psicosomatica
Campo della medicina e della psicologia che studia disturbi e malattie fisiche i quali sarebbero prodotti o favoriti da fattori di ordine psicologico ed emozionale. Il modello psicosomatico è espressione di una unità indivisibile della persona umana, ma allo stesso tempo fa riferimento a una profonda diversità esistente tra funzioni somatiche e funzioni psichiche. A partire dalla metà del 20° sec. si è aperto un dibattito su quale sia l’epistemologia competente a tale campo controverso della scienza. Si può ritenere che tale sfida epistemologica lasci dietro di sé un solco aperto che divide la psichiatria dalla medicina e la psicologia dalle neuroscienze. Nel pensiero freudiano, il problema mente-corpo si pone originariamente all’interno della distinzione di due diverse direttrici: cioè tra sintomi dell’isteria (➔), intesa come quadro clinico comprensivo di alcune manifestazioni somatiche e di un conflitto a livello inconscio, e nevrosi (➔) attuale, caratterizzata da quadri sintomatologici più o meno strutturati in modelli somatici direttamente conseguenti a insoddisfazioni di bisogni emergenti, non rappresentabili e pertanto privi di contenuti simbolici sottostanti.
La direttrice interpretativa più seguita è quella dei fenomeni psicosomatici come sintomi della nevrosi attuale, e quindi come equivalenti di angoscia. Sigmund Freud sostiene che lo stato di angoscia può essere «rappresentato da un unico sintomo [...] un tremito, una vertigine, una palpitazione cardiaca, un affanno […] tutti questi stati che noi descriviamo come equivalenti di angoscia vanno equiparati all’angoscia sotto tutti i riguardi clinici ed etiologici» (Introduzione alla psicoanalisi, 1915). Da queste premesse si originano numerose correnti di pensiero, che giungono a ipotizzare come l’organizzazione psicosomatica sia una regressione alla fase mentale indifferenziata originaria dello sviluppo somatopsichico, che da taluni autori (Max Schur, 1955, e Peter L. Giovacchini, 1963) viene considerata come matrice dei processi somatici e psichici. In tale epoca dello sviluppo prevarrebbe un funzionamento per il quale l’individuo attualizza sul corpo un contenuto emozionale e di pensiero, che a livello mentale non ha la possibilità di essere pensato, dando luogo a una sofferenza che non ha nome. Un ulteriore sviluppo di tale direttrice viene proposto da Günter Ammon (1974), che considera la malattia psicosomatica come conseguenza di un «deficit strutturale narcisistico» conseguenza di un deficit a livello del narcisismo (➔) primario. Nel 1963 la scuola di Parigi di Pierre Marty, Michel De M’Uzan e Christian David sostiene la presenza di una sorta di carenza di base della capacità di simbolizzazione e la prevalenza del cosiddetto pensiero operatorio, ossia di un tipo di pensiero legato a caratteristiche di concretezza, che questi autori considerano tipiche del fenomeno psicosomatico: la cosiddetta relazione bianca, priva di contenuti emozionali. Il grave deficit di mentalizzazione renderebbe invivibile l’esperienza di separazione e di perdita e ne conseguirebbe l’impossibilità di elaborare l’esperienza del lutto (➔). Tale modello è stato ampiamente accolto dagli psicoanalisti, anche se oggi è stato rivisitato criticamente rispetto alla visione troppo schematica del cosiddetto paziente psicosomatico anaffettivo e incapace di pensiero simbolico.
Il problema della integrazione psiche-soma come tendenza naturale dello sviluppo, a partire dalla unità indifferenziata originaria madre-bambino, viene affrontato con un approc cio diverso da Donald W. Winnicott. Il passaggio dalla illusione fusionale magico-onnipotente alla progressiva differenziazione tra realtà esterna e mondo interno, tra madre e bambino, tra somatico e psichico, potrà realizzarsi a condizione che sia esistito all’origine un sufficiente e valido rapporto psicofisico bambino-madre-ambiente. In una persistente mancanza di questa condizione avrà luogo la costituzione di sofferenze precoci della mente del bambino, che sono riferibili ad alcune sue specifiche esperienze vissute con l’ambiente e che hanno dato luogo ad alterazioni circoscritte dello sviluppo psicosomatico, lasciando comunque qualche ‘cicatrice’. Ne consegue che ai processi di separazione-individuazione si accompagneranno esperienze somatiche che non sono pensabili («aree lacunari della mente», secondo la definizione di Luigi Scoppola), e pertanto rimangono inelaborabili dalla mente stessa. Si ritiene che, in tali circostanze, non sia coinvolta la totalità della persona nella sofferta incapacità di adire al pensiero simbolico e alle emozioni: solamente alcune specifiche aree della mente, che sono rimaste compromesse in epoche precoci della vita, sfiorerebbero invano la coscienza nel tentativo di dare luogo alla rievocazione e alla individuazione di esperienze legate a eventi somatici che sono stati circoscritti ad alcune parti del corpo e come tali rimangono depositati negli strati più profondi della memoria arcaica. Tali esperienze, infatti, hanno la caratteristica di non essere definibili e pensabili dalla mente, ma vengono espresse con frasi del tipo «Sto male... e basta!». Su tali comunicazioni, clinicamente non inquadrabili, si addensano spesso numerosi accertamenti medici, per lo più infruttuosi, dando luogo a un rimando a cascata che allontana sempre di più l’inizio di una terapia mirata al problema del paziente.
Il processo di congiunzione tra l’evento psichico e quello somatico si può definire come cerniera dell’emozione. Tale definizione è conseguente a quanto sostenuto da alcuni psicoanalisti (per es., Ignacio Matte Blanco, 1972) per i quali la natura stessa dell’emozione viene considerata come una condizione di stretta interazione tra l’evento sensoriale-percettivo e una modalità di pensiero di tipo inconscio (➔), presente fin dalle prime epoche della vita mentale del bambino. Nei fatti, i fenomeni psicosomatici che si incontrano nel corso di un trattamento analitico hanno la caratteristica di ripetere modalità di funzionamento mentale proprie delle epoche precoci. Nel corso del trattamento psicoterapeutico si riaffacciano spesso epoche della vita nelle quali le esperienze fisiche erano strettamente collegate a stati emozionali relativi a solitudine e abbandono; tali stati richiedono contenimento e rassicurazione, necessari per fronteggiare quanto già vissuto nella prima infanzia ma ora riattualizzato. Quando un individuo si trova ad affrontare una coinvolgente esperienza psicosomatica è nella impossibilità di distinguere un evento somatico da uno psichico ed è preda di un vissuto senza nome, che racchiude in sé il nucleo centrale dell’organizzazione psicosomatica. Le ricerche nel campo delle neuroscienze si possono avvalere in qualche modo di questa tesi. Esse aprono interessanti prospettive nella individuazione di connessioni neurali tra alcuni centri cerebrali, individuati in corso di stati emozionali, e altre zone cerebrali che si attivano nel corso della elaborazione della esperienza.
Il problema centrale del paziente psicosomatico è dunque l’impossibilità che egli incontra nel portare a livello di coscienza alcuni contenuti esperienziali arcaici, e anche l’impossibilità in cui, allo stesso tempo, egli si trova di farli oggetto di una comunicazione nella quale l’esperienza realizzata sia conoscibile ed esprimibile attraverso le funzioni del pensiero. La psicoterapia delle malattie psicosomatiche è un problema delicato, che non può trovare esaurienti risposte in ipotetici e diretti legami tra mondo somatico e psichico, nella considerazione impropria che la manifestazione somatica sia il linguaggio dell’inconscio. Si può ritenere che, sotto un profilo terapeutico, l’indagine psicosomatica si venga a configurare come un lavoro di accompagnamento del paziente verso la ricerca di segreti legami esistenti tra l’esperienza presente e le vicissitudini della primissima infanzia. Tale terapia può realizzarsi solo attraverso una stretta interazione tra paziente, terapeuta e ambiente circostante. Si viene a configurare pertanto un delicato lavoro di integrazione che tende a favorire una circolazione intersoggettiva e intrapsichica di pensieri ed emozioni, spesso completata da comunicazioni preverbali e somatiche che compaiono durante la seduta di psicoterapia. Tutto ciò può essere vissuto come una riattualizzazione di una esperienza precoce che ha lasciato scoperte sofferenze e assenze alle quali l’esperienza terapeutica tenta di rispondere, ricercando una esperienza attuale di ‘essere sé’ e un senso che un tempo appariva irraggiungibile ma che ora, nella relazione terapeutica, si può iniziare a scoprire.