PSICOPATOLOGIA
. La p. intesa nel significato etimologico del termine è la dottrina delle "malattie" della mente. Nell'ambito della medicina occupa, rispetto alla psichiatria, una posizione ravvicinabile a quella della patologia medica nei confronti della clinica medica; è, in altri termini, una disciplina il cui compito principale è lo studio di quei problemi o argomenti di patologia psichica di carattere generale nell'intento di elaborare suddivisioni, classificazioni, teorie, la cui validità dovrà essere confermata nel singolo caso al "letto del malato", compito precipuo della "psichiatria" (o più specificatamente della "clinica psichiatrica").
Una delimitazione semplice e precisa della p. non è agevole anche perché la stessa psichiatria occupa - da un punto di vista molto generale - una situazione intermedia tra "scienze naturali" (Naturwissenschaften, secondo la terminologia tedesca) e "scienze dello spirito" (Geisteswissenschaften).
Le difficoltà terminologiche e concettuali che si incontrano nella definizione stessa di "malattia" mentale contribuiscono a rendere difficile una esatta delimitazione dell'oggetto della p., che è tuttora controverso: è stato ad es. sostenuto anche recentemente che oggetto di questa disciplina non sono soltanto le "malattie" mentali ma anche le "anomalie" psichiche, intese come varianti statisticamente abnormi dell'essere umano a cui non compete la designazione di "malattia" in senso stretto.
In realtà - e lo illustreremo meglio in seguito - la p. non si può definire in modo univoco e neppure valgono - per delimitarne meglio oggetto, metodo e scopo - le controversie alimentate su un piano puramente terminologico o speculativo. Più utile invece è lo studio dei rapporti di questa disciplina con la filosofia e la psicologia da un lato, con la psichiatria dall'altro.
Nell'ambito della psichiatria la p. ha assunto - nel corso della sua evoluzione a disciplina autonoma - due aspetti abbastanza chiaramente distinti:
1. Psicopatologia "sintomatica" (o descrittiva) elaborata principalmente da psichiatri e che può essere designata anche come "classica" (cfr. H. J. Weitbrecht). Nella sua forma più elementare equivale ad una semeiotica psichiatrica e porta ad una "diagnosi di stato" cioè all'individuazione di un sintomo principale (depressione dell'umore, confusione mentale, ecc.). Una ulteriore elaborazione permette di stabilire una particolare "gerarchia" tra i varî sintomi in vista di una diagnosi di "sindrome" mentale, cioè di un raggruppamento di sintomi in correlazione anche patogenetica (v. oltre p. classica).
2. Psicopatologia genetica. Orientata genericamente alla ricerca della "natura" o "causa" di una determinata affezione mentale, svolge questo studio con intenti diversi:
a) individuazione di un disturbo psicologico fondamentale responsabile dei varî sintomi psichici o psico-somatici; questa ricerca porta all'elaborazione di ipotesi di psicosemiogenesi (o patogenesi psicologica) o alle cosiddette "teorie psicologiche" di una affezione mentale che si prestano a numerose varianti (cfr. Bini-Bazzi);
b) individuazione di una "causa" psichica che permetta di spiegare - su un piano puramente psicologico - natura e causa dell'affezione mentale (psicogenesi etiologica; teorie psicogenetiche o psicodinamiche, v. oltre p. psicanalitica).
Per quanto riguarda i rapporti della p. con la filosofia e con la psicologia, ricorderemo che quest'ultima ha sempre rappresentato un sistema di riferimento fondamentale per la terminologia e le suddivisioni della p. mentre dall'altro continua ad influenzare - e ciò assieme con la filosofia - i principali e più recenti indirizzi psicopatologici (v. oltre).
Rispetto ai principali indirizzi attuali si possono stabilire le seguenti distinzioni:
Psicopatologia classica. - A questo indirizzo che pur comprende varie scuole od orientamenti non univoci si addice genericamente la qualifica di "classico" per i suoi stretti rapporti con la psicologia tradizionale da un lato e con la clinica psichiatrica dall'altro.
Per quanto riguarda metodologia, concetti generali, terminologia e sistematica, la p. classica si ispira alla "psicologia di coscienza" (detta anche e meno propriamente: "psicologia associativa", "psicologia funzionalistica", "psicologia atomistica", "psicologia additiva", ecc.) e giunge ad una classificazione dei disturbi mentali imperniata sulla distinzione di "funzioni" (o "facoltà"): disturbi della memoria, dell'attenzione, dell'affettività, ecc.
Nell'ambito di questo indirizzo un contributo fondamentale di chiarificazione terminologica, metodologica e concettuale è stato apportato da K. Jaspers la cui opera fondamentale di p. generale ha ispirato le principali correnti psicopatologiche e psichiatriche attuali di lingua tedesca.
Il principale e più originale contributo di Jaspers è rappresentato dall'approfondimento della "psicologia della comprensibilità" (Verstehende Psychologie secondo W. Dilthey) e della sua applicazione sistematica alla patologia mentale.
Al concetto della comprensibilità è direttamente connesso quello della derivabilità che permette di giungere a un'importante distinzione (sul piano della psicosemiogenesi) tra sintomi primarî e secondarî.
Il sintomo primario rappresenta uno stadio ultimo dell'indagine psicologica, non può essere riferito a uno stimolo psichico proveniente dall'esterno come nella reazione psicogena e neppure ad una alterazione intrapsichica a cui correlarlo. Così ad es. il delirio schizofrenico viene considerato sintomo primario, inderivabile. incomprensibile, mentre il delirio del melanconico (delirio di colpa, di rovina, ecc.) rappresenta un sintomo secondario in quanto derivabile in modo comprensibile da una alterazione primaria depressiva del tono dell'umore.
In base al criterio della "comprensibilità", Jaspers ed i suoi continuatori (in particolare K. Schneider) hanno elaborato approfondite distinzioni sia sul piano puramente psicopatologico (discriminazione di varî tipi o forme di comprensibilità) sia per quanto riguarda il valore clinico-nosografico della comprensibilità: tipico da questo punto di vista il contrasto tra la sintomatologia schizofrenica che rimane sempre incomprensibile e quella delle altre affezioni mentali che presenta sempre un grado più o meno spiccato di comprensibilità (tra i recenti contributi cfr. K. P. Kisker e B. Pauleikhoff).
Da rilevare in merito che i concetti generali di Jaspers subirono varie critiche, sin dall'epoca della prima edizione della sua Psicopatologia generale (1913), ma è indubbio che rappresentano ancora oggi uno dei validi argomenti di diagnostica psichiatrica. La difficoltà o impossibilità di giungere in qualche caso ad una diagnosi nosografica in base alla metodologia di Jaspers non è imputabile al procedimento ma dipende anzitutto dalla non assoluta specificità delle sindromi psicopatologiche (cfr. K. Schneider, 1950; H. J. Weitbrecht, 1957).
È da rilevare che anche molti Autori che non si sono ispirati direttamente a Jaspers adoperano in sostanza lo stesso criterio della "comprensibilità" (e della "derivabilità") anche se meno chiaramente espresso e distinto.
Nell'ambito della p. classica non sono mancati tentativi anche recenti di introdurre criterî e distinzioni che si discostano da quelli di Jaspers. Nel riassumere ed elaborare i più recenti contributi di questa tendenza H. Wieck giunge a stabilire tre fondamentali distinzioni nell'ambito dei disturbi psichici:
1) Anomalie della fenomenologia subbiettiva (aspetto cosciente della vita psichica: Erlebnisseite secondo la terminologia tedesca);
2) Anomalie del distretto diafenomenale;
3) Disturbi psichici globali.
Il termine "distretto diafenomenale" (ted. diafenomenales Bereich) si riferisce genericamente ad un livello inconscio della vita psichica ma non si identifica con l'inconscio secondo la concezione psicanalitica. Comprende genericamente i disturbi dell'impostazione noetica o timica (ted. Einstellung) in cui vengono fatti rientrare determinati disturbi della memoria (sindrome di Korsakov) o della affettività (in particolare la "depressione di fondo", ted. Untergrunddepression secondo K. Schneider) e i disturbi ossessivi. Nell'ambito dei disturbi globali i contributi più originali riguardano i disturbi delle correlazioni fenomeniche subbiettive (ted. Erlebniszusammenhang) in cui il criterio del rapporto comprensibile secondo Jaspers viene allargato con l'inclusione di disturbi diafenomenali o di fondo.
Da rilevare in merito che anche altri indirizzi psicopatologici (v. p. psicanalitica ed esistenziale) rappresentano in sostanza un allargamento della comprensibilità sul piano psicologico e del suo valore di "spiegazione" sul piano causale.
Psicopatologia strutturale. - Malgrado i varî significati attribuiti al termine "struttura" in campo psicologico è giustificato raggruppare nella p. strutturale (Petrilowitsch, 1958) diversi indirizzi che, sviluppatisi in epoca relativamente recente, rappresentano genericamente una "reazione" all'impostazione della psicopatologia classica: invece di distinguere nel quadro psicopatologico alterazioni di diverse funzioni, sintomi primarî e secondarî, ecc. si propongono di considerarlo come un "tutto" cercando le leggi che ne regolano le modificazioni (modificazione della "struttura" o della "forma": Struktur- e Gestaltwandel secondo la terminologia tedesca).
I principî della psicologia della "totalità" (Ganzheitpsychologie di Krüger) e della "forma" (Gestaltpsychologie) hanno trovato applicazione in p. dapprima nell'ambito di funzioni elementari (disturbi della memoria, delle percezioni) più recentemente in sindromi più complesse (analisi strutturale di quadri schizofrenici in particolare ad opera di K. Conrad e P. Matussek). Nei più recenti sviluppi di questo indirizzo si è anche tentato di elaborare sistematicamente tutta la p. generale e speciale introducendovi termini e concetti della psicologia della forma (K. W. Bash, 1955; N. Petrilowitsch, 1958).
I principî generali di J. H. Jackson sulla struttura e l'evoluzione del sistema nervoso centrale sono stati applicati alla p. in particolare dagli psichiatri di lingua francese (R. Mourgue, C. v. Monakow, J. Rouart, H. Ey, ecc.). Seppure con numerose varianti sulle quali non ci possiamo dilungare in questa sede, la struttura e genesi del quadro psicopatologico viene concepita secondo i principî generali di evoluzione e dissoluzione delle funzioni del sistema nervoso: sintomi "negativi" corrispondono ad un deficit della funzione del livello interessato mentre sintomi "positivi" rappresentano una "liberazione" di attività di livelli inferiori, normalmente "controllati" dai livelli superiori.
Nei paesi di lingua tedesca concezioni analoghe si riallacciano alla psicologia evolutiva comparata (Vergleichende Entwicklungspsychologie) che si ispirano anche all'etnopsicologia e alla psicologia comparata; nella concezione di E. Kretschmer si distinguono sindromi "ipobuliche" ed "iponoiche" che corrispondono ad una attività volitiva ed ideativa di strati inferiori, arcaici della psiche. In definitiva la p. strutturale ha un'impostazione prevalentemente patogenetica (elaborazione di ipotesi di psicosemiogenesi), una sistematica ed una terminologia che si discostano in alcuni punti dalla p. classica; il suo contributo alla psichiatria clinico-nosografica è stato sin'ora scarso in quanto la sua sistematica non porta alla distinzione di entità di malattia.
Psicopatologia psicanalitica. - Pur presentando alcuni punti in comune con la p. strutturale e con quella eclettica, questo indirizzo ha una sua netta individualità in quanto poggia sui cardini fondamentali della dottrina di Freud. Le numerose varianti e modificazioni della suddetta dottrina si ritrovano nelle concezioni psicopatologiche di marca psicanalitica che attualmente predominano nettamente nella psichiatria nord-americana. La caratteristica comune è rappresentata dall'ipotesi di una o più "cause" a livello psichico (psicogenesi etiologica) di tutte le affezioni mentali in cui il substrato organico-lesionale non sia sicuramente dimostrato.
Le numerose teorie psicogenetiche (o "psicodinamiche") pretendono non solo di aver dimostrato la natura psicogena delle suddette affezioni, ma di averne anche individuato l'etiologia in determinati "meccanismi" o "conflitti" che si svolgono esclusivamente o prevalentemente a livello inconscio. Prescindendo dalla esposizione e dalla critica di queste concezioni che non possono essere svolte in questa sede ricordiamo solo che molte di queste teorie si basano sui dati e i risultati di trattamenti psicanalitici: mentre è indubbio che la tecnica psicanalitica permette - almeno entro certi limiti - un'esplorazione dell'inconscio e un'analisi approfondita di "micropsicologia", non va taciuto il pericolo che la cura stessa (con la sua situazione di "transfert" e "controtransfert") crei degli "artefatti" psicopatologici e alimenti non poche illusioni nello psicanalista. Basti ricordare ad esempio che alcune teorie generali della schizofrenia si basano su pochissimi casi (talora solo su uno) che, tra l'altro, sono di dubbio inquadramento nosologico (vedi in merito tra le critiche recenti H. Schultz-Henke e K. Conrad).
Psicopatologia esistenziale (o antropoanalitica). - Non è facile stabilire quali siano le singole concezioni od i singoli Autori a cui spetti la qualifica di "esistenziale" in quanto l'esistenzialismo stesso "si presenta oggi come un complesso di varî movimenti filosofici e culturali" (B. Callieri). Ricordiamo in merito che nelle prime concezioni psicopatologiche di E. Minkowski e di Fr. v. Gebsattel - che non appartengono al movimento esistenzialista - si trovano già studî fenomenologici sulla spazio-temporalità che saranno in seguito ripresi dagli psicopatologi esistenziali ("reale accadimento temporale interiore" secondo L. Binswanger).
Il rappresentante principale di questo indirizzo è indubbiamente L. Binswanger che nella sua opera fondamentale (1942) e nei suoi numerosi studî di p. si è inspirato soprattutto alla filosofia di M. Heidegger; i suoi principali discepoli appartengono ai Paesi di lingua tedesca (R. Kuhn, M. Boss, ecc.), mentre in Italia questo indirizzo ha trovato relativamente poco seguito (tra i principali rappresentanti sono da citare C. Cargnello e B. Callieri).
La conoscenza dei concetti fondamentali e della particolare terminologia (spesso intraducibile in italiano) dell'analisi esistenziale (ted. Daseinsanalyse) è premessa indispensabile per la comprensione delle applicazioni alla psicopatologia di questo indirizzo.
Nel campo della p. l'analisi esistenziale vuole rappresentare un superamento tanto della psicanalisi quanto della p. classica pur mantenendosi sul piano di una fenomenologia descrittiva che non vuole però trascurare alcuni aspetti inconsci dell'attività psichica; da un altro canto lo studio dell'"essere-nel-mondo" (ted. In-der-Weltsein) viene concepito su un piano molto diverso da quello dell'indirizzo di p. eclettica.
Dal punto di vista della sistematica l'analisi esistenziale si propone di sostituire allo studio delle alterazioni di singole funzioni quello delle trasformazioni dei "modi-di essere-nel mondo" (o "modalità esistenziali"; cosiddette Existenzialen, secondo la terminologia originaria) giungendo alla descrizione di un "mondo" particolare dei singoli malati mentali. Nella struttura di questi particolari "mondi" viene data importanza prevalente ai "modi di essere con gli altri" (ad es. modo di essere "duale") nonché ad alcune esperienze primordiali (come "l'aprirsi, il dischiudersi" ecc.) a cui si attribuisce un significato profondo, non solamente metaforico o simbolico.
Nell'ambito delle psicosi i lavori più importanti e numerosi riguardano la schizofrenia in cui l'analisi esistenziale ha finito con l'assumere due aspetti diversi per quanto riguarda la distinzione generale della psicopatologia secondo i suoi scopi: da un lato - ed è questo l'indirizzo fondamentale - si mantiene su un piano descrittivo limitandosi a "cogliere" alcuni aspetti (anche se non chiaramente coscienti) del "come" vengano vissute determinate situazioni patologiche; da un altro lato però ha tentato di introdurre il concetto della "comprensibilità storico-biografica" della psicosi che finisce col risolversi in teorie di psicogenesi etiopatogenetica.
Dall'analisi esistenziale si è staccata una branca che ha intenti prevalentemente psicoterapici (Logoterapia secondo V. E. Frankl) ma indaga anche su aspetti di psicopatogenesi specie in campo di nevrosi (concetto delle "nevrosi noogene" da frustrazione esistenziale seconda Frankl).
La p. esistenziale ha sollevato numerose ed importanti critiche a cui possiamo accennare solo brevemente:
1) Da un punto di vista di metodologia generale è stato fatto rilevare che l'introduzione di concetti e termini ricavati direttamente da teorie filosofiche non si addice alla p. che deve rimanere una dottrina scientifica (K. Jaspers); 2) Sul piano descrittivo-fenomenologico si è messo in evidenza che accanto a approfondite descrizioni vi sono dei "modi di essere" (ad es. "distanza vissuta", "ampiezza della vita", ecc.) che non vengono veramente "vissuti" dal soggetto ma che rappresentano piuttosto delle metafore (v. Baeyer); 3) Il procedimento storico-biografico (che ammette cioè una continuità nello sviluppo della personalità anche quando sopravviene una psicosi endogena come la schizofrenia) attribuisce erroneamente ad alcuni tipi di comprensibilità un valore di spiegazione causale che è del tutto indimostrabile.
I critici più severi della psicopatologia esistenziale la definiscono "una immensa confusione ed una disordinata mescolanza di elementi teoretici empirici e filosofici" (R. De Rosa) mentre per i suoi sostenitori più moderati "l'analisi esistenziale non potrà mai sostituire o soppiantare la p. classica... non potrà mai risolvere un problema clinico di diagnosi differenziale" anche se ci permette di indagare una particolare "fenomenologia esistenziale" e di seguirne le sue alterazioni nelle malattie mentali (cfr. Callieri, 1952).
Non è facile in definitiva dare un giudizio generale su questo indirizzo mentre è possibile affermare con sicurezza che, almeno sin'ora, non ha portato alcun valido contributo alla psichiatria clinico-nosografica.
Indirizzo eclettico. - Si è sviluppato quasi esclusivamente negli S. U. A. in relazione all'eclettismo che prevale anche nella psichiatria "ufficiale" nord-americana (cfr. W. Welz).
Concetti e terminologia si ispirano tanto alla psicanalisi quanto alla psicologia comportamentistica, alla psicosociologia, alla psicobiologia secondo A. Meyer; il prevalere di uno di questi indirizzi in ogni Autore o in singole scuole rende arduo qualsiasi tentativo di distinzione o di succinta esposizione.
Da un punto di vista molto generale i concetti maggiormente sviluppati sono quelli del "conflitto", e della "motivazione" (intesi soprattutto in senso psicanalitico) dell'"adattamento" (adjustment) e delle relazioni "interpersonali" (intese prevalentemente nel loro aspetto socio-psicologico) e finalmente del "tipo di reazione" secondo A. Meyer. L'indirizzo eclettico viene in genere designato nei paesi di lingua inglese col termine molto generico di dinamico preceduto dal prefisso psico- (in genere per le concezioni ad impostazione prevalentemente psicanalitica) o bio- (ad es. la concezione biodinamica di Massermann) che vorrebbe designare una impostazione anche comportamentistica o comunque più generale.
Questo indirizzo che è stato applicato prevalentemente allo studio delle "nevrosi" (termine inteso d'altronde in senso molto lato) offre un quadro incompleto e disordinato della psicopatologia e la sua pretesa di aver individuato fattori psicopatogenetici essenziali nei concetti che abbiamo elencato è stata validamente criticata. Per gli scopi diagnostici e nosografici utili alla psichiatria clinica è comunque di scarso valore.
Particolari correnti di studî psicopatologici. - Oltre alle distinzioni generali della p. secondo gli scopi e gli indirizzi sono anche da considerare altre distinzioni secondo l'oggetto specifico, la tecnica usata, lo scopo particolare.
Queste si sono rese necessarie specie in questi ultimi anni per l'applicazione in misura sempre crescente di discipline psicologiche ai più svariati aspetti dell'attività umana normale od abnorme; si è così sviluppata la psicopatologia forense e quella criminale che indagano su un piano specificatamente psichico argomenti che rientrano nell'ambito della psichiatria forense e della criminologia.
L'impostazione particolare sull'aspetto diagnostico, con l'intento di giungere alla delimitazione di entità nosologiche, caratterizza la "psicopatologia clinica" (K. Schneider) a cui si contrappone una "psicopatologia teoretica" (C. Catalano-Nobili e G. Cerquetelli) che studia prevalentemente argomenti astratti o ipotesi generali di psicofisiopatologia.
Rispetto alla tecnica usata si è differenziata in particolare la p. sperimentale che si avvale di varî procedimenti: dai tests mentali (che realizzano una situazione sperimentale elementare) alla provocazione di sindromi psicotiche transitorie mediante sostanze altamente psicotrope come la mescalina o la dietilamide dell'acido lisergico.
Con l'espressione "psicopatologia sociale" viene designato da alcuni recenti Autori (cfr. Welz) una corrente particolarmente sviluppata negli S. U. A. che indaga in modo particolare le anomalie delle "relazioni interpersonali" nell'ambito delle collettività nonché l'influenza dell'ambiente sociale e culturale sulla genesi e le caratteristiche delle affezioni mentali.
È finalmente da rilevare che il termine stesso di "psicopatologia" è usato piuttosto di rado nei paesi di lingua inglese: in particolare negli S. U. A. gli argomenti di psicopatologia vengono in genere svolti sotto il titolo di "psicodinamica" di "biodinamica" e persino di "psicosomatica".
Bibl.: E. Minkowski, Das Zeiterlebnis in der endogenen Depression, in Mschr. Psychiat., LXIV (1928); C. v. Monakow e R. Mourgue, Introduction biologique à l'étude de la neurologie et de la psychopathologie, Parigi 1928; H. Ey e J. Rouart, Essai d'application des principes de Jackson à une conception dynamiste de la psychiatrie, ivi 1938; Fr. v. Gebsattel, Die Welt der Zwangskranken, in Mschr. Psychiat., IC (1938); L. Binswanger, Grundformen und erkenntnis menschlichen Dasein, Zurigo 1942; K. Jaspers, Allgemeine Psychopathologie, Berlino 1913, 5ª ed., 1948; D. Cargnello, Antropoanalisi e psicoanalisi, in Arch. Psicol. Neur., X (1949); E. Kretschmer, Medizinische Psychologie, 10ª ed., Stoccarda 1950; K. Schneider, Klinische Psychopathologie, Stoccarda 1950; K. Schneider, Klinische Psychopathologie, Stoccarda 1950; R. de Rosa, Existenzphilosophische Richtungen in der modernen Psychopathologie, in Nervenarzt, XXIII (1952); B. Pauleikhoff, Eine Revision der Begriffe "Verstehen" und "Erklären", in Arch. Psychiat., CLXXXIX (1952); P. Matussek, Untersuchungen über die Wahnwahrnehmung, in Arch. Psychiat., CLXXXIX (1952); B. Callieri, Psicopatologia ed esistenzialismo, in Rass. Studi psichiat., XLI (1952); L. Bini e T. Bazzi, Psicologia medica, Milano 1954; K. P. Kisker, Zur Frage der Sinngesetzlichkeit, in Schweiz. Arch. Neur., LXXVI (1955); K. W. Bash, Lehrbuch der allgemeinen Psychopatologie, Stoccarda 1955; J. H. Massermann, The practice of dynamic psychiatry, Londra 1955; V. E. Frankl, Theorie und Therapie der Neurosen, Vienna 1956; H. J. Weitbrecht, Die Bedeutung der Psychopathologie in der heutigen Psychiatrie, in Fortschr. d. Neur., XXV (1957); H. Wieck, Zur allgemeinen Psychopathologie, in Fortschr. d. Neur., XXV (1957); N. Petrilowitsch, Beiträge zu einer struktur-Psychopathologie, Basilea 1958; K. Conrad, Die beginnende Schizophrenie, Stoccarda 1958; C. Catalano-Nobili e G. Cerquetelli, Elementi di psicopatologia teoretica, Roma 1959; V. E. Frankl, Grundriss der Existenzanalyse und Logotherapie, in Handbuch der Neurosenlehre und Psychotherapie, di Frankl-von Gebsattel-Schultz, Monaco 1959; W. Welz, Psychiatrie in den U. S. A., in Fortschr. d. Neur., XXVIII (1960).
Psicopatologia dell'età evolutiva.
Introduzione. - La psicopatologia dell'età evolutiva (qui abbreviata P. E. E.) è quella branca della medicina che studia le cause remote e prossime, la fenomenologia ed il corso di ogni deviazione dal normale sviluppo psichico nell'infanzia, nella fanciullezza, nell'adolescenza. Da tale studio derivano le norme generali di prevenzione (igiene mentale) e il trattamento terapeutico da applicare ai singoli casi clinici.
Per questa trattazione si è preferito il termine P. E. E. a quello di psichiatria infantile o pedo-psichiatria (che pur verranno usati nel testo come equivalenti nella pratica), perché psicopatologia si adatta meglio alla descrizione di "anomalie psichiche" o di reazioni ad avvenimenti vissuti (nel senso di K. Schneider), piuttosto che di "malattie mentali", alle quali richiama il termine "psichiatria" che sono relativamente rare in questa età della vita.
Il nostro argomento (cfr. anche G. Bollea), si basa essenzialmente su alcuni fattori - teorizzati in modo particolare da M. Tramer - che costituiscono le leggi della evoluzione psichica verso il raggiungimento della maturità dell'individuo adulto: tempo, ritmo di sviluppo, energia, proporzione di elementi maschili e femminili, forza di integrazione. Questi fattori non cessano di esercitare la loro azione quando una noxa qualsiasi - somatica, psichica o ambientale - alteri in modo più o meno grave il processo evolutivo. "In tal dinamismo sorprendente si riconosce il conflitto di due forze in concorrenza: l'evolutiva, a cui si deve lo sviluppo incalzante, e l'inibitrice o ostacolante, propria del processo morboso. In questo conflitto, che rende singolarmente mobili e instabili i quadri clinici, si riflette tutta l'originalità della neuro-psichiatria infanto-puerile" (Sante de Sanctis). Questa caratteristica, che de Sanctis già vedeva chiaramente quaranta anni or sono, distingue la P. E. E., come disciplina autonoma, tanto dalla pediatria che dalla psichiatria degli adulti.
Cenno storico. - Fin dai primordî della scienza psichiatrica l'interesse degli studiosi si rivolse al fanciullo, ma essenzialmente per descrivere le menomazioni psichiche più appariscenti, l'idiozia e la deficienza mentale: J.-M.-G. Itard, nel 1801, studiava il suo "fanciullo selvatico" e J. Langdon-Down descriveva nel 1866 il mongoloidismo. La personalità del fanciullo era però considerata a quei tempi come qualcosa di incompleto e perciò gli psichiatri si interessavano dei disturbi mentali dell'età adulta o al massimo adattavano al fanciullo. come piccolo uomo in formazione, gli schemi della psichiatria degli adulti. Di tale difetto risentono i primi trattati di H. Emminghaus, J. Moreau e M. Manheimer, tra il 1887 ed il 1899, W. Stromayer nel 1910 ed anche la seconda edizione di quello di Th. Ziehen. nel 1926. In quello stesso anno usciva invece, con ben diversa impostazione, l'opera di A. Homburger, che segna veramente l'inizio della moderna P. E. E.
Fin dal 1905, S. de Sanctis trasse dalla massa indifferenziata degli oligofrenici alcuni casi di psicosi infantile che egli indicò come "demenza precocissima" e classificò nel quadro della demenza precoce, descritto da E. Kraepelin per gli adulti. Nel suo trattato del 1925 poi (e già nella relazione tenuta da lui al XVI Congresso della Società Freniatrica Italiana nel 1922), il de Sanctis, ravvisando nei tipi clinici in neuropsichiatria infantile una impronta di originalità rispetto a quelli degli adulti e una dinamicità senza confronto con quella di altri periodi della vita, proponeva che "essa fosse d'ora in poi considerata come una speciale disciplina" e citava come primo esempio la cattedra universitaria autonoma creata fin dal 1918 in Argentina per il suo allievo L. Ciampi.
Maggior fortuna ebbe nel 1931 la analoga proposta di M. Tramer, che fondò e diresse dal 1934 la rivista svizzera di psichiatria infantile (Acta Paedopsychiatrica) e la pedo-psichiatria si affermò definitivamente con il primo Congresso internazionale di Parigi nel 1937 e attraverso i moderni trattati di L. Kanner (1935-1948-1957). E. Benjamin e coll. (1938), G. Robin (1939), M. Tramer (1949), G. Heuyer (1952).
Ma la storia della psichiatria infantile si può anche fare attraverso la descrizione delle correnti di pensiero che hanno contribuito a formarla. Il primo filone di ricerca riguarda - come si è detto - il vasto campo delle insufficienze intellettuali (v. oligofrenia, in questa App.); l'American journal of mental deficiency fu fondato nel 1895 e la nostra Infanzia anormale, nella sua prima serie, nel 1907. Questo corpo di dottrina però, che in Europa ha costituito per lungo tempo una gran parte della psichiatria infantile, sfociando anche nella ortopedagogia (E. Séguin, G. Montesano, H. Hanselmann), si è mantenuto distinto dalla scienza psichiatrica nei paesi anglosassoni, fino a tempi recentissimi (v. S. B. Sarason).
Negli Stati Uniti d'America invece è nato il movimento dell'igiene mentale (C. Beers, 1909) e delle Child guidance clinics (W. Healy, D. A. Thom e altri, 1920), nelle quali cominciarono ad operare le équipes medico-psicopedagogiche, composte da psichiatri, psicologi ed assistenti sociali: così si giungeva al principio della diagnosi pluridimensionale attraverso un approccio pluriprofessionale ai problemi del fanciullo, considerato come "il fanciullo intero nella situazione totale" (J. Anderson, in L. Carmichael). Tale metodo di lavoro derivava dall'interesse per il fenomeno della delinquenza e della dissocialità minorile e aggiungeva alla P. E. E. nuovi importanti contributi nel campo delle anomalie del carattere e del comportamento.
Una terza corrente che ha contribuito notevolmente ai più recenti sviluppi della psichiatria infantile è la dottrina psicoanalitica. Anche se S. Freud non si è mai occupato direttamente di fanciulli, è noto che la sua teoria riconduce ogni disturbo ed ogni anomalia psichica a esperienze psicotraumatiche della prima infanzia, che hanno turbato in modo più o meno profondo e precoce (nevrosi di carattere, psiconevrosi, psicosi) le fasi successive di passaggio dal dominio dell'Es alla formazione dell'Ego e del Super-ego. Il bisogno di provare le intuizioni di Freud ha condotto alcuni suoi seguaci (Anna Freud, Melanie Klein, Augusto Aichhorn) a studiare direttamente il fanciullo, per interpretare le cause dei suoi comportamenti e tentare una psicoterapia sistematica, di cui nessuno fino allora aveva parlato. Nell'ambito di questi studî si venivano anche a scoprire le gravi sequele psicopatologiche della carenza di affetto materno nelle prime età della vita (H. Goldfarb, R. Spitz, J. Bowlby), che hanno condotto di recente a nuovi indirizzi nella organizzazione dei brefotrofî e dei collegi per l'infanzia abbandonata.
Parallelamente allo sviluppo della P. E. E., andavano fiorendo in Europa (C. L. Burt, J. Piaget, H. Wallon. R. Zazzo, A. Dalla Volta) e in America (J. Anderson, A. L. Gesell, F. L. Goodenough. J. W. Mc Farlane) ricerche sempre più approfondite nel campo della psicologia dell'età evolutiva e della psicologia "genetica" (cfr. L. Carmichael e A. Gemelli), che, consolidando le basi della psichiatria infantile, assieme agli attenti studî di neuro-fisiologia della prima infanzia della scuola di E. Minkowski e agli indirizzi reflessologici di ispirazione pavloviana, contribuivano a dare un definitivo assetto di autonomia alla disciplina, fugando ormai il dubbio che essa non fosse altro che "un artefatto tra pediatria e psichiatria".
In Italia, dopo l'opera di de Sanctis e di Montesano, le cui realizzazioni riguardarono prevalentemente il recupero dei fanciulli affetti da insufficienza mentale, vi è stato, fra il 1930 e il 1945, un periodo di stasi nello sviluppo della psichiatria infantile, costellato però da iniziative isolate che sono tuttavia degne di menzione. Fin dal 1928 l'Associazione "Cesare Beccaria" di Milano (che nel 1948 chiamerà a suo direttore uno psichiatra), si dedicava allo studio della delinquenza minorile e contribuiva a preparare quella legge istitutiva dei tribunali per minorenni del 1934, che introduce, per la prima volta nel mondo, lo psichiatra dell'infanzia nel collegio giudicante. Nel 1934 il criminologo B. Di Tullio (che fonderà nel 1947 l'Ente per la protezione morale del fanciullo) creava in Roma un Consultorio di medicina pedagogico-emendativa. Nel 1930 U. Cerletti a Genova e de Sanctis a Roma aprivano i primi reparti clinici universitarî di neuropsichiatria infantile, destinati dopo trent'anni ad ospitare le cattedre di un insegnamento autonomo.
Dopo il 1946 il nostro paese ha partecipato attivamente al movimento mondiale per la salute mentale (E. Medea. C. de Sanctis), la cui necessaria premessa è appunto l'igiene mentale dell'età evolutiva. Così anche da noi (per iniziativa prevalente dell'O.N.M.I. e dell'Ente per la Protezione morale del fanciullo) si sono moltiplicati i consultorî medico-psico-pedagogici ed i centri di igiene mentale infantile, nei quali si sono preparati quegli psichiatri dell'infanzia che oggi possono trasmettere la loro esperienza nelle scuole universitarie di specializzazione di recente istituzione.
Il campo di azione della P. E. E. - Di fronte agli esiti neurologici e psichici delle encefalopatie infantili (v. encefalopatie, in questa App.) o nei riguardi delle oligofrenie, lo psicopatologo dell'infanzia non si limiterà a porre una diagnosi e a consigliare una terapia, ma sarà suo compito formulare una diagnosi ed una prognosi "evolutiva" (M. Tramer), tenendo conto di quel particolare fanciullo in un determinato momento del suo sviluppo, con i suoi impedimenti e la sua carica di energia creativa e delle interreazioni con l'ambiente, prima di tutto il nucleo familiare, con le sue ansie, l'iperprotezione e la reiezione e le reali sue capacità di collaborare all'opera ortopsichiatrica. E poi, ancora, la valutazione delle possibilità terapeutiche del luogo in cui il fanciullo vive e quanto convenga a lui stesso e alla famiglia un eventuale allontanamento temporaneo. Infine, nell'ambito della équipe terapeutica, la discussione del programma di trattamento fisio- e psicoterapeutico e ortopedagogico.
Lo stesso avverrà per lo studio dei casi di epilessia, con in più un attento programma di terapie farmacologiche, adattate per tipo e dosi al singolo caso, e la prevenzione delle alterazioni reattive della personalità, derivanti spesso dalla particolare situazione esistenziale in cui l'epilettico viene a trovarsi, al di là dell'eventuale effetto disintegrativo diretto degli episodî morbosi e dell'iperdosaggio dei farmaci.
Egli non dovrà naturalmente dimenticare il problema, squisitamente medico, delle correlazioni somato-psichiche (conseguenze psicopatologiche di malattie esaurienti, disturbi psichici in rapporto a squilibrî endocrini o a carenze vitaminiche e alimentari), ma il suo campo di azione più specifico sarà nell'ambito dei disturbi psicosomatici di origine neurovegetativa e in rapporto a stimoli emotivi, o espressione di un ritardo di maturazione dei più complessi schemi neurofisiologici: dalla cefalea e dal vomito su base emotiva, ai tics ed alla enuresi, ad alcune forme di disturbi del linguaggio, alle disprassie e disturbi della lateralità.
Ma il capitolo forse più vasto della moderna psichiatria infantile riguarda i disturbi del comportamento (F. de Franco) osservati isolatamente e sporadicamente in molti fanciulli fondamentalmente sani, in rapporto a temporanee difficoltà di integrazione (allontanamento di una figura parentale o di altra persona significativa, nascita di un fratellino, ansia scolastica) ma che possono essere più gravi e di più difficile trattamento nel fanciullo "nervoso" o "difficile". Tali disturbi sono diversi a seconda delle varie epoche evolutive ed assumono talora aspetto "regressivo", quando una abitudine in sé non patologica di una età precedente si presenti nuovamente più tardi (si pensi al succhiare il dito, al gergo infantile o alla transitoria enuresi od encopresi in occasione della nascita di un fratellino).
Nella prima e seconda infanzia prevalgono i disturbi alimentari (rifiuto, voracità, ruminazione, picacismo), i disturbi del sonno (durata insufficiente, incubi, pavor nocturnus), i capricci violenti ed improvvisi, talora con laringospasmo e cianosi, l'eccessiva vivacità che può confinare con l'irrequietezza psicomotoria, la timidezza eccessiva. Nell'età scolare si va delineando il carattere, attraverso l'arricchimento dei rapporti con l'ambiente sociale extra-familiare e il fanciullo insicuro (con una debole struttura dell'Io, secondo la terminologia psicoanalitica) può cercare una difesa in meccanismi di tipo isterico (mitomania, spunti ansiosi ed ipocondriaci) o in cerimoniali di tipo fobico-ossessivo (che affiorano del resto in modo sfumato anche in molti giochi infantili), o ancora in ribellioni, talora assai violente, nell'ambito della famiglia o in vagabondaggio larvato, al fine di cercare nella strada quella integrazione affettiva che né la famiglia né la scuola riescono a dargli. Attraverso questi meccanismi si possono creare le premesse per la delinquenza minorile (cfr. A. Aichhorn), che costituirà -in generale nell'epoca prepuberale e nell'adolescenza - l'ultima protesta del fanciullo verso il mondo degli adulti, che non ha saputo rimuovere a tempo i fattori che hanno agito negativamente sul suo sviluppo psico-sociale.
La crisi puberale porta spesso con sé problemi psicologici di fondamentale importanza, non solo di carattere sessuale (ma in questo campo particolare lo psichiatra dovrà dare consigli anche in epoche precedenti): in questo periodo molti giovani si sentono isolati e incompresi ed alcuni reagiscono con atteggiamenti quasi di tipo autistico o con fantasie (le tipiche rêveries degli adolescenti), che talvolta si concretano in azioni "pseudologiche". Tali fenomeni, che restano nell'ambito di un disturbo evolutivo, e la depressione reattiva che ne può derivare (e che qualche volta può condurre a tentativi di suicidio), cimentano lo psichiatra in una non sempre facile diagnosi differenziale con la fase prodromica di una psicosi.
Il problema delle psicosi (essenzialmente la schizofrenia e la psicosi maniaco-depressiva), che è il più importante nella psichiatria degli adulti, è invece di assai minor rilievo nell'ambito della P. E. E., anche se di notevole interesse dottrinario (si veda, da una ricchissima letteratura, la più recente trattazione di W. Spiel). Al disotto dei dieci anni infatti la schizofrenia infantile e ancor più la psicosi maniaco-depressiva si osservano assai di rado, almeno se si mantengono i criterî nosologici più ristretti, cui si attengono gli psichiatri europei, nei confronti dei loro confratelli nord-americani. Questi casi inoltre - appunto per l'interferenza dei fattori specifici di dinamicità dell'età evolutiva - hanno un quadro diverso e forse anche un differente decorso dalle analoghe malattie dell'età adulta, cui si avvicinano invece i casi, ben più frequenti, prepuberali e dell'adolescenza.
Un altro capitolo assai poco definito della psichiatria infantile è quello delle personalità psicopatiche, anche se, per definizione concorde delle varie scuole, esse derivano da una anomalia costituzionale o riportabile alle primissime fasi dello sviluppo: dovrebbero quindi essere già evidenti, fin dall'infanzia, gravi e precoci disturbi del comportamento. Tale diagnosi tuttavia non può essere posta con certezza se non è confortata da una conferma catamnestica dell'età adulta.
Quest'ultima considerazione induce a sottolineare l'importanza degli studî longitudinali in psichiatria, per la soluzione di molti problemi - e la conferma di molte teorie - relativi all'origine e al decorso dei disturbi psichici e anche allo scopo di prevenire o trattare precocemente le malattie mentali fin dalla loro fase prodromica. In questo senso - pur con le sue tecniche ed i suoi metodi particolari - la P. E. E. costituisce un continuum con la psichiatria degli adulti: ma gli studî longitudinali si possono eseguire soltanto attraverso la osservazione diretta e non, come avveniva un tempo, attraverso l'indagine anamnestica, nella maggior parte dei casi imprecisa ed incompleta.
Metodi diagnostici e terapeutici in P. E. E. - La raccolta dell'anamnesi in psichiatria infantile ha una importanza anche maggiore di quanto non avvenga in ogni altra branca della medicina, perché molti disturbi del comportamento derivano da influenze ambientali o da problemi interpersonali tra il fanciullo e i genitori, fino ad una induzione dei problemi psicologici degli adulti in un soggetto per definizione plastico ed influenzabile. Così la raccolta dell'anamnesi è spesso un vero e proprio esame psicologico dei genitori; da essa dovrà risultare inoltre, nel modo più accurato, la riproduzione "a tutto tondo" del fanciullo nel suo ambiente e nelle varie situazioni evolutive (tappe dello sviluppo psicomotorio ed istintivo-emotivo, eventi a contenuto potenzialmente posicotraumatico), specialmente nei riguardi di precedenti morbosi somatici e psichici.
L'intervista con lo psichiatra non ha regole fisse o piuttosto la sola regola di rassicurare ad ogni costo il fanciullo e conquistarne la confidenza con i mezzi più diversi, relativi ai singoli casi e che vanno dalla partecipazione diretta al gioco, in assenza dei familiari, al fingere di ignorarne la presenza parlando di altre cose con i genitori. Lo psichiatra dovrà rimontare il sospetto che gli deriva dalla sua qualità di "medico" (quello delle iniezioni e della tonsillectomia a sorpresa) e talvolta anche l'esame neurologico dovrà essere rinviato od eseguito con accorgimenti ludici: esso, d'altra parte, può risultare anche dall'osservazione attenta del bambino che gioca, almeno nei riguardi delle prassie e della integrazione psico-motoria. L'esame psichico, specialmente nella prima e seconda infanzia, avverrà essenzialmente attraverso una tecnica indiretta (gioco, disegno), ma anche allora il colloquio, che sarà più tardi il metodo principale, potrà dare - quando sia possibile istituirlo e considerando, naturalmente, acquisita da parte dello psichiatra l'arte di saper parlare con il bambino - preziose indicazioni. I reattivi psicologici di livello ed i tests proiettivi (che utilizzano in vario modo la tendenza del fanciullo a proiettare inconsciamente i proprî problemi psicologici su un materiale plastico o poco strutturato o adatto a creare una situazione scenica) completeranno la fase dello studio diagnostico. Questa fase diagnostica viene espletata nei consultorî medico-psicopedagogici (secondo lo schema adottato inizialmente dalle child guidance clinics americane) dalle équipes formate da psichiatri, psicologi ed assistenti sociali.
Il metodo del lavoro in équipe è anch'esso una caratteristica tipica della psichiatria infantile e ne costituisce, in un certo senso, la base filosofica. Non si tratta infatti di distribuire fra più persone un lavoro che, come si è visto, è assai vasto ed impegnativo, ma di stabilire la sintesi di competenze e di "approcci" professionali diversi (lo psichiatra per la conoscenza dei fattori disturbanti dello sviluppo ad ogni livello, lo psicologo per il confronto con il fanciullo normale, l'assistente sociale come tecnico dei rapporti interpersonali e dello studio dell'ambiente) per giungere ad una diagnosi pluridimensionale. Ad essa giungerà anche, naturalmente, lo psichiatra da solo, nel suo studio, ma egli dovrà assumere volta per volta, nelle varie fasi preparatorie (reattivi psicologici, anamnesi ambientale) i ruoli dello psicologo e dell'operatore sociale. Tale versatilità è uno dei fondamentali requisiti dello psichiatra dell'infanzia e difficilmente si acquista al di fuori della scuola pratica del lavoro in équipe (S. Lebovici).
La P. E. E. è dunque una disciplina pluriprofessionale, ma il pedo-psichiatra non può essere che un medico che non abbia dimenticato la sua medicina (e non soltanto la pediatria), ma che abbia soprattutto una solida preparazione in psicopatologia generale (si ricordi l'indispensabile azione sui genitori e talvolta la necessità di sottoporre loro a psicoterapia per risolvere i problemi del bambino). A questo riguardo si può concludere che non è tanto indispensabile che il pedo-psichiatra conosca a fondo la pediatria (il pediatra infatti gli starà sempre a fianco come medico curante del bambino) quanto è augurabile che il pediatra abbia qualche esperienza di psichiatria infantile, onde contribuire all'individuazione precoce di ogni disturbo psichico dell'infanzia. In questo senso hanno avuto grande importanza numerose iniziative di collaborazione tra le due discipline negli S. U. A. (cfr. L. Kanner) e da noi la creazione di centri di igiene mentale nell'ambito di cliniche pediatriche universitarie.
Accenniamo infine ad alcuni problemi terapeutici, caratteristici della psichiatria infantile. Oltre agli antichi sedativi, che sono ancora utili in certi casi, la serie sempre più numerosa dei moderni psico-farmaci trova indicazioni efficaci anche nell'età evolutiva. Occorre però usare i sedativi con molta prudenza in questa età della vita. perché non di rado essi esercitano un effetto paradosso in quegli stati di irrequietezza psicomotoria o di "nervosismo", che dipendono dalla c. d. "debolezza irritabile" o costituiscono la reazione ad uno stato di insufficienza mentale o l'allarme per influenze ambientali negative. In questi casi possono talora giovare maggiormente, malgrado l'apparente contraddizione, proprio i farmaci stimolanti o neurotonici. Non di rado poi la prescrizione farmacologica ha un non trascurabile effetto suggestivo (placebo) sul fanciullo stesso, ma soprattutto sui genitori e fa sì che i consigli del pedo-psichiatra tornino loro in mente almeno tre volte al giorno.
La psicoterapia infantile ha avuto un notevole sviluppo specialmente per merito degli psicoanalisti, con tecniche diverse, a seconda che si ritenga, con Anna Freud, che il bambino presenti conflitti "attuali" oppure che, secondo M. Klein, si possano ammettere in lui conflitti precedenti già interiorizzati. Altre terapie di tipo psicoanalitico utilizzano, a scopo catartico, il gioco delle marionette (L. Rambert) o il disegno (S. Morgenstern) o metodi di psicoterapia di gruppo con adattamenti dello psicodramma di J. L. Moreno.
Esistono però altre tecniche psicoterapeutiche che non si ispirano alla psicoanalisi e in modo particolare la reflesso-terapia condizionata e la pricoterapia razionale, specialmente coltivate in Russia, la applicazione all'infanzia del training autogeno di J. H. Schultz e ancora i cosiddetti "metodi istituzionali" che, allontanando il fanciullo da un ambiente familiare inadatto, agiscono su di lui in varî modi, attraverso una psicoterapia di ambiente, spesso di tipo prevalentemente educativo o psicagogico (si veda in proposito l'esperienza di A. S. Makarenko).
Merita infine menzione la proposta interessante - non ancora però realizzata nella pratica - di applicare all'infanzia i metodi psicoterapeutici che si ispirano all'analisi esistenziale di L. Binswanger, ma un simile tentativo dovrebbe basarsi sullo studio preliminare. in chiave da-seins analitica, del mondo del fanciullo. Un precursore di questo indirizzo può essere considerato F. Allen, il quale considera la psicoterapia come una esperienza di sviluppo per il fanciullo: "La psicoterapia infantile riguarda una esperienza nella quale il fanciullo acquista una più valida coscienza del proprio io, che può riferire, con soddisfazione crescente, al rapporto di ogni giorno con la famiglia e con la comunità. Il risultato positivo di una esperienza terapeutica per il fanciullo si ha quando egli ha scoperto di poter essere il fanciullo che è, in rapporto con il mondo degli adulti".
Bibl.: S. de Sanctis, Neuropsichiatria infantile, Roma 1925; A. Homburger, Vorlesungen über die Psychopathologie des Kindesalters, Berlino 1926; E. Benjamin, H. Hanselmann, M. Isserlin, J. Lutz e A. Ronald, Psychopathologie des Kindesalters, Zurigo 1938; F. Allen, Psychotherapy with children, New York 1942; M. Tramer, Manuel de psychiatrie infantile, Parigi 1949; A. Aichhorn, Gioventù traviata, Milano 1950; G. Heuyer, Introduction à la psychiatrie infantile, Parigi 1952; L. Carmichael, Manual of child psychology, 2ª ed., New York 1954; M. Tramer, Theoretisches zur Kinderpsychiatrie, in Zeit. Kinderpsych., 1954; A. Gemelli, Psicologia dell'età evolutiva, 4ª ed., Milano 1955; L. Kanner, Child psychiatry, 3ª ed., Oxford 1957; S. Lebovici, Le travail d'équipe en psychiatrie, in Evol. Psych. 1959; G. Bollea, Principî generali di P. E. E., in Lav. Neuropsich., 1959; F. De Franco, Concetti nosografici nelle caratteropatie dell'E. E., in Lav. Neuropsich., 1959; L. Kanner, Child psychiatry: Retrospect and prospect, in Amer. Journ. Psychiatry, 1960; G. Bollea, Evoluzione storica e attualità della neuropsichiatria infantile, in Infanzia Anormale, 1960; W. Spiel, Die endogenen Psychosen des Kindes- u. Jugendsalters, in Psychiatrie u. Neurologie, supplemento 113, 1961.