PUCCI, Puccio
PUCCI, Puccio. – Nacque a Firenze il 5 aprile del 1453, da Antonio di Puccio Pucci e dalla sua prima moglie, Maddalena di Betto di Giuliano Gini. Ebbe la sua residenza nel quartiere di San Giovanni (popolo di San Michele Visdomini), nella casa paterna.
La famiglia era di condizioni abbastanza agiate. Dalla metà degli anni Ottanta del XV secolo Pucci risulta infatti proprietario, insieme ai due fratelli Lorenzo e Alessandro, di alcuni poderi e beni immobili in Valdelsa facenti parte dell’eredità paterna. La responsabilità di Pucci nella gestione di tali proprietà è attestata in una serie di libri di ricordi e «giornali di possessioni» superstiti che documentano la conduzione di terre e mulini a partire almeno dal 1485 (Archivio di Stato di Firenze, Venturi Ginori Lisci, 252, 253 e 254), oltre che in un suo «libro bianco di messer Puccio proprio» ivi menzionato.
Conseguito il dottorato a Pisa, Pucci fu subito lettore di diritto civile nel 1475 in quello Studio, per un compenso annuo di 80 fiorini (Verde, 1975, I, p. 277; II, pp. 580 s.). Lasciato l’insegnamento per dedicarsi alla professione (Verde, 1975, II, p. 220), acquisì rapida notorietà e ricoprì l’ufficio di console dell’arte dei giudici e notai almeno sette volte tra il 1478 e il 1482. Fu inoltre, tra il 1479 e il 1494, uno dei legislatori dell’ospedale della Misericordia di Prato, per un compenso annuale di 300 fiorini larghi (Martines, 1968, p. 102).
Alle molte estrazioni della cedola con il suo nome per le cariche nell’esecutivo (per il Priorato nel 1454 e nel 1459; per i Dodici buonuomini nel 1464, nel 1470, nel 1471 e nel 1473; per il Gonfalonierato di compagnia nel 1473, e di nuovo per i Dodici buonuomini nel 1474 e nel 1475), Pucci risultò sempre minore dell’età minima richiesta per l’accesso. Solo nel 1482 ottenne per la prima volta l’ufficio di priore, e iniziò allora la sua breve, ma intensa carriera politica. L’anno successivo, in seguito alla pace tra Firenze e il pontefice Sisto IV, i fiorentini ritrovarono un accordo con i senesi che, durante la guerra, avevano prestato il loro soccorso e sostegno al papa: in tale occasione Pucci venne incaricato di presenziare alla riconsegna delle terre che, nel corso delle precedenti vicende belliche, erano state sottratte da Siena ai fiorentini (tra queste vi era Castellina in Chianti) e che, in virtù dei patti nuovamente stipulati, dovevano essere loro restituite. Tra l’estate del 1483 e il 1484 Pucci poi ricoprì più di un mandato come commissario speciale per dirimere le questioni tra Firenze e Siena legate alle vertenze di confine nella zona della Valdichiana.
Nel 1483, frattanto, Pucci aveva preso in sposa Girolama Farnese legando il suo nome e il suo destino a quello di una delle più potenti famiglie dell’aristocrazia romana. Anche negli anni successivi la sua carriera si caratterizzò per un’assidua alternanza di incarichi di rilievo negli organi della Repubblica: fu tra gli Otto di custodia nel 1490, ricoprì uffici sul territorio (vicario di Certaldo nel 1489, capitano di Castrocaro nel 1490 e nel 1491 e di Arezzo nel 1492), fu incaricato di ambasciate e, soprattutto, di commissarie stanziali in zone di confine (come a Faenza nell’aprile del 1491).
L’affiliazione medicea che dai tempi di Cosimo aveva garantito la fortuna della sua casa continuava infatti a sostenerlo. Nel 1488 era stato nel numero degli arroti al Consiglio dei settanta, tra i fedelissimi di Lorenzo il Magnifico; nel giugno del 1492 fu poi a Ferrara come assistente fiorentino all’arbitrato voluto da Ercole d’Este per la risoluzione della questione che opponeva Cotignola e Faenza (Donati, 1938, pp. 55 e 64 s.). Nell’autunno dello stesso anno, partecipò come ambasciatore a Roma a una delegazione fiorentina inviata al neoeletto papa Alessandro VI.
L’ambasciata comprendeva, oltre a lui, Pierfilippo Pandolfini, Tommaso Minerbetti, Francesco Valori, il Vescovo di Arezzo Gentile Becchi e lo stesso Piero de’ Medici. Questi uomini erano parte, insieme a pochi altri, di quella «pratica stretta di cittadini» che secondo il Guicciardini era stata messa in piedi da Piero de’ Medici, come selezionata rappresentanza dei suoi più intimi confidenti «co’ quali si consultavano queste cose dello Stato» (F. Guicciardini, Storie Fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, 1931, p. 91).
Fu tuttavia nel territorio romagnolo che l’abilità diplomatica e politica di Pucci ebbe modo di manifestarsi in misura maggiore, talora sovrapponendosi e moderando gli effetti di quella forse troppo rigida e venata da spinte individualistiche che già lo zio Dionigi Pucci, uomo di Lorenzo, aveva esercitato in loco. Mentre infatti Dionigi veniva richiamato a Firenze, nella primavera del 1493 Pucci, dietro mandato della Signoria, fu nuovamente inviato come commissario a Faenza, con l’incarico di sorvegliarne il governo a tutela e conservazione dello stato del giovane Astorre Manfredi (al tempo minore) che la Repubblica fiorentina proteggeva. Proprio da Faenza, Pucci intraprese una fitta comunicazione epistolare con Caterina Riario Sforza, con la quale mirava a stringere cordiali relazioni diplomatiche in linea con quelle che lo stesso governo di Firenze promuoveva, nell’auspicio di un’alleanza con Forlì, Imola e Faenza.
L’intero periodo dell’attività commissariale a Faenza di Pucci è coperto da un nucleo di corrispondenza che, dall’ottobre del 1493 fino all’aprile del 1494, conserva numerose missive a lui inviate (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, 340). Tra i principali corrispondenti, oltre a Piero de’ Medici e a Caterina Sforza, gli Otto di pratica come referenti ufficiali dell’attività da lui svolta per conto della Signoria, l’amico Agnolo Niccolini, la moglie Girolama, il cognato cardinale Farnese, e infine Giannozzo e Lodovico Pucci.
Nella città romagnola Pucci dovette gestire una situazione non facile: dirimere le controversie ancora vive tra cotignolesi e faentini, mantenere un numero sufficiente di armati a difesa della città, nonostante la forte riduzione del soldo, e al contempo tenere a bada lo scontento generale che dominava tra i faentini ora che il loro indotto era bruscamente diminuito con la riduzione delle guarnigioni armate presenti in città. Da Faenza Pucci venne via nel 1494, probabilmente nel mese di maggio (lo sostituì Lorenzo di Bernardino dei Medici, incaricato di proseguirne la linea politica), per recarsi a Roma dove aveva ottenuto l’incarico di ambasciatore residente.
Suo zio Dionigi Pucci, scrivendo all’amico Pierfrancesco Tosinghi il 24 maggio del 1494, lo informava sui fatti così: «Intendo l’andata del commissario a Faenza e messer Puccio doverrà essere tornato e all’arrivare di qua spedito per Roma», e aggiungeva «et cosi mi piace l’accelerazione di messer Puccio con la donna per Roma» a sottintendere forse un’inattesa velocizzazione nella tempistica dell’ambasciata (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, 293, c. 71r).
L’arrivo di Pucci indusse la moglie Girolama Farnese a rimandare la partenza da Roma che aveva programmato e a trattenersi ancora per l’intera durata del mandato del marito che intendeva, tra le altre cose, visitare i domini dei Farnese e i parenti della moglie. Dopo tale sopralluogo, alla metà di agosto del 1494 – quando suo zio Dionigi era appena venuto a mancare – Pucci rientrò a Roma anch’egli in cattive condizioni di salute.
Morì di peste nel giro di pochi giorni, il 29 agosto 1494, dopo aver prudentemente dettato il suo ultimo testamento. Fu onorato con pubbliche esequie da parte del governo fiorentino.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, CCXCIII (cc. 71r, 74r) e CCCXL; Catasto, 833, c. 973r; Mediceo avanti il Principato, lettere contenute nelle filze XIV, XVI, XIX, XXIX, XXXIV, XXXV, XXXVIII, XL, XLI, XLIX, LIV, LXXXVIII, XCVI, ad ind.; Notarile Ante Cosimiano, 2982 c. 23; Tratte, Libro delle età, 80 c. 217r, Tratte Uffici intrinseci, 904 c. 35v; 905, c. 2v; Ufficio delle Tratte, http://cds.library. brown.edu/projects/tratte/search/(18 febbraio 2016); Venturi Ginori Lisci, 252, 253 e 254; Archivio Pucci Firenze (si rimanda all’inventario pubblicato in Archivio Privato Famiglia Pucci Marchesi di Barsento di Firenze- Inventario. Fondo Pucci (1404-1930), I, a cura di D. D’Agostino - F. Polidori, Firenze 2000); P. Litta, Le famiglie celebri italiane, Milano 1868, Pucci, tav. IV; F. Guicciardini, Storie Fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Roma 1931, p. 91; L. de’ Medici, Lettere, VII-VIII, Firenze 1998 e 2001, ad ind.; L. de’ Medici, Tutte le opere, a cura di T. Zanato, Torino 1992, p. 236; Piero di Marco Parenti, Storia fiorentina, I, 1476-78, 1492-96, a cura di A. Matucci, Firenze 1994, pp. 36, 48; Regesto dei documenti di Giulia Farnese, a cura di D. Romei - P. Rosini, Raleigh 2012.
G. Donati, La fine della Signoria dei Manfredi in Faenza, Torino 1938, pp. 55, 64, 73, 78-87; L. Martines, Lawyers and statecrafts in Renaissance Florence, Princeton 1968, pp. 190, 351, 495; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici, Firenze 1971, p. 409; A.F. Verde, Lo studio fiorentino. (1473-1503). Ricerche e documenti, Firenze 1973, I, p. 277, II, pp. 580 s., 840 s.; E. Scarton, Giovanni Lanfredini. Uomo d’affari e diplomatico nell’Italia del Quattrocento, Firenze 2007, p. 316; M. Jurdjevic, Guardians of republicanism: the Valori family in the Florentine Reinassance, Oxford 2008, p. 79.