tutto, contrassegnato da un determinato ‛stile di vita', e che i comportamenti sorprendenti, come anche il contegno e i disturbi del nevrotico, siano comunque la ‛manifestazione', occasionata dalle condizioni volta a volta prevalenti nell'ambiente, di questo stile di vita; e infine che tale manifestazione, a meno che non sia altrimenti nota, possa essere predetta dall'esperto.
2. L'esigenza di considerare anche il singolo uomo come parte di un ‛tutto reale' più vasto, la comunità, e di intendere gli atteggiamenti nevrotici come il frutto di una ‛posizione' - errata - assunta nell'infanzia in seguito a certe condizioni di vita e quindi mantenuta in una sorta di precoce e inadeguato irrigidimento di se stesso. Ora, se la comunità viene riconosciuta come una configurazione sovraindividuale psichicamente reale, allora anche a tali configurazioni devono essere attribuite ‛tendenze alla pregnanza'. Come forma di pregnanza di una comunità sarebbe da intendere uno stato di pacifica e feconda cooperazione, mirante allo sviluppo di tutti e di ciascuno. Sarebbe quindi pensabile che le aspirazioni sociali del singolo, localizzato in (e non fuori di) un gruppo, non siano altra cosa che la manifestazione della tendenza alla pregnanza del gruppo che lo racchiude. Ciò farebbe comprendere come non sia più possibile educare ('socializzare') un giovane, al quale, per qualsiasi motivo e in qualsiasi modo, sia stata sottratta la sua appartenenza, e come d'altra parte non ci sia bisogno di alcun genere di misure coercitive per indurre un bambino, che sia assolutamente certo della sua appartenenza, a comportarsi nel modo desiderato dal gruppo, giacché un tale comportamento ‛si promuove da se stesso'. Dalle riflessioni gestaltistiche possono quindi derivare proposte per una educazione nella libertà, proposte che appaiono meglio fondate di quelle ‛antiautoritarie', essendoci in esse posto per l'autodisciplina e per il rispetto. Queste sono però per il momento supposizioni: il lavoro di ricerca è appena cominciato.
11. Mondo fisico e mondo eidetico
Non limitato alla teoria della forma, ma da essa soltanto promosso in modo conseguente nei tempi recenti, è il riconoscimento che il mondo fenomenico, che può realizzarsi soltanto sulla base delle sorprendenti funzioni del sistema nervoso, quali le abbiamo descritte sopra, ‛non può identificarsi' con il mondo fisico, il quale è anzi riprodotto dal primo in modo così peculiare da imporre la distinzione tra ambiente ‛fisico' e ambiente ‛eidetico' dell'organismo, tra l'organismo e l'Io come contenuto di coscienza, tra gli stimoli come azioni chimico-fisiche sugli organi elementari di senso e le valenze degli oggetti eidetici ‛sorti' sulla base di quegli stimoli, tra i nostri ‛impulsi ad agire', che possono riferirsi unicamente all'Io ‛eidetico' e ai suoi elementi ‛eidetici, e il ‛comportamento', innescato da circuiti di controllo, dell'organismo nel suo ambiente fisico. Ammettiamo pure che una simile concezione sia complicata; ma tant'è: la natura non ne consente una più semplice. Questo si voleva sotsolineare dinanzi alla disinvolta mescolanza, oggi predominante nel behaviorismo come nella psicologia sociale, di mondo eidetico e mondo fisico. È a proposito di questa distinzione, del resto, che si riscontra l'unica fondamentale differenza d'opinione tra K. Lewin e i fondatori della teoria della forma. Lewin voleva riedificare una psicologia puramente fenomenica, ma in questo sforzo cadde, tra difficoltà insolubili, nella psicofisica della percezione (O. Graefe).
12. Forme fisiche
Nel 1920 W. Köhler riuscì a dimostrare - cosa da lungo tempo nota ai fisici - che esistono stati fisici che soddisfano entrambi i criteri di von Ehrenfels. Si tratta di correnti stazionarie in un mezzo continuo o in fitte reti di conduzione e, anzitutto, di distribuzioni di carica e di campi di forza di ogni genere, di dinamiche dei liquidi: in breve, di tutti gli stati ed eventi la cui forma e decorso sono determinati da un equilibrio di forze. Nel 1919 seguì la dimostrazione delle condizioni alle quali l'accadere fisico raggiunge la quiete nello stato finale ottimo, ovvero diventa stazionario. Questi sistemi non possono essere prodotti o spiegati per via additiva. È pertanto possibile parlare anche di forme fisiche.
La dimostrazione dell'esistenza di forme fisiche apre la possibilità di una correlazione ‛significativa' tra i processi psichici o di coscienza e i loro correlati psicofisici, secondo il principio dell'affinità strutturale o dell'isomorfismo. Ciò implica che una teoria della psiche che renda giustizia al vissuto non deve necessariamente - come temevano Dilthey e i suoi scolari - entrare in contraddizione con le conoscenze della fisica.
Sino a oggi la psicofisica, che poggia assai largamente sull'ipotesi delle forme fisiche, viene designata come ‛teoria della forma'. Ma anche se non ci fossero forme ‛fisiche', la particolare concezione della natura del mondo psichico, nota come ‛teoria della forma', non perderebbe per questo il suo significato.
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