PUCCIO di Landuccio
PUCCIO di Landuccio. – Si ignora la data di nascita di questo architetto e scultore attivo nella seconda metà del Trecento, nato verosimilmente a Pisa e comunque detto costantemente «de Pisis» nei documenti. La prima menzione certa risale al novembre del 1355, quando il suo nome compare in una lista di maestri che avevano partecipato, nel precedente mese di agosto, a lavori al ponte a Mare di Pisa (Fanucci Lovitch, 1995, p. 116); risultava risiedere nella cappella di S. Maria Maggiore, il che può indicare che fosse già allora impegnato in lavori per il Duomo.
L’8 giugno 1359, assieme ai maestri Francesco del fu Lippo, Colo di Coscio Mucido e Matteo di Tone, ricevette l’incarico dell’esecuzione della tomba del maestro medico Ligo Ammannati, destinata alla sua cappella funeraria nel corridoio nord del Camposanto monumentale di Pisa. L’opera fu completata entro il 17 maggio 1360 (Luzzati, 1969). La tomba sussiste nel luogo originario; la sua conformazione e la sua decorazione corrispondono esattamente (salvo dettagli minori) a quanto stabilito nell’atto di commissione. Le parti figurate comprendono un Cristo passo nel frontale del sarcofago, il gisant, la rappresentazione del maestro in cattedra con gli allievi nella cuspide.
Lo stile delle figure richiama quello di Nino Pisano, con una certa semplificazione delle forme e una meno marcata componente gotica; la struttura architettonica ad arcosolio fu ripresa dallo stesso Nino, nel 1362, per il suo monumento del vescovo Giovanni Scarlatti (Novello, 2013). Nonostante si tratti di un’opera commissionata a ben quattro scultori (tutti retribuiti con la stessa cifra, 25 fiorini), la tomba (in passato attribuita a Tommaso Pisano) si presenta sostanzialmente unitaria. Tra gli artisti citati, l’unico a essere effettivamente conosciuto come un maestro di rilievo è proprio Puccio, al quale non sembra avventato attribuire un ruolo guida nell’esecuzione.
Il 15 ottobre 1365 Puccio ricevette dall’operaio Bernardo da Campiglia la commissione di «unum frontespitium et ciborium unum» da porre sul Battistero di Pisa, sul modello di uno già eseguito da Sibellino da Bologna.
Altri frontespizi vennero commissionati a Sibellino stesso, a Cellino di Nese e, due giorni dopo, a Biagio di Pardo, detto Culetto; per quest’ultimo risultava fideiussore Puccio. Dei 100 fiorini concordati, Puccio ne ricevette 25 il 27 ottobre successivo (Bacci, 1919, pp. 21 s., 24; Caleca, 1991, pp. 207 s.).
Questi manufatti sono generalmente identificati con le edicolette ad abbaino poste sulla cornice della cupola dell’edificio (Caleca, 1991, pp. 192 s.).
Nel maggio del 1369 Puccio è ricordato per la prima volta quale capomaestro dell’Opera del Duomo di Pisa, carica che mantenne per vent’anni. Dagli atti conservati nei registri dell’Opera stessa risulta una sua costante attività (con un salario annuale di 48 lire) di direzione e controllo di tutti i lavori che riguardavano i monumenti di piazza del Duomo, con viaggi a Carrara, a Pietrasanta e all’isola d’Elba per reperire marmi e pietre, e con periodiche verifiche delle strutture (per esempio, nel 1373 e nel 1379) su richiesta degli operai, che Puccio effettuava con l’aiuto delle maestranze, indicando poi precisi programmi di intervento (cfr. Tanfani Centofanti, 1897, pp. 438 ss.). Puccio si occupò in particolare, a più riprese, del Camposanto, edificio ancora incompiuto; la sua attività sembra essersi esplicata soprattutto nel completamento della costruzione del lato nord della struttura (Caleca, 1996, p. 31).
Fra il 1372 e il 1376 Puccio diresse per conto del Comune pisano, assieme al maestro di legnami Francesco di Giovanni di Giordano, i lavori di costruzione della rocca di Livorno (identificabile con la cosiddetta «quadratura dei pisani», all’interno dell’attuale Fortezza Vecchia). L’impresa si rivelò improba e portò alla morte del socio e a notevoli difficoltà finanziarie per lo stesso Puccio. Il Comune riconobbe però le sue ragioni e nel 1376 liberò Puccio e gli eredi di Francesco da qualsiasi debito relativo all’opera (Fanucci Lovitch, 1995, pp. 352 s.).
A partire dal maggio del 1380 Puccio, assieme al maestro Tomeo di Ciomeo, diresse un importantissimo intervento alla cupola del Duomo di Pisa durato sei mesi, per il quale gli fu sospeso il normale salario ed ebbe il notevole riconoscimento economico di 100 fiorini complessivi (altrettanti ne ebbe Tomeo), saldati nel gennaio del 1381, secondo un accordo fatto con l’operaio del Duomo e con Pietro Gambacorta, all’epoca di fatto signore di Pisa (Tanfani Centofanti, 1897, pp. 439-441).
Si discute sulla reale consistenza dell’intervento: si ritiene in genere che Puccio e Tomeo abbiano costruito gli otto grandi arconi che cingono esternamente la base della cupola, rendendola più solida (Sanpaolesi, 1959; Id., 1975, pp. 219-221). Su questi arconi sarebbe poi stato realizzato il coronamento a tabernacolini gotici per il quale lo stesso Puccio nell’aprile del 1383 fornì il modello: a partire dal 1385 questi tabernacolini sarebbero stati eseguiti da Puccio e da Lupo di Gante; nel 1388 Puccio avrebbe curato la sistemazione degli ultimi della serie (Tanfani Centofanti, 1897, pp. 343, 441 s.).
L’impresa della cupola costituisce l’opera architettonica meglio giudicabile di Puccio; al di là dell’aspetto tecnico-costruttivo, la realizzazione della loggetta a tabernacolini risolve genialmente, nel senso della continuità con la secolare tradizione architettonica della piazza, il problema del raccordo visivo fra gli edifici (Novello, 1995, pp. 419 s.).
Un appunto del novembre 1380, conservato nei registri dell’Opera del Duomo e relativo a un intervento di Puccio nel «monumento de l’Arciveschovo di Pisa» (Caleca, 1996, p. 47 n. 153), può forse supportare l’attribuzione a Puccio dei resti della lastra tombale terragna del vescovo Bernabò Malaspina, defunto pochi giorni prima, oggi conservati nei depositi del Museo nazionale di S. Matteo (Novello, 1995, p. 636). Puccio potrebbe quindi aver avuto un ruolo nella definizione di una tipologia sepolcrale molto diffusa a Pisa nell’ultimo ventennio del secolo.
Puccio è noto anche come committente di opere d’arte; su una Madonna in trono con il Bambino oggi nella Staatsgalerie di Stoccarda, concordemente riferita al pittore Spinello Aretino, compare l’iscrizione «HOC OPUS FECIT FIERI MAGISTER PUCIUS LANDUCCI PRINCIPALIS I[n] LABORERIO/ ECLESIE MAIORIS PISANE». L’opera, anteriore al 1389, costituiva il centro di un polittico, forse in origine nel Duomo di Pisa, del quale è stato identificato un laterale con S. Bartolomeo (Tartuferi, 1992); l’importante commissione testimonia anche l’agiatezza raggiunta da Puccio a seguito delle numerose e ben retribuite imprese affrontate.
Il 18 febbraio 1389 Puccio lasciò la carica di capomaestro del Duomo, nella quale gli subentrò Lupo di Gante, da tempo suo collaboratore (Tanfani Centofanti, 1897, p. 438).
Il 14 luglio 1390 fece testamento, nominando usufruttuaria dei suoi beni la sorella Bacciamea (Fanucci Lovitch, 1991, p. 256; secondo Tanfani Centofanti, 1897, p. 442, avrebbe invece istituito erede l’Opera del Duomo). Forse ancora in vita nel gennaio del 1392 (Fanucci Lovitch, 1991, p. 225), Puccio morì prima dell’11 gennaio 1393, quando risulta citato come morto in un atto relativo alla sorella (Tanfani Centofanti, 1897, p. 442).
Nonostante il ruolo importante che ebbe nel panorama artistico della Pisa del tardo Trecento, le opere documentate non permettono di ricostruire facilmente la personalità artistica di Puccio. Si può ritenere verosimile accostargli alcune opere di scultura dallo stile vicino, ma non identico, a quello di Nino Pisano, che mostrano somiglianze con le soluzioni formali del sepolcro Ammannati: tra queste, il Cristo crocifisso della chiesa pisana di S. Michele in Borgo (dalla lunetta della porta sud-ovest del Camposanto), una Madonna con il Bambino (Pisa, Museo nazionale di S. Matteo) già sulla cuspide centrale del lato est della chiesa di S. Maria della Spina, nonché il sepolcro dell’arcivescovo Francesco Moricotti (Pisa, Museo dell’Opera del Duomo). Tutte queste opere sono generalmente riferite all’operosità di Nino o della sua bottega (cfr. Novello, 2013).
Fonti e Bibl.: L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1897, pp. 343, 438-442; P. Bacci, Per la istoria del Battistero di Pisa. Zibellino da Bologna e il coronamento marmoreo della cupola, Pisa 1919; P. Sanpaolesi, Il restauro delle strutture della cupola della Cattedrale di Pisa, in Bollettino d’Arte, s. 4, XLIV (1959), 3, pp. 199-230; M. Luzzati, Il sepolcro del maestro medico Ligo Ammannati nel Camposanto Pisano, in Comune di Pisa. Rassegna, V (1969), 6-8, pp. 31-38; P. Sanpaolesi, Il Duomo di Pisa e l’architettura romanica delle origini, Pisa 1975, pp. 219-221; A. Caleca, La Dotta Mano. Il Battistero di Pisa, Bergamo 1991, pp. 192 s., 207 s.; M. Fanucci Lovitch, Artisti attivi a Pisa fra XIII e XVIII secolo, Pisa 1991, pp. 225, 255 s.; A. Tartuferi, n. 39, in The Martello Collection. Further paintings, drawings, and miniatures 13th-18th century, a cura di M. Boskovits, Florence 1992, pp. 164-167; M. Fanucci Lovitch, Artisti attivi a Pisa fra XIII e XVII secolo: secondo volume, Pisa 1995, pp. 116, 124 s., 352 s.; R.P. Novello, La scultura del Trecento, in Il Duomo di Pisa, a cura di A. Peroni, I, Modena 1995, pp. 207-223 (in partic. pp. 220 s.), 419 s., 636; G. Piancastelli Politi Nencini, La Fortezza Vecchia di Livorno dalla storia al restauro, in La Fortezza Vecchia, difesa e simbolo della città di Livorno, a cura di G. Piancastelli Politi Nencini, Cinisello Balsamo 1995, pp. 15-125; A. Caleca, Costruzione e decorazione dalle origini al secolo XV, in Il Camposanto di Pisa, a cura di C. Baracchini - E. Castelnuovo, Torino 1996, pp. 13-48 (in partic. pp. 30 s.); R.P. Novello, Nino Pisano, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXVIII, Roma 2013, pp. 585-590.