PUERPERIO (dal lat. puer "bambino" e pario "partorisco")
È quel periodo, che segue immediatamente al parto (suites de couche dei Francesi), e dura il tempo necessario all'apparato genitale per spogliarsi dei caratteri assunti in gravidanza e ritornare a un dipresso nelle condizioni primitive: il che precisamente esso consegue in un lasso di circa 6 settimane. La fine del puerperio è clinicamente contrassegnata dalla comparsa di uno scolo sanguigno dai genitali (capoparto): il quale, però, rappresenta la regola solo nelle donne che non allattano; nelle altre, invece - e precisamente nella quasi totalità delle pluripare e nella metà circa delle primipare - anche se il capoparto si presenta, a esso segue un periodo di amenorrea corrispondente, in genere, per durata, a quello dell'allattamento (amenorrea da allattamento). Il puerperio si dice normale, quando i fenomeni destinati a ricondurre allo stato di riposo gli organi direttamente interessati decorrono senza deviazioni o complicanze pericolose, e cioè nel modo che l'esperienza ha dimostrato il più favorevole; mentre si chiama puerperio morboso o irregolare "quello durante il quale insorgono disordini o malattie del sistema genitale, che possono minacciare la salute o la vita della madre" (A. Cuzzi). Ma nel corso del puerperio possono sopraggiungere anche malattie, che non hanno alcun nesso etiologico col puerperio stesso: malattie, che, in altri termini, complicano il puerperio, ma non rientrano nella patologia del puerperio. In tali circostanze si parla di puerperio complicato.
Fisiologia del puerperio. - Profonde e notevoli sono le modificazioni, che avvengono nell'organismo muliebre durante il puerperio e, di esse, alcune riguardano i sistemi generali, altre più direttamente l'apparato sessuale, comprese le mammelle, onde appar giusto, occupandosi di tali fenomeni, distinguerli appunto in generali e locali.
Tra i primi, va ricordato anzitutto il comportamento della temperatura e del polso.
La temperatura, nelle prime 12 ore dopo il parto, specie se questo fu laborioso, suole elevarsi di circa mezzo grado, e anzi, se il rialzo cade nelle ore vespertine, la temperatura ascellare può anche raggiungere i 38°; subito dopo, però, essa ridiventa normale, e, nel puerperio perfettamente regolare, resta costantemente al disotto dei 37°; una temperatura, che nel corso del puerperio s'innalzi a 38°, dev'essere tenuta come indizio di processi morbosi stabilitisi nei genitali della puerpera o altrove.
La cosiddetta febbre lattea, che in un certo numero di casi appare al 3°-4° giorno, in coincidenza con la montata lattea, è assai spesso l'espressione di disordini funzionali, soprattutto da parte dell'intestino (ristagno di feci), quando non è in rapporto con il riassorbimento di materiali tossici contenuti nell'utero (ristagno dei lochi, putrefazione di coaguli sanguigni); tuttavia si deve ammettere che l'iniziarsi tumultuoso della funzione mammaria possa di per sé stessa determinare un rialzo termico di circa mezzo grado.
Il polso della puerpera sana è rallentato (bradicardia puerperale), e corrisponde a una frequenza media di 58-60 battute al minuto; questo fenomeno è assolutamente normale, e ha un valore prognostico assai favorevole per il decorso del puerperio. Difatti le variazioni del polso sono più precoci e più spiccate di quelle offerte dalla temperatura, sì da costituire per il medico un importante segno di allarme, riguardo alla probabilità di un'infezione.
Un altro fenomeno generale degno di nota è il brivido, che si produce abitualmente (ma non sempre) subito dopo il parto, e talvolta anche prima dell'espulsione delle secondine: si tratta di un episodio non patologico (epperò si parla di brivido fisiologico), il quale è a volte intenso e dura 5-10 m., a volte invece lieve e fugace.
Si può ritenere ch'esso dipenda dall'improvviso e cospicuo afflusso di sangue nell'addome, determinatosi in seguito alla brusca deplezione di questo, per effetto dello svuotamento e della riduzione dell'utero; lo squilibrio circolatorio così creatosi, a spese di un'insufficienza momentanea d'irrigazione periferica, provoca il tremito di difesa, con un meccanismo analogo a quello del brivido da freddo.
Da parte dei varî sistemi organici - all'infuori di quello genitale - basterà, infine, ricordare le seguenti modificazioni. La frequenza degli atti respiratorî diminuisce leggermente. Aumenta l'eliminazione dell'urina e del sudore, sicché si spiega l'aumento della sete e la diminuzione del peso corporeo; quest'ultimo, però, si abbassa anche per il nutrimento più scarso dei primi giorni, come pure per la perdita lochiale e la secrezione del latte. Molto frequenti sono le turbe funzionali della vescica; la ritenzione urinaria, assai facile a verificarsi nei primi giorni del puerperio, ma di breve durata, dipende o da mancanza di stimolo, per l'aumentata capacità della vescica dopo lo svuotamento dell'utero, o per la diminuita sensibilità di essa alla distensione, o da mancanza di abitudine - nella donna - a urinare in decubito dorsale, o da debolezza del premito per lo stato di rilassamento delle pareti addominali. A tali cause, però, bisogna aggiungere: l'inerzia della vescica, come conseguenza della lunga compressione esercitata su di essa dalla testa fetale durante il parto; e, non di rado, lesioni contusive provocate dal traumatismo ostetrico in corrispondenza del trigono o dell'uretra.
Tra i fenomeni locali del puerperio bisogna ricordare anzitutto quelli che riguardano i genitali propriamente detti, e in modo particolare l'utero, cui la gravidanza e il parto imprimono le più profonde modificazioni. Detti fenomeni consistono in un processo d'involuzione, per il quale gli organi sessuali sono ricondotti pressoché allo stato primitivo.
I fatti più appariscenti, da parte dell'utero, sono in primo luogo costituiti dalla progressiva riduzione del peso e del volume. Subito dopo il parto, l'utero pesa da 1000 a 1200 gr., e misura: in lunghezza 18-20 cm. (tenendo conto dello stato di forte antiflessione, in cui si trova), 12-14 cm. in larghezza e quasi altrettanto in senso antero-posteriore; lo spessore della parete anteriore raggiunge i 4 cm. La riduzione del peso è, specie nei primi giorni, molto rapida, tanto che dopo sole 48 ore esso è di circa 750 gr.; si abbassa a 500 gr. dopo una settimana, a 350 gr. al termine della seconda settimana, e ridiscende al limite normale solo alla fine della sesta settimana. La diminuzione del volume può esser valutata con un semplice procedimento clinico, che si basa sulla palpazione addominale e consiste nella misurazione della distanza compresa tra il fondo dell'utero e il margine superiore della sinfisi pubica. Subito dopo l'espulsione delle secondine, l'utero, fortemente contratto (globo di sicurezza), giunge con il fondo a un dito trasverso al disotto della cicatrice ombelicale e dista dal pube una diecina di cm.; dopo circa 6 ore, esso risale press'a poco a livello dell'ombelico, e può anche sorpassarlo; il che dipende da un certo rilassamento delle pareti uterine, e dalla riacquistata tonicità da parte del segmento inferiore e dei mezzi di sostegno dell'utero. Notevole importanza ha però, inoltre, a tal riguardo, lo stato di replezione della vescica e del retto: basta riflettere che 100 gr. di urina fanno risalire il fondo dell'utero di 1 cm. circa; e che il contenuto rettale fa crescere di 3 cm. l'altezza dello stesso. Al terzo giorno l'utero dista ancora 12 cm. dal pube; ma, a partire da questo tempo, esso si riduce in altezza abbastanza regolarmente di 1 cm. al giorno, per modo che al dodicesimo giorno il fondo dovrebbe venire a corrispondere al pube, e il corpo uterino dovrebbe avere il volume di un'arancia. Di conserva con l'involuzione del corpo procede quella del collo uterino: questo - che subito dopo il parto si presenta assai breve, largamente permeabile, a pareti flosce, con intaccature più o meno profonde sul contorno dell'orificio esterno - non tarda a riformarsi e a restringersi. La sua involuzione procede dall'interno all'esterno (cioè dall'alto al basso), sicché il primo a richiudersi è l'orificio interno, che già al terzo giorno (anche in conseguenza dell'antiflessione dell'utero) è permeabile solo a un dito, e non lo è più affatto, o soltanto con sforzo, al 10°-12° giorno. L'obliterazione dell'orificio esterno, invece, si compie nel corso della terza settimana, o, se si tratta di multipara, anche più tardi. Così pure il ritorno alla consistenza normale si ha, nel collo, piuttosto tardi, e cioè non prima della terza settimana. L'involuzione macroscopica dell'utero non è, naturalmente, che il risultato della sua involuzione istologica. Per questa, le fibre muscolari riprendono le loro dimensioni e tutti gli altri caratteri dello stato di riposo; il connettivo intermuscolare si prosciuga e s'addensa; i vasi sanguigni diminuiscono di calibro e in parte si obliterano e si distruggono. Quanto alla mucosa corporea, essa si rigenera a spese della parte basale dell'antico endometrio, rimasta in situ dopo lo scollamento della placenta e delle membrane. La epitelizzazione avviene assai rapidamente, sì che già all'ottavo giorno il rivestimento epiteliale può esser completo, all'infuori della zona placentare. Quivi, anzi, la ricostituzione della mucosa si compie lentamente, causa l'intenso lavorio di organizzazione e di riassorbimento dei coaguli, che deve effettuarsi; onde dopo 6 settimane la piaga placentare è ancora larga 2 cm. e scompare del tutto solo dopo 3 mesi. Nella mucosa del collo ha luogo un semplice processo di riparazione delle ferite prodottesi nel parto, e non è a parlare, quindi, di rigenerazione; detto processo si svolge rapidamente, e in 9-10 giorni porta alla ricostituzione della mucosa normale.
Come ogni ferita in via di guarigione secerne, così la mucosa corporea in via di rigenerazione dà luogo allo scolo, dai genitali, di una speciale secrezione, che prende il nome di flusso puerperale o lochiazione o perdita lochiale.
Essa è particolarmente abbondante nei primi due giorni, causa la persistente, per quanto ridotta, pervietà dei vasi deciduali, ed è costituita quasi solo da sangue (lochi sanguigm, lochia rubra seu cruenta). Il terzo giorno la perdita incomincia a diventare più chiara, siero-sanguinolenta (lochi siero-ematici), giacché, essendosi i vasi obliterati, geme dalla mucosa una sierosità, che si trascina seco lembi di decidua e altri elementi epiteliali in degenerazione, emazie più o meno alterate, globuli bianchi in gran numero e muco. I lochi, oltre a diventare sempre più scarsi e un po' filanti, si sbiadiscono progressivamente; finché, verso l'ottavo giorno, scompare in essi con la colorazione rossigna ogni traccia di sangue e allora si chiamano sierosi (lochia serosa). Verso il dodicesimo giorno i lochi, divenuti molto scarsi, densi, bianco-grigiastri, di aspetto quasi puriforme, prendono il nome di lochi cremosi (lochia alba seu purulenta), e sono costituiti quasi esclusivamente dal muco delle ghiandole cervicali, da leucociti, da scarse cellule epiteliali, da gocciole di grasso e cristalli di colesterina. Verso il ventesimo giorno la lochiazione generalmente scompare; ma vi sono, a questo riguardo, notevoli variazioni.
Di regola la perdita lochiale dura meno nelle pluripare, che allattano, specie se sane e robuste, mentre si può protrarre più a lungo nei soggetti deboli e linfatici; talvolta si osservano lochi siero-sanguinolenti anche dopo 3-4 settimane, senza che ciò dipenda da importanti alterazioni del processo involutivo. Nessun significato sfavorevole ha il ritorno - per breve tempo - del flusso sanguigno, verso il 18°-21° giorno; tal fenomeno - cui i francesi danno il nome di "petit retour de couches" e cioè di piccolo capoparto - trova analogia in un'altra perdita schiettamente ematica riscontrabile, in alcuni soggetti, verso il 5° giorno del puerperio: talché sarebbe opportuno distinguere i due fenomeni con la qualifica rispettiva di "primo" e "secondo" piccolo capoparto. Circa il modo d'interpretare tali episodî, non esiste ancora, fra gli studiosi, uniformità di vedute: secondo P. Sfameni, essi dipenderebbero da fattori d'indole ormonale. I lochi normali, di reazione alcalina, hanno un odore speciale, come di grasso leggermente acido, o, in altri termini, assai affine a quello del sangue mestruo; esso, però, facilmente si altera, divenendo fetido, non appena sopraggiungano fatti di putrefazione. La quantità complessiva della perdita lochiale è molto variabile e, d'altronde, difficile a determinarsi; sembra, a ogni modo, che si possa valutare intorno ai 1000 grammi.
Un altro fenomeno clinico di un certo interesse è costituito dalle doglie uterine, che la puerpera può avvertire intermittentemente nelle prime ore e anche nei primi giorni dopo il parto, per effetto delle contrazioni, che si susseguono, all'inizio, abbastanza energiche e ravvicinate, poi sempre più deboli e rare, per tutta la durata del periodo d'involuzione. Tali contrazioni non vengono in ogni caso avvertite come dolori, ma solo quando esse raggiungono una certa intensità; il che si verifica principalmente quando l'utero viene stimolato dalla presenza, nella sua cavità, di coaguli sanguigni, lembi di membrane, ecc., o dalla eccitazione del capezzolo al momento della poppata. Ai dolori in questione si dà il nome di morsi uterini (after-pains degl'Inglesi e Nachwehen dei Tedeschi): essi sono più frequenti nelle pluripare, in cui possono anche raggiungere un grado tale da richiedere la somministrazione di calmanti.
I processi involutivi puerperali, che si svolgono nelle trombe e nelle ovaie, consistono nel loro ritorno ai primitivi rapporti topografici, e nel ripristino delle condizioni circolatorie proprie dello stato di riposo. Il corpo luteo gravidico si affretta verso la regressione completa, dopo di che l'ovulazione ricomincia.
Nella vagina e nei genitali esterni si ha la scomparsa dell'iperemia gravidica e dello stato d'imbibizione sierosa. Le piccole ferite prodottesi durante il parto guariscono rapidamente. Le pareti vaginali rimangono più lisce, più flaccide e più ampie. Degna di nota è la residuale beanza della vulva, anche dopo un primo parto; le lacerazioni della forchetta e del perineo, anche se ben riparate, lasciano tracce più o meno evidenti. Nelle primipare la membrana imenale in gran parte sparisce e i resti formano le cosiddette caruncole mirtiformi. Le pareti addominali restano di solito flaccide e rilassate, causa il permanere di una certa diastasi dei muscoli retti; e se in gravidanza si formarono strie, esse rimangono sotto forma di fini cicatrici bianche. Persiste anche una maggiore pigmentazione della linea mediana. Lo studio dei fenomeni locali del puerperio non può fare astrazione dal comportamento delle ghiandole mammarie. Queste entrano in piena attività funzionale al tempo stesso in cui si effettua la progressiva involuzione dell'apparato utero-ovarico. La secrezione colostrale, che si stabilisce già al 2° mese di gravidanza, e nel corso di questa si fa sempre più copiosa, permane anche nei primi giorni del puerperio, finché verso il 3° o 4° giorno, e talvolta anche dopo, si produce la cosiddetta montata lattea, con che si avvia l'eliminazione del latte formato.
La montata o portata lattea è spesso accompagnata da fenomeni clinici imponenti: le mammelle (v.) divengono più turgide e la rete venosa sottocutanea si fa più vistosa; la donna avverte senso di calore, di peso, di tensione; trafitture o anche vero dolore localizzato ai seni e talvolta irradiantesi agli arti superiori; non di rado esiste cefalea e spossatezza generale, specie se coesiste elevamento termico. Anche le linfoghiandole ascellari possono presentarsi ingrossate e dolenti, sì da rendere penosi i movimenti delle braccia.
Igiene e trattamento della puerpera. - L'igiene del puerperio s'impernia sulle norme di proprietà e di nettezza, che devono regolare il governo della camera della puerpera, del suo letto e soprattutto della sua persona. La biancheria necessaria per la madre e per il bambino non occorre che sia sterilizzata: è sufficiente che sia fresca di bucato e che prima dell'uso venga stirata con ferro ben caldo. Devono essere, invece, sterilizzate le falde di garza e di cotone, che si pongono per assorbire le secrezioni lochiali. La puerpera sana non abbisogna, in genere, d'irrigazioni vaginali; queste, anzi, possono arrecare danno, se non vengono praticate con tecnica corretta e con la più rigorosa asepsi degli strumenti e dei liquidi da iniettare. Non dovrà, invece, esser mai trascurata la semplice pulizia esterna, mercè abbondante lavaggio con acqua sterilizzata.
La puerpera ha bisogno, nei primi giorni, della massima tranquillità.
Finché resterà a letto, eviterà i movimenti bruschi e vivaci; essa potrà incominciare ad alzarsi verso l'ottavo giorno.
L'alimentazione dev'essere costituita, nei primi due o tre giorni, da cibi di facile digeribilità (minestrine al burro o in brodo, zuppe di riso, purées, verdure fresche, qualche uovo, latte) con pochissimo vino (preferibili le aranciate); in seguito la puerpera si potrà nutrire secondo le proprie abitudini, aggiungendo, però, alla dieta comune, un litro di latte al giorno. Assidua attenzione richiede il funzionamento della vescica e dell'intestino. Se la minzione spontanea non si compie, sarà d'uopo ricorrere al cateterismo. Allo scopo di evitare il soverchio rilassamento delle pareti addominali, che, oltre a offendere l'estetica, porta col tempo a congestione viscerale, ad atonia e ptosi dell'intestino, è raccomandabile l'impiego, fin dal primo giorno, di una stretta fasciatura addominale o di un'adatta ventriera elastica. Ma il lato essenziale del trattamento della puerpera risiede nella vigilanza assidua del modo come procede l'involuzione dell'utero. Questa si compirà regolarmente solo se fin dall'inizio l'utero si manterrà validamente retratto, o contratto: e cioè in quell'atteggiamento funzionale, ch'è garanzia di emostasi e che, assicurando uno stato permanente d'ischemia in seno al parenchima uterino, provoca quei fenomeni regressivi, da cui dipende la normale involuzione dell'organo. Ora, per poter conseguire sicuramente tale risultato, è buona norma somministrare alla puerpera, nei primi 7-8 giorni i medicamenti atti a eccitare la contrattilità uterina, come la segala cornuta o qualche suo derivato, e l'estratto pituitario. Speciale cura, infine, deve avere la puerpera per il proprio seno: la profilassi di quella noiosa e dolorosa affezione, ch'è costituita dalle ragadi del capezzolo, dev'essere iniziata qualche tempo prima del parto e intensificata nei giorni successivi a questo. Spesso sarà sufficiente, a tal uopo, sgrassare e rammorbidire la cute che riveste i capezzoli, soffregandoli con batuffoli di cotone spalmati di vaselina semplice o borica; oppure, trattandosi di cute troppo tenera e sottile, si cercherà di renderla resistente con applicazioni di alcool diluito o di glicerina tannica. Prima e dopo ogni poppata, i capezzoli verranno detersi accuratamente con acqua sterile o soluzione borica, e si terranno coperti, fra una poppata e l'altra, con cotone asettico. Anche la più piccola erosione del capezzolo sarà subito curata con medicazioni all'alcool puro. Del resto, la profilassi più efficace delle ragadi si realizza distanziando sufficientemente fra loro le poppate (ogni 3 ore, con soppressione di una poppata nella notte), e, se le ghiandole sono ben sviluppate, offrendo al bambino alternativamente ora l'una ora l'altra mammella.
La prima poppata avrà luogo, di regola, 12 ore dopo il parto. La puerpera si guarderà il più possibile dal toccarsi i capezzoli, per non incorrere nel rischio d'infettarli; eviterà con ogni cura l'insudiciarsi le mani con le secrezioni genitali, e comunque non trascurerà mai di lavarsele con acqua calda e sapone, prima di attaccare il bambino.
Patologia del puerperio. - Il puerperio può essere patologico: o per malattie aventi sede o punto di partenza negli organi genitali; ovvero per malattie, acute o croniche, generali o localizzate fuori della sfera genitale, complicanti il puerperio stesso. Le malattie della seconda specie, siano esse preesistenti al parto, o siano susseguenti, interessano l'ostetrico solo in quanto possono influire in modo sfavorevole sullo stato dei genitali e sull'andamento dei fenomeni involutivi, che in questi si svolgono; e, d'altra parte, è risaputo che i processi morbosi sono di regola, a loro volta, dannosamente influenzati dall'eventuale concomitanza del puerperio. La patologia del puerperio è dominata dal quadro pauroso e multiforme delle infezioni, la cui porta d'entrata abituale risiede nei genitali propriamente detti (infezioni puerperali) o nelle mammelle (infezioni mammarie). Ma, oltre ai processi infettivi, un'altra importante complicazione può intervenire a disturbare il decorso del puerperio e a mettere anche in serio pericolo la vita della donna: l'emorragia.
Perdite, a volte imponenti, di sangue dall'utero possono verificarsi subito dopo il secondamento, e allora sono dovute, secondo il linguaggio comune, ad atonia; cioè a difettosa retrazione, della muscolatura uterina, assai spesso in rapporto con la ritenzione, nella cavità dell'organo di residui placentari o anche di un semplice coagulo sanguigno. In quest'ultimo caso basta di regola l'espulsione del grumo, eventualmente provocata con la spremitura del viscere, per vedere arrestarsi di colpo la metrorragia; mentre nella prima eventualità l'emostasi non si ottiene, se anzitutto non si sarà proceduto al distacco e alla rimozione manuale dei residui aderenti.
L'atonia dell'utero si manifesta con una certa frequenza dopo parti precipitosi o espletati artificialmente prima che la muscolare uterina abbia avuto tempo e modo di allenarsi alla contrazione; nei parti multipli e nell'idramnio; nelle multipare, specie se precedentemente ebbero parti laboriosi o puerperî complicati da processi infettivi. Emorragie per "paralisi localizzata alla zona d'impianto della placenta" si hanno soprattutto in caso d'inserzione placentare sul segmento inferiore (placenta previa) o in un angolo tubarico. Il trattamento dell'atonia uterina, considerata in sé stessa, si basa sulla somministrazione ad alte dosi dei preparati di segala, della pituitrina, e in pari tempo sulla stimolazione del viscere con mezzi fisici (applicazione del caldo o del freddo, massaggio). Di efficacia sorprendente, poi, si dimostra, anche in forme gravissime, l'introduzione della mano chiusa a pugno nella cavità uterina e la sua utilizzazione per eseguire il massaggio bimanuale, oltre che per stimolare direttamente la superficie interna dell'organo. Da respingere, invece, è la pratica del tamponamento uterovaginale alla Dührssen, trattandosi di un metodo, oltre che pericoloso (infezione), irrazionale: così come è irrazionale la somministrazione di qualsiasi medicamento atto a risollevare la pressione sanguigna, prima che siasi provveduto a infrenare la emorragia. Di grande utilità, infine, si suole dimostrare, in tali contingenze, la compressione dell'aorta: in quanto, se bene eseguita, riesce a impedire il passaggio del sangue verso l'utero: e l'ischemia di esso, che ne consegue, agisce come energico stimolo alla contrazione. Ma può anche verificarsi che nessuno dei sussidî terapeutici sin qui ricordati raggiunga lo scopo: in tal caso non resta che aggrapparsi all'ultima tavola di salvezza, e cioè all'estirpazione dell'utero.
Una conseguenza assai grave, ma, per fortuna, rarissima dell'atonia uterina è costituita dall'inversione dell'utero, la quale consiste nell'arrovesciamento totale o parziale dell'organo, in seguito all'introflettersi del fondo in cavità e al suo impegnarsi attraverso il collo, fino a discendere in vagina e arrivare eventualmente a sporgere dalla vulva (prolasso dell'utero inverso).
Questo temibile accidente, che si produce solo a pareti uterine sottili e rilasciate, cioè in diastole attiva acuta (secondo P. Sfameni), si può determinare anche indipendentemente da ogni influenza esterna, e cioè solo per azione del premito addominale; esso può condurre rapidamente a morte la donna per shock o per emorragia, oppure, in secondo tempo, per infezione. Se la paziente, invece, sopravvive, l'inversione, abbandonata a sé, passa allo stato cronico. Il trattamento dell'inversione puerperale acuta consiste nella reinversione del viscere, da eseguire per lo più sotto narcosi.
Le emorragie dell'immediato post-partum possono avere anche origine diversa da quella placentare; e precisamente possono derivare da lacerazioni più o meno estese del perineo, della regione vulvare (specie della clitoride), della vagina e del collo uterino.
E sono, infine, da ricordare anche le emorragie da rottura di varici; fra cui meritano speciale segnalazione, per la loro eccezionale gravità, quelle originate da varici interne (p. es., del plesso pampiniforme). Le quali, poi, sono pericolose anche per il fatto che di solito vengono diagnosticate difficilmente e tardi; e si ricorre perciò alla laparatomia, quando è già trascorso troppo tempo per poter salvare la donna dal dissanguamento.
Si chiamano metrorragie puerperali tardive quelle perdite abnormi di sangue, che si osservano a una certa distanza dal parto, e sono dovute, nell'immensa maggioranza dei casi, alla ritenzione nella cavità uterina di lembi di decidua ispessita, o di ciuffi di villi fra loro cementati e ricoperti di fibrina (polipi placentari); talvolta, invece, sono in rapporto con strapazzi fisici o con un leggiero stato endometritico. In tutti questi casi esiste una subinvoluzione uterina più o meno spiccata. Può rendersi indispensabile, in tali contingenze, il raschiamento dell'utero, che andrà praticato con molta cautela.
Si dà il nome di infezione puerperale o febbre puerperale al complesso di accidenti tossico-infettivi determinati dal pullulare, nell'organismo materno, di germi patogeni, che vi sono penetrati attraverso le ferite del canale genitale, e più specialmente a livello della piaga placentare. Le infezioni aventi altra origine e altra localizzazione (tifo, tubercolosi, grippe, ecc.), anche se evolvono durante il puerperio, non possono, dunque, identificarsi con la febbre puerperale; fondamentalmente analoga a questa è, invece, da considerarsi l'infezione conseguente a una ferita o a un intervento chirurgico.
La febbre puerperale non è un'infezione specifica, poiché sono molteplici le varietà microbiche capaci, tanto isolatamente quanto in associazione, di produrla. Anticamente, e cioè fin dai tempi d'Ippocrate (332 a. C.), essa fu considerata come la conseguenza della soppressione dei lochi, e tale concezione dominò incontrastata sin verso la metà del sec. XVII, allorché invece cominciò a farsi strada la dottrina di N. Puzos, il quale riteneva che la malattia fosse dovuta allo spandersi del latte per il corpo (metastasi lattea). Ma ecco, intanto, l'italiano F. Marabelli dimostrare, nel 1796, che versamenti cosiddetti lattiginosi dell'addome, riscontrabili nei casi di febbre puerperale, erano costituiti da pus; ed ecco affermarsi, sulla base delle osservazioni anatomopatologiche, la dottrina che riponeva l'essenza del processo nell'infiammazione del peritoneo, o, secondo altri studiosi, in quella dell'utero: dottrina, da cui poi scaturì quella, più comprensiva e più aderente ai fatti, della metroperitonite. D'altra parte, con l'istituzione delle Maternità, l'attenzione dei medici incominciò a essere attirata dall'andamento epidemico, che tratto tratto assumeva, negli asili predetti, la febbre puerperale. Osservazioni di tal genere furono fatte, fin dal 1664, da F. Mauriceau, all'Hôtel-Dieu di Parigi; e vere epidemie furono successivamente segnalate a Lione (1750), a Londra (1760), a Copenaghen (1765), a Dublino (1767), a Edimburgo (1778). Nel 1823, alla Maternità di Vienna si ebbero in tre mesi 133 casi letali d'infezione puerperale su 698 donne che vi partorirono; nel mese di maggio del 1856, alla Maternità di Parigi, su 32 puerpere se ne salvò una sola. Soltanto verso la metà del sec. XIX, e precisamente nel 1847, un medico ungherese, allora assistente alla Maternità di Vienna, Ignazio Filippo Semmelweiss, intuì la vera causa della febbre puerperale, ne riconobbe il carattere contagioso e additò i mezzi per evitarla. Malgrado, però, l'ardore e la tenacia da vero apostolo, con cui si diede a bandire e a difendere le proprie idee, nessuno, si può dire, credette alla sua scoperta, la quale aveva il torto, agli occhi dei soliti scienziati puri, di essere basata esclusivamente sui dati di osservazione clinica. Se ne voleva, al solito, la dimostrazione sperimentale, di laboratorio: e anche questa, finalmente, venne, per opera di L. Pasteur, che, nella memorabile seduta dell'11 marzo 1878, all'Accademia di medicina di Parigi, poté comprovare la natura microbica della malattia, annunciando di aver trovato, nei lochi di una puerpera morta d'infezione, un microrganismo avente i caratteri dello streptococco. Gli studiosi successivi non fecero che consolidare e perfezionare la scoperta del Semmelweis e quella confermativa del Pasteur.
Riguardo all'agente responsabile dell'infezione puerperale, basterà ricordare che dapprima, conforme alle vedute di J.-A. Doléris e di F. Widal, si ammetteva esser la malattia data esclusivamente dallo streptococco piogeno. Attualmente, invece, è dimostrato che possono riscontrarsi i più svariati microrganismi, soli o associati fra loro; tuttavia, se lo streptococco esiste, esso imprime al quadro clinico della malattia caratteri di particolare gravità, e le forme più contagiose d'infezione puerperale e le più letali sono appunto quelle in cui è presente questa specie microbica. Oltre allo streptococco, di cui si conoscono varietà emolitiche (Streptococcus haemol. vulgaris, St. haemol. lentus) e varietà anemolitiche, che da solo è capace di produrre tutte le varietà cliniche della malattia e che si distingue per la facile tendenza a superare la barriera uterina, dando così luogo all'infezione generalizzata, le specie batteriche più comunemente riscontrabili sono: lo stafilococco, che di solito dà origine a infezioni localizzate, pur potendo anche produrre vere e proprie setticemie; il colibacillo, che proviene dall'intestino, e più comunemente provoca insieme infezioni urinarie; il gonococco, che si localizza più specialmente nell'endometrio e negli annessi; molteplici varietà di anaerobî, come il B. perfringens, il B. ramosus, il B. nebulosus, il B. radiiformis, il Micrococcus foetidus, il Vibrione settico, ecc., che intervengono particolarmente nelle forme putride e volentieri si associano ad altri agenti patogeni.
Finalmente, in casi particolari, il pneumococco, il bacillo del tetano, il bacillo di Löffler, ecc. Gli agenti infettivi possono avere un'origine esogena (ch'è di gran lunga la più frequente), e allora si parla di eteroinfezione, oppure un'origine endogena, e a tale eventualità si dà il nome di autoinfezione; nella prima, la contaminazione avviene in seguito a penetrazione di germi nelle vie genitali con le dita non ben disinfettate del medico o della levatrice, oppure con strumenti od oggetti di medicatura inquinati; nella seconda, l'infezione è data da germi già esistenti in un punto qualsiasi dell'organismo della donna, i quali, pervenendo nell'utero o sulle ferite del canale genitale, vi s'impiantano e acquistano proprietà patogene (se prima vivevano allo stato saprofitico) o si virulentano (se il loro potere morbigeno era prima più o meno attenuato).
La principale porta di entrata dei germi, in una puerpera, è costituita dalla superficie interna dell'utero, specie in corrispondenza della zona placentare: quivi la lamina deciduale in via di disfacimento e di eliminazione, con le ampie aperture venose trombosate e gli accumuli di fibrina, può rappresentare per i microrganismi un eccellente terreno di coltura, e questi, se riescono a infiltrarsi attraverso la barriera leucocitaria di granulazione costituitasi nella parte profonda della caduca, si diffondono nel parenchima uterino e possono infettare gli organi vicini o invadere addirittura l'intero organismo; mentre, se vengono fermati dalla barriera stessa, esplicano ugualmente una certa azione sull'organismo tutto della puerpera, mediante le tossine eliminate. Altri eventuali punti di partenza per l'infezione sono rappresentati da lesioni del perineo, della vulva, della vagina e del collo uterino.
La diffusione dei microrganismi avviene per via linfatica o per via sanguigna (venosa) o per le due vie al tempo stesso; è da ricordare, però, anche la propagazione fuori dell'utero attraverso la mucosa tubarica. Come ogni altra infezione, la febbre puerperale si stabilisce ed evolve sotto l'influenza di condizioni predisponenti o di circostanze capaci di favorirla: detti elementi possono risiedere non solo nella puerpera, ma anche nei germi stessi. I fattori appartenenti alla donna si possono distinguere in generali, e cioè proprî a tutte le puerpere (modificazioni della crasi sanguigna, strapazzo fisico e depressione nervosa, lesioni del canale genitale), e particolari, ossia variabili a seconda delle circostanze in cui si è svolto il parto. Fra questi ultimi, vanno soprattutto ricordati i seguenti: stato di profonda anemia, insufficienza renale o epatica, eclampsia, malattie croniche esaurienti, travaglio di parto lungo, rottura prematura delle membrane, ripetuti riscontri vaginali, interventi gravi e laboriosi, secondamento artificiale. Ma fra tutte le cause predisponenti dell'infezione puerperale, quella che riveste la massima importanza è il secondamento incompleto e, per conseguenza, la ritenzione in cavità uterina di sostanze organiche in sfacelo. Quanto alle condizioni insite nei microrganismi, è facile comprendere come il numero e la virulenza di essi debbano influire in modo non trascurabile sull'andamento clinico della malattia.
La frequenza dell'infezione puerperale, dopo essersi rapidamente e considerevolmente abbassata, con l'avvento dell'era antisettica, ha rallentato molto, in questi ultimi tempi, il suo ritmo discensionale. La mortalità, elevatissima prima che fossero applicate le idee del Semmelweiss e del Pasteur (presso la Maternità di Parigi, nel periodo 1858-1869, essa fu del 9,3%), discese, immediatamente dopo, di molto (nella stessa Maternità, durante il periodo 1882-1889, all'1,1%). Attualmente essa si aggira intorno al o,30%: ma è da notare che da trent'anni a questa parte la situazione è rimasta, da per tutto, pressoché immutata. Ancora abbastanza elevata è, d'altra parte, la morbilità puerperale, che, difatti, anche nelle Maternità meglio organizzate, non è inferiore al 10%, e in molte statistiche, anzi, risulta sensibilmente più alta. Ciò dipende soprattutto da una cattiva assistenza domiciliare delle partorienti; onde sono ancora troppe le donne, che, quando vengono ospedalizzate, portano già in sé i germi dell'infezione. Ed è questo, appunto, che bisogna evitare: a tal uopo occorre intensificare, presso medici e levatrici, la propaganda per una più scrupolosa applicazione delle norme profilattiche già sanzionate dalla scienza: né sarà mai ripetuto abbastanza ch'è indispensabile una più diffusa e profonda educazione igienica del popolo.
L'infezione puerperale può presentarsi sotto molteplici forme cliniche, le quali hanno ricevuto anche una diversa classificazione. Oggi può dirsi pressoché abbandonata l'antica divisione di J. M. Duncan nei due grandi gruppi: delle forme tossiche (saproemia) e di quelle settiche, poiché ricerche più recenti hanno dimostrato che la cosiddetta febbre da assorbimento, nella intossicazione putrida, è in realtà anch'essa una febbre da infezione: i germi, che determinano la decomposizione dei lochi, come di ogni altra sostanza organica morta, non sono sempre e necessariamente dei saprogeni obbligati; essi possono, in determinate circostanze, invadere i tessuti, penetrare nella circolazione generale e dare origine alle forme più gravi di setticemia puerperale.
Dal punto di vista clinico e anatomico insieme, si possono distinguere le seguenti forme di sepsi puerperale:
1. Infezioni vulvovaginali, con punto di partenza dalle ferite prodottesi, per il traumatismo ostetrico, nel tratto perineo-vulvo-vaginale. Sono manifestazioni locali del processo settico: le cosiddette escare vulvovaginali; la linfangite vulvare; l'erisipela; gli ascessi e i flemmoni della vulva; la cancrena vulvovaginale.
2. Infezioni uterine, rappresentate dall'endometrite puerperale e dalla metrite parenchimatosa o metrite totale.
Nell'endometrite si possono distinguere le seguenti varietà anatomiche: l'e. infiammatoria semplice, l'e. purulenta, l'e. pseudomembranosa, l'e. necrobiotica (o putrescente) e l'e. cancrenosa (che si trova sempre in associazione con la cancrena parziale o totale del muscolo uterino). Una varietà clinica meritevole di un cenno particolare è l'endometrite da ritenzione dei lochi o lochiometra, che si costituisce per riduzione del lume del canale cervicosegmentario, in conseguenza, per lo più, di una spiccata antiflessione dell'utero. Ne deriva putrefazione dei lochi (per il pullulare degli anaerobî o del colibacillo) e assorbimento di prodotti tossici, donde brusco elevamento termico preceduto da brivido. Di regola, non appena rimosso l'ostacolo allo scolo dei lochi, gli aecidenti scompaiono.
Nella metrite totale i germi, per insufficienza della "barriera leucocitaria", o per mancata formazione di essa, hanno invaso tutto il parenchima uterino. Di questa forma si distinguono, da punto di vista anatomico, due varietà: la m. parenchimatosa semplice, e la m. parenchimatosa suppurata. Si possono considerare come forme complicate della metrite: la m. cancrenosa, che, se porta all'eliminazione di larghi lembi di miometrio prende più propriamente il nome di m. dissecante; e la cancrena gassosa dell'utero o enfisema uterino, prodotto, nel massimo numero dei casi, dal B. perfringens.
La sintomatologia locale delle infezioni uterine si può così riassumere: alterazione dei lochi; subinvoluzione uterina; dolori, specialmente provocati, in corrispondenza dei corni uterini; beanza e mollezza anormale del collo.
3. Infezioni periuterine: risultano dallo sconfinamento dei germi di là dall'utero, ma senza tuttavia che il processo giunga a propagarsi fuori del piccolo bacino, e si traducono nelle seguenti forme: pelviperitonite; flemmoni del cellulare pelvico; salpingite o salpingo-ovarite.
4. Peritonite generalizzata, di cui si conoscono una forma purulenta e una forma settica (setticemia peritoneale). Quest'ultima è caratterizzata dalla formazione non di pus vero e proprio, ma di un liquido sieroso torbido, appena purulento, a volte roseo. Clinicamente si distinguono, dalle più comuni forme di peritonite puerperale acuta, la varietà acutissima e quella subacuta. Nella setticemia peritoneale mancano pressoché tutti i segni clinici della peritonite, o sono appena accennati.
5. Flebiti puerperali: sono dovute alla propagazione dei germi lungo le vene; là dove l'endotelio vasale è da questi attaccato e distrutto, il connettivo, messo a nudo, provoca la formazione di coaguli sanguigni, che finiscono per obliterare completamente il lume della vena (tromboflebite). Se i germi infettanti sono molto virulenti, il trombo può suppurare (flebite suppurata). Sono i tronchi venosi degli arti inferiori quelli più comunemente colpiti: e la loro infiammazione dà luogo alla cosiddetta phlegmasia alba dolens. Questa può originare da propagazione alle vene laterouterine, all'iliaca e poi alla crurale, di una trombosi che si è stabilita in corrispondenza di un seno uterino: e in tal caso, dunque, si tratta della semplice estensione di una tromboflebite uteropelvica (flebite discendente). Oppure può dipendere dalla primitiva localizzazione del germe in una vena dell'arto inferiore, restando indenni i tronchi venosi intermedî: e allora la flebite sarà ascendente rispetto alla zona pelvica. Le flebiti delle vene pelviche hanno per lo meno la stessa frequenza di quelle degli arti inferiori, ma passano il più spesso inosservate. Affatto eccezionali sono quelle degli arti superiori.
6. Setticemie puerperali: sono date dal passaggio dei microbi nel sangue; quivi essi possono ritrovarsi permanentemente e mostrare tendenza ad accrescersi, senza che poi all'autopsia sia dato scoprire l'esistenza di un qualsiasi focolaio infettivo localizzato (setticemie propriamente dette); oppure la loro presenza nel sangue si riscontra intermittentemente, in rapporto al periodico insemenzamento operato da un focolaio suppurativo, e vi sono, anzi, casi, in cui il loro passaggio nel sangue è svelato solo dalle localizzazioni a distanza (setticemie a localizzazioni metastatiche, e cioè a forma pioemica: "infezione pioemica" degli antichi autori).
Le setticemie propriamente dette, le quali per la massima parte sono streptococciche, solo eccezionalmente assumono la forma primitiva, e cioè non sono precedute da un processo localizzato: quasi sempre, invece, conseguono a una lesione locale, il più spesso uterina, e cioè sono secondarie. Nella prima forma, l'exitus è la regola; nell'altra, invece, si può avere anche la guarigione.
Nelle setticemie a tipo pioemico, tutti gli organi possono divenire sede dei focolai metastatici, i quali sono il più spesso multipli. A volte, invece, una determinata localizzazione assume un'importanza preponderante, sì da compendiare quasi tutta in sé la malattia; si hanno allora infezioni puerperali a tipo cardiaco, pleurico, polmonare, meningitico, artritico, eruttivo, ecc. L'affezione termina ordinariamente con la morte, ma la guarigione non è impossibile.
I segni rivelatori dell'infezione puerperale, riscontrabili senza distinzione di forma clinica, sono i seguenti: a) la febbre, che compare generalmente verso il 3°-4° giorno, ed è preceduta da brivido. Nei casi immediatamente gravi è fin da principio molto elevata; b) l'acceleramento del polso, che riveste, all'infuori dei casi di anemia postemorragica o di affezioni nervose, un'importanza diagnostica e prognostica di prim'ordine. Esso precede e annunzia la febbre; indi accompagna le oscillazioni della temperatura, mantenendosi però sempre, rispetto a questa, troppo elevato. Se la discordanza tra i due fenomeni tende ad accentuarsi, nel senso che a un polso frequentissimo corrisponde una temperatura più o meno bassa, la prognosi si fa seria poiché tale comportamento è indizio di un alto potere di penetrazione dei germi e al tempo stesso di una scarsa resistenza dell'organismo ammalato; c) fenomeni nervosi: come insonnia, agitazione, delirio; si nota anche uno spiccato pallore dei tegumenti, all'infuori di pregressi episodî emorragici; d) il ritardo nell'involuzione uterina, con scomparsa delle contrazioni. La palpazione del viscere suscita dolore; la sua consistenza è molliccia; il collo resta a lungo permeabile; e) le modificazioni dei lochi riguardo al colore (si fanno brunastri, grigiastri o puruloidi), all'odore (che diviene fetido), e alla quantità (aumentano o diminuiscono). Bisogna, però, tener presente che nei casi più gravi i sintomi locali possono mancare o esser poco apprezzabili.
Cura dell'infezione puerperale. - Essa va considerata dal punto di vista profilattico e da quello curativo. La profilassi della febbre puerperale deve essere oggetto di costante preoccupazione da parte del sanitario, il quale potrà realizzarla solo a prezzo di una rigorosa asepsi e di un'efficace antisepsi. Le misure antisettiche devono specialmente mirare: all'ostetrico, e in particolar modo alle sue mani; agli strumenti, alle sostanze da introdurre nelle vie genitali, e agli oggetti di medicazione; ai genitali della partoriente e alle regioni viciniori.
Il trattamento curativo può essere locale e generale. Appartengono al trattamento locale: la medicazione delle ferite infette; il raddrizzamento e la spremitura dell'utero, in caso di lochiometra; le irrigazioni vaginali e quelle intrauterine; il raschiamento digitale e quello strumentale dell'utero; la cauterizzazione dell'endometrio; l'apertura degli ascessi intraperitoneali incapsulati nel piccolo bacino (colpo-celiotomia); l'apertura degli ascessi del parametrio; la laparatomia per peritonite generalizzata; la legatura e l'escissione delle vene periuterine tromboflebitiche; l'estirpazione dell'utero. Questi due ultimi interventi, però, non conservano che un semplice valore storico.
Il trattamento generale può esser diretto ad esaltare i poteri organici di difesa o a determinare uno stato d'immunizzazione specifica. Il primo intento si persegue con tutti i sussidî preconizzati per combattere le infezioni in genere; l'altro con i vaccini e i sieri, o, assai meglio, con la immuntrasfusione sanguigna. Nella prima categoria di mezzi terapeutici si fa comunemente rientrare anche il cosiddetto ascesso da fissazione, cui peraltro dalla maggior parte degli autori viene riconosciuto un valore puramente prognostico. Formano, poi, un gruppo a sé i medicamenti ad azione antisettica, i quali vengono per lo più somministrati per via endovenosa; fra essi ricorderemo: l'urotropina, i metalli colloidali, gli arsenobenzoli, il sublimato, il solfato di rame, ecc.
Malattie della mammella. - Le malattie della mammella, in rapporto con l'allattamento, sono: le ragadi e le escoriazioni del capezzolo, la linfangite, la mastite.
Le escoriazioni o erosioni si formano alla sommità del capezzolo e derivano dalla perdita dell'epitelio superficiale; si possono trasformare in ulcere, e allora secernono e sanguinano facilmente. Le ragadi hanno l'aspetto di fessure, più profonde delle precedenti lesioni, poiché raggiungono il corion. Escoriazioni e ragadi dipendono dalla macerazione dell'epidermide e dal traumatismo inerente alle suzioni ripetute. Esse compaiono più frequentemente nelle primipare, anziché nelle pluripare, e vi sono in particolar modo predisposte le donne a pelle delicata. Si prevengono con una corretta tecnica dell'allattamento e con una buona preparazione dei capezzoli in gravidanza. Si curano principalmente col riposo della parte, con medicazioni all'alcool o alla tintura di iodio diluita. Può rendersi necessaria l'adozione di un capezzolo di gomma a scopo protettivo.
La linfangite consegue generalmente a una ragade del capezzolo. Può essere superficiale o (più raramente) profonda. I sintomi generali sono rappresentati da febbre alta preceduta da brivido, polso frequente, cefalea; localmente si ha: dolore vivo, arrossamento cutaneo a strisce o a chiazze (nelle forme superficiali), eppure aspetto della cute normale, ma al disotto presenza di cordoni duri e dolenti alla palpazione (nelle forme profonde); di regola coesiste anche ingorgo delle linfoghiandole ascellari. In seguito ad applicazione d'impacchi caldi, con soluzioni debolmente antisettiche, la malattia di solito rapidamente guarisce.
La mastite, o ascesso della mammella, deriva da penetrazione di germi o attraverso i dotti galattofori, oppure in corrispondenza di ragadi o escoriazioni formatesi sul capezzolo. Nel primo caso, viene anzitutto a costituirsi una galattoforite. Gli agenti infettivi più comuni a osservarsi sono gli stafilococchi; assai meno frequenti sono gli streptococchi, e rarissimi i gonococchi. Affatto eccezionale è l'ascesso metastatico della mammella nella setticemia puerperale. Dal punto di vista anatomico si distinguono due forme di mastite: la parenchimatosa e l'interstiziale. La mastite parenchimatosa dipende da infezione dei canali escretori, ed è favorita dal ristagno del latte, per insufficiente svuotamento della ghiandola. La mastite interstiziale ha origine quasi sempre da soluzioni di continuo dell'areola o del capezzolo: i germi quivi innestatisi si diffondono lungo le vie linfatiche e pervengono nel connettivo interstiziale periacinoso, in modo da dar luogo al flemmone della mammella. Se al processo partecipa il cellulare retromammario, ne consegue un ascesso retroghiandolare (paramastite posteriore), il quale, peraltro, è molto raro. Responsabili di questa forma sono per lo più gli streptococchi. Sono sintomi caratteristici della mastite: tumefazione e dolore; edema e arrossamento della pelle, in corrispondenza del focolaio infiammatorio; febbre. Se il processo giunge a suppurazione, la massa si rammollisce e diviene fluttuante. Le misure profilattiche si confondono con quelle accennate a proposito delle ragadi; bisogna, però, aggiungere il completo svuotamento della mammella, magari col tiralatte. Il trattamento curativo consiste nell'applicazione della vescica di ghiaccio durante il periodo flegmasico; applicata a tempo, anche la stasi alla Bier può giovare, determinando la regressione del processo. Avvenuta, invece, la fusione purulenta, bisogna evitare che l'ascesso si svuoti da sé, affrettandosi ad incidere la sacca con un taglio diretto in senso radiale.
Morte improvvisa della puerpera. - La morte improvvisa o rapida della donna, in puerperio, può essere determinata da un accesso di asistolia acuta o di edema acuto del polmone; ma più comunemente è dovuta a embolia gassosa, con punto di partenza dall'area placentare, o ad embolia da trombi sanguigni (specie da trombosi delle vene pelviche o delle grosse vene dell'arto inferiore).
Bibl.: Ch. Maygrier e A. Schwab, Précis d'Obstétrique, Parigi 1909; E. Bumm, Tratt. compl. di ostetricia (trad. di C. Merletti), Milano 1915; J. Fabre, Précis d'Obstétrique, Parigi 1922; I. Clivio, Febbre puerperale, ecc., in I. Clivio, E. Ferroni, E. Pestalozza, G. Resinelli, G. Vicarelli, Tratt. di ostetricia, Milano 1924; G. Resinelli, Il puerperio, in Tratt. di ostetricia, ivi 1924; K. Reifferscheid, Il puerperio normale, in W. Stöckel, Tratt. di ostetricia (trad. di G. Bertone), Torino 1925; M. Walthard, Il puerperio patologico, ivi 1925; M. Metzger, Suites de couches physiologiques, in A. Brindeau, La prat. de l'Art des Accouchements, Parigi 1927; L. Mangiagalli, Lez. di ostetricia e di clinica ostetrica, Milano 1928; P. Sfameni, La dilatazione attiva o vitale dell'utero ed il suo sviluppo storico, in Monitore ostetrico-ginecologico, I (1929), fasc. 5°; A. Cuzzi, Manuale di ostetricia ad uso delle levatrici, 8ª ed., Milano 1930; id., Tratt. di ostetricia e ginecologia, ivi s. a.; C. Schroeder, Tratt. di ostetricia (trad. di G. Rocca), ivi s. a.