SPINOLA, Publio Francesco
– Nacque forse a Lomazzo di Como intorno al 1520 dal genovese Gabriele, di ceto modesto, ma amò definirsi sempre milanese.
Non molto si sa della giovinezza se non quanto egli stesso raccontò nelle proprie opere. Suo amato maestro fu Ambrogio Calimero Piantanida milanese.
Poeta e umanista, cercò sempre una collocazione che gli consentisse di vivere della sua arte, spesso lavorando come precettore. Tentò di ingraziarsi i personaggi che avrebbero potuto proteggerlo. Sognava di dare lustro alle corti, come altri letterati, alla perenne ricerca di un luogo sicuro e accogliente. Nelle sue composizioni tornano i nomi di moltissimi personaggi, pontefici e cardinali, da Cristoforo Madruzzo a Reginald Pole a Carlo Borromeo, sempre alla ricerca di una proficua protezione.
Probabilmente nel 1553 cercò di recarsi a Genova e di ottenere il ruolo di annalista. Rimase invece a Milano e strinse amicizia con Primo del Conte, uomo molto dotto e stimato docente, legato ai somaschi e impegnato nel soccorso agli orfani, che forse rafforzò in lui la critica verso un cristianesimo troppo ricco e formale. Proprio da Conte si sa che Spinola avrebbe preso gli ordini (Paschini, 1919, p. 75; Epigrammaton, II, p.34). Frequentò Girolamo Vida, Lodovico da Rho e Aonio Paleario, con cui strinse una relazione di forte stima e amicizia, come con Giovanni Tonso (o Toso), giureconsulto e letterato, frate dell’Ordine degli umiliati. Fu in rapporti anche con il nobile Carlo Visconti, che gli fu protettore e allievo, cui dedicò dei versi accompagnando la sua carriera pubblica fino alla carica vescovile a Ventimiglia. Sperò forse in quell’amicizia per venir introdotto alla corte del papa Pio IV, anch’egli milanese.
Prima del 1550, con l’approvazione di Marco Antonio Flaminio, aveva messo mano al completamento dell’opera di lui versificando in latino i Salmi di David. L’opera vide la luce a Basilea nel 1561 a cura di Pietro Perna, con l’aggiunta fatta in fine da Spinola con la versione in metrica del Pater e del Magnificat. Forse con un vezzo poetico, lamentò la fretta dell’editore, dichiarando di volere in seguito migliorare l’opera, farla degna di Flaminio (Catulli Imitatio, poemi V e VI, pp. 5-8) del quale si riprometteva di comporre anche la biografia. Scrisse dei versi amorosi, usciti solo più tardi a Venezia, e cantò una tale Delia, donna forse immaginaria. Compose molti carmi di argomento devoto, che potevano renderlo ben accetto ai suoi referenti. Negli epigrammi raccontò, pur anagrammando i nomi dei suoi nemici, di aver provocato alcuni rimproverandoli per la loro vita poco cristiana. Si descrisse quindi come un moralizzatore incompreso, perseguitato tra gli altri da Andrea Roberto, vicario generale di Borromeo.
Nel 1560 dovette fuggire da Milano, lasciando a Paleario l’abitazione e si rifugiò a Brescia, lamentando il sequestro dei suoi scritti, temendo fossero pubblicati da altri (Epodon, IX, p. 14). Non si sa altro del procedimento milanese, ma il 31 agosto 1566 Giovanni Antonio Facchinetti, nunzio a Venezia, scrivendo a Roma su Spinola, lo definì ‘sfratato’ e relapso, dicendo di aver saputo che aveva già abiurato a Milano. Egli era dunque doppiamente in pericolo stante l’indirizzo romano di perseguire severamente i cosiddetti frati apostati. Nei suoi versi egli più volte espresse severi giudizi sul mondo conventuale (Epigrammaton, I, p. 23, III, p. 85).
Tornò a Brescia dai Martinengo e, grazie ad amici, come gli Ugoni, ottenne di essere chiamato dalla città a insegnare le lettere. Sia gli Ugoni che i Martinengo, famiglie che contavano tra i loro membri alcuni esuli religionis causa, erano note per la protezione accordata a persone coinvolte nel movimento riformato. Anche a Brescia, comunque, Spinola raccolse alcune inimicizie e lamentò un clima culturale a lui poco congeniale. Incontrò qui il pittore Francesco Ricchino, che lo ritrasse in due occasioni e nella tela posta nella chiesa di S. Pietro lo pose tra i giudei al seguito di Mosè nel deserto (Epigrammaton, I, pp. 10, 12 s.). Fu comunque carcerato, liberato e indotto ad andarsene nuovamente ramingo. Prima di lasciare la zona fu colpito forse dalla malaria e risanò grazie a Stefano Ugoni, che lo curò nella villa di Campato.
Sognando sempre di andare a Roma, ripiegò su Venezia indirizzato a Leonardo Mocenigo, del fu Antonio, che lo assunse come precettore dei figli Alvise e Antonio. Del primo si disse molto fiero, mentre del secondo dovette constatare la scarsa propensione per la cultura.
Conobbe anche Girolamo Donzellino di cui lodò la biblioteca, vista a Verona. Nel 1561 conobbe a Padova Carlo Sigonio, che insegnava nel locale ateneo. Sempre lì dovette conoscere il giovane Torquato Tasso, figlio di quel Bernardo con cui già era in corrispondenza. Visitò i monumenti patavini e si recò alla tomba di Francesco Petrarca, sognando di essergli vicino, poeta ed esule (Elegorum de varis argumentis, pp. 50-52). A Venezia cercò l’appoggio dell’ambasciatore francese Jean Hurault de Boustaillé, conoscendone il fratello André. Incontrò anche Gianbattista Pigna, segretario del duca Alfonso II d’Este. Tentò inoltre di ingraziarsi l’imperatore Massimiliano II attraverso il suo ambasciatore Francesco della Torre. Con i suoi versi, in realtà, Spinola cercò di farsi amici molti personaggi, politici o artisti, con i quali magari non ebbe reali rapporti, come si pensa fosse nel caso di Giovanni Grimani. Lavorava al solito come precettore e come correttore di stampa, a esempio per Gabriele Giolito.
Sempre sperando di approdare a Roma, dedicò versi a Pio IV, chiedendogli persino di cassare la condanna sui carmi di Flaminio e lodando la sua politica religiosa e la liberazione del cardinale Giovanni Morone. Molte sono le liriche spirituali senza particolari segni di uno spirito meno che ortodosso. Sobriamente, senza esporsi, ma anche senza tacerne, ricordò la morte di Bartolomeo Fonzio, ucciso per eresia a Venezia nel 1562. L’edizione complessiva dei suoi scritti fu terminata da lui nel 1562 a Venezia e fu stampata da Giordano Zileti l’anno successivo.
Manifestò anche interessi diversi, come quando si preoccupò del progressivo degrado della laguna veneta ed esortò il governo a pulire i canali (Poemataton, I, p. 12) o quando dedicò il 7 luglio 1562 da Venezia a Carlo Visconti un breve trattato sulla nota questione della correzione del calendario giuliano. Ancora scrisse contro le sepolture in chiesa, tema già all’attenzione dei pontefici (Hendecasyllaborum, pp. 35 s.), e denunciò la pratica del duello (Epigrammaton, III, p. 82, II, pp. 61 s.). Aveva anche scritto un’appassionata denuncia contro la triste sorte delle fanciulle monacate a forza (Elegorum, I, p. 2). Dai suoi versi emerge a volte la tristezza per le tante guerre europee (pp. 3-5, 34, 50) e con sobrio compianto disegnò le conseguenze della Riforma, forse non solo per accattivarsi la protezione di qualcuno a Roma (p. 34).
Pesò contro di lui l’amicizia con Andrea Ugoni, già indiziato a Brescia, che fu processato a Venezia nel 1565 e si piegò all’abiura, coinvolgendolo (Archivio di Stato di Venezia, S. Uffizio, b. 11). Non abbiamo il processo contro Spinola, ma da altri fascicoli emergono molte informazioni (cfr. Leathers Kuntz, 1994).
Molto raccontò un suo compagno di prigione, Dionisio Gallo, che denunciò i suoi tentativi di conversione, descrivendolo come un possesso (Archivio di Stato di Venezia, S. Uffizio, b. 22). Inoltre la devozione di Spinola verso l’ambasciatore francese, sospetto quanto alla fede, non poté giovargli, mentre molti ricordavano sue parole compromettenti, anche se non era facile collegarlo a un credo ben preciso. La deposizione di Giacomo Malipiero nel giugno del 1565 lo coinvolse decisamente, attribuendogli la responsabilità di averlo convinto alle idee riformate, in un clima cittadino ancora fervido di dibattiti e nutrito di testi calvinisti (bb. 11, 20). Dalle deposizioni emerse la forte capacità di convinzione di Spinola, la vasta rete dei suoi ammiratori, avendo evidentemente lasciato ogni prudenza e ogni speranza romana. Anche Zuan Fineti lo coinvolse e Gabriele Giolito testimoniò di aver avuto da lui un testo di Giovanni Sleidano (bb. 20, 21).
Dal luglio del 1564 Spinola fu carcerato per sospetto di eresia e altri detenuti testimoniarono che, assieme a Giulio Panevino, avrebbe diffuso apertamente le nuove idee, vantando la protezione dei francesi. Per conoscere la rete dei fratelli egli venne anche torturato (b. 23) e successivamente ne nominò alcuni (b. 22). Secondo la testimonianza del nunzio Facchinetti, il 31 agosto 1566 «era come lasciato per morto in una prigione oscurissima delli signori Capi di X [...] si trova già sono 25 mesi prigione» (Nunziature..., 1963, p. 100). Egli suggeriva di riconciliarlo per ottenere informazioni sui complici veneziani, avendo visto in lui dei segni di pentimento, poi smentiti, ma la congregazione decise di pretendere la sua esecuzione capitale, chiedendo addirittura il rogo. Venezia preferì l’affogamento, il 31 gennaio 1567.
Opere. Raccolta tripartita dell’oratione, nuovamente adunata da trentasei dottori antichissimi della Chiesa de Greci, e de Latini, et ridotta nell’idioma volgare: ove si contengono diverse espositioni delle parole profonde di quella più che divina oratione del Signore, et ciò che si può dire dell’oratione et vocale et mentale, Milano, per Innocentio Cigognera, 1548; M. Antonii Flaminii et P. Francisci Spinulae poetarum elegantissimorum Paraphrasis in omnes Davidis psalmos versibus expressa. His accesserunt tredecim sanctorum hominum cum precatione Domini cantica, atque omnium et psalmorum, et canticorum argumenta ab eodem Spinula versibus scripta, Basileae, per Petrum Pernam, 1561; De intercalandi ratione corrigenda, et de tabellis quadratorum numerorum, a Pythagoreis dispositorum, diakosmesis, Venetiis, apud Bologninum Zalterium, 1562; Publi Francisci Spinulae mediolanensis opera, Venetiis, ex officina stellae Iordani Zileti, 1563 (contiene, con paginazione separata: Poematon libri III, Carminum libri IV, Epodon liber I, Carminum saecularium liber I, Elegorum libri X, Hendecasyllaborum liber I, Epigrammaton libri III).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, S. Uffizio, b. 11, f. Andrea di Ugoni, b.15, f. G. Dall’Olio e D. Gottardo e A. Da Gerust, b. 18, f. Bartolomeo Fonzio, b. 20, f. Loredan A. e Malipiero A. e f. G. Giolito, b. 21, f. Girolamo e Luigi Badoer, b. 22, f. Dionisio Gallo, Marosella O. Perosin, Matteo degli Avogari, G. Lucengo, pre Lorenzo De Maggi, b. 23, f. Andrea Dandolo e f. Decium Bellimbonum, b. 26, f. Andrea Doione, b. 39, f. Girolamo Donzellino.
F. Piccinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 460; A.M. Querini, Specimen variae literaturae quae in urbe Brixia..., II, Brescia 1739, p. 202; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium, II, Milano 1745, parte I, p. 1431; O.M. Paltrinieri, Notizie intorno alla vita di Primo del Conte milanese, Roma 1805, p. 109, n. 28; P. Paschini, Della Torre e Grimani nei versi latini di un cinquecentista, in Memorie storiche forogiuliesi, XI (1915), pp. 163-178; Id., Un umanista disgraziato nel Cinquecento. P.F. S., in Nuovo archivio veneto, n.s., 1919, vol. 37, pp. 65-186; Nunziature di Venezia. 8. marzo 1566 - marzo 1569, a cura di A.Stella, Roma 1963, p. 100; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia, 1520-1580, Torino 1987, p. 280; J. Martin, Venice’s hidden enemies. Italian heretics in a Renaissance city, Los Angeles-Berkeley 1993, pp. 131, 141; M. Leathers Kuntz, Voices from a Venetian prison in the Cinquecento: F. S. and Dionisio Gallo, in Studi veneziani, n.s., 1994, vol. 27, pp. 79-126; F. Ambrosini, Storie di patrizi e di eresia nella Venezia del ‘500, Milano 1999, pp. 41 s., 56, 107, 147, 216 s., 225, 234, 238; C. Passarella, La pena di morte a Venezia in età moderna, in Historia et ius. Rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna, 2017, vol. 11, pp. 1-27, http:// www.historiaetius.eu/num-11.html (14 ott. 2018).