PSICOTERAPIA (XXVIII, p. 470)
La p. sorta nel secolo scorso attraverso le prime esperienze ipnotiche e suggestive, approfonditasi quindi traverso la psicoanalisi di S. Freud, le psicologie di C. G. Jung e di A. Adler, l'antropoanalisi di L. Binswanger, è divenuta parte integrale delle scienze psichiatriche, che, senza trascurare gli studî biologici, si sono rivolte in misura maggiore di prima allo studio dell'uomo nei suoi rapporti sociali.
La p. si è sviluppata nel corso degli ultimi due decennî anche e soprattutto nelle sue applicazioni pratiche. Individui con problemi emotivi mal risolti costituiscono oggi oggetto di particolare attenzione medica, poiché essi sembrano predisposti ad affezioni psichiche e fisiche e poiché essi influenzano a loro volta, attraverso le varie forme di convivenza familiare e sociale, la salute psichica della società.
La p., intesa come colloquio prolungato fra medico e paziente, volto a chiarificare gli aspetti profondi della personalità che stanno alla base di sintomi morbosi, tende ad offrire al paziente una migliore comprensione di sé stesso. Essa agisce soprattutto attraverso la maturazione emotiva che induce nel paziente, e che è una conseguenza sia degli insegnamenti del medico sia del rapporto affettivo fra terapista e paziente. Tale rapporto si distingue dalla comune relazione sociale per una struttura particolare conferitagli dalla personalità del medico. Una vasta esperienza dei conflitti umani, una loro comprensione anche là, ove essi appaiono in forme difficilmente riconoscibili, una immedesimazione del medico con gli aspetti sofferenti della personalità, una sua notevole tolleranza a tutti quegli atteggiamenti emotivi del paziente, che lo rendono poco assimilabile al suo ambiente sociale, una particolare attitudine del medico a saper riconoscere e controllare le proprie reazioni emotive alle manifestazioni della malattia psichica e al comportamento del paziente, sono alcuni fra i più importanti fattori, che definiscono la struttura del rapporto psicoterapico.
Nel corso della p., l'infermo attraversa varî stadî, che così si possono riassumere:
1) Contatto iniziale preparatorio fra medico e paziente. L'infermo psichico è di regola, a differenza del paziente somatico, diffidente del medico, anche se ne cerca l'aiuto. Egli teme o si vergogna di comunicare, sopraffatto com'è da sentimenti di inferiorità, di colpa, dal vago senso di essere un individuo abnorme, dall'impossibilità a ben comprendere e bene esprimere. Durante questa prima fase l'infermo impara, a poco per volta, a superare l'ansia inerente alla comunicazione psichica, a comprendere meglio, attraverso le parole del medico, certi aspetti della sua malattia e dei problemi ad essa inerenti, a visualizzare certe sue resistenze alla comunicazione.
2) Tra medico e paziente si va stabilendo un rapporto profondo, "simbolico", o "trasferenziale". Tale transfert si origina dal fatto, che il terapista, una volta entrato in rapporto con ogni recondita fantasia del paziente, con i dettagli del suo passato, con le cariche della sua energia psichica, comincia ad apparire, nei sogni dell'infermo, in veste simbolica: per es. come personificazione del padre, del fratello, come compagno di viaggio; talora come amico e salvatore, tal'altra come pericoloso scrutatore dell'intimo, e - se nel paziente vi è già, per la sua malattia, una forte tendenza a sentirsi mal compreso e perseguitato - come persecutore. Gli aspetti positivi e negativi delle figure sociali più significative per il paziente vengono proiettati sul medico, rivissuti nel rapporto con lui; e questo ridestarsi e rivivere del passato nei limiti di una relazione terapeutica - ossia nel contatto con un medico, che risponde in modo adeguato, offre attraverso il suo comportamento esperienze correttive del passato, non perde la sua sicurezza e superiorità, non offende e non si lascia trascinare a movimenti emotivi inconsueti - questo rivivere del passato in un presente terapeutico, è altamente benefico. A ciò si aggiungono le "interpretazioni" offerte dal medico, che chiarificano sempre più la natura del rapporto terapeutico, il significato dei sogni, gli atteggiamenti dell'inconscio, il contenuto delle passate esperienze. Man mano che la terapia progredisce, l'infermo neurotico e psicotico "vive" nei suoi limiti una relazione interpersonale sempre più libera dalle distorsioni neurotiche.
3) Si arriva così alla terza fase, in cui l'ampliarsi dell'io, l'aumento di stima e di sicurezza in se stesso, la capacità a comprendersi e a svilupparsi fanno del paziente un individuo sempre più maturo, sempre più indipendente quindi dal proprio terapista, dalla sua personalità e dalla sua opinione. Al transfert segue così un apprezzamento sempre maggiore della realtà sociale, i simboli scompaiono dopo avere svolto la loro funzione, il riassestamento emotivo rende l'infermo capace di trovare nuove originali soluzioni dei suoi problemi. I sintomi neurotici scompaiono.
Tale è, in brevi linee, il decorso ideale di una psicoterapia. Che non sempre essa raggiunga tale fine è facile capire, se si tiene presente come di fronte a poche centinaia di ore di colloquio psicoterapico sta tutta una vita di vicissitudini morbose e di sofferenze.
La p. si distingue essenzialmente in terapia singola e terapia di gruppo. Mentre nel primo caso essa si svolge in sedute, a cui partecipano soltanto il medico e il paziente - sedute che, a seconda del caso si limitano ad alcune consultazioni o si prolungano addirittura per anni -, nel secondo caso essa è l'attività di un intero gruppo sociale, di cui fan parte sia il medico sia anche un certo numero di pazienti, le cui reazioni vicendevoli vengono discusse in comune alla presenza stabilizzante del medico. La terapia di gruppo ha il vantaggio, su quella individuale, di essere accessibile, per unità di tempo, ad un numero molto maggiore di infermi. Lo svantaggio sta però nel fatto che molti aspetti profondi della personalità, soprattutto in alcuni tipi di pazienti, non si manifestano in situazioni di gruppo, ma solo nell'intimità del rapporto duale.
Alcune fra le maggiori realizzazioni della psicoterapia nel corso degli ultimi due decennî, possono essere così riassunte:
a) uno sviluppo più differenziato degli ambulatorî psichiatrici, che in molti paesi sono divenuti veri e proprî centri di igiene mentale, che stanno in contatto non solo con l'ammalato psichico grave, ma anche con molti individui, superficialmente normali, in realtà psichicamente mal adeguati, nonché con le loro famiglie. La psichiatria ha superato, proprio attraverso lo sviluppo della psicoterapia, i limiti antichi assegnatile dal concetto di alienazione mentale, e si è posta in più profondo contatto con le altre branche della medicina, con la psicologia industriale, la pedagogia, le scuole di rieducazione, ecc.
b) Uno sviluppo degli istituti volti alla cernita, raccolta, trattamento e rieducazione dei bambini e giovani, provenienti da ambienti familiari difficili, portatori di malformazioni del carattere e suscettibili di cure preventive. Ricordiamo i centri medico-pedagogici, le cliniche pedo-psichiatriche di osservazione, le scuole di rieducazione anche a carattere non propriamente medico, centri tutti di attività psicoterapica.
c) Lo sviluppo dei vecchi manicomî in ospedali psichiatrici a reparto aperto, in cui terapie di gruppo, educazione psicoterapica del personale infermieristico, intensivo contatto con gli infermi dimessi, ecc., creano, non meno delle recenti conquiste farmacologiche, nuovi orientamenti nella cura della infermità psichica.
d) L'educazione psicoterapica di un numero sempre maggiore di medici attraverso la creazione di adeguati centri di insegnamento.
Rimane tuttavia, come fattore negativo, il grande dispendio di tempo che richiede sia la formazione educativa del singolo terapista come anche la cura stessa. Nessun'altra disciplina medica richiede, da parte del medico, una tale formazione del carattere, e un tale dispendio di tempo per il singolo ammalato, come la psicoterapia. Così, la sua applicazione rimane per ora di natura limitata, soprattutto sul piano delle terapie individuali.
Maggiore importanza ha l'influenza che l'educazione e la mentalità psicoterapica sembra esercitare in toto sulla medicina, sulla formazione dei quadri, sulla diagnostica, sullo sviluppo di una "medicina integrale" e di una psichiatria sociale, in cui i fattori organici sono sempre visualizzati nella cornice dell'intera personalità del paziente, del suo sviluppo emotivo, della sua situazione familiare e sociale.
Dalla collaborazione del medico con lo psicologo, con l'educatore, l'infermiera, il maestro, il sacerdote, la famiglia del paziente, il gruppo stesso dei pazienti (tutte funzioni affini ma diverse, in cui ciascuno ha da svolgere un proprio ruolo specifico, ma sempre "aperto" alle esperienze degli elementi collaborativi) risulta la formazione di interazioni sociali quanto mai proficue. Soprattutto la psicoterapia di ammalati psichici gravi e di bambini, la cui cura è sempre affidata più a intere strutture sociali anziché al singolo medico, si svolge su questo piano integrativo.
Più di qualsiasi altra scienza medica, la p. si basa su fondamenti non solo sperimentali, ma che sono anche filosofici; poiché essa ha per oggetto funzioni psichiche non scindibili dalla realtà spirituale dell'uomo. E d'altro canto essa ha anche fondamenti sociologici, poiché vede proprio nelle malformazioni dei rapporti sociali, non me-. no che nelle alterazioni delle strutture nervose, l'origine di fenomeni psicopatologici. Per questi suoi fondamenti filosofici e sociologici la p. (e con essa la psicologia medica) acquista, da un canto, un livello di significativi universali, ossia la dignità di una scienza "antropologica", volta allo studio della intera persona umana. Ma d'altro canto, proprio in questa sua vastità di orizzonti, che supera i limiti di una scienza esatta, sta il motivo per cui la p. rivive in sé, nel suo sviluppo, quella molteplicità di vedute, di opinioni, di indirizzi filosofici, di scuole, che è propria delle scienze filosofiche.