psicomotricità
L’insieme delle dottrine e pratiche terapeutiche che riguardano l’integrazione delle funzioni psichiche con quelle motorie, nel corso dello sviluppo (➔ infanzia). Questi due tipi di funzioni, infatti, che si presentano rudimentali alla nascita, evolvono in stretta interdipendenza e via via si differenziano e si specializzano, mantenendo però sempre connessioni e legami profondi. Questa complessa unione può essere compromessa, sia da patologie neurologiche per rallentamento psicotorio (➔) o per arresto o assenza dello sviluppo psicomotorio (encefaliti, neuropatie metaboliche infantili, alcune forme epilettiche o distrofiche, ecc.) sia da turbe psichiche e dell’umore (depressione, ecc.), dando così origine ai disturbi psicomotori. L’ambito proprio della p., caratterizzato dalle sue patologie e dalle relative modalità terapeutiche, è stato definito da esponenti della neuropsichiatria e della psicologia evolutive in ambiente di lingua francofona negli anni Cinquanta e Sessanta del 20° sec., come per es. Pierre Vayer e Jean Le Boulch. Da tale interpretazione sono derivate fondamentalmente una valorizzazione delle esperienze corporee nello sviluppo infantile e una concezione antropologica che riconosce l’importanza della corporeità non solo nel processo educativo ma in tutte le età dell’uomo. La p. deve molto all’approccio fenomenologico: per la p., come per la fenomenologia, il mondo esterno è incorporato nel nostro agire. La terapia psicomotoria consiste infatti proprio nel ripercorrere le tappe attraverso cui il movimento si è plasmato nel mondo, per ricostituire le fratture tra corpo e mondo che si possono osservare in molte patologie come, per es., alterazioni dei riflessi, sincinesie (movimenti ‘spuri’ attivati in concomitanza di normali movimenti), goffaggine dei movimenti volontari, paratonie (difficoltà a rilasciare contrazioni muscolari volontarie), instabilità, tic, mioclonie (contrazioni muscolari improvvise e ripetute) e balbuzie.