PSICOLOGIA DELLA SALUTE
La psicologia scientifica moderna, fin dai suoi inizi, si è intensamente e specificamente occupata di problematiche riguardanti la salute e la malattia, non solo della mente ma anche del corpo: basterebbe ricordare il suo coinvolgimento con il mondo della medicina attraverso i percorsi teorici e applicativi della psicosomatica o della psicologia medica (v. medicina psicosomatica, in questa Appendice). Con la dizione specifica di p. della s., tuttavia, sembra farsi strada un orientamento nuovo, di proporzioni più vistose, e sostanzialmente più coerente con il modello psicologico. Sviluppatasi negli Stati Uniti, la sua emergenza formale può essere ricondotta agli anni Settanta con la costituzione della Divisione di Psicologia della salute dell'American Psychological Association. La definizione che fu proposta in quella sede, e poi generalmente accettata, è la seguente: "La psicologia della salute è l'insieme dei contributi specifici (scientifici, professionali, formativi) della disciplina psicologica alla promozione e al mantenimento della salute; alla prevenzione e al trattamento della malattia; all'identificazione dei correlati eziologici, diagnostici della salute, della malattia e delle disfunzioni associate; all'analisi e al miglioramento del sistema di cura della salute e di elaborazione delle politiche della salute" (Matarazzo 1980).
Varie appaiono le ragioni che spiegano la sua straordinaria diffusione non solo negli Stati Uniti ma anche in altre nazioni, comprese quelle europee. Fra le più rilevanti è il notevole cambiamento dei quadri di patologia registrato nei paesi occidentali: mentre fino a qualche decade addietro le più importanti cause di morte riguardavano malattie infettive per lo più acute, oggi, parallelamente alla drastica caduta di queste, sono straordinariamente cresciute da una parte le malattie croniche, come quelle cardiovascolari, il cancro, il diabete, e dall'altra l'infortunistica, in particolare quella stradale. Insieme alla difficoltà in cui si è trovata la medicina, è apparsa sempre più evidente l'importanza dei fattori psicologico-comportamentali nell'insorgenza, nell'evoluzione e nella gestione di queste patologie.
Nel tratteggiare la rilevanza di questi fattori può essere utile distinguere tre ampie categorie: abitudini o ''stili'' di vita; reazioni alla malattia e ruolo di malato; effetti psicofisiologici diretti.
Stili di vita: che vi sia uno stretto rapporto fra dinamiche comportamentali, oggetto specifico della disciplina psicologica, e processi di salute-malattia è ormai universalmente riconosciuto. A conforto dell'ipotesi che certe abitudini, spesso fortemente indotte dall'ambiente, assumano un peso notevole nella genesi delle malattie, viene spesso citata una circostanziata relazione del ministro della Sanità statunitense, nella quale si attribuiva a stili di vita non sani − come il fumare, la mancanza di esercizio fisico, il consumo eccessivo di alcool, l'uso di droga, le diete inadeguate, il non uso delle cinture di sicurezza − un ruolo determinante in oltre il 50% di tutte le morti avvenute nel 1976 negli Stati Uniti.
Il comportamento risulta anche cruciale nella dinamica delle varie forme di incidenti, sia sul lavoro sia nella strada sia nelle stesse abitazioni. Gli esempi al riguardo sono innumerevoli: per citarne uno fra quelli meno noti, da un'indagine condotta su 18.867 incidenti aerei, è risultato che essendo il 75% di essi dovuto al fattore umano, solo lo 0,2% si doveva attribuire a ragioni mediche ("Questi fatti dimostrano quanto fino a oggi sia stato trascurato il significato degli aspetti psicologici della sicurezza del volo... come percezione, elaborazione dell'informazione, resistenza all'interferenza, vigilanza e motivazione del pilota", Grossenbrunner 1991). Dal momento che al centro dei fattori indicati come fortemente a rischio per una varietà di patologie e di infortuni si trova il comportamento nella complessità delle sue dinamiche intraindividuali e interindividuali, era naturale attendersi lo sviluppo delle pratiche di prevenzione e d'intervento della psicologia, la quale viene sollecitata in tutto l'arco delle sue competenze, da quelle di tipo psicofisiologico a quelle di tipo psicosociale.
Reazioni alla malattia e ''ruolo'' di malato: la rappresentazione della malattia nell'immaginario delle persone suscita una serie di atteggiamenti rilevanti sul piano delle conseguenze concrete. Basterebbe ricordare la tendenza a minimizzare o accentuare i sintomi procrastinando indebitamente, nel primo caso, l'intervento medico, o rendendolo problematico nel secondo. I meccanismi di denegazione, specie per particolari malattie come il cancro, sono alla base di una quota rilevante d'insuccesso dei trattamenti, effettuati tardivamente, ma vistosi inconvenienti si possono attribuire anche all'accentuazione del sintomo da parte di vari pazienti.
Di grande interesse inoltre, per la p. della s., il controllo dei fattori psicologici nel decorso della malattia, nell'alleviamento delle complicazioni croniche, nella terapia del dolore, nella valorizzazione delle varie modalità di supporto sociale, nelle situazioni di crisi. Un altro grosso capitolo riguarda infine la problematica dei rapporti fra il paziente e la sua malattia da una parte e il sistema sanitario, a cominciare dalla figura del medico, dall'altra. A quest'ultimo riguardo un aspetto molto studiato è quello della mancanza di comportamenti coerenti rispetto alle prescrizioni mediche, in particolare quelle che si protraggono per lungo tempo. La p. della s., fortemente ispirata alle concezioni sistemiche, mette sempre più in evidenza la necessità che, nelle complesse transazioni fra il paziente e il suo sistema di cura, sia dato un adeguato riconoscimento alla dimensione psicologica.
Effetti psicofisiologici diretti: in questo gruppo si dovrebbero includere tutte le ripercussioni sulla salute direttamente legate a influenze psicologiche, senza la mediazione di sostanze esterne (per es. il fumo) o comportamenti individuali di vario tipo (per es. il non uso delle cinture di sicurezza in auto). Fattori psicologici possono agire sulle cellule, sugli organi e sulle funzioni, attraverso la complessa mediazione del sistema nervoso centrale.
Rilevante in questo ambito è il concetto di stress. In qualche modo mutuato dalla fisica, il termine stress è stato utilizzato per primo da W.B. Cannon in campo umano per indicare gli effetti di alcuni agenti nocivi, quali il freddo e la mancanza di ossigeno. Ma si deve soprattutto a uno studioso canadese, H. Selye, il merito di aver richiamato l'attenzione della comunità scientifica su questo fenomeno, descrivendolo sul piano teorico come una "sindrome generale di adattamento" dell'organismo di fronte a pressioni o sfide dell'ambiente. Nelle originarie formulazioni dello stress l'attenzione si focalizzava soprattutto sulla varietà degli stimoli cosiddetti stressanti e sulla relativa uniformità delle reazioni fisiche derivate; successivamente, tuttavia, con il crescente sviluppo delle discipline psicologico-comportamentali, il panorama si articolava facendo emergere in tutta evidenza la pregnanza delle variabili intervenienti fra stimolo e risposta. Appariva sempre più chiaro che la relazione fra stress e malattia non è di tipo semplice, ma dipende in consistente misura da differenze individuali sia biologiche che di personalità, dal contesto, dalle risorse sociali a disposizione e, soprattutto, dalla percezione dell'evento stressante stesso.
Stress psicologico e salute. - Il problema dello stress sta assumendo grande rilievo nella p. della salute. Prima degli anni Settanta si pensava che lo stress contribuisse allo sviluppo solo di poche malattie fisiche, in particolare di quelle cosiddette ''psicosomatiche''. Successivamente tuttavia la ricerca ha cominciato a mettere in evidenza nuove relazioni fra lo stress e una grande varietà di patologie che prima si ritenevano di stretta natura organica, come le malattie cardiache, l'ictus, la tubercolosi, il diabete, la leucemia, il cancro, vari tipi di malattie infettive e perfino la comune influenza (Elliot ed Eisdorfer 1982).
Prendiamo come esempio, per molti aspetti rilevante, le ricerche compiute da Friedman e Rosenman (1974). Questi due autori, infatti, riuscirono a mettere in evidenza la connessione esistente fra il rischio coronarico e una sindrome caratterizzata da forte competitività, ostilità, urgenza del tempo: questa sindrome, chiamata da Friedman e Rosenman comportamento di tipo A, sarebbe in certo senso indicativa di una sorta di stress che i soggetti stessi si autoimpongono, con le conseguenti intense reazioni che ne derivano.
Se l'influenza dei fattori psicologi sulla salute fisica era stata ipotizzata da molto tempo − la letteratura psicosomatica è testimonianza di queste intuizioni −, è solo di recente, con il fiorire delle conoscenze sul sistema nervoso centrale, che si può cominciare a vedere un concreto sviluppo di acquisizioni scientifiche in grado di valorizzare le intuizioni stesse.
Si deve allo straordinario sviluppo delle neuroscienze la scoperta di una serie di meccanismi che spiegano come eventi psicologicamente rilevanti si traducano in modificazioni fisiologiche dannose alla salute e in vere e proprie malattie. Il cervello, con i suoi collegamenti con il sistema endocrino da una parte e con il sistema immunitario dall'altra, appare sempre più un punto di riferimento obbligato per la comprensione dell'organismo nel suo stato di malattia e di salute. "Il cervello serve e coordina contemporaneamente le funzioni mentali, il comportamento e i processi che regolano le funzioni corporee (per es. i meccanismi omeostatici e quelli immunologici); questi processi a loro volta influenzano la recettività dei tessuti o la resistenza ai vettori patogeni di ogni tipo; così facendo esso fornisce una comune rete di vie e circuiti che possono servire a collegare gli aspetti fisico-chimici e quelli simbolici dell'ambiente con i corrispondenti aspetti fisico-chimici e simbolici della persona" (Reiser 1980). Su queste linee-guida sono nate discipline nuove come la neuropsicoendocrinologia e la psicoimmunologia, di grande significato per lo sviluppo e la qualificazione scientifica della p. della salute.
Psicologia della salute e modello biopsicosociale. - Da questa breve esposizione si può evincere il progressivo ampliarsi del ruolo della psicologia, soprattutto nelle tematiche connesse all'alterazione della salute stessa. Ma per comprendere meglio che cosa abbia significato l'affermarsi della p. della s. e, in particolare, quale sia il suo timbro distintivo rispetto ai suoi antecedenti storici (psicosomatica, psicologia medica), occorre prendere atto della sua chiara emergenza all'interno di una rivoluzione epistemologica che ha gradualmente modificato il clima teorico e applicativo della biomedicina (Bertini 1988). Nella crisi del cosiddetto modello biomedico tradizionale − di stretta ispirazione ''naturalistico-positivistica'' −, si viene delineando il cosiddetto modello ''biopsicosociale'' (Engel 1977) che finisce per costituire la matrice o lo sfondo culturale in cui ogni settore o tendenza della p. della s. sicuramente si riconosce. È un modello di tipo integrativo-sistemico che descrive gli organismi biologici come entità complesse con livelli diversi di organizzazione tra loro strettamente interconnessi. Entro questo modello, che non consente più le semplificazioni riduzionistiche e che prevede invece la convergenza di contributi altamente differenziati delle varie discipline, anche la psicologia può ora muoversi al di fuori della soggezione e delle suggestioni dell'ambito medico, ricercando la propria caratterizzazione d'intervento nel raccordo fra teoria − appunto psicologica − e metodo psicologico. Un'espressione chiara di queste tendenze è la sottolineatura del concetto di salute anziché di malattia.
Dalla cura e prevenzione della malattia alla promozione della salute. - La medicina moderna, nello sforzo certamente coronato da notevoli successi di sconfiggere la malattia, ha finito talvolta per oscurare (a vantaggio di Panacea), l'altra figlia di Esculapio, Igea, che, secondo la mitologia, insegnava ai Greci come essere sani. L'impegno a rispettare lo spirito di Igea, per lo più, non è andato oltre il crinale della ''prevenzione'' della malattia; ben raramente si è spinto sui sentieri della ''promozione'' di comportamenti che favoriscano la salute.
Il concetto di promozione è consonante con gli orientamenti verso lo sviluppo o la realizzazione dell'organismo, nella sua interezza biopsicologica. La psicologia, nella sua identità disciplinare, è ricchissima di ispirazioni evolutivo-sociali, e, pertanto, i contenuti dell'intervento dello psicologo dovrebbero agevolmente declinarsi nell'obiettivo di sviluppare, mantenere e usare pienamente le capacità fisiche, mentali ed emotive dell'individuo nella complessa rete delle sue relazioni sociali, e non solo di prevenire o curare la malattia, come un qualcosa di ''altro da sé''. Promuovere questo processo di ''sviluppo della salute'', o ''benessere'', è diventato di fatto l'obiettivo principe della p. della s.; in stretta consonanza del resto con il cambiamento della definizione di salute considerata dall'OMS non più come assenza di malattia, bensì, in termini positivi, come ''stato di benessere fisico, psicologico e sociale''. In questo spostamento di baricentro sul versante della salute, viene coniato il termine di salutogenesi (Antonovsky 1979) chiaramente oppositivo rispetto a quello di patogenesi. Anziché interrogarsi sui meccanismi che conducono allo stato di malattia, viene posto il tema dei fattori che orientano verso lo stato di salute. Questa impostazione comporta a vari livelli − anche a quelli delle scelte di politica sanitaria − una riorganizzazione delle priorità, con uno spostamento di accento dalle fonti della morbilità, verso un miglior sfruttamento delle sorgenti della salute.
Dal momento che la salute non può essere valutata semplicemente sulla base di criteri fisici, diviene essenziale l'identificazione di indicatori psicosociali e comportamentali di salute. La p. della s. è attivamente impegnata in programmi di ricerca per l'identificazione di fattori comportamentali e psicosociali utili non solo ai fini della valutazione ma anche sul piano dell'intervento psicoeducativo.
Per es., si è dimostrato che le persone con adeguata ''competenza sociale'', cioè dotate della capacità di muoversi appropriatamente in un ambiente sociale, e della capacità di ascoltare, conversare, esprimere in modo accurato atteggiamenti ed emozioni, ecc., corrono meno rischio d'intraprendere la via dell'alcool o della droga, di manifestare comportamenti violenti, o, in genere, di presentare problemi di salute mentale; la competenza sociale può essere definita operativamente e valutata in modo attendibile, ed esistono metodi ben fondati di formazione per bambini, adolescenti e adulti in grado di facilitarne l'acquisizione. Ancora si possono ricordare: l'autostima, cioè il giudizio positivo che la persona ha del proprio valore; la capacità di soluzione dei problemi (problem solving), cioè l'abilità d'identificare, definire e analizzare i problemi, di scegliere le soluzioni appropriate, e di valutare i risultati; la percezione accurata delle emozioni (attribuzione, codificazione e appropriata espressione); la percezione del proprio controllo, cioè il grado di fiducia che una persona ha nella capacità di controllo di aspetti significativi della propria vita; ancora, nell'area generale del funzionamento biologico e delle reazioni psicosomatiche appare importante la capacità di valutare e controllare adeguatamente certi stati fisici, potenzialmente dannosi, come l'eccesso di attivazione e la rabbia, insieme alla capacità di regolare questi stati in modo efficace.
Lo stato della ricerca e delle esperienze applicative in questi ambiti è sufficientemente avanzato da poter consentire interventi mirati di tipo psicoeducativo, sia a livello individuale che in ambiti istituzionali significativi come nella scuola. L'esigenza di mettere a disposizione della popolazione le conoscenze di cui la psicologia dispone per promuovere lo sviluppo personale, e quindi il benessere psicofisico, trova attuazione, per es., attraverso il paradigma dello skills training (esercizio volto ad acquisire abilità), largamente diffuso negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei: si tratta di un nuovo modo di proporsi dello psicologo, non più in funzione di terapeuta nei confronti di una persona malata, bensì come strumento tecnico per ''insegnare'', potenzialmente a tutti, competenze psicologicamente rilevanti.
Hobbs (citato da Larson 1984) salutava la ''terza'' rivoluzione nell'area della salute mentale, indicando vari processi di trasformazione: dai modelli clinici a quelli della formazione e dell'intervento sulla salute; dall'utilizzazione di professionisti rigidamente tradizionali alla valorizzazione di figure e risorse non tradizionali; dall'uso di strategie riparative al più vasto impegno in interventi preventivi e, in genere, alla diffusione delle conoscenze e delle competenze della psicologia così da massimizzarne il contributo al benessere individuale e sociale. È anche in virtù dei contributi più recenti della p. della s. che si può registrare un cambiamento di tendenza nello sviluppo della stessa professionalità psicologica. Anziché muoversi preferenzialmente lungo l'asse della psicoterapia, la funzione dello psicologo sembra orientata ad acquistare il respiro più ampio di sollecitazione delle risorse psicologiche sane.
Bibl.: M. Friedman, R. Rosenman, Type a behavior and your heart, New York 1974; G. Engel, The need for a new medical model: a challenge for biomedicine, in Science, 196 (1977), pp. 129-36; A. Antonovsky, Health, stress, and coping, S. Francisco 1979; M. Reiser, Implication of a biopsychosocial model for research in psychiatry, in Psychosomatic Medicine, 42/1 (1980), pp. 141-51; J. Matarazzo, Behavioral health and behavioral medicine: Frontiers for a new health psychology, in American Psychologist, 35 (1980), pp. 807-17; Stress and human health: analysis and implications of research, a cura di G. Elliot e C. Eisdorfer, New York 1982; D. Larson, Giving psychology away: the skills training paradigm, in Teaching psychological skills: Models for giving psychology away, a cura di D. Larson, Monterey 1984; D. Krantz, N. Grunberg, A. Baum, Health psychology, in Ann. Rev. Psychol., 36 (1985), pp. 349-83; M. Bertini, Psicologia e salute, Roma 1988; P. Grossenbrunner, Human factors in personnel selection, in Report of the first AFI regional flight safety and human factors seminar, Douala 1991; S. Taylor, Health psychology, Los Angeles 1991.